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Autore: SeleneMarino    01/05/2024    0 recensioni
– Hai un bel controllo di palla.
– Mh. – Cristina stringe le labbra e continua.
– Guarda che era un complimento. Sei brava in ricezione?
– Non me ne frega niente di essere brava in ricezione.

Il ruolo è molto più di una posizione in campo: quanto è difficile trovare se stesse?
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[het e femslash accennate]
Genere: Generale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sulla linea dei tre metri

 

 

Se si giudica un pesce dalla sua capacità
di arrampicarsi sugli alberi, 
passerà la vita a sentirsi stupido.

 

 

 1. Banda

– Bene, ragazze, abbiamo finito. Raccogliere i palloni!

L’ultima schiacciata di Marta rimbomba sul lineoleum arancione: è uno dei suoi bolidi dalla seconda linea. Cristina saltella stizzita sulla linea dei tre metri, afferra un pallone e lo spedisce al soffitto, lasciando l’ennesimo bozzo sulla lamiera di alluminio. Laura alzerebbe persino a se stessa, pur di non darle soddisfazione: di questo passo, farà di lei l’unica banda della storia a non schiacciare mai. L’allenatore la guarda impassibile. 

– Fallo un’altra volta e ti scordi la convocazione.

– Scusa, Alex.

– Scusati con le tue compagne, non con me.

– Scusa, Laura.

L’alzatrice fa un mezzo sorriso sardonico e continua a raccogliere palloni. Marta ne fa rotolare uno giù dalle tribune di legno, guardando la scena dall’alto del suo inamovibile orgoglio di opposto: le scuse non la sfiorerebbero nemmeno. Cristina si lascia scivolare nell’intercapedine fra un gradone e l’altro, si accovaccia e va in cerca dei palloni che si sono infilati lì sotto. Lo fa molto lentamente e con scrupolo eccessivo, finché i rimbalzi non si diradano e le voci si allontanano. Lancia l’ultima palla ad Alex, che la mette nel vecchio cestone di ferro, lo chiude con un cigolio e gira la chiave. 

Cristina lo saluta ed esce, si avvia allo spogliatoio, ma poi fa dietrofront e si affaccia di soppiatto nella sala attrezzi: Alex sta lasciando la chiave sull’armadietto dei medicinali. Un po’ banale come nascondiglio, pensa Cristina. 

 

La signora Lucia si avvicina alla porta della palestra a passi svogliati. Scuote il mazzo di chiavi, impreca, lo fa cadere, lo raccoglie e finalmente entra. Non è serata. Apre la serratura della stanza di servizio, prende il carrello delle pulizie, riempie d’acqua il secchio e si trascina nella sala principale. Le luci sono ancora accese e c’è una ragazza seduta a terra dietro la linea di fondo campo. Ha indosso maglietta e pantaloncini e stringe una palla fra le ginocchia e la fronte: l'immagine dello sconforto. 

– A casa! Devo pulire! – Le grida Lucia senza tanti riguardi, dicendosi che quelle ragazzine dell’under diciassette sono delle piagnucolone smidollate.

La giocatrice si riscuote, solleva la testa, si drizza in piedi. La guarda con aria di sfida e non parla. Lancia la palla davanti a sé, prende tre grandi passi di rincorsa, salta più in alto che può, colpisce con tutta la forza che ha in corpo e pianta una poderosa battuta in salto sulla linea dei tre metri avversaria. Sì, ma da sotto la rete. La ragazzina molesta grida di rabbia come se la sua vita ne dipendesse e si batte i pugni sulle cosce. 

La signora Lucia non riesce a trattenersi dal ridere. 

– Paste! – Le grida con un sorriso troppo ampio. 

Se potesse, la ragazza ringhierebbe e la azzannerebbe. Nessun proverbiale vassoio di dolci ha mai cancellato la vergogna di una battuta che passa sotto: Lucia questo lo sa, ma non lo dice; il suo corpo pensa da solo, la fa avviare sgraziatamente verso il cestone e le fa prendere una palla. La custode si piazza dietro la linea, piega e alza il braccio sinistro, col destro fa un rapido lancio. Un colpo secco e la palla è di là: atterra nell’angolo in fondo al campo e rotola ai piedi della ragazza. 

– Lei sa giocare? – Non è una domanda ed è posta con l'orrore incredulo che gli adolescenti riservano agli adulti sorpresi a sconfinare dal loro recinto di cose da vecchi.

– Più o meno. – Risponde.

Trasandata e corpulenta, con due spalle così, seno grande e cadente, una pancia ancora più grossa e due gambe lunghe e secche: il suo aspetto non è dei più invitanti, Lucia deve riconoscerlo, e la puzza di fumo e di birra che annuncia la sua presenza scongiura ogni sospetto di sportività sul suo conto. Le ragazze la salutano appena, gli allenatori mal tollerano la sua sciatteria. “Lucia, l’hai pulito o no il campo?” “Stanotte hai lasciato di nuovo aperto!” “Non si può bere sul lavoro, Lucia!” La società però la lascia fare. Prende poco, disturba meno e chiude un occhio quando becca un dirigente con qualche giocatrice. 

– Perché vuoi battere in salto? – Chiede Lucia scrutando la ragazza. Sarà un metro e sessanta e pochi centimetri che tali rimarranno, considerata l’età. Non proprio il fisico ideale per sfondare, cosa che invece la piccoletta sembra volere con tutta se stessa. 

– C’ho la tigna, io! – Risponde piccata riprendendo la palla e preparandosi a un’altra battuta in salto. Lucia la guarda divertita. Palla in rete. Poi fuori. Di nuovo fuori. Rete, ancora rete e infine sotto un’altra volta.

– Paste! Cos’è domani, il tuo compleanno, che vuoi offrire a tutti?

Cristina guarda la palla rotolare placidamente verso la signora Lucia. Persino quella befana si prende gioco di lei.

– Com’è che ti chiami?

– Cristina –, mugugna imbronciata la ragazza.

– Ruolo?

– Banda.

– Banda?

– Sì, perché? Sono troppo bassa?

– Questo lo stai dicendo tu.

Cristina sbuffa, si avvicina alla rete da sinistra, si fa un’ampia autoalzata e schiaccia in diagonale spedendo la palla all’angolo opposto del campo avversario. 

– Non male, senza muro. – Lucia aziona il meccanismo che regola la rete e la solleva di una decina di centimetri. 

– Ma così è per il misto! – protesta Cristina.

– Così è con il muro. Sta’ a sentire, gioia, io devo pulire. Se vuoi divertiti un po’. Fra mezz’ora spengo le luci e te ne vai.

Cristina riprende la palla, mentre Lucia mette mano allo spazzolone. La palla rimbalza e rimbomba, lo spazzolone struscia sul vecchio linoleum portandosi dietro striature di polvere e appiccicume. 

– Ho finito. – Annuncia infine Lucia. 

Cristina lancia seccamente la palla nel vecchio cesto di ferro, lo richiude e mette via la chiave. Lucia fa finta di non vedere. La ragazza raccatta la felpa e sparisce dietro le porte giallastre.

 

– Lucia, chi ha alzato la rete? – Chiede Alex contrariato il giorno dopo. 

 

2. Custode

Venerdì sera Lucia è finalmente sola, o almeno così crede, finché non sente i tonfi cadenzati della palla schiacciata a ciclo continuo contro il pavimento e il muro.
“Di nuovo la schiacciatrice tappa”, mugugna fra sé mentre si toglie la giacca.

Quando Lucia varca la porta, Cristina però la saluta.

– Che cosa ci fai qui? Non dovresti essere in trasferta con il resto della squadra? 

– Non sono convocata. – Risponde secca la ragazza, senza smettere di colpire la palla con deliberata violenza.

– E perché?

Se possibile, schiaffeggia la palla ancora più forte. Non apre bocca.

– Te la sei di nuovo presa col soffitto? – Lucia alza lo sguardo in cerca di pannelli pericolanti.

– E lei come fa a saperlo?

– Sarei anche la custode, qui.

La ragazzina si imbroncia leggermente, ferma la palla e riparte con una serie di bagher indirizzati con precisione a un piccolo riquadro di scotch sul muro davanti a lei.

– Hai un bel controllo di palla.

– Mh. – Cristina stringe le labbra e continua.

– Guarda che era un complimento. Sei brava in ricezione?

– Non me ne frega niente di essere brava in ricezione. – La palla finalmente cade e la ragazza incrocia il suo sguardo. Ha i capelli color cenere, sottili, raccolti in una coda corta, e appena un accenno di frangia che sfugge a una fila di fermagli a tinte pastello. Sembrerebbe quasi una bambina, non fosse per il piglio marmoreo dei suoi gesti.

Lucia raccoglie la palla, ma non la provocazione. Con flemma pachidermica afferra il carrello dei palloni, lo trascina fino all’altra metà campo e batte, batte, ribatte.

Cristina non sa se ricevere o servire a sua volta; nel dubbio, fa entrambe le cose. Le sue ricezioni atterrano puntuali fra il posto due e il posto tre, esattamente dove  Laura le vorrebbe. Le sue battute atterrano altrettanto puntuali fuori dal campo avversario o rimbalzano sul nastro e tornano indietro. Qualche volta sembrano quasi voler sfondare la rete. 

 

Quando i palloni finiscono, Cristina corre a raccoglierli. Che sia contenta di aver trovato una vecchia alcolista con cui allenarsi? Mentre se lo domanda, Lucia si siede sui gradoni e le fa cenno di raggiungerla.
– Lo sai com’è che si impara la battuta?

E me lo vuoi insegnare tu? Cristina non lo dice, ma glielo si legge in faccia. La voce di Lucia si ammorbidisce.

– Con la disperazione. 

La ragazza alza un sopracciglio.

– Ho giocato anch’io per tanti anni, ma non sapevo battere. Ero proprio negata. Poi un giorno ho deciso che dovevo imparare: prima degli allenamenti mi mettevo fuori dalla palestra e facevo battute contro il muro. Non me l’aveva detto nessuno, facevo di testa mia. Un po’ come te adesso. – Sorride: un po’ al ricordo di se stessa, un po’ alla ragazzina troppo dura seduta accanto a lei. – Poi c’è stata una partita. Era il mio turno e ho battuto, la palla è passata e abbiamo fatto anche punto. Ho battuto ancora, e abbiamo segnato di nuovo. E allora ho avuto paura, perché lo sapevo che avrei sbagliato: non mi riuscivano mai tre battute di fila. Invece non ho sbagliato. Abbiamo fatto undici punti e io ho battuto per undici volte di fila senza sbagliare. – Lucia scuote la testa. — Undici volte! Mica l’ho capito, come ho fatto. 

– Avete vinto?

— No, figurati, non vincevamo mai. 

La ragazzina la squadra con sufficienza. Che branco di fallite, sembra pensare.

– Però quella volta lì è stata la mia soddisfazione. – Aggiunge Lucia piegandosi in avanti per alzarsi. – Dopo non ci sono più riuscita, comunque, e infatti alla fine di quella stagione ho smesso. Beh, muoviamoci, che io devo pulire e tu devi andare a casa. Non hai dei genitori?

 

 

3. Opposto

La partita di ritorno, in casa, è finita tre a zero per le altre.

– Cri, sei un’egocentrica del cazzo. – Marta chiude rabbiosamente la borraccia e si tira giù le ginocchiere.

– Ah, io? – Cristina alza gli occhi dalla sua posizione di allungamento.

– Sì, tu. Rompi sempre che vuoi attaccare al posto mio e poi la butti in rete. Io faccio punto, tu batti e sbagli. Io attacco e tu non copri. – Cristina scatta in piedi come un gatto ad uno schizzo d’acqua.

– Io, io, io! Chi è l’egocentrica, eh? Senti, ciccia, sarai anche forte, ma sei una grandissima stronza. Lo sai perché Laura alza sempre a te?

– Perché faccio punto, io.

– Ma che cazzo dici. – La voce di Cristina si irrigidisce mentre le compagne di squadra si girano a guardare. – La metà delle volte la mandi in rete anche tu, perché sei troppo un fenomeno, mica puoi abbassarti a fare le pallette.

Incredibilmente, Marta abbassa gli occhi. Cristina le si avvicina e alza la voce.

– Lo sai quante attaccanti ci sono in campo? Cinque. Cinque, Marta, capito? Cinque stronze che possono saltare dalla prima linea, o anche dalla seconda. Persino il libero può buttare la palla di là, cazzo. Però nove volte su dieci tocca a te, e lo sai perché? – Marta scatta sulla difensiva: ha la stessa espressione feroce di quando prende la rincorsa. Si lega in vita la felpa e fa un passo verso la porta.

– Lo vedi che lo sai? – Continua a incalzarla Cristina. – Tu ti approfitti di Laura, le fai credere che lei ti interessi, ma in realtà ti piace Alex, e stai sempre lì a fare la figa solo per farti notare da lui! – Laura sbianca e incrocia lo sguardo di Alex, poi si strappa la striscia di scotch da sotto il numero quattro e fila via in silenzio. Cristina abbassa la voce, con il solo risultato di affilarla. – Sei una troia. Mi fai schifo. – Sbatte la borraccia sulla panchina e si piega di nuovo in allungamento.

– E tu sei una nana di merda invidiosa! – Marta trema vistosamente. – Che cazzo vuoi schiacciare, che a momenti non arrivi nemmeno alla rete? Io vado a fare la doccia, voi fate come vi pare. – Si gira e le molla lì, senza guardare in faccia nessuna. 

 

Cristina la vede piangere, Laura, ultima a finire di asciugarsi i ricci fittissimi e indomabili. Dopo la sonora partaccia di Alex (“Non è ammissibile dire cose del genere a una compagna di squadra, e per di più in pubblico!”), guarnita da un’inevitabile squalifica, Cristina è rientrata nello spogliatoio e ha trovato l’alzatrice seduta sulla panca, a testa in giù, col diffusore in una mano e il flacone di schiuma per capelli nell’altra. Si capisce che sta piangendo solo dal sussulto delle sue spalle.

 

Laura non ha sentito Cristina entrare, cambiarsi alla svelta e sgattaiolare via. Guarda fisso il pavimento attraverso le lacrime, finché le piccole, squallide piastrelle rosse non sembrano avere più fughe né sporcizia, né scheggiature. 

È troppo orgogliosa per dire una parola, troppo razionale per riconoscere che l’aumento, vertiginoso, delle sue alzate per la seconda linea non risponde a strategie di gioco più di quanto non assecondi la stretta delle sue viscere ogni volta che Marta prende la rincorsa da fondo campo, con quelle gambe magnifiche e forti, e salta, si inarca, colpisce, e il suo moto sinuoso è tutt’uno con l’energia della palla; e atterra, la coda di cavallo nera sempre in movimento, gli occhi scurissimi e immensi, avidi sempre di vincere, ridere e batterle il cinque, con quella spavalderia scanzonata di cui solo lei è capace. 

Laura lo sa che Cristina, in fondo, un po’ di ragione ce l’ha, ma una banda non dovrebbe mai e poi mai buttare cannonate in rete con quel puntiglio ostinato e borioso. Non per cercare rivalsa su uno splendore della natura come quello. 

Deve ammetterlo: non la sopporta proprio.

  

4. Alzatrice

Negli occhi di Laura c’è il grigio impalpabile dell’Adriatico all’alba, orlato da un orizzonte appena più scuro: più calmi e consapevoli di quelli delle sue coetanee. Alex ne scaccia il pensiero e si costringe a osservare i palloni che viaggiano sopra la rete. Regola numero uno: le giocatrici non si toccano. Regola numero due: le giocatrici non si guardano. Precisazione d’obbligo: soprattutto se minorenni. Specie se la giocatrice in questione si trova a meno di un metro da te ed è il tipo di alzatrice che nell’attimo fra ricezione e palleggio sa leggere i pensieri di cinque persone e rispondervi con olimpica lucidità. 

Lucidità che ultimamente sta venendo meno, però, come Cristina non ha mancato di gridare ai quattro venti al termine dell’ultima partita.

– Cosa mi volevi dire, Alex? – La voce di Laura lo riporta coi piedi per terra.

– Vieni, sediamoci. – E le indica la panchina. – Che cos’è un palleggiatore?

– Perché me lo chiedi?

– Tu rispondi. Che cos’è un palleggiatore? — Laura ci pensa un po’ su.

— Beh, ovviamente è chi alza la palla, ma non è questo che ti devo rispondere, no?

Alex le fa cenno di continuare, mentre con una mano fa un paio di palleggi a terra.

– Ok, allora l’alzatore è quello che decide chi attacca. In pratica è il cervello della squadra. 

– Oh, adesso ragioniamo. E poi? – Alex armeggia con un rotolo di nastro.

– E poi… bisogna anche guardare come giocano le altre.

– Certo. E se giocano male? – Laura esita. Dove vuole andare a parare con tutte queste domande?

– Dipende. – La sua voce è tesa. – Dipende dall’atteggiamento. Se una ha un atteggiamento del… cavolo, allora alzo a un’altra.

– E chi è che ha questo atteggiamento?

Silenzio imbronciato. 

– Non puoi tenerle il muso per sempre. Lo sai, vero? – Laura incrocia fermamente il suo sguardo. – Tra l’altro, è anche vero che ultimamente alzi quasi sempre a Marta. – La ragazza lo implora con gli occhi di non proseguire. 

– È vero che è forte, ma le altre si sentono messe da parte. – Insiste lui. – E una palleggiatrice deve saper motivare le sue compagne, anche quando hanno un atteggiamento sbagliato.

– Quella non ha un atteggiamento sbagliato, ok? È una stronza e basta. – Sbotta infine Laura accennando con la testa a Cristina. – Scusa, ma è vero.

Alex stacca una striscia di scotch e gliela allunga accennando al numero bianco che campeggia screpolato sul rosso stinto della maglietta. 

– Rimettilo.

— Perché? Ho la maglia da allenamento.

Il pezzetto di nastro rimane sospeso alle dita di Alex. 

– Ho visto che te lo sei tolto, dopo la partita. Non è un bel gesto verso le tue compagne. Rimettilo.

Laura lo prende e se lo appiccica in alto a sinistra, sotto il quattro.

— Se sei il capitano devi essere il cuore della squadra, non solo il suo cervello. – Laura raccoglie la palla dal pavimento e la studia come se in quella sfera di pelle si nascondesse il segreto delle relazioni umane. – Vuol dire che devi andare al di là delle tue simpatie personali. Devi trovare il modo di spronare le tue compagne, ok? Tutte, anche quelle che non ti piacciono. 

– Sì, ho capito. – Sospira lei. Si alza e fa per tornare in campo.

– Aspetta, un’altra cosa. L’anno prossimo ci sarà gente nuova in squadra e ho in mente qualche cambio di ruolo. Per esempio, come vedresti Cristina?

Laura alza gli occhi al cielo.

— Ancora? Quella non andrebbe bene nemmeno come centrale scema!

– Sst! Non urlare, che ti sentono. E modera i toni.

 

5. Centrale

Centrale scema. Esiste definizione più mortificante per una giocatrice? Ogni volta che la sente, a Giulia viene un groppo in gola. Distoglie lo sguardo da Alex e Laura, che continuano a parlare fitto a bordo campo. 

Si concentra, piega le gambe, si sposta lateralmente, prende il tempo e salta. Spostamento, tempo, salto. Il muro è un esercizio rassicurante: forse l’unico di cui si senta davvero padrona. Quando ha davanti soltanto la rete e il campo avversario, il resto della squadra non c’è più, non esistono giudizi, né sguardi da evitare. Solo lei, il tempo, la palla e la mano dell’avversaria che schiaccia. 

Dall’altro lato della rete, Cristina attacca con la solita ferocia e la palla viene respinta dal muro con la consueta puntualità. Giulia sa fare solo questo, ma sa farlo piuttosto bene. 

– Ancora? – chiede Annalisa, la seconda palleggiatrice. Cristina annuisce e le passa la palla da alzare. L’attacco passa, stavolta, ma per un pelo: la palla tocca il muro e rimbalza sbilenca fuori dal campo, mentre Giulia atterra sbuffando e agitando la mano destra come a scacciare via una fitta di dolore. Si osserva l’anulare, poi lo piega e lo stende più volte.

– Solito dito? – chiede Cristina fermandosi. 

– Sì, ho sbagliato a prendere il tempo.

– C’è uno scotch sulla panchina. 

– Uh? No, grazie. – E si rimette in posizione. 

– Mettilo, è meglio. – Interviene Annalisa. 

– No, grazie, davvero. Va bene così. Continuiamo.

L’allenamento prosegue in un silenzio teso che riecheggia la recente scenata di Cristina. Marta si muove come un'automa, ancora più implacabile del solito, una versione cupa di se stessa; le altre, private della sua luce riflessa, eseguono esercizi vacuamente, finché Alex non decreta che per quella sera basta.

– Io lo scotch non lo metto per principio. – Bisbiglia Giulia a Cristina in disparte, mentre raccolgono i palloni. 

– In che senso? – Cristina la guarda come se fosse un’aliena. 

– Perché c’è gente che se ne mette a metrate solo per farsi vedere. 

– Chi sarebbe questa “gente”? – Cristina non sopporta né le questioni di principio, né le recriminazioni generiche. 

– Lo sai benissimo “chi” sarebbe. – Sibila Giulia indicando con lo sguardo le panchine, dove Marta, dritta in posa statuaria, è intenta a scollarsi dalle dita giri su giri di nastro bianco. 

– Dopo però non ti lamentare. – Conclude secca Cristina spedendo un pallone nel cesto.

 

 

Strette sotto la tettoia, le ragazze aspettano che Alex venga ad aprire la palestra per l’allenamento. La pioggia e lo strato pesante di nuvole non riescono a oscurare del tutto la luce persistente della sera: ormai è quasi estate.

– Che cosa pensate di fare l’anno prossimo? – chiede Laura con aria assente, lo sguardo alle pozzanghere che vanno allargandosi.

– Cioè, fra un po’ verranno gli scout a osservarci. Alex ha detto che qualcuna di noi si allenerà anche con la prima squadra. – Spiega voltandosi a guardare le compagne.

– Figo! – Marta salta giù dalla ringhiera su cui era appollaiata e alza le mani a chiedere un cinque alle altre. – Quand’è che vengono? Dobbiamo essere cariche! Chi vuole arrivare in A2? – E mette la mano al centro del gruppo, seguita da tutte le altre in un urlo di intesa. 

Solo una resta fuori.

– Io mi sa che smetto. – Mormora Giulia a Cristina, senza riuscire a sottrarsi alle orecchie di Laura. 

– A loro importa solo di trovare gente forte da mandare su in A2, non gliene frega niente di quelle scarse come me. Alex praticamente non mi allena più. Sono solo una centrale stupida. – La voce di Giulia inciampa e si blocca.

Laura risente le proprie parole con una stretta di rimorso, ma sa che sono vere. 

– Perché dici così? – Chiede, sentendosi un’ipocrita.

– Non so fare le veloci e ho zero visione di gioco: come centrale faccio schifo, dai.

– Fatti cambiare di ruolo, no? – Ribatte Cristina in tono spiccio.

– Sì, e quale? In difesa e in ricezione sono scarsa, non è che posso mettermi a fare la banda. – Anche questo, pensa Laura, è innegabile.

– E poi sono mancina, ok, ma schiaccio troppo piano, quindi col cavolo che mi fanno giocare da opposto. – Prorompe con un’occhiata risentita ai piedi di Marta. 

Lo sanno tutte che Giulia preferisce attaccare da posto due: dal lato destro del campo è più facile schiacciare di sinistra, e questo è naturale. Non le verrebbe neanche male, pensa Laura, ma con Marta in campo non c’è storia: lei è semplicemente inarrivabile. 

– Appena sbaglio vado in tilt, mi dimentico gli schemi, faccio un casino. Non so nemmeno battere, cazzo! Non son buona a fare niente. – Lascia cadere il borsone e ci si siede sopra, rigida e imbronciata come un gargoyle. Laura si costringe a pensare a qualche parola di incoraggiamento, ma non le viene in mente nulla.

– Scusate il ritardo, ragazze, lo scooter ha deciso di mollarmi. – Fradicio fino al midollo, Alex mette il cavalletto al centoventicinque, corre verso la porta e la apre. – Dentro, veloci! Laura, guida tu il riscaldamento, io mi asciugo e vi raggiungo. – E infila la porta come un razzo lasciandosi dietro un rigagnolo d’acqua. Le giocatrici lo seguono a ruota.

Cristina indugia un attimo, allunga una mano a Giulia e tira su con uno strappo deciso il suo metro e settantotto di autocommiserazione.

– Forse per le battute posso darti una mano. Fermati a raccogliere tutti i palloni, capito? – Le molla uno schiaffo su una chiappa come farebbe in partita, poi fila via senza darle il tempo di rispondere. – E togliti quella faccia da culo, centrale scema! – Le grida allegramente da sopra la spalla, sparendo nello spogliatoio.

 

 

6. Libero

I servizi percorrono l’aria a parabole tese, il campo risuona di rimbalzi tiepidi.

– Oh, stasera siete in due? – Chiede Lucia spingendo il carrello delle pulizie.

Giulia la saluta timidamente mentre Cristina batte forte in salto: la palla cade un po’ troppo lunga, ma è dentro. Lucia si mette le mani sui fianchi e osserva la scena.

– L’hai imparata, eh?

– Boh, adesso viene quasi sempre. – Risponde Cristina facendo rimbalzare la palla a terra un paio di volte. Si ferma un secondo, lancia, salta e dà un colpetto secco; la palla fa un volo tremolante e piomba a tradimento poco oltre la rete. 

Strano, pensa Giulia: Cristina di solito le snobba, le battute flottanti. Troppo poco aggressive per lei.

– Brava! Questa faceva punto, eh. – Osserva Lucia.

– Sì, ma non mi serve più. – Precisa con calma la ragazza. – Dall’anno prossimo voglio giocare come libero. 

Giulia non crede alle sue orecchie: libero? Lei, che ha voluto sempre e solo piantare cannonate sulla linea dei tre metri? Non ha alcun senso, eppure ne ha talmente tanto che tutto sembra andare al proprio posto, anche la vergogna di essere solo una centrale stupida, anche la sensazione di essere sempre di troppo. Forse da qualche parte esiste una risposta anche per lei. 

Un istante di silenzio si dilata all’infinito.

– Signora Lucia, lei ha mai pensato di allenare? – Le chiede infine Giulia con un sorriso d’intesa. 

– Chi, gioia, io? – Lucia le dà un buffetto sulla guancia. – Io sono solo la custode. 
 



Grazie per aver letto e per essere qui! 

Questa storia deriva da un bisogno molto personale di fare pace con vecchi ricordi e rancori, ma le vicende e i personaggi sono frutto di invenzione.
Come vi è sembrata? Avete anche voi ricordi ed esperienze di questo tipo?
Ho fatto il possibile per evitare strafalcioni tecnici; se ne vedete qualcuno, segnalatemelo! Sarò ben felice di correggerlo.
La frase in apertura solitamente viene attribuita ad Einstein, ma penso che appartenga più che altro alla saggezza popolare.
Vi offro una borraccia di acqua fresca!  😊💧

  
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