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Autore: Scarlett Queen    06/05/2024    3 recensioni
una promessa d'amore sancita da una folle corsa in moto attraverso una Città scura e fredda, in una notte di avventura, parole fugaci e abbracci. un altro tassello della vita di Megan e dei suoi sentimenti per kari.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Love

[https://www.youtube.com/watch?v=peKud8PORCE]
 
Le anime degli uomini avevano perso la propria luce; i bagliori urbani delle insegne dei negozi e dei grandi centri commerciali, i lampioni sempre accesi per contrastare le nebbie e le notti inquinate dai grandi centri industriali e i segnali delle auto, dei velivoli che si spostavano con lievi ronzii fra i grattacieli avevano soffocato l’umanità.
Ma non avevano soffocato Kari Harris.
Forse era per questo che Megan la amava così tanto; forse era per questo che bastava il suo pensiero per far brillare la propria anima... forse era per questo che il fumo delle sigarette si levava sempre più spesso, anche mentre semplicemente camminava la notte, dando qualche calcio a delle sbadate lattine che rimbalzavano e tintinnavano sul marciapiede.
Teneva i capelli neri lunghi, con un trucco pallido sul volto e quella notte in particolare si era allontanate dagli Underground da sola, come una lupa capo branco che si allontanava dal suo gruppo. Un evento unico, se non impossibile. Ma gliel’aveva detto, il negro, “Sai che penso Meg? Che Kari abbia fatto quello che nessuno di noi, neanch’io cazzo – e si era portato la mano destr al petto, abbassando il mento e agitandola poi in un ampio arco, facendo muovere le dita come per pizzicare le corde di una chitarra – era mai riuscito a fare. Non guardarmi così, sai bene di cosa parlo. Harris ti ha fottuto il cervello alla grande sorellona, e cazzo se sono contento di vederti brillare. Woaah!”
Aveva saltato sul posto, picchiando i talloni fra loro per poi allontanarsi, facendole un vivace cenno di saluto da sopra una spalla. Megan sorrise a quel pensiero e infilò le mani nella tasca destra dei leggins che portava. Le forme delle sode natiche e delle cosce flessuose premevano contro il tessuto di un azzurro chiaro, calzava alti stivaletti in pelle e con una camicetta nera sopra una maglietta corta, che lasciava il ventre scoperto. “Hai sempre avuto un modo tutto tuo per dire le cose Kendall… immagino sia il lato positivo di essere un muso nero.”
Le chiavi attivarono il motore della sua mono ruota, la moto vibrò di potenza, le cromature bianche e nere brillarono dall’interno mentre iniziava a vibrare impercettibilmente. Gliel’aveva promesso da tempo… e ora davvero ne sentiva quasi il bisogno di averla vicina, anche solo per respirare il suo profumo e sentire la sua voce, così dolce, chiara, limpida, pura. Kari non era stata contaminata dalla città, lo avevano riconosciuto tutti fra gli Underground.
Si mise in sella, diede gas e si staccò dal marciapiede, immettendosi veloce nel traffico cittadino. I capelli corvini danzavano nella fredda aria della notte, tutto attorno a lei, la Città correva, si confondeva e sbiadiva sino a sparire. Una massa di luci e suoni, di sagome di corsa, sagome lente, sagome che volavano. Sagome diritte come spilli, contorte come ossa spezzate, sagome che apparivano e sparivano dietro le curve. Cazzo, amava guidare, Megan.
Era veloce a correre, ma se andava a piedi aveva sempre la sensazione che la Città la inseguisse, la braccasse, tendesse verso di lei artigli invisibili per strapparla dal suo mondo e farla precipitare in un baratro di controllo, immoralità legalizzata e schiavitù. Ma in moto, Megan era libera, e voleva che anche lei sentisse quell libertà. Insieme... insieme la Città non avrebbe potuto far nulla contro di loro. E lei la aspettava, lei era lì.
 
In segreto quasi, anche se persino Misty ne era a conoscenza ma faceva finta di ignorare la cosa, lei e Kari si incontravano di frequente, la Notte. C’era un bar che dava sull’esterno, nella zona più esclusiva della Città. Li sembrava che il tempo si fosse fermato, i locali avevano lampioni in stile vittoriano, c’erano gazebi sotto il cielo, il traffico automobilistico era limitato e delle luci artificiali, ma dorate, venivano fatte muovere sui tetti dalle tegole rosse attraverso una fitta rete di droni controllati da remoto. In quel bar, al piccolo tavolo tondeggiante numero 16, che si poggiava su quattro gambe sottili, Kari la aspettava, con una tazza di tè poggiata sul suo piattino in fine ceramica cesellata. E lei arrivò, fermandosi a poca distanza.
Kari, con i suoi capelli ramati e i grandi, occhi dolci, si voltò a guardarla. Come ogni volta sentiva il cuore balzarle in petto, le mani le tremavano e un nodo alla gola le stringeva le parole, impedendole di esprimersi. E come ogni volta, Megan la fissava come se fosse semplicemente l’unica cosa esistente in quella strada. Correre l’una incontro all’altra, tendere le braccia per prenderla al volo, affondare il volto contro i suoi capelli, stringerla a sé… era tuttoi perfetto.
«Sei qui – sussurrò Kari sorridendo a fatica, stringendole gli orli della giacca – sei davvero… sei reale.»
«Vorrei dirti di smetterla di ripeterlo ogni volta – sussurrò Megan prendendole il mento fra il pollice e l’indice, facendole sollevare lo sguardo sul proprio volto, palesando due file di lacrime di sollievo – ma sarei un’ipocrita, perché neanch’io riesco a credere che tu sia reale… ti amo Kari, cazzo de ti amo uccellino.»
Kendall, Misty, Isaac o Aler… voleva ad ognuno di loro un bene che non sarebbe mai riuscita ad esprimere davvero… ma loro non l’avevano mai vista piangere. Era altamente probabile che non avessero mai davvero creduto alla storia secondo la quale lei aveva riaccompagnato a casa kari, al loro primo incontro, ma il semplice fatto che fingessero, era una prova del loro legame. Ma vederla piangere? In tutti quegli anni che erano stati amici non era mai successo; forse era questo che davvero voleva dire Kendall: Kari aveva scalfito quella corazza da regina che Megan aveva costruito attorno a sé, l’aveva vista piangere e stretta a sé, messole un cappotto sulle spalle e confortata. Kari l’aveva in qualche modo sconfitta su tutta la linea, quando persino Isaac era finito col culo per terra durante il loro sparring… Qualcuno avrebbe quindi potuto dirsi sorpreso dal legame che si era formato fra loro due?
“Conosci quella vecchia citazione? – Misty gliene aveva parlato una sera, una delle ultime che avevano condiviso come avanti, in una stanza di hotel piccola e calda – è stata la bella a sconfiggere la bestia.” E mostrandosi sfacciatamente nuda si era rivestita, lasciandola a fumarsi la quarta sigaretta da quando avevano finito di fare l’amore. No, con Misty era sempre e solo stato stupendo, passionale, volgare sesso, autentico e carnale. Con Kari… Megan aveva quasi paura di arrivare a quel punto. Si sentiva in dovere, in qualche mod, di preservare la sua purezza.
«Vieni, devo farti vedere tutto, ogni cosa.» La prese per una mano, tirandola con sé verso la moto.
Colta alla sprovvista, Kari incespicò sui bassi tacchi, seguendola a ruota rischiando di inciampare rovinosamente ad ogni goffo passo «Aspetta io, in realtà avevo ordinato anche per te, non ho pagato il contro e non ho portato il mio casco. A dire il vero non ho neanche la patente quindi il casco…»
«Kari, Sali e basta, va bene? Fidati di me… e che si fotta il conto, stasera sei solo mia giusto’» Megan mise a tacere le sue proteste con un radioso sorriso, tendendole la mano mentre si metteva a cavalcioni sulla moto. Harris la guardò, la guardò come sempre, rapita dal suo carisma, dal suo sottile menefreghismo verso ogni regola della Città… dal suo essere, semplicemente, Megan.
«Tu mi farai arrestare un giorno o l’altro, lo sai questo vero? Ma sono felice di farlo con te!»
Attingendo ad un’intraprendenza che non sapeva di avere, Kari la seguì in sella, sedendosi alle sue spalle e stringendosi alla sua vita, con forza e premendo il volto contro le sue spalle. Megan percepì la curva dei suoi seni contro la pelle della giacca e arrossì appena. Non era formosa o piena come Misty, anzi. Magra e longilinea, con un petto esile e ben disegnato. eppure lei sentiva, sentiva tutto della sua Kari. «Bene uccellino, tieniti forte o potresti volare via.»
Quindi, fu solo velocità.
Come promessole, Megan le fece conoscere una Città che lei non conosceva. Una Città fuggevole, fatta di scie luminose e di voci che si perdevano, fatta di asfalto che correva sotto la moto, di curve prese in velocità, con il mezzo che si inclinava così tanto che Megan quasi urtava il ginocchio. I leggins non erano certo il miglior capo d’abbigliamento per guidare in quel modo, i loro capelli ondeggiavano assieme, in rapidi, profumati abbracci, ma Kari ci mise poco tempo a sostituire le grida di paura con quelle di gioia. Pura e semplice gioia.
Da gabbia con enormi sbarre che stringevano e stringevano attorno al suo collo e alla sua anima, la Città divenne una nuvola sulla quale volavano, volavano libere. Megan le consegnò la libertà. Nelle sue folli curve, nel suo sfrecciare in mezzo al traffico cittadino, nel suo prendere i passaggi sopraelevati e saltare oltre i tratti in costruzione, attraversarono in altezza un intero edificio in costruzione, balzarono sul soffitto di quello successivo e prendendo i ponteggi discesero nuovamente a terra.
Di quanto stesse realmente accadendo, Kari non capiva poi molto, ma sentiva distintamente Megan e vedeva! Riusciva a “vedere2 la luce della sua anima; come due torce in una notte fredda, buia e lacerata da silenziose tempeste, Kari riusciva a vedere Megan, davanti a sé, che fendeva l’oscurità ridendo gaiamente, riportandole poi fra le strade larghe e diritte e ora strette e tortuose, senza fermarsi, andando sempre più veloci, sempre di più, sempre di più…
 
«Lo rifaremo, vero?»
«Ogni volta che vorrai.»
Camminavano fianco a fianco, lontano dalla moto lasciata ai margini della periferia cittadina. Bisognava allontanarsi un ben pooo dalla Città per poter intravedere qualcosa del cielo, in una campagna pianeggiante e arida, dove ben poche erano le piante che crescevano oltre i pochi centimetri di altezza… ma anche così, Megan riuscì a farle vedere il cielo.
Poche pallide stelle, distanti e fredde, immerse in un vuoto cosmico; potevano sembrare vicine fra loro, ma in realtà c’erano centinaia di chilometri a distanziarle. Accendendosi una sigaretta, Megan si voltò a guardarla. Nei suoi occhi c’era un pozzo senza fine di dolcezza, malinconia e amore che trasudava sotto forma di scintillanti lacrime. Era la sua anima che emergeva e le scivolava adagio lungo le guance.
«Quella volta, sotto la pioggia, tu mi hai salvata Kari. Da un abisso che mi stava fagocitando… si sarebbe pasciato delle mie carni per poi risputarmi fuori, in una massa senz’anima e senza sentimenti. È ciò che fa questo mondo – sussurrò in un singhiozzo, portandosi una mano al volto, stringendo la sigaretta fra l’indice e il medio – ci consuma tutti, senza lasciare neanche il bianco delle ossa.»
«Non con te, Megan, non con te… e con nessuno di… noi, se posso parlare al plurale.»
La ragazza, quello scricciolo, la strinse fra le braccia, buttando il viso contro il suo seno pieno e morbido e respirò il profumo della sua pelle. Non disse nient’altro e Megan si portò la sigaretta alla bocca, poggiando il mento fra i suoi capelli e abbracciandola, dolcemente, ondeggiando ora su un piede e ora sull’altro. In quel momento, scie d0pargento attraversarono la volta adombrata, come lacrime di gioia versate dalle due ragazze. L’amore l’una per l’altra alimentava la luce gioiosa delle loro anime, un bagliore che risaliva in superfice e andava oltre la pelle, la carne, le ossa e il sangue.
«Ti amo Kari Harris… ti amo da impazzire.»
Lei sollevò appena il volto, si alzò in punta di piedi, tendendoli nelle scarpette dal basso tacco in sughero, con le dita scoperte e la caviglia esile e sottile tesa e la baciò piano al lato della bocca. Il fumo della sigaretta continuò a levarsi, mentre ballavano al ritmo delle stelle cadenti.. al lento ritmo dell’eterna danza dell’universo.
   
 
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