"Mi
guardasti, mai furono più limpidi e chiari i tuoi occhi come
quel giorno, e capii all'istante, capii che eravamo destinati, io e te."
Leggo e
rileggo quelle parole, tornando indietro nei giorni, nelle settimane,
nei mesi, per capire cosa fosse andato storto.
Quand'è
che tutto ha cominciato ad andare per il verso sbagliato, quando sono
apparsi i primi segni, le prime incrinature, quando il cielo ha
iniziato a mandar giù tuoni e fulmini per farmi capire che
tutto si stava disintegrando e che solo io, bendata come un giustiziato
a morte, cieca d'amore, negavo l'evidenza?
Mai,
ecco quando. Non c'è mai stato un segno, mai una sensazione,
mai niente. Sei arrivato e mi hai pugnalata, la lama lucida, gli occhi
vuoti, con le parole che, prive di emozioni, pronunciavi, come un
discorso preparato a casa per una settimana, come se fossi un esame da
superare, come se ti stessi giudicando.
Ma
tu lo sai, io non ho mai avuto la forza di giudicarti.
Chissà, forse la colpa è stata mia, ad averti
permesso di farmi questo, forse dovevo aspettarmi che non
c'è felicità in questo mondo, e che se
c'è una qualche eccezione, quella di certo non sono io.
Forse, chissà, magari se, parole che ora sono inutili, sono
sempre state inutili, che lo saranno sempre, che non aiutano, che
restano lì a peggiorare tutto, che non ti lasciano una via
di scampo, rendendoti schiava del tuo stesso male più di
quello che già sei.
"Quando
mi presi la mano era primavera, le punte delle tue dita erano fredde,
il sole stava tramontando, e ti promisi che mai avrei abbandonato
quella mano, e non l'ho fatto."
Hai rotto la promessa, l'hai rotta per sempre. Hai rotto me ed ancora
faccio fatica a raccogliere tutti i pezzi, a ritrovarli. Erano bei
giorni quelli, giorni di un aprile ormai lontano, il primo caldo, i
primi soli, i primi giorni di felicità. I nostri primi 'noi', i nostri
primi silenzi, i nostri primi sorrisi complici.
Sfoglio questa moleskine, la tua scrittura ordinata, seppur infantile,
è un pugno nello stomaco ad ogni riga. C'è tutta
la nostra storia qui dentro, dall'inizio, da quando ancora non sapevamo
come sarebbe andata a finire, e forse sarebbe stato meglio non
scoprirlo mai. Apro pagine a caso, cerco, tento di leggere fra le
righe, ma tutto è puro ed immacolato.
Eri sincero, non ho dubbi su questo. Forse è per questo che
fa così male.
Fa male anche far scorrere il pollice lungo il bordo di queste pagine,
sapendo che probabilmente è ciò che hai fatto
anche tu, seduto alla tua scrivania, o su un prato, o ad un bar,
cercando l'ispirazione per andare avanti.
Prima pagina.
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