13.
Colpi di tosse da togliere
il fiato preannunciano il suo arrivo. Abby, spostando il peso sulle stampelle,
si prepara al momento in cui lui le aprirà la porta.
Un paio di minuti ed eccolo:
ritto davanti a lei, lo sguardo un po’ appannato, stanco, il colorito pallido ed
il corpo gracile, come indebolito. Suo padre.
Lui le
sorride subito e la pelle riacquista un po’ di colore. Le spalanca la porta.
Abby entra zoppicando, fermandosi sulla soglia a studiare l’ambiente. D’un
tratto, chiara le appare l’immagine di suo padre, fermo, per settimane, ad
aspettare che lei arrivasse a bussare. È sicura che è andata così. E,
incredibilmente, essere andata a sentire cos’ha da dire la fa stare un pochino
meglio, perché lei lo sa che suo padre sta morendo e che, nell’attesa di una sua
visita, ha sprecato giorni importanti in cui avrebbe potuto fare altro.
Si sente commossa: l’ha
aspettata.
***
Sale le scale di corsa, decisa
a parlargli prima che il treno arrivi. Non voleva rispondergli male; non
voleva ferirlo. Deve chiedergli scusa. Arriva sulla rampa e si ferma, con il
fiatone. Indirizza un gestaccio al treno che è appena ripartito. Sta pensando di
tornare in ospedale e chiamarlo per scusarsi, quando lo vede seduto su una delle
panchine. Si avvicina esitamte, la determinazione di prima
sparita.
“Luka… mi
dispiace”
“Sapevo che saresti corsa
qui”
“Hai perso il treno
apposta?”
“Di treni ce n’è a centiniaia…”,
e di Abby una sola, è la chiusa muta alla sua
frase.
Lei gli sorride, sentendosi come
una ragazzina alla prima cotta: “Mi hai aspettato qui,
quindi…”
“Ti aspetterei ovunque, e lo
sai”
***
“Ma cosa hai fatto al
piede?”
Sembra sinceramente preoccupato,
e la cosa la fa pensare che da quando Luka è partito, Eddie è l’unico uomo
rimasto a preoccuparsi per lei. Si sente un po’ patetica.
“Niente. È solo una
botta”
“Non dovresti stare in piedi,
però. Siediti”, le fa un gesto con la mano, indicandole una sedia lì
vicino. Abby scrolla le spalle, un po’ intimidita: le camere d’albergo le hanno
sempre fatto un certo effetto.
***
“Buon Natale,
bimbi!”
Maggie schiocca un bacio sonoro
prima sulle sue guance e poi su quelle di Eric. Abby guarda fuori dalla
finestra: nemmeno la neve riesce a rallegrare il triste paesaggio della statale.
Proprio un bel Natale, rinchiusi in un motel ad inseguire la pazzia di
Maggie.
***
Si siede, quasi senza notare che
Eddie la sta aiutando.
“Vuoi qualcosa da bere?”, lui sta
armeggiando con il frigobar, dandole la schiena.
Lei inarca le sopracciglia,
ricordandosi della conversazione avuta poche settimane prima da
Ike’s.
“Non c’è molto… e nulla sembra
essere particolarmente sano, però, se vuoi, ho dell’acqua, della Coca o una
bevanda gassata color arancione…”
Lei sorride. Si è ricordato che
lei non beve. Se n’è ricordato davvero.
“Aranciata”
Lui fa una smorfia strana, che, e
lei non se lo sarebbe mai aspettato, è la stessa che fa Joe di fronte a qualcosa
che non gli piace. La colpisce d’improvviso il fatto che Eddie e Joe sono
parenti, che, tutto sommato, dividono parte del patrimonio genetico. Che Joe è,
incontestabilmente, parte di Eddie.
“Mah… se la vuoi chiamare così…
arancio è arancio…”
In effetti la bibita ha un
aspetto piuttosto inquietante, ma Abby decide di berla lo stesso: “Ma sì,
che strana bibita arancione sia”
“Sicura?”
“Sì, amo
rischiare…”
“Allora siamo in
due”
Sorriso imbarazzato, silenzio.
L’unico rumore il frizzare delle bollicine gassate nel bicchiere ed il respiro
un po' pesante di Eddie.
Poi:
“Quand’eri piccola adoravi
l’arancione. Tua madre sempre lì a farti vestire di rosa, ma tu volevi mettere
solo quella tua maglietta arancio…”, Eddie tiene gli occhi fissi sul liquido,
conscio di stare attraversando un terreno dissestato. È una vita che non vede
più la sua bambina e non vuole sprecare la possibilità che lei gli sta
dando.
Abby appoggia il mento su una
mano, studianto l’espressione titubante dell’uomo; ancora una volta pensa a
Joe.
“Non me lo ricordo. Credo sia
passato troppo tempo”. Sospira, stanca. Joe si ricorderà del fatto che si
addormenta stringendo la coperta con i pugni, nello stesso modo in cui fa Luka?
Oppure che mangia le carote solo se tagliate a rondelle?
“Vuoi vedere una foto di
Joe?”
Eddie si illumina. Avvicina la
sedia a quella della figlia e spia curioso la fotografia. Il bambino ritratto
sta ridendo felice, in braccio all’uomo che, Eddie lo riconosce, è il compagno
della figlia.
“Joe”, pronunciato come un dato
di fatto.
“Come Joe
Frazier”
***
Le sue dita stanno ancora
accarezzando i capelli di Luka, cercando di trarne conforto. Non riesce a
staccare gli occhi dal video che ritrae bambino che si muove
nell’incubatrice. Il loro bambino, che già deve affrontare una sfida più grande
di lui.
“Joseph”
Luka emette un mugugno
indistinto, come svegliandosi da qualche sogno sgradevole. Per un secondo, ma un
secondo soltanto, pensa a quanto ne possa uscire devastato lui, se il loro
piccolo… no, ma non deve pensarla così.
“Non ricordo molto di mio padre,
ma ricordo che amava la boxe ed in particolare Joe Frazier, perché dceva che era
un lottatore puro”
Perché un lottatore puro era
quello che avrebbe dovuto essere il loro Joe.
***
Eddie rimane in silenzio,
assaporando il fatto che la sua bambina ha pensato a lui in un momento tanto
importante. Intanto, però, si maledice anche, perché in un momento
tanto importante lui non c’era. La sua bambina è dovuta diventare una donna
da sola.
“Mi dispiace”
Per la prima volta da quando lo
dice, lo capisce e lo pensa davvero. Non è solo perché ci si aspetta che lui lo
dica o perché sta morendo o perché che altro può dirle, ma è perché è veramente
dispiaciuto. Abby è lì, davanti a lui, una donna bellissima e completa, con uno
stupendo bambino e lui non l’ha seguita. Lui se l’è persa. E brucia; più dei
suoi polmoni malati. Si asciuga gli occhi.
Abby lo guarda, leggendo nel
suo sguardo e comprendendo quello che c’è dietro. Abbassa un attimo gli
occhi, incrociando di nuovo quello disgustoso intruglio arancione, e poi fissa
Eddie.
“Sai, è inutile pensare a ciò che
non si è fatto. Tanto indietro non si torna. Luka dice che…”, il discorso muore.
Pensare a Luka è sempre difficile.
Di nuovo silenzio. Abby non vuole
farsi vedere triste ed abbattuta, non è andata da lui per
quello.
Eddie osserva lo sguardo basso
della figlia, sospirando: aveva indovinato, la volta scorsa, quando aveva
intuito che potesse essere successo qualcosa tra loro due.
"Lo so, non ne ho alcun diritto,
ma forse..."
"No, per piacere, è complicato.
Non posso spiegartelo. Sarebbe come tradirlo"
Si trova a pensare che, però, in
un certo senso, lo sta già facendo: non ha mai spiegato a Luka chi fosse Eddie,
non ce n'è stato il tempo.
"Lui non sa di te... non sa chi
sei", mentre lo dice segue il profilo del bicchiere, attratta in qualche modo
dalla bevanda che sembra lanciare strani bagliori aranciati.
Eddie percepisce l'imbarazzo di
Abby. Le accenna un sorriso, per cercare di tranquillizzarla. "Ed io non so di
lui. Quasi pari, eh?"
Abby scuote la testa, quasi
divertita dal tono usato dall'uomo. Non può fare a meno di pensare che Eddie,
tutto sommato, le piace. Sta cercando di farla stare meglio facendola divertire.
E non è da tutti.
***
"Mongo?", non riesce a guardarlo negli occhi, ma scorge
il suo bel profilo a tre quarti, intento a studiare i battiti cardiaci del loro
bambino.
"È un nome molto poplare in Croazia"
Abby vorrebbe non crederci, ma Luka è troppo serio.
Sarà costretta a chiamare suo figlio Mongo Kovac. Non è possibile. Ma poi, nota
il sorriso furbo dell'uomo seduto accanto a lei: di nuovo l'ha presa in giro e
lei, di nuovo, ci è cascata.
Che stupida. E pensare che è tipicamente da Luka
cercare di farla ridere per stemperare la tensione...
***
"Sai, Luka fa esattamente come
te: quando sono preoccupata, cerca di farmi ridere con qualche battutina. E di
solito ci riesce benissimo"
Eddie la ascolta, non volendo
perdere i momenti preziosi che sta vivendo.
"È probabilmente vero che noi
ragazze tendiamo a scegliere un compagno simile a nostro padre. Anche
perché ora Luka se ne è andato e..."
"Aspetta, aspetta... io non credo
sia proprio così. Non mi hai detto che è complicato? Non lo conosco, ma non mi è
sembrato il tipo d'uomo che abbandona la donna che ama"
Abby alza lo sguardo, fissando
Eddie. L'uomo non ha fatto altro che ripetere quello che le stanno dicendo tutti
da settimane, ma le fa uno strano effetto sentirlo pronunciare da lui. "E come
faresti a saperlo?"
"Ho visto come ti guardava quella
sera, in quel locale. Credo di non aver mai guardato la mamma allo stesso modo,
nemmeno all'inizio della nostra storia. Non so cosa stia facendo ora, o dove si
trovi, ma ho come la sensazione che lo sta facendo anche per te. E per
Joe. È diverso dal mio caso"
Abby sospira. Si era aspettata di
tutto dal loro incontro, ma di certo non questo. Solo che la nostalgia di Luka è
ogni giono più forte e dolorosa. Afferra il bicchiere, portandoselo alle
labbra.
"Ne sei davvero
sicura?"
Lei si limita a guardarlo, il
viso illuminato d'arancione. Quella roba è davvero
fluorescente.
"Non sono stato un buon padre, lo
ammetto, ma credimi per una volta. Non bere quella cosa"
Abby appoggia il bicchiere.
Silenzio.
Il cellulare di Abby bippa. Lei
lo prende e guarda il messaggio. Sospira, il tempo a loro disposizione sta per
scadere e sente che non hanno ancora chiarito. E' stata solo una chicchierata,
per ora.
"Eddie, io dovrei
andare..."
"Capito. È il mio momento,
vero? Quello che volevo dirti è che non sono mai stato un padre per te e non
voglio diventarlo ora. Mi spiace per quello fatto in passato, per non averti
cercato prima, per non averti portato via con me. So di avere infranto diverse
promesse e posso immaginare che con Maggie sia stata dura,
ma..."
Abby fa per dire qualcosa; almeno
prima le era sembrato totalmente sincero, ora, invece, le sembra di ascoltare
una valanga di banalità.
"... lasciami parlare, per
favore. Dopo oggi, probabilmente non ci vedremo più ed io non voglio sprecare la
mia ultima occasione. Ti voglio bene e questa non è una banalità. Mi dispiace
non averti visto crescere, mi addolora, perché sei diventata una donna
meravigliosa e bellissima. Tutti i momenti persi se ne sono andati. E sai cosa
mi fa stare peggio, adesso? Che in futuro ci saranno altri momenti e io non ne
sarò partecipe. Ma è giusto così. Non sono qui ad implorarti di riprendermi
nella tua vita, io me ne sono andato, io lo devo accettare. Mi basta solo sapere
cosa sei diventata. Non è stato per merito mio, ma ne sono orgoglioso. Tutto
qui.
Volevo solo incontrarti. Ed
eccoti qui: bella, determinata. Una roccia. Ed è solo questo che volevo vedere.
Sei perfetta ed io ne sono felice. Nient'altro"
Abby rimane ferma ad assorbire le
parole di suo padre. Non se lo aspettava. Il suo papà è felice per lei; lei lo
ha reso felice. Lo guarda alzarsi e, quasi senza rendersene conto, si
lascia abbracciare. Lo bacia su una guancia:
"Devo andare,
sai..."
"Già..."
Afferra le stampelle, senza farsi
aiutare. Zoppica fino alla porta, la apre e si gira a guardarlo: Eddie è di
nuovo lì, seduto, ad aspettare chissà che. Lo sanno che non si rivedranno più,
ma Abby è felice di ricordarselo così: fermo, a guardarla con un sorriso. E con
un bicchiere di una bevanda arancione accanto.
"Ah, Eddie... me la ricordo,
quella maglietta. Me l'avevi portata tu da un viaggio di lavoro. Era davvero la
mia preferita"
Eddie allarga il sorriso,
facendole un cenno. La sua meravigliosa bambina.
"Ciao, papà. Fai buon viaggio,
quando tornerai a casa"
La porta si chiude. Lui prende il
bicchiere e brinda a lei. Poi, con una smorfia, butta giù l'intruglio
gassato.
Abby è per strada, sollevata. Non
c'è più tempo per i sensi di colpa.
È il tramonto. La luce è
bellissima, arancione. E dolce.
La luce illumina Chicago,
facendola sembrare incantata.
Ad Abby, non è mai parsa più
bella.
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