ikj
1. my darling, who knew?
Aspettavo, aspettavo, aspettavo.. ma sinceramente non sapevo cosa
aspettarmi. Il rumore della chiamata in attesa di risposta riempiva la
stanza, così forte che ero tentato di prendere quel maledetto
computer e buttarlo giù dal balcone; perché cavolo, come
se non fossi già abbastanza stanco, dovevo subirmi quel
rumoraccio che trillava in testa. Adoravo il fatto che ci potessimo
sentire tramite quel mezzo, ma forse in un certo senso ci stava
allontanando più di quanto ci stesse effettivamente
avvicinando. Avevo paura che avrebbe reso tutto un po'
più.. sterile, una volta visti. Freddo. E Gerard, cazzo. Gerard
non rispondeva. Erano cinque minuti buoni che aspettavo, tentato dalla
possibilità di tornare a letto e piagniucolare per il resto
dell'intera nottata per poi poter fare l'offeso domani e beccarmi anche
il doppio delle attenzioni. Nonostante quell'opzione fosse, in un certo
senso, da non demigrare, non riuscii a trattenere un sorriso anche un
po' imbarazzante quando lo squillare cessò e un certo
trentaquattrenne dal colore di capelli adatto più ad un(a)
sedicenne si impose al mio sguardo. Era così affannato che
sembrava avesse corso la maratona, mentre tentava ancora di sedersi in
modo dignitoso sulla sedia girevole. Volevo tanto abbracciarlo.
-Cambiavo il pannolino a Bandit. E se pensi di esserti annoiato ad
aspettarmi, ti sei divertito più di me.- Cercò di
abbozzare un sorriso mentre ancora prendeva resipro. Affrettò
così tanto nel parlare che forse era perché non aveva
effettivamente fiato per farlo. Sembrava quasi che in quella frase la
punteggiatura fosse più che inesistente, dal modo in cui l'aveva
pronunciata. Accavallò le gambe e, appoggiando le mani alla
scrivania, ci si avvicinò insieme alla sedia.
-La vita è dura quando Lindsey non c'è?- Ridacchiai,
guardandolo dappertutto senza riuscire a concentrarmi su un solo punto.
Notai solo in quel momento il contrasto fra i due ambienti; lui, nel
luminoso e caldo salotto di casa sua e di Lynz.. io, nella stanza
insonorizzata che usavo solo per registrare a casa mia e di.. di Emily.
Al buio, illuminato appena appena dalla luce dello schermo. Che
infinita tristezza.
-Nah, a dire il vero è una pacchia.- Prese un respiro profondo e
chiuse gli occhi, lasciandosi cadere contro lo schienale e
"rilassandosi". -Pisciare con la porta aperta, dormire quanto voglio,
chiamarti nel pieno della notte e decidere comodamente se dirti
porcate, cose dolci o, se meglio mi gira, raccontarti di quello che ho
fatto quel giorno.- Sbadigliò, visibilmente stanco. Certo, non
potevo fargliene una colpa, siccome era comunque lì.. e non dava
nemmeno segno di volersene andare. Rimasi a fissarlo con uno sguardo
anche un po' troppo preso, e quando aprì gli occhi, cercai di
distoglierlo il più in fretta possibile le farfalle che ormai
avevano perennemente accasato nel mio stomaco, pensavano bene di
organizzare una gara di salto dell'asta. Fece un sorrisetto divertito,
come se ancora non sapesse che non riuscivo a togliergli gli occhi di
dosso.
-Io mi sento così solo.- Non che me l'avesse chiesto, ma pensavo
che un minimo gli importasse. Lanciai uno sguardo malinconico al
divanetto di pelle dove erano due sere che dormivo. Cavolo, non che il
letto matrimoniale nell'altra stanza non mi tentasse, ma quei letti
enormi e vuoti.. bhè, ecco, tre sere prima avevo provato a
dormirci e avevo finito per piangere. Tutta la maledetta notte. Anche
se ormai piangevo per tutto. Ero diventato una sorte di ipersensibile,
ma ora stavo provando a migliorare. Dopo essermi ritrovato a finire un
pacchetto di tovagliolini per il Moulin Rouge, mi ero reso conto conto
che dovevo prendere seri provvedimenti.
-Mi manchi.- Sussurrò appena, e quello era definitivamente il
momento melenso della chiamata. Giocherellò nervosamente con le
sue stesse mani, quasi come se in quel momento cercassero qualcosa di
impossibile da stringere. Qualcosa di troppo lontano. Calò un
silenzio imbarazzante e anche un po' troppo pesante da gestire: se a
volte a telefono era perdonabile, in videochiamata era troppo
imbarazzante. Perché entrambi ci guardavamo -e sapevamo che ci
stavamo guardando- eppure nessuno dei due diceva niente. Guardai un po'
alle sue spalle in cerca di qualcosa da commentare, uno spunto per
parlare. E bingo.
-E' una tinta, quella?- Scossi il capo, ridacchiando mentre indicavo
inutilmente quella scatoletta rettangolare. E si era davvero salvato in
corner perché era girata, altrimenti avrei visto anche il
colore. Gerard si voltò frettolosamente e la prese dal lungo
bancone della cucina a vista (che incredibilmente arrivava fino alla
scrivania lì nell'angolo) e la poggiò a terra. Qualcosa
da nascondere ce l'aveva. E provabilmente, mi sarei potuto aspettare di
trovarlo anche coi capelli verdi e zebrati, il giorno dopo.
-E' il solito rosso.- Si strinse nelle spalle, quasi come se cambiare
colore sarebbe stata una colpa. "Solito", poi. Come se fosse normale
vedere un trentaquattrenne (per lo più padre) con i capelli
rosso fuoco sparato. Come se fosse qualcosa alla quale dopo un po' di
abitui. -Di qualche tono più chiaro.- Aggiunse, ma non sapevo
fino a che punto fidarmi. Gerard era bravo a mentire, ma solo se si
trattava di cose importanti. E nonostante ci fosse qualcosa di
più dietro il suo tingersi continuamente i capelli, non sapevo
fino a che punto pensava che quella fosse una questione degna delle sue
bugie.
-Non è questo..- Mi morsi il labbro inferiore, osservandogli i
capelli che ormai avevano una consistenza simile a quella della steppa.
-E' che ti tingi con la stessa frequenza con cui Rihanna si cambia
d'abito nel video di S.O.S.- Aggrottai le sopracciglia, rendendomi
conto che forse non l'avrei mai più visto con il suo colore di
capelli naturale. Ma se continuava con quella frequenza, non l'avrei
mai più visto con dei capelli in testa e stop. Rimasi in
silenzio, rievocando il paragone fatto poco prima. E poi mi lamentavo
quando mi chiamava "checca". Fortunatamente, dopo un primo momento di
risate trattenute, sorvolò sulla mia uscita così poco
eterosessuale e saltò subito al punto.
-Sì, ma che potrei farci?- Sbuffò, avvicinandosi
vertiginosamente alla web-cam e scombinandosi leggermente i capelli al
centro. -Guarda qui che ricrescita orrenda.- Sospirò, e mi
mostrò tutti quei ciuffetti neri/marroncini nei quali,
sincermente, non trovai proprio niente di male. Ma Gerard era il solito
puntiglioso, e per quanto sembrasse sicuro di sé, l'aspetto era
ancora uno dei suoi punti deboli. E chi ero io per impedirgli di fare
quello che voleva con i suoi capelli? Quello pelato a quarant'anni
sarebbe stato lui, e nonostante anche solo l'ide mi faceva
rabbrividire, non potevo impedire né ai negozianti di vendergli
qualsiasi tipo di tinta, né a lui di fare come meglio credeva.
-Falli neri.- Lo guardai, interrompendo il suo piccolo dramma da
ricrescita con una stupida richiesta che ero consapevole che non
avrebbe mai assecondato. Abbassò il capo, come se avessi appena
detto la cosa più sbagliata possibile. Eppure non ci trovavo
nulla di male, in quelo colore. Anzi, lo adoravo. Gli incorniciava
benissimo il volto e adoravo come contrastava con la sua pelle diafana.
-Non mi piacciono neri.- Mormorò, impastando un po' le parole a
tal punto che non ero nemmeno sicuro di aver capito bene cosa stesse
dicendo.
-Ma sono i tuoi.- Obbiettai un po', cercando di fargli disperatamente
capire che per me era bellissimo con ogni colore. Non era per il colore
in sé stesso, era per lui. Non c'era bisogno di strafare con le
più assurde tonalità di rosso. Era Gerard, non Party
Poison. E sapevo benissimo che era una cosa che tutt'oggi non gli
faceva piacere. Perché travestirsi in quel modo, altrimenti?
prima col trucco, adesso con tinte e vestiti assurdi.
-E' per questo che non mi piacciono.- Sbuffò, confermando la mia
teoria e trovandosi interrotto a metà frase dal pianto di
Bandit, così forte da essere sentito nonostante stesse
"dormendo" al piano di sopra. Gerard chiuse gli occhi, fece un respiro
profondo, e veramene non riuscivo a capire come facesse a passare le
intere nottate così. Forse perché non sono mai stato
padre, ma non so come ci si sente. Gerard mi disse più o
meno che, non appena l'ha vista, le ha subito voluto bene. Che è
una cosa incondizionata. Che non la capisci finché non la provi.
Si alzò, piano, visibilmente senza forze. -Ci metto due minuti.-
Annuì, cercando di convincere più sé stesso che
me. Giurerei che si fosse anche stropicciato gli occhi. Annuì
semplicemente, nonostante si fosse già girato.
In pochi minuti ritornò. Certo, un po' di più di due, ma
tanto di cappello, perché la bambina aveva smesso di piangere e
sembrava anche più tranquilla di prima. Gerard la teneva stretta
al petto, con una presa salda ma delicata. Se c'era una cosa che in
tutta la mia vita non mi sarei mai aspettato di vedere, era proprio..
quello. Non stava dormendo, di questo me ne rendevo conto perché
riuscivo a sentire un ghigno piuttosto infantile che speravo davvero
non appartenesse a Gerard. Se ne stava soltanto pigramente appoggiata
al petto del papà, raggiante. E per qualche strano motivo, non
riuscivo a smettere di sorridere. Scese le scale e si precipitò
di nuovo alla scrivania.
-Ehi.- Sussurrai appena, consapevole che da quel momento in poi non
sarei più stato il protagonista vero e proprio della serata. E
non sarebbe stato un po'.. arrogante, pretenderlo? pretendere un posto
nella sua vita che ormai non c'era? Mi accontentavo abbondantemente
anche di quello, ormai. Aspettare continuamente il momento della
giornata in cui possiamo parlare a telefono, chiusi in un bagno quando
ci sono le ragazze, oppure videochiamarci se non sono in casa. Andare a
letto e stamaprsi un sorriso forzato in faccia. Vivere aspettando
l'inizio del tour o delle registrazioni. Merda, era così triste
da ammettere.
-Guarda chi c'è, Bandit!- Gerard si sedette cautamente, facendo
sedere a sua volta la bambina sulle sue gambe e parlando con una voce
piuttosto idiota. La più piccola mi guardò, ridacchiando
scioccamente e provando ad indicarmi con quelle minuscole dita,
trascinando con sé la risata del padre. Oh - mio - Dio. Era
così felice che mi sentivo una persona orrenda a desiderare che
non fosse mai nata. E detto così suona cattivissimo, sì,
ma non era la bambina in sé stessa o il fatto che fosse padre..
insomma, non potevo essere geloso di una bambina. Ma nonostante non
fosse così felice da mesi, non riuscivo a non pensare a cosa
sarebbe potuto accadere se non fosse mai andato a quella festa. O se ci
fossi andato anche io. Roba di un secondo. Prendere una decisione
all'ultimo minuto, un'infuluenza lampo, un po' di traffico. Due secondi
e sarebbe cambiato.. tutto.
-Sono stanco.- Sbadigliai, stropicciandomi gli occhi e sentendomi un
po' scorretto ad appenderlo lì, su due piedi. Anche se non era
del tutto una bugia, in effetti: l'idea di dovermi svegliare alle tre e
mezza del mattino per prendere l'aereo da Seattle fino a Los Angeles,
poi, di nuovo, prendere un secondo fottuto aereo dritto fino in
Australia e senza scali non era proprio il massimo. Specialmente
considerando che avevo due ore di sonno.
-No.- Si lamentò, facendo la solita faccia da cucciolo bastonato
alla quale, il 99% delle volte, proprio non potevo resistere. Ed er
proprio un colpo basso, da parte sua, perché cazzo, lo sapeva
bene. -Per una volta che Lindsey è dai suoi ed Emily è
dove cazzo è.- Mise il broncio, stringendo Bandit più
forte al petto siccome sembrava stesse sviluppando improvvisamente un
certo interesse per il Bungee Jumping. Come se si fosse dimenticato che
il giorno dopo ci saremmo visti, poi. Presi un respiro profondo,
considerando: tormentarmi con l'immagine di Gerard col broncio, o
passare la nottata sveglio?
-E' a New York a sistemare le ultime cose con il trasferimento dello
studio, comunque.- Mi stiracchiai, contorcendomi sulla sedia fino ad
alzare le gambe e stringerle al petto. -Ed io devo svegliarmi
più o meno 4 ore prima di te.. ciò vuol dire che tra due
ore devo essere fuori casa.- Arricciai le labbra: al solo pensiero di
trovarmi per strada a quell'ora rabbrividii. Dio, mi sarei potuto
addormentare camminando. Abbassò il capo, capendo solo in quel
momento che nottatina "leggera" mi aspettava. Si passò
distrattamente una mano fra i capelli, che ormai era uno dei suoi tic,
e sembrò cedere. Quanto era carino, quando, una volta tanto,
metteva da parte il suo lampante egoismo e pensava anche un po' a me.
-Buonanotte.- Mi sorrise. Non un sorriso assurdo. Non di quelli
luminosi, a trentadue denti, ma nemmeno malinconico, a dire il vero. Mi
fece ricordare perché per tre mesi ero andato avanti
così, soffocando quelle vocine che mi dicevano che forse era
meglio smetterla lì e tirando avanti, a denti stretti. E'
assurdo quando sei così felice anche solo di vedere qualcuno;
perché prima, pur vivendo in città diverse, non c'era
assolutamente niente che ci vietasse di prendere il primo treno o aereo
e vederci, anche solo per lo sfizio di dieci minuti. E ora.. ora
anche solo il pensiero di stringerlo di nuovo mi faceva letteralmente
ribaltare lo stomaco. Ogni santissima notte. Ogni volta che ci pensavo.
Ed è anche ridicolo quando ti trovi a passare quei momenti poco
prima di addormentarti a una sola ed unica cosa. Quando non c'era
Emily, poi, sembrava che avessero messo insieme dieci anni di riprese
del muro del pianto. Raggomitolato fra le coperte, iPod perennamente
acceso con l'unico scopo di coprire quei rumori così poco
mascolini che facevo quando singhiozzavo (non che ci fosse rimasto
qualcosa di così mascolino, in me) e un numero fisso in testa.
Solo un numero, che ogni giorno scendeva sempre più. Merda,
merda, merda. Per non parlare dell'ansia dei giorni prima.
Perché quando abbatti la barriera dei dieci è assurdo,
davvero! realizzare che erano passati tre mesi per me fu pazzesco, in
quel momento. Riuscivo solo a pensare al fatto che una sola cifra mi
seprava da Gerard. E in momenti come quelli, nonostante tutto quello
che mi aveva fatto, realizzavo che era sempre la persona più
importante di tutta la mia vita.
-Notte, Gee.- Mi accorsi che mi ero nuovamente perso. Un po' a
guardarlo, un po' nei miei pensieri. E realizzai solo in quel momento
che, senza accorgermene, l'avevo chiamato per soprannome.. cosa che
ormai non faceva da secoli. E nonostante mi avesse dato la buonanotte
più o meno cinque minuti prima, trovai la forza di premere
quell'enorme tasto rosso che stava lì a rovinarmi la festa e
chiudere la chiamata solo in quel momento. Letteralmente, il suo unico
scopo era caricarmi sulle spalle l'ansia di dover dire "ciao" alla
persona dall'altro lato dello schermo. Nonostante, in quel momento, non
c'era cosa che desiderassi di più che rimanere lì a
parlare anche una vita intera.
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Gerard non mi notò subito, ma io sì. Nonostante fosse
dall'altro lato dell'aeroporto, lo vidi, rimanendo semplicemente
lì ad aspettare che anche lui mi notasse. Avevo freddo ed ero
stanco, ma nonostante tutto, non mi rovinai il momento. Lo fissai
mentre si avvicinava, scoprendo ad ogni passo che faceva un nuovo
dettaglio. Aveva gli occhiali da sole. Quelli che lui odiava, ma a me
piacevano tanto. Ormai li portava solo per nascondere le occhiaie. Un
paio di jeans ridicolosamente stretti, una maglietta bianca, una felpa
grigia. Portava il cappuccio, quindi non riuscii a vedere il suo
"solito rosso un po' più chiaro", ma non era proprio la mia
priorità in quel momento. Alzò lo sguardo e sorrise. Non
riuscii a capire cosa stesse precisamente guardando, con quei maledetti
occhiali.. ma una parte di me mi diceva che forse mi aveva visto.
Abbassai leggermente lo sguardo, sorridendo anche io. Gerard
lasciò accanto a Mikey e Ray la valigia e accellerò il
passo, tanto che ad un certo punto sembrava quasi che mi stesse
correndo incontro. Lasciai all'ultimo minuto il manico del trolley,
quando ci trovammo così vicini che avevo quasi paura che da un
momento all'altro mi sarei svegliato e che quello fosse solo un
maledetto sogno. Eppure niente: senza dire una parola, mi
abbracciò. Mi cinse i fianchi, in una presa così stretta
che quasi non riuscivo a respirare. Riuscì a liberarmi un
minimo, quel poco che bastava per potergli stringere le braccia intorno
al collo, provando a farlo con altrettanta forza e cercando un minimo
di pelle, non tutto quel tessuto del cappuccio. Riuscì
finalmente a toglierlo, alzando il capo per guardarlo. Quando aveva
specificato con quel "un po' più chiaro", mi sarei aspettato
persino l'arancione. Ma il biondo.. Dio. Mi guardò, mordendosi
il labbro come per chiedermi scusa.
-Sorpresa..- Esclamò, con finto tono emozionato. Fece una
piccola smorfia, e come potevo avercela con lui, se voleva solo farmi
una sopresa? E tra l'altro, non me lo sarei mai immaginato, ma stava
davvero, davvero bene. Gli passai le dita in quella massa dorata,
districandone alcuni nodi. Avrei voluto di più, ma.. se ci
avesse visto qualcuno? Anche se infondo erano le sei del mattino, non
c'era poi tanta gente. Fu proprio lui ad interrompere tutte quelle
seghe mentali, stampandomi un lungo, lento, assonnato bacio. Di quelli
che non hanno nemmeno un ritmo, sono solo.. umidi. Si staccò
all'improvviso, e per poco non protestai. Abbassò il capo,
gesticolando con un mezzo sorriso in volto. -Non dovrei, scusa,
scusa..- Tornò a guardarmi, mordendosi il labbro come se ci
fosse davvero qualcosa per cui scusarsi.
-Se ti prometto che ti scuso, mi baci di nuovo?- Abbozzai un mezzo
sorriso, avvicinandomi mentre lui, invece, si allontamava di una
distanza che sarebbe sembrata impercettibile, ma non per me. Sciolse
l'abbraccio, e per poco non protestai. Quel semplice contatto
già mi mancava. Il calore, il profumo, la stretta salda..
-C'è gente.. sono andato già un po' troppo oltre.-
Sospirò, togliendosi gli occhiali e guardandomi dritto negli
occhi. Sai perché ti amo? bhè, non lo so nemmeno io. Non
penso di averti "scelto", o qualcosa del genere: in amore non si
sceglie. E ne sono così sicuro anche perché, se avessi
potuto scegliere, avrei preferito cento volte innamorarmi di una come
Emily. Anche se però, a dire il vero ormai non so più
nulla. Perché quando ti guardo negli occhi ti scelgo ogni volta.
Per altre cento volte. E ti sceglierei sempre. Quando realizzai che
eravamo veramente lì, vicini, ci stavamo vedendo dal vivo,
pensai di morire. E dalla mia stupida espressione persa Gerard se ne
accorse, probabilmente. Erano tre mesi che non eravamo così
vicini e forse, a parole, non riuscirei mai ad esprimere quanto mi era
mancato. Mi fece un sorriso che del concetto di sorriso racchiudeva ben
poco (ma non era poi una colpa, stanco com'era) e si voltò,
facendomi scendere dalla mia nuvoletta in un modo perfetto in cui
possiamo fare quello che cazzo ci pare e riportandomi coi piedi per
terra. E a proposito di piedi, per quanto stessi cercando di seguirlo
dai ragazzi, i miei non collaboravano. Avevo le ginocchia ancora
deboli, dieci ore di sonno mancate sulle spalle e la testa
completamente altrove. Nonostante tutto, presi il trolley rimasto
abbandonato e veramente, non so con quale forza, raggiunsi anche io
Mikey e Ray, che poverini, ogni volta assistevano alla stessa scena con
aria impassibile (nonostante fosse probabilmente una delle cose
più imbarazzanti possibili). Un cenno con la mano, "ehi", un
abbraccio. E nonostante fossi contento di vederli, cosa avrei dato per
ritornare a qualche minuto prima..
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Una volta scesi dall'aereo, avevamo ricevuto una telefonata da una
shoccata donna dall'accento australiano che ci diceva che,
praticamente, era la moglie dell'autista e che si era rotto una gamba
mentre tosava l'erba. Non ci eravamo informati di più
perchè di certo dal rompersi un braccio tosando l'erba non
può scaturire altro che un'imbrazzante storia di quelle che si
vuole tenere per sé, ma il punto non era quello. Insomma, bingo?
Cioè, se non era sfortuna questa. Il lato positivo era che la
patente ce l'avevamo tutti, quindi, una volta vista fuori l'aeroporto
una gigante jeep rossa (di quelle senza tettuccio) con un cartellino
con i nostri nomi e delle scuse, bene o male, ce la cavammo. Nonostante
il 70% della strada da fare fosse tutta terra rossa e canguri,
probabilmente stavamo andando bene. O almeno il navigatore diceva
così.
Ray alla guida, poi, era la cosa migliore del mondo. Sembrava che
stesse giocando a Super Mario ogni volta che evitava di investire un
qualche animale o dei contadini (che cazzo ci facevano dei contadini
vicino l'Aires Rock, poi, era un'altra domanda). Come si incazzava con
il Tom-Tom quando, non vedendo altre macchine, pensava che avessimo
sbagliato strada, poi, era una di quelle cose che avrei pagato per
rivedere di nuovo, di nuovo e altre mille volte. "Vaffanculo,
cos'è questa merda!? The Day After Tomorrow?! -Un'oasi nel pieno
centro di Sidney- Oh, certo, stupida locandina di merda, merda!" E
potrei andare avanti così per almeno mezz'ora, perché era
semplicemente splendido. E quando Mikey tentava di calmarlo nonostante
fosse più preoccupato di tutti e tre messi insieme? Ad un certo
punto aveva cominciato a dare di matto: "Io lo sapevo che sarebbe
andata a finire così, lo sapevo. Diventeremo cibo per canguri,
vi dico". E se questo fosse stato un film horror, lui sarebbe stato
decisamente il primo a morire.
Ovviamente i due si erano messi avanti, così da lasciarci soli
ai posti di dietro senza rendersi conto che quando c'erano loro era
semplicemente imbarazzante -se non impossibile- comportarci in maniera
che ormai, per noi, era naturale. Ma non nei loro confronti: l'uno in
quelli dell'altro. E in un primo momento non ce ne rendevamo nemmeno
conto! Insomma, quando avevamo saputo che l'autista non poteva venire,
ci eravamo semplicemente lanciati uno di quegli sguardi complici, come
a dire che ora potevamo fare quello che volevamo. E invece no. Eravamo
lì, imbambolati. E quasi come se mi leggesse nel pensiero,
lentamente si avvicinò. Mi trovai contro il portellone della
jeep, senza troppa possibilità di muovermi e con il suo volto
affondato nel petto. E della seconda non ebbi tanto da lamentarmi,
siccome, a dirla tutta, non mi sarei mosso nemmeno se avessi potuto.
-Sono cinque giorni che non te lo dico ed è assurdo.-
Sussurrò appena, la voce quasi soffocata da tutto quel tessuto
contro cui naso e bocca erano premuti. Non capii a cosa si riferisse,
ma non era prorpio la mia priorità, al momento. Lentamente il
suo volto salì, fino a poggiarsi nel mio incavo del collo.
Avvicinò le labbra al mio orecchio. Respiravo a malapena.
-Vorrei provare ad essere originale, ma proprio non ci riesco..- Persi
un battito. Battito che poi compensai con il ritmo accelerato che da
quel momento in poi mi perseguitò. -Ti amo
molto.-Sussurrò, finalmente. Quanto mi erano mancate quelle
parole. Presi un respiro profondo e mi voltai appena verso di lui,
aspettando che facesse qualcosa. Rimase a fissarmi, e nonostante mi
aspettassi qualcosa di più da uno che si ritrova a pochi
millmetri da una persona alla quale ha appena dichiarato amore, non
obbiettai. Perché infondo era già tanto, no?
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OMG SONO TORNATA! *coro di gente afflitta* <3
E' un primo capitolo piuttosto inutile, ma non potevo già smerdare tutto qui perché MUAHAHAHAHAH. Insomma, no?
Allora, Frank non vive a Seattle, i know, ma se è per questo non
esiste nemmeno una Emily, quindi qual'è il vero e proprio
problema della questione? il realismo è già andato a
puttane lol
Per chi non avesse letto le prime due storie, mh. Se le volete leggere
non vi spoilero, ma se non le volete leggere mandatemi un mp e vi
faccio un riassunto, se proprio volete leggere questa (?)
Chiedo scusa se ci ho messo tanto, ma praticamente la prima volta mi
s'è spento il pc all'improvviso e ho perso tutto, la seconda
avevo cominciato a scrivere dal punto di Gerard e me ne sono accorta a
metà capitolo (truestory) e la terza ero tipo *table flip* per
la disperazione. <3 E poi è sempre difficile cambiare storia,
no? °w° NO?! *urlo speranzoso*
Eeeee, bon, ci siamo insomma. Il titolo è preso da "Who Knew" di
Pink, che è la canzone più poppeggiante che mi sia mai
piaciuta ma è davvero troppo bella. c___c
E niente, al prossimo capitolo, vaa. <3
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