Titolo:
Riflessioni di
un'alcolizzata sulla vita sentimentale del fratello minore
Summary:
Negare,
negare, negare. Lei e suo fratello erano dei maestri nella sottile
arte del negare l'evidenza. Doveva essere genetico.
Pairing:
Sherlock/John implied;
Harry/SUPPRAAAAAISS!
Rating:
“Verde come un labirinto”
Words:
2655
Disclaimers:
Non miei e “blablablabla!
Lascia stare! Abbiamo detto queste cose centinaia di volte!”
Notes:
Harry, oh Harry. ♥ Sei
tanto bella e sto aspettando che entri a far parte effettiva della
serie.
Riflessioni
di un'alcolizzata sulla vita sentimentale del fratello minore
“I
fratelli litigano, i vecchi amici si tagliano le orecchie...
E'
un mondo folle, Earl.”
(My
name is Earl)
Harry sbuffò.
Era seduta al tavolino della tavola calda e guardava fuori dalla
finestra con aria svagata. Suo fratello non sarebbe arrivato mai più.
«Harry!»
Lei si voltò e
gli sorrise. «Johnny! Finalmente!»
Lui si sedette di
fronte a lei. «Come stai?»
«Ancora viva, e
tu?»
«Io perfino
troppo.»
Harry sghignazzò
di gusto.
«Che prendete?»
Harry alzò lo
sguardo verso Jenny, la cameriera del locale. Erano due settimane
ormai che l'aveva puntata. Fece un sorriso a millemila denti.
«Per lui una
bottiglia d'acqua, per me un tè freddo.» disse.
John la guardò.
Lei ricambiò lo sguardo e lo sostenne, tentando di rimanere
impassibile. Suo fratello sapeva che si stava trattenendo da morire e
sentì che apprezzava. Qualcosa negli occhi azzurri si era
leggermente ammorbidito, quando disse: «Ho cambiato idea.
Prendo uno scotch.» posando il menu.
Harry liberò
l'aria intrappolata nei polmoni. «E io un Cosmopolitan!»
aggiunse.
Jenny segnò con
perizia. «Ok, torno subito.»
«Sentiremo la tua
mancanza, tesoro.» disse lei. La ragazza arrossì e si
allontanò.
Harry guardò suo
fratello di nuovo, con aria compiaciuta.
«Stavo per
chiederti perché fossimo venuti proprio qui, ma credo di
averlo capito da solo.»
«Tu sottovaluti
le tue capacità, fratellino!» esclamò «Giornata
pesante?»
«E non è
ancora finita.» disse lui lugubre.
In quel momento il
cellulare di John squillò, avvisandolo di un messaggio. Lo
prese e lo lesse, mormorando: «Infatti.».
«Chi è?»
s'informò, anche se sapeva già la risposta, mentre
arrivavano i drink.
«E' Sherlock. Mi
ricorda l'appuntamento con Lestrade più tardi... e che abbiamo
finito il latte. Di nuovo.». Sospirò mentre infilava il
cellulare in tasca.
Harry lo scrutò
attentamente, alla ricerca di quel dettaglio che le avrebbe dato
conferma... Eccolo, infatti. Ghignò vistosamente continuando a
fissarlo.
John alzò lo
sguardo verso di lei. «Che c'è?» chiese bevendo.
«Te lo stai
facendo di nuovo, vero?»
Suo fratello tossì.
Un po' di liquore doveva essergli andato storto. Lei ghignò
ancora di più.
«Non so di cosa
tu stia parlando.» balbettò tentando di ricomporsi.
Era adorabile quando
faceva il finto tonto.
«John. Non
mentirmi.» insisté lei.
«Davvero. Non
capisco-»
«Ti conosco.»
Si guardarono a lungo,
finché John scosse la testa rassegnato. «Ma come ci
riesci tutte le volte?»
«E' un dono!»
rispose alzando le spalle. Esitò un attimo prima di domandare,
leggermente preoccupata: «Ti ricordi com'è andata
l'ultima volta?»
John alzò le
mani. «Stavolta è diverso. E' solo sesso.»
Harry posò il
suo drink velocemente, prima di rovesciarselo addosso. Provò a
trattenersi, ma alla fine cominciò a ridere sempre più
fragorosamente. Era la cosa più divertente che sentiva da
settimane.
«Ti dispiacerebbe
dirmi cosa c'è da ridere?» chiese offeso
«Tu che fai solo
sesso?!» Harry rise ancora alla sola idea. «Scusa ma è
la cosa più ridicola che abbia mai sentito.»
John strinse le labbra.
«E perché mai, di grazia?»
Si stava arrabbiando,
ma la situazione generale era troppo divertente. «Andiamo,
John. Tu non sai scindere dai tuoi sentimenti. E' questo il tuo
problema!» lo analizzò pulendosi la bocca.
Lui si grattò il
retro del collo ed ebbe la decenza di non ribattere.
«Quindi, l'unica
cosa che posso dedurre è che ti piace ancora il
cervellone!» concluse lei, usando apposta quel verbo. Dio se si
sarebbe infuriato!
«Io non provo più
quel tipo di sentimenti per Sherlock!» esclamò lui,
colto sul vivo.
Prevedibile come un
giorno di pioggia a Novembre. Harry alzò un sopracciglio
scettico. «Sì, certo. Raccontalo a qualcun'altra.»
John si alzò
nervoso e lei sospirò. «Se mi hai chiamato solo per fare
anche tu delle stupide deduzioni su di me, tolgo il disturbo!
A questo pensa già il mio coinquilino, cara!»
Lei sorrise
compassionevole. «Scopamico, John.» precisò.
Suo fratello alzò
i tacchi e uscì dal ristorante con tutta l'aria indignata
possibile. Harry sospirò ancora, scuotendo la testa. Negare,
negare, negare. Lei e suo fratello erano dei maestri nella sottile
arte del negare l'evidenza. Doveva essere genetico.
Il telefono squillò.
Harry mugugnò,
infastidita.
Al telefono non
importò, e continuò testardo a suonare.
Sospirando nervosa,
Harry lo prese e rispose.
«Pronto?»
«Harry? Non
starai mica dormendo?»
Lei alzò gli
occhi al cielo. Un disturbatore del genere non poteva che essere suo
fratello.
«Perché?
Che ore sono?»
«Mezzogiorno.»
Praticamente l'alba.
«E' domenica,
John. Dormo finché mi pare!» esclamò
Silenzio. «Puoi
tornare a dormire, se vuoi.»
Tipico. Si sentiva
ancora in colpa per l'ultima volta, altrimenti non avrebbe avuto
tutta questa premura. Scosse la testa. Forse era un po' ingiusta per
la mancanza di caffeina. John aveva sempre avuto il difetto della
gentilezza.
Si sedette sul bordo
del letto. «Ormai mi hai svegliata...» mormorò
«Dimmi tutto.»
Sospiro. Silenzio. «E'
finita.»
«Cosa è
finita?»
«Questa …
cosa … con Sherlock.» disse dall'altra parte
del telefono. Harry lo immaginò gesticolare frenetico. «E'
finita.»
«Davvero?»
domandò incredula, alzandosi per andare in bagno
«Sì,
davvero.»
Harry sospirò
mentalmente, sistemandosi i capelli. Aveva sentito quella solfa altre
volte. Troppe per crederci ancora.
Si diresse in cucina e
cercò il bollitore per il tè. «Che è
successo?»
Fu John a sospirare
davvero. «Quella cosa degli scopamici – ricordi?- è
finita quando ho cominciato a uscire con una ragazza-»
«Hai cominciato a
uscire con una ragazza mentre scopavi Sherlock?!» chiese,
sconvolta.
Silenzio imbarazzato.
«Beh... sì.»
Harry si bloccò
nell'atto di accendere il gas. «Mi sbagliavo, John Hamish
Watson.» disse «Sei un essere insensibile.»
«TU dici a ME
che sono insensibile?!» esclamò lui, facendole
allontanare il telefono dall'orecchio. «Fammi finire il
racconto e poi vedremo chi è l'insensibile!»
Harry sospirò
davvero stavolta. Guardò il bollitore, sapendo che si sarebbe
preso tutto il tempo di questo mondo per fare il suo dovere e portare
l'acqua alla giusta temperatura.
«Avanti,
continua.» disse, sapendo già che se ne sarebbe pentita.
«Ieri sera
sono tornato dall'appuntamento che avevo con questa carina e
tranquilla ragazza e il mio coinquilino, e sottolineo coinquilino,
mi ha fatto una scenata in piena regola!»
Infatti se n'era già
pentita.
«Insomma che
diritto ne aveva? Era d'accordo a troncare questa cosa degli
scopamici, e poi l'ultima volta è stato lui a lasciare me!»
Harry ebbe l'impulso di
gettare il telefono nel bollitore.
«E poi non sai
la parte migliore!» Incredibile, c'era anche una parte
migliore? «Mi ha praticamente dato della puttana!»
Harry alzò le
sopracciglia. Questo era strano.
«Capisci cosa
devo subire? Della puttana!
A me! Io non-»
Harry alzò le
mani, come per fermarlo. «John io non credo che lui
intendesse-»
«OH SI,
INVECE!» la interruppe urlando. L'aveva presa brutta.
«Dimmi le parole
precise.»
«Ha detto che
mi sto dando parecchio da fare con le donne! Prima questa, poi
l'altra... Dovevi sentirlo!»
Harry chiuse gli occhi
e si massaggiò la tempia con la mano libera. «E com'è
finita?»
«Gli ho fatto
notare che non devo dare conto a nessuno della mia vita privata, e
meno che mai a lui.»
«E lui cos'ha
detto?»
«Ha detto che
era finita. Che questa … cosa
… tra noi due era finita.»
Harry rimase in
silenzio. Stavolta era piuttosto definitiva come rottura. Stava quasi
credendo che fosse per sempre persino lei. Si congratulò
mentalmente col fratellino per la spina dorsale dimostrata. D'altra
parte era un soldato, anche se lei tendeva a dimenticarlo. Per lei
era sempre e solo John.
«Ha l'aria di
essere una cosa seria stavolta.» commentò.
Sospiro. «Vero,
eh?» mormorò. Ne sembrava dispiaciuto. Era questo il
problema di suo fratello: voleva bene a tutti. Forse dipendeva
dall'essere medico. O dal fatto che in fondo era innamorato di quel
pazzo e faceva di tutto per negarlo. Negare, negare, negare. Negare
l'evidenza. Ma avrebbero affrontato l'argomento in un altro momento.
«Adesso sei in
giro?»
«Sto andando
in clinica. Ho il turno. Per fortuna.»
«Perché
“per fortuna”?»
«Non avrei
resistito un giorno intero con Sherlock, oggi. Dopo la
discussione...»
Harry rise. «Certo.»
Il bollitore prese a fischiare e lei lo prese come una benedizione.
«Ti lascio, dolcezza. Cerca di non uccidere nessuno. Ci
sentiamo dopo.»
Sorriso. «D'accordo.
E bevilo liscio quel tè.»
Sorrise. «Ciao,
Johnny.»
Attaccò, e poi
sbuffò. Prese il bollitore e versò l'acqua bollente
nella tazza. La faceva facile, lui. Ma come faceva a bere il tè
liscio dopo racconti del genere?
Harry aprì
L'Educazione Sentimentale di Flaubert a caso, sperando di
poterci sprofondare dentro.
Forse c'era già
dentro.
«Insomma, lei è
molto carina. E molto gentile.» insisteva John affianco a lei.
«Questa come
l'hai conosciuta?» chiese rassegnata al suo destino di
educatrice sentimentale.
«E' la mia
dentista.» rispose suo fratello, prendendo Madame Bovary.
«Fantastico. Così
quando vi mollerete dovrai anche cambiarla, per non rischiare di
finire senza denti.»
«Molto spiritosa,
Harry.»
«Insomma, arriva
al punto, John!» esclamò posando di malo modo il libro
sullo scaffale. «Non mi avresti accompagnato in libreria se non
avessi avuto un problema da discutere.»
«Questo non è
affatto vero!» s'indignò lui.
Lei si fermò,
prese Il Signore degli Anelli e lo guardò negli occhi.
«Non farmi usare questo tomo in modo improprio, John.»
Il suo amato
fratellino alzò le mani, con aria spaventata. «D'accordo,
d'accordo. In effetti ho qualcosa di cui parlare!»
Harrieth sospirò,
posando il libro – l'aveva già letto, non le serviva –
e incrociò le braccia. «Avanti, cos'ha che non va
questa?»
John esitò,
sotto lo sguardo indagatore della sorella maggiore. «Non è
proprio lei, il problema...»
Harry alzò gli
occhi al cielo, e riprese a sfogliare libri.
«Insomma, pensa
che ci sia qualcosa tra me e … beh... »
«Sherlock?»
«Già. Il
cervellone.»
Harry si bloccò
mentre leggeva il retro de La Nausea di Sartre, perché...
c'era qualcosa di familiare in quel discorso. Ma cosa?
«Ci siamo
incontrati in un bar per caso, e il fatto che il cervellone sappia
perfettamente come prendo il caffè, come in When Harry met
Sally, non significa niente. Insomma, viviamo insieme, e poi lui
è il cervellone, sa praticamente tutto di tutti-»
«Lo stai
chiamando di nuovo cervellone?!» realizzò Harry
all'improvviso.
John sobbalzò,
come un bambino quando viene beccato a fare proprio quello che gli
era stato categoricamente vietato. Tentò di recuperare un'aria
indifferente. «E allora?» disse, ma lei non ci cascò.
«Allora l'ultima
volta che ti ho sentito chiamarlo così eri tutto innamorato!»
gli fece notare.
«Non è
niente!» ribatté lui alzando le spalle, e guardando
altrove. «Siamo solo amici.»
«Già.»
annuì lei «Certo, e io sono la regina.»
«Harry, quando
fai così sei insopportabile!» sbottò John senza
curarsi di abbassare la voce.
«Che vuoi farci?
E' la vita!» rispose lei «A te è toccata una
sorella insopportabile, e a me un fratellino isterico!»
Alzò lo sguardo
verso il fratellino in questione, e sospirarono all'unisono.
«Devo andare. Il
lavoro...» cominciò lui. Si passò una mano tra i
capelli. «Mi dispiace.»
Harry annuì
compassionevole, e gli accarezzò una guancia. «Anche a
me.» disse sorridendo, e dal sorriso che ricevette in risposta
seppe che suo fratello aveva capito che non si riferiva solo al turno
in clinica.
John uscì dalla
libreria, lasciandola sola. Lei tornò a guardare La Nausea.
Non è che non le
andasse di ascoltare i racconti scandalosi di suo fratello, ma il
fatto era che aveva sentito quelle stesse storie altre volte... Molte
altre volte. Andava sempre così: si mettevano insieme, si
lasciavano, restavano amici, scopavano, si rimettevano insieme, si
lasciavano, restavano amici, scopavano e così via,
all'infinito. Tutto perché erano solo un paio di vigliacchi
-sì, in libreria era giusto censurarsi- troppo spaventati
dalla portata dei propri sentimenti e delle proprie responsabilità.
Quindi meglio negare. Negare, negare, negare. Negare l'evidenza.
Non le restava che
aspettare il prossimo capitolo della saga.
Harry sfogliò la
stupida rivista di gossip che le avevano dato in ospedale.
Un'autentica rottura di coglioni. Si chiese se suo fratello sarebbe
mai venuto a salvarla da quell'inferno.
«Harry!»
Eccolo infatti.
«Che diavolo ti è
successo?» chiese entrando nella stanza, alla ricerca di una
sedia. Aveva l'affanno, doveva aver corso.
Lei posò la
rivista e sorrise. «Sono caduta dalle scale, ma non mi sono
fatta niente. Mi tengono solo in osservazione.»
Lui sospirò di
sollievo e si lasciò cadere sulla sedia tanto agognata.
Incrociò le braccia, le appoggiò sul letto e poi vi
posò la testa sopra.
Harry lo guardò
interrogativa. «Che hai?»
«Niente! E' per
te che sono preoccupato!» rispose lui sulla difensiva.
Lei non gli staccò
gli occhi di dosso, per registrare ogni mossa. Abbassò le
spalle, sull'orlo di una crisi isterica. «Che cosa hai fatto?»
John mise le mani
avanti, segno che aveva davvero fatto qualcosa. Lo faceva
anche quando era piccolo e la mamma lo rimproverava. «Senti, tu
sei caduta dalle scale, sei in ospedale.» fece, gesticolando
«Vediamola in prospettiva e sappi che ho fatto solo una...
sciocchezza. Una sciocchezza molto piccola-»
«Sei andato a
letto con Sherlock, vero?»
Lui sospirò,
annuì sconfitto e la sua testa crollò tra le coperte
bianche.
Harry combatté
contro l'impulso di prenderlo a schiaffi. Eppure ormai doveva essersi
abituata. Scosse la testa, osservando le nuvole nere che si formavano
sulla testa di suo fratello depresso.
«E che cosa ha
detto il cervellone?» chiese nonostante tutto.
«Ha detto: “John,
che cosa significa?”.» mugugnò lui tra le
lenzuola.
Harrieth sgranò
gli occhi, allibita. «Perfetto! Lui fa sesso con te, dopo che
ti aveva dato della puttana e che vi eravate insultati a
vicenda, e tutto quello che ha da dire è “John, che cosa
significa?”?!» sbottò nervosa. Si massaggiò
le tempie con gli occhi chiusi, per recuperare la pace interiore. Ma
non c'era niente da fare: era sparita per sempre. Almeno finché
suo fratello aveva una vita sentimentale così.
«Beh, che cosa
significa?»
Domanda da un milione
di sterline.
John alzò la
testa. La guardò sconsolato e sospirò. «Non lo
so.»
L'avrebbe preso a
schiaffi. Uno di questi giorni l'avrebbe preso a schiaffi.
Scosse la testa.
«Fantastico.» mormorò, mentre lui sprofondava di
nuovo nella più nera disperazione.
«Sono senza
speranza.» lo sentì biascicare.
Harry scrollò le
spalle. «Non sei solo, fratellino.»
John alzò la
testa e la guardò con le sopracciglia aggrottate. «Che
vuoi dire?» chiese a metà tra il curioso e il
preoccupato.
Lei lo guardò,
un mezzo sorriso che le nasceva spontaneo sulle labbra. «Ho
incontrato una persona.» confessò.
«Chi?»
Il suo sguardo si perse
lontano, davanti a sé. «Una matta.» rispose «Una
matta. Una che ha più problemi di me e te messi insieme.»
John sorrise, il primo
da quando era arrivato. «E' davvero possibile?»
Harry rise. «A
quanto pare sì.»
«Come l'hai
conosciuta?»
«Alla libreria,
poco dopo che te ne sei andato.» raccontò lei «Ha
detto che avevo un'aria familiare!»
John rise, annuendo.
«E' un classico!» commentò.
All'improvviso, suo
fratello si fece serio. «Ma tu sei felice?» chiese.
Lei rifletté un
attimo. Pensò alla sensazione che aveva provato quando l'aveva
vista l'ultima volta. «Non ci potremmo vedere spesso.»
aveva detto lei «Ho i servizi segreti di mezzo mondo
alle calcagna.» Harry aveva riso. «Vuoi essere la
mia portaerei?» aveva continuato lei «Verrò
a posarmi di tanto in tanto per rifare il pieno di sensazioni.»
Posati bellezza, e vola via quando vuoi, io da questo momento
navigo nelle tue acque (1), aveva pensato Harry.
Rispose il più
sinceramente possibile: «Per un po' e relativamente.» (2)
John alzò le
spalle. «Anch'io.» disse e poggiò la guancia sul
materasso.
Rimasero per un po' in
silenzio, ognuno nelle sue elucubrazioni. Harry si chiese per un
attimo in quale parte del mondo fosse la sua portaerei e tentò
di ignorare il sorriso spontaneo che di nuovo era nato sulle
sue labbra. Lanciò un'occhiata alla nuca di John.
Probabilmente stava analizzando la sua situazione, trovandola
disperata e senza alcuna via d'uscita. Fu lui a interrompere il
silenzio. «Ma tu conosci qualcuno che è felice?»
chiese «Completamente, intendo.»
«No.»
rispose lei, sicura.
«Bene. Allora non
siamo gli unici due poveri scemi.»
Risero di gusto
entrambi. La consapevolezza di essere due poveri scemi, ma almeno non
gli unici al mondo, era decisamente esilarante. Ma ancora più
esilarante era negare di essere i primi due della lista.
Negare, negare, negare.
Lei e suo fratello erano dei maestri nella sottile arte del negare
l'evidenza. Doveva essere genetico.
Notes, again:
Citazioni: (1) “Vuoi
essere la mia portaerei? … navigo nelle tue acque” è
preso da Il Paradiso degli Orchi di Pennac ♥; (2)
«(Siamo liberi su una nave.) Per un po' e relativamente.»
da Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard
(altro ♥); notizie random: ho chiamato “cervellone”
Sherlock già precedentemente, ma il fatto che John lo chiami
così ogni volta che è tutto innamorato è preso
da GA, dove Meredith non può fare a meno di chiamare McDreamy
il suo Derek! Avevo pensato di chiamarlo McBrain, ma poi troppo
sbattone! XD D'altra parte anche Derek si chiede e chiede a Meredith:
“Cosa significa?” XD
Ma insomma, è
abbastanza chiaro chi è la portaerei di Harry (e viceversa)
oppure devo dirvelo?? XD Andiamo, ha i servizi segreti di mezzo mondo
alle calcagna, e Harry ha un'aria familiare... Non ci vuole il QI di
Sherlock!
E poi non so che dirvi!
Andate e moltiplicatevi! ♥
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