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TIME IS NOTHING BUT A
PEBBLE ON THE WAY
2nd,
October 2010.
“Tatsuya-jichan!”
Quando Mirai aprì
la porta di casa, quella porta, sorrise nel ritrovarsi di fronte all'espressione
spaccona e allegra del ragazzo in piedi sul pianerottolo, che lo fissava
sorridendo: tra le braccia, aveva un grosso pacco colorato, dal contenuto
sconosciuto, che mandava un buonissimo odore di zucchero e dolci.
“Ciao,
piccoletto!” lo salutò il giovane, dai capelli scuri e spettinati: “Mi fai
entrare?” gli chiese, tendendo le braccia per consegnargli l'involto, “Ho
portato anche un regalo!”.
Tutto contento, il
bambino lo prese tra le sue, prima di sfrecciare a velocità massima verso la
cucina.
Un momento dopo, la
testa della madre del bambino era sbucata dalla porta del salotto: il viso della
donna si aprì in un grande sorriso nel vederlo.
“Tatsuya-kun!”
lo accolse lei con un abbraccio affettuoso: “Sono contenta che tu sia riuscito a
venire.” dichiarò lei con gioia, prendendogli di mano la giacca e dandogli un
paio di pantofole, “Purtroppo il volo è domani mattina presto e temevo...”.
Il giovane scosse
la testa, ricambiando caldamente la stretta: “E non salutare il mio nipotino
preferito prima che parta?” esclamò, come se un'eventualità del genere fosse
assurda.
La donna scoppiò a
ridere, facendogli strada attraverso il corridoio ingombro di pacchi già pronti
e chiusi: “Hai bisogno di una mano con qualcosa?” s'informò Tatsuya, notando la
confusione che regnava un po' dovunque, “Davvero, Honami-chan, sono a tua
disposizione.”
Ma lei scosse la
testa: “Ti avrei chiamato prima, se mi fosse servito aiuto, sta tranquillo. È
solo che oggi è accaduta una cosa...” cominciò, prima di passare davanti alla
cucina, dove il figlio stava allegramente armeggiando con la teiera per scaldare
l'acqua.
Senza farsi notare,
spinse l'amico nel piccolo salotto, facendogli cenno di sedersi sul divano, già
per metà coperto da un vecchio lenzuolo.
Tatsuya Asami
doveva ammettere che cominciava a preoccuparsi.
Honami era sempre
stata una donna forte, da quando l'aveva conosciuta, non aveva fatto altro, con
le sue azioni, che confermare quella sua convinzione: aveva praticamente
cresciuto da sola il piccolo Mirai e anche se, certo, anche lui l'aveva aiutata,
il grosso l'aveva fatto lei, e non si era mai, una sola volta, buttata giù.
Eppure, il tempo
non era stato benevolo, neppure con il pestifero bambino nell'altra stanza.
E neppure con lui,
se doveva essere sincero.
In quel lontano
anno 2000, la vita di entrambi era cambiata in modo radicale, quella di Mirai
era addirittura iniziata, ma il tutto, ricordi compresi, erano velati da una
sorda malinconia che sembrava affievolire anche i momenti più felici che non
avrebbero mai potuto dimenticare.
Domon, il padre di
Mirai, Ayase, Yuri, Shion... Perfino Takku.
Tatsuya non avrebbe
mai potuto dimenticare di essere stato TimeRed, del team dei Timeranger, di aver
conosciuto in loro gli amici più importanti e speciali della sua vita, mentre
Honami, che aveva amato Domon a tal punto da aver avuto un figlio da lui, aveva
trovato in loro una sorta di bizzarra e calorosa famiglia.
La stessa che
avrebbe voluto per Mirai, il quale, al contrario, non sapeva nulla del padre.
Lei non aveva
voluto dirglielo, temeva di venir presa per pazza, e quindi aveva sempre taciuto
la cosa, ma Tatsuya sapeva quanto soffriva per questo. E quanto ancora amava
Domon.
“Mirai
oggi è scappato di casa...” confessò lei in un soffio, frugandosi in tasca alla
ricerca di qualcosa: “Ma è stato subito ritrovato da un gruppo di ragazzi al
Tempio Megakure.” completò subito, vedendo l'espressione preoccupata dell'amico.
“Che
è successo?” incalzò lui, alzandosi in piedi.
“Nulla
di che, abbiamo solo fatto una foto assieme, questo ragazzo ci teneva tanto. Ha
detto che doveva mandarla a un amico come ricordo.” e così dicendo, indicò la
testolina biondo miele che spiccava vivida accanto al bambino: “Me ne hanno dato
una copia e il tutto è stato molto rilassato ma al contempo era così strano...
Ho avuto come la sensazione di una presenza familiare lì con noi.”.
Si guardò attorno
con circospezione, poi abbassò ulteriormente la voce fino a ridurla a un
sussurro: “Come se Domon fosse lì, capisci?”.
A quelle parole,
Tatsuya sussultò, sgranando gli occhi e sentendoli pizzicare per le lacrime.
Una cosa del genere
non era possibile, anche se ci sperava, eccome se ci sperava. Erano dieci anni,
ormai, che il suo cuore non aveva smesso un solo giorno di sperare, e pregare,
che le pieghe del tempo restituisse loro le persone amate.
Osservò con
attenzione i visi di quei cinque, come a cercare una risposta nei loro occhi, ma
tutto quello che ottenne fu una sensazione di familiarità nell'incrociare i loro
sguardi, e di profondo orgoglio.
Poi, come colto da
un'improvvisa folgorazione, capì.
E non potè che
sorridere, sentendo il cuore gonfiarsi di gioia.
Non era del tutto
sbagliato, in effetti...
Dopotutto, quella
dei Super Sentai è una vera e propria famiglia allargata.
Riuscì a sussurrare
all'orecchio di Honami una semplice frase prima che Mirai, piombato nella stanza
con un paio di saltelli, e la teiera in bilico sul vassoio, non reclamasse la
loro attenzione.
Il tempo non è
che un sassolino sulla via.
Dedicata ai miei compagni
ISS.
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