AMBRA...

di wolfsmile
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Ero sull’ aereo di partenza per FartenSlate, in America. Naturalmente sola. Una quindicenne in giro per gli stati uniti sola. Per me era normale. Papà era sempre in viaggio per lavoro, e ormai era più in Europa che a casa. Mamma pensava al suo nuovo fidanzato (il terzo), e sembrava che lui fosse il primo a sopportarla di tutti i suoi nuovi amanti. Già, avete capito: genitori separati. B’è, credo che sia abbastanza normale nel mondo d’oggi. Comunque ritorniamo a noi. Papà assente. Mamma impegnata con i fidanzati. Per questo mi hanno mandata dal nonno… Come si chiama? Boh, chi si ricorda. Comunque era mio nonno, da quanto mi hanno detto, e io non l’ho mai visto. E io dovevo convivere per chissà quanto tempo con una persona del tutto estranea e in una città di cui avevo appena scoperto il nome. Wow, bene. L’idea non era del tutto allettante. Anche perché FartenSlate non era come la grande New York, dove ero vissuta fino a qualche ora prima. Oltre ai vestiti non mi ero portata dietro niente: né amici, né fratelli, nessuno che mi fosse particolarmente legato. Questa però era colpa mia. Infatti non sono tipo facile io… nella vecchia scuola praticamente tutti mi evitavano, compresi i professori. Si…diciamo che ero un po’ strana. Diversa. Ma a me piaceva essere diversa, e non essere uguale alle altre. Mancavano pochi minuti alla discesa. Avevo ancora il computer acceso, e le cuffiette alle orecchie, ma non facevo caso alla musica. Mi affrettai a mettere via tutto nel mio zaino, e a prepararmi alla discesa. In teoria doveva esserci mio “nonno” all’aeroporto. In teoria. Presi i miei bagagli e mi diedi un’occhiata in giro. Erano tutti indaffarati e nessuno badava a me. Ma a un tratto un tizio mi venne incontro: era basso e magro, i capelli grigiastri e scompigliati li davano un’ aria da scienziato pazzo. Aveva degli occhialini tondi calati sul naso, a modi professore. Mi studiò con aria indagatoria, soffermandosi suoi miei jeans blu scuro perfettamente integri. Poi mi chiese: - Scusami tanto ma i ragazzi di oggi non mettono jeans strappati tanto da sembrare pantaloncini corti? – Rimasi di stucco. Per poco non scoppiavo a ridere. Un vecchietto mi diceva di mettere jeans strappati? Non doveva essere l’incontrario? - Ehm… A quanto pare non tutti… - risposi io trattenendo un sorriso. - B’è sei davvero strana…Comunque te sei Ambra, giusto? Si giusto. Vieni con me, sono io Jo. – e senza neanche darmi il tempo di rispondere mi prese un braccio e mi fece sedere su un taxi fermo sulla strada. Mi preparai a vivere con un pazzo letteralmente fuori di testa. Che gente… P.S. Il nome era Jo… Scoprii ben presto che Jo non abitava in città. Città poi è dire tanto, diciamo… paese. Infatti a un cenno di Jo si diresse verso la grande foresta che si ergeva nel lato sinistro del paese. All’entrate della foresta il taxi si fermò, e Jo scese. Ok, è successo un casino all’auto. Rimasi a fissare il sedile di fronte a me, mentre aspettavo che la macchina ripartisse. Niente da fare. Notai anche che Jo si stava dirigendo a piedi verso l’interno della foresta. Sbuffai, e mi decisi ad uscire da quello stupido taxi. - Jo!! Dove vai? – urlai a quel pazzo. E lui, senza neanche girarsi ma continuando a camminare mi rispose con aria noncurante: - A casa. – Stizzita, feci il segno di tagliarmi le vene, ma mi affrettai a prendere i miei pochi bagagli e a seguirlo. Questa storia finirà male, pensai. Camminavamo da mezz’ora e Jo era a cento metri di distanza da me. Non ne potevo più di camminare, e feci il grosso sbaglio di sedermi a terra e di rimanere lì ad osservare quel tizio, che nemmeno si era accorto che mi fossi fermata; anzi, continuava a camminare senza mostrare segni di fatica. Ero davvero incazzata!! Con lui e con i miei genitori che mi avevano mandato in quel luogo infernale. Ormai ero persa, probabilmente sarei rimasta lì come nelle notizie che si sentono al telegiornale. Mi abbandonai a terra poggiata ad un albero, ormai priva di speranze. Al diavolo tutti!!




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