Prologo
Perchè
non bisognerebbe essere Auror
5 Ottobre XX
Prigione
magica di Azkaban, ore 01.27.
«Ti
prego, Teddy, ricordami un piccolo dettaglio: perché cavolo
abbiamo deciso di diventare Auror al posto di fare la bella vita e
lavorare in uno dei tanti inutili uffici del Ministero?»
sbuffò tra la noia e lo schifo un giovane uomo sui
ventiquattro anni tenendo saldamente la bacchetta stretta tra le mani,
a un ventina di centimetri dal viso per riuscire a vedere almeno a un
palmo del suo naso in quel buio pesto e impenetrabile.
Dietro
di lui, un coetaneo dalla figura più alta e gracile,
ridacchiò sornione illuminando con la punta della bacchetta
quella che aveva tutta l’aria di essere una cella vuota da
anni e ispezionandola con una rapida ma vigile occhiata.
«Ma
per il nostro spiccato e radicato senso di giustizia,
ovviamente» rispose dopo alcuni secondi Teddy con ancora il
sorriso sulle labbra, l’amico si bloccò e con fare
teatrale si voltò nella sua direzione con
un’espressione tragica e afflitta,«E
perché diavolo nessuno c’ha detto che era una
motivazione davvero stupida?».
Teddy
sospirò condividendo per alcuni secondi la
drammaticità del momento poi scoppiò di nuovo a
ridere mentre i due riprendevano la loro ennesima ronda,
«Sai, Edward, penso che dovremmo chiedere spiegazioni a
qualcuno».
«Eh,
penso anch’io…» borbottò il
biondo controllando distrattamente l’ennesimo cubicolo
deserto.
Quando
gli avevano annunciato che sarebbero stati entrambi mandati ad Azkaban
per iniziare le prime fasi del loro tirocinio, dopo aver superato una
serie di lunghissimi ed estenuati esami di ogni tipo ed essere quasi
ammattiti nel mentre; i due amici, Ted Lupin e Edward Harker, avevano
accolto la notizia con il massimo dell’entusiasmo: finalmente
un po’ d’azione!
Invece
si erano trovati a dover fare una noiosissima e ininterrotta ronda per
otto ore al giorno, sette giorni alla settimana, lungo i corridoi
più bui della prigione, circondati
dall’onnipresente odore di carne in putrefazione e dalle
grida agonizzanti e deliranti dei prigionieri usciti totalmente di
senno.
Quella
sera il loro responsabile aveva deciso di mandarli nella zona
più interna della prigione, dove venivano tenuti gli ultimi
sostenitori di Voldemort ancora in vita e che avevano avuto abbastanza
fegato da non rinnegarlo nemmeno dopo la sua eclatante sconfitta. Non
era un’ala particolarmente pericolosa, visto che teneva per
lo più maghi decrepiti dalle facce minacciose e una
cinquantina di celle deserte ma il ricordo di chi vi aveva soggiornato
tempo addietro metteva ancora i brividi alle guardie più
anziane che la evitavano come la peste.
Ed
ecco spiegato il vero motivo per cui quel giro nell’ultimo
girone dell’inferno era toccato proprio ai due novellini.
Avevano
quasi finito di ispezionare anche gli ultimi cubicoli quando Edward
alzò la bacchetta verso una delle poche celle occupate,
quella dell’ormai cinquantenne Barthy Crouch Junior, e vide
nell’oscurità il profilo di una bacchetta puntata
verso di loro con la punta lignea illuminata da un leggero bagliore
verdastro: l’inizio di un incantesimo.
«Oh
merda!» gracchiò afferrando l’amico per
una manica e spedendolo sul pavimento di una delle celle vuote prima di
seguirlo finendogli praticamente sopra mentre la sua schiena veniva
sfiorata da un assassino lampo verde, che andò a sua volta a
cozzare contro il muro in fondo al corridoio, estinguendosi.
«Eddy!
Ma che cavolo…» esclamò Teddy
scrollandoselo di dosso prima di essere zittito da
un’occhiata seria e tesa dell’altro, che si
limitò ad indicare con la testa l’entrata della
cella.
I
due scattarono in piedi all’unisono con le bacchette pronte e
con un cenno d’intesa uscirono nel corridoio buio pronti a
combattere.
«Stupeficium!»
esclamò Edward puntando la bacchetta verso la figura che
ancora si scorgeva tra le ombre vicino alla cella di Crouch, ma questa
fu più agile e mentre lanciava un sortilegio scudo aveva
sulla punta della lingua una maledizione che Ted evitò
prontamente cercando a sua volta di schiantare l’intruso.
«Chiama
qualcuno!» esclamò Edward mentre lanciava
l’ennesimo incantesimo di protezione per evitare quelli che
erano diventati una serie di attacchi senza sosta a cui non riuscivano
a reagire: chiunque fosse quell’ombra venuta fuori dal nulla
doveva avere un’esperienza da duellante davvero notevole.
Teddy,
senza farselo ripetere due volte, evocò il suo Patronus,
«Avvisa Jenkins e digli di mandare qualcuno: intruso nella
zona nera» e il lupo argento si lanciò in una
corsa sfrenata illuminando con la sua luce fiocca il corridoio.
E
in quel momento di distrazione, Edward, che nonostante la bravura non
riusciva a tenere testa a quell’avversario che sembrava
lanciare più incantesimi di quanti non riuscisse a pensarne,
non riuscì a formulare uno scudo e fu colpito in pieno da un
sectumsempra, dritto al torace, finendo a terra ansimante.
«Edward!»
esclamò spaventato Teddy chinandosi sull’amico per
vedere in che stato fosse e in quel momento la figura scura
sembrò perdere totalmente interesse per loro due e
tornò a fissare il corpo rannicchiato di Crouch che, oltre
le sbarre luride, aveva osservato la scena tremando.
«Ti
prego…» cercò di implorare il
prigioniero ma la sua preghiera si spense quando la figura
mormorò con voce cupa, «Avada Kedavra» e
il suo corpo si accasciò esanime a terra.
Teddy
si alzò di scatto pronto ad affrontare con tutta la rabbia
che aveva in corpo quell’intruso che si era dimostrato
più temibile del previsto: non ricordava nessuno che fosse
mai riuscito a mettere fuori uso Edward in così poco tempo.
«Stupeficium!»
urlò, ma il suo incantesimo finì a cozzare contro
una protezione invisibile e dovette abbassarsi per evitarne il
rimbalzo, lasciando all’avversario il tempo di bombardare
l’unica parete di quella zona che dava sul mare e
lanciarsi nel vuoto mormorando con un ghigno sinistro nella voce:
«Questa è la nostra vendetta:
Purosangue».
Teddy
gli corse dietro con l’intenzione di colpirlo in volo, gli
avevano insegnato che c’era solo un punto intorno alla
prigione dove era possibile smaterializzarsi, ed era quello sprazzo
d’aria che stava a un metro dall’acqua. Ma una
volta affacciatosi oltre la crepa non vide niente, se non il buio cupo
di una notte d’ottobre: l’intruso era sparito nel
nulla lasciandosi alle spalle, come avrebbero scoperto di lì
a poco, i cadaveri degli ultimi Mangiamorte rinchiusi ad Azkaban.
Ospedale
magico San Mungo, ore 01.59
Se
c’era una cosa che Nihila Kaur odiava era il bianco accecante
e intonso che caratterizzava gli ospedali in genere, solitamente
accompagnato da quel pungente odore di anestetico e disinfettante
mescolato a una quantità indecente di detergenti per pulire
vetri e pavimenti. Era certa che tutto quel miscuglio di sostanze con
una lieve percentuale cancerogena, alla lunga potesse addirittura
risultare tossico ed era incredibile che una simile minaccia si
trovasse proprio in un ospedale.
Per
ironia della sorte, la Nihila Kaur che odiava tutto ciò
lavorava proprio in un ospedale ed era una delle nuove guaritrici
all’ospedale magico di Londra.
Come
a voler rispettare strenuamente il noto stereotipo secondo cui i
tirocinanti nuovi di scuola debbano sgobbare dieci volte più
delle persone normali, perdendo ore di sonno e spesso la piena
sanità mentale, quel giorno il suo capo, una strega acida ma
che purtroppo era dannatamente brava nel suo lavoro, le aveva
gentilmente ordinato di fare anche il turno di notte, dopo ben otto ore
che aveva passato a sgobbare nel Pronto Soccorso tra casi di fatture
tagliuzzanti esagerate, arti rotti, gente spezzata durante
smaterializzazioni non pienamente autorizzate e un bambino che
c’aveva rimesso tutto l’apparato dentale giocando
con un bolide più grintoso del previsto.
Però,
quando era ormai pronta ad ingoiare altre estenuati ore di Pronto
Soccorso, la porta principale si spalancò di colpo e la
piccola saletta intonsa dell’astanteria venne letteralmente
messa in subbuglio da quattro maghi dall’espressione truce.
Era
già pronta a far valere la sua autorità di neo-
medico quando uno di questi, un uomo giovane che faticò a
riconoscere subito, a causa dell’improbabile colore blu
cobalto dei capelli, la prese per un braccio guardandola implorante,
«Ci serve un medico immediatamente, siamo Auror di Azkaban:
uno di noi è stato ferito».
Al
suono di quella voce familiare e tremendamente ansiosa, Nihila
strabuzzò gli occhi per la sorpresa, ricollegando finalmente
il viso magro e un po’ spigoloso che aveva davanti al nome
del suo ex- compagno di scuola: Teddy Lupin.
«Ted?
Cosa diavolo è successo?» chiese avvicinandosi
agli altri Auror per vedere lo stato del ferito e facendo
contemporaneamente cenno ad una delle infermiere di avvicinarsi con una
barella.
«Nihila?
Oddio, scusa, non ti avevo riconosciuta…»
biascicò stupito, ma la ragazza aveva già smesso
di ascoltarlo, chinandosi sul corpo inerme che reggeva tra le braccia
il mago più massiccio della combriccola e trattenendo a
stento un’esclamazione di orrore e sorpresa: avrebbe
riconosciuto quella testa bionda e spettinata ovunque.
«Edward?»
chiese rivolta al giovane Lupin che annuì cupo. La
guaritrice scosse la testa riprendendo il controllo ed estrasse la
bacchetta dalla tasca interna del camice bianco:
«Trudy!» esclamò spazientita mentre
l’infermiera si avvicinava titubante facendo volare davanti a
se la barella per avvicinarla il più possibile al ferito,
«Levicorpus!» e il corpo di Edward venne
gentilmente tolto alle mani del mago che lo reggeva e adagiato
delicatamente sul lettino, «Prima di aiutare la guarigione
con la magia, devo disinfettare e controllare i danni ai tessuti.
È stato usato un incantesimo di magia Oscura, e da quel che
vedo il mago che l’ha scagliato doveva essere particolarmente
arrabbiato» commentò ad alta voce dirigendo la
barella lungo il corridoio illuminato a giorno da centinaia di candele,
prima di trovare finalmente una stanza vuota e infilarsi dentro insieme
al ferito, «Voi, aspettate di là»
ordinò rivolta ai quattro maghi, poi si rivolse
all’infermiera che l’aveva seguita spaventata,
anche lei nuova a quel lavoro, «Trovami la signorina Tunner e
dille che la sua apprendista vuole un consulto: è
urgente».
La
giovane infermiera annuì agitata prima di ripercorrere il
corridoio correndo e portandosi dietro tre dei quattro Auror: Teddy
Lupin le lanciò un ultimo sguardo implorante,
«Salvalo».
Lei
gli sorrise rassicurante poi si richiuse la porta alle spalle: era
l’ora di mettersi al lavoro.
«Teddy-
Ted Lupin» disse una voce gentile richiamandolo alla
realtà, si voltò di soprassalto saltando
letteralmente sulla sedia in plastica dov’era seduto,
provocando le leggere risate della ragazza che aveva davanti,
«Da quanto tempo non ci si vede?»
continuò sedendosi al suo fianco.
Nonostante
gli avessero comunicato alcuni minuti prima che Edward era fuori
pericolo e che se la sarebbe cavata con qualche cicatrice e una buona
dose di riposo, non era ancora riuscito a rilassarsi del tutto e
l’avrebbe potuto affermare chiunque lo avesse visto fissare
maniacalmente le piastrelle del pavimento: come aveva fatto lei
rimanendo appoggiata alcuni minuti al muro alla sua destra, ad
osservarlo in silenzio
Lui
la squadrò per una manciata di secondi, prima che un leggero
sorrisetto gli si dipingesse sulle labbra fine: erano passati cinque
anni e ormai non riusciva più a riconoscere in quel viso
maturo e gentile la ragazza che aveva accompagnato lui ed Edward nei
loro sette anni ad Hogwarts, non riusciva più a vederci la
piccola Grifondoro che aveva riso delle sue disgrazie e
l’aveva consolato quando cretini come Michell St John lo
avevano insultato a causa di quel padre di cui andava tanto orgoglioso.
Ora,
davanti a lui, aveva una donna slanciata ed elegante, con i lunghi
capelli neri raccolti in una coda alta e gli occhi ancora
più scuri che lo scrutavano con una gentilezza
fastidiosamente estranea.
No,
dello scricciolo di Hogwarts non c’era più niente.
«Troppo,
direi» sospirò sconfitto dal filo malinconico dei
suoi pensieri, «Sei diventata una Guaritrice, alla
fine…».
«E
tu ed Edward Auror: non ero così sicura che ce
l’aveste fatta» ridacchiò spensierata
stiracchiandosi, «Vi immaginavo ad un angolo di Diagon Alley
a vendere oggetti magici di contrabbando».
«Alla
faccia della stima nei nostri confronti, Nihila»
borbottò senza riuscire a non sorridere ancora. Lei scosse
la testa sorridendogli orgogliosa, «Ero certa che ce
l’avreste fatta, Teddy».
«Lo
avresti saputo prima se non avessi tagliato i ponti, cinque anni
fa» borbottò il ragazzo incapace di trattenersi e
lei d’improvviso si oscurò alzandosi in piedi,
«Ted…» stava per dire quando dal fondo
del corridoio sentì dei passi di semicorsa, accompagnanti
dal tono tutt’altro che amichevole di un uomo sulla
quarantina inoltrata che avanzava deciso e nero di rabbia discutendo
animatamente con il suo vicino, «E’ una cosa
inconcepibile! Come diavolo è potuto succedere?! Azkaban
dovrebbe essere impenetrabile eppure qualcuno ha avuto tutto il tempo
di entrare e fare una strage sotto gli occhi di una ventina di maghi
più che qualificati! Come me lo spiegate questo?! Come
diamine è potuto accadere?! Esigo un rapporto entro
un’ora sulla mia scrivania e voglio qualcuno che sappia darmi
una spiegazione decente per tutto il casino che è successo!!
Mi hai capito, Philips? Non accetterò nessun tipo di
scusa!» sbraitò l’uomo a quello che gli
camminava affianco, sempre più terrorizzato.
«Certo,
signor Potter, vado immediatamente» squittì
balbettando prima di invertire la marcia e tornare da dove erano venuti.
«Gli
farai venire un infarto prima o poi, Harry» ghignò
un secondo uomo, alto e affusolato, con dei fiammeggianti capelli rossi
rivolto a quello che doveva essere il signor Potter, che a sua volta
sbuffò con un mezzo sorriso rassegnato, «Credo che
quel poveretto si meriti un aumento di stipendio»
commentò a mezza voce passandosi una mano sulla fronte.
«Mi
scusi, signore, ma questo resta un ospedale, la pregherei di abbassare
la voce: è tardi e molti pazienti dormono» disse
Nihila professionalmente intercettando lo sguardo verde
dell’uomo che ormai le era arrivato davanti.
Aveva
i capelli scuri e sul naso portava un paio di occhiali tondi, dalla
montatura nera, teneva un leggero filo di barba sulle guancie e
nonostante fosse evidentemente una persona con un certo potere, si
limitò a guardare Nihila con un mezzo sorriso colpevole e
umile, «Ha ragione dottoressa, ci dispiace».
«Zio
Harry? Cosa ci fai qui?» chiese Teddy alzandosi a sua volta.
L’uomo lo guardò per una frazione di secondo prima
di scompigliargli affettuosamente i capelli, ora del loro solito
castano chiaro.
«Teddy,
per fortuna stai bene» mormorò sorridendo
sollevato il signor Potter, «Comunque sono qui per quello che
è successo stanotte…come capo degli Auror devo
assolutamente fare luce sulla faccenda e speravo che tu ed Edward
poteste aiutarmi.
«A
proposito: Edward come sta?» chiese un po’
preoccupato rivolto verso Nihila.
«Se
la caverà signor Potter, qualche giorno qui in ospedale e
sarà come nuovo» sorrise cordiale la ragazza e
l’uomo sembrò tirare un sospiro di sollievo prima
di rivolgersi nuovamente a Teddy, «Ted, io e te dobbiamo
scambiare due parole su quello che è
successo…».
Lupin
annuì serio pronto a rispondere a tutte le domande del capo
degli Auror e del rosso, quando Nihila decise che era ora di prendere
congedo, «Scusatemi, ma devo tornare al mio lavoro: vi
informerò della situazione del signor Harker appena si
sarà svegliato.
«Con
permesso: signori, Teddy» e con un lieve cenno del capo si
voltò prendendo la strada per il Pronto Soccorso, dove era
certa avrebbe trovato un eccitato branco di infermiere pronte a
chiederle cosa diamine fosse successo.
Harry
guardò vagamente incuriosito la figura della donna
allontanarsi prima di rivolgere uno sguardo indagatore verso il suo
figlioccio, «Teddy, la conosci?».
«Quella
è Nihila Kaur, zio, l’amica mia e di Edward ad
Hogwarts» rispose con un sospiro passandosi una mano tra i
capelli, pronto allo sguardo sbigottito del padrino e alle numerose
domande che ne sarebbero inevitabilmente seguite.
«La
piccola Nihila? Ma sei sicuro?» chiese esterrefatto
continuando a guardare la donna che svoltava l’angolo in
fondo al corridoio e spariva dalla loro vista.
«Eh,
già…» sospirò sconsolato
finendo per crollare nuovamente sulla sedia.
«Siete
stati due idioti» commentò Harry scuotendo la
testa con disapprovazione.
«Eh,
già…» ripeté Teddy con una
nota di depressione in più nella voce: due enormi idioti.
Nota ell'autrice che deve ancora capire, esattamente, come possa aver
deciso di pubblicare:
Allora, innanzitutto grazie per essere arrivati fino alla fine del
prologo, e se non avete capito quasi niente di quello che è
successo, tranquilli, non è colpa vostra, è una
cosa, teoricamente, voluta! Diciamo che questo è il
primo tassello del puzzle e se vi ha incuriosito un pochino sono
disposta a mettere anche gli altri :)
Ora come mi sia venuto in mente di cimentarmi con la nuova generazione
è un mistero ancora irrisolto, ma se il prologo vi
è piaciuto in una qualche maniera, o se volete consigliarmi
di darmi all'ippica, fate pure, una recensione piccolina piccolina e io
sono felice, anche perchè è la prima storia che
pubblico in questa sezione e un parere sarebbe assai gradito!!
Grazie mille,
Najla
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