Era una tranquilla
giornata di sole del 1948 nel paese di
San Graziano, solo trecentoventi anime sparse qua e là tra
colline e boschi di
castagno. San Graziano contava di piccole case con le finestre
anch’esse
piccole, rimanenze del passato, e di alcuni negozi che le donne
visitavano
incessantemente lungo le mattinate, sia per comprare da mangiare per i
propri
uomini sia per trovarsi con le conoscenti a chiacchierare.
C’erano il
panettiere, il fabbro, il droghiere, il barbiere, tutta una serie di
attività
vivaci proprie dei paesi di campagna di quel tempo.
C’era anche il
bar a San Graziano, il Bar Gallinella.
Antonio era lì, con Pilucco, il suo meticcio bianco e nero,
un cane di media
taglia molto furbo e sempre alla ricerca di un boccone. Antonio
conversava con
Fedele, uno degli amici che aveva in paese, l’unico che
avesse ancora un po’ di
tempo da dedicare alla sana ricreazione da bar. Infatti i suoi amici
erano per
lo più sposati, a cinquant’anni non si
può nemmeno pretendere di ritrovarli
ogni giorno.
Fu in quella giornata che
Antonio ebbe da Fedele
un’informazione che presto si tramutò in idea.
Parrebbe che i resti di cibo, di
legna, di animali perfino, senza escludere qualunque tipo di immondizia
che si
scioglie, nel tempo possano trasformarsi in…petrolio. Questo
Fedele disse.
Sembra che quando si ritrovino insieme queste cose, pian piano
diventino oro
nero. Antonio subito finse di non essere interessato al discorso, ma
dopo
qualche minuto di pensieri ebbe la grande idea. Sì, Antonio
aveva dietro casa,
una casa lontana dalle altre, una vecchia buca. Era lì dai
tempi di suo padre,
quando un gran numero di soldati durante la guerra aveva scavato un
canale
largo una trentina di metri per depositarci pezzi
d’artiglieria. Una volta
spostato il tutto, il canale era stato chiuso, ma la buca no. Era ormai
piena
di erba, ma profonda ben quindici metri. I declivi si erano addolciti,
ma con
un po’ di lavoro, forse sarebbe potuto essere il posto
giusto. Fedele aveva
cambiato discorso già da una decina di minuti, Antonio
riprese a parlare con
lui. Tuttavia quell’idea viaggiava ormai nella sua mente. Fu
un peccato che la
scarsa istruzione dei due non arrivasse a suggerire che il processo
avrebbe
richiesto milioni di anni. Era gente semplice di un paese di contadini
e
artigiani semplici, la gente di San Graziano.
Antonio tornò a
casa con Pilucco, si sedette a tavola e
mangiò. Lui non era sposato come gli altri. Non tanto per
l’aspetto quanto per
il carattere molto deciso. Infatti quando Antonio prendeva una
decisione, era
quella fino alla fine. Tuttavia questa era più testardaggine
che altro. La sera
stessa passeggiò sul retro della casa con il cane e
andò a guardare la buca.
Era da preparare, da rifare, ma poteva andare bene.
Nei giorni seguenti,
finito il suo lavoro al caseificio,
nonostante la stanchezza, prendeva la pala e si calava nella buca.
Tolse altra
terra e rese le pareti ripide e nette, tolse l’erba,
lavorò la forma del
baratro. Per non restare prigioniero all’interno
usò una corda che assicurava
ad un vecchio ceppo di noce. Ci volle un mese, ma alla fine Antonio era
soddisfatto. Aveva la sua buca e avrebbe potuto provare a rincorrere la
fortuna. C’era voluto molto lavoro, ma era un investimento
per il futuro.
Passò
l’estate e nei primi tempi Antonio non faceva altro
che buttare nella buca i resti dei suoi pasti. Ma non si scomodava se
aveva
solamente qualche osso di pollo, ma quando aveva un certo ammontare di
resti,
allora prendeva un sacco e con Pilucco li portava alla buca. Arrivato
lì,
svuotava il sacco e un insieme di verdure marce, ossi di animali e
formaggi
ammuffiti finivano sul fondo. Non succedeva nulla, ma si sa, ci vuole
un po’ di
tempo, un po’ di roba perché vi sia molto petrolio.
Quando l’autunno
iniziò anch’esso a volgere al termine,
Antonio aveva cambiato solo un po’ le proprie abitudini.
Tutte le sere andava
alla buca e vi buttava qualcosa, anche solo un nervo di pollo, una
fetta di
pane raffermo. A volte non portava nulla, se non aveva nulla, ma andava
a
controllare il lavoro. Sul fondo della buca vi era un insieme informe
di
poltiglia di colore scuro, tranne, ovviamente, i resti freschi. Aveva
fatto il
fondo, diceva Antonio. Aveva preparato la sua fortuna. Pensò
anche di
abbandonare, visto che gli sembrava un lavoro pesante e lungo, ma in
fondo gli
piaceva ed era il suo investimento.
A Natale Antonio
capì che il freddo poteva rallentare il
processo. Tuttavia non volle coprire la buca perché quando
pioveva l’acqua
sembrava aiutare la decomposizione. Aveva fame ultimamente, infatti
quando se
la sentiva, non mangiava e raccoglieva il pranzo o la cena e la portava
alla
buca. Pilucco lo seguiva sperando di prendere qualche boccone, ma era
inutile.
Antonio, se decideva che saltava un pasto per la buca, lo faceva senza
indugio.
E Pilucco, in fondo, aveva già mangiato. Non
dimagrì molto, non saltava certo
molti pasti. Fu invece quando tornò la primavera che
l’appetito gli calò,
vedeva che il livello della poltiglia si era alzato e
aveva preso un bel colore nero. Erano comparsi
i topi e Antonio pensò di cospargere la buca e intorno alla
buca di veleno. Non
avrebbe fatto male, si sarebbe lentamente trasformato in petrolio anche
quello.
Andava ancora al bar, parlava con Fedele, ma non raccontava a nessuno
della
buca. Era il suo investimento per il futuro e quando tutti
l’avessero saputo,
avrebbero riconosciuto il suo genio.
Il tempo passò
velocemente tra il lavoro e le uscite al bar.
Il lavoro sulla buca diventava ogni mese più curato, Antonio
stava divenendo un
esperto. Aveva capito che la presenza di liquidi aiutava la
trasformazione.
Così un giorno del Luglio 1949 decise che le bottiglie di
vino non gli
servivano più, o almeno non tutte. Prese quelle
più vecchie e le vuotò nella
buca. Il risultato doveva essere una maggiore velocità nella
trasformazione.
Vedeva la propria ricchezza materializzarsi lentamente. Ma un
po’ di vino lo
tenne per sé, per le sue cene.
Antonio organizzava sempre
una cena d’estate. Invitava i
suoi amici più stretti tra cui anche Fedele.
Quell’anno, però, la sua voglia di
festa era calata in favore del bisogno che gli amici portassero da
mangiare.
C’era una quantità di cibo che sarebbe bastata per
almeno tre di quei
banchetti, ma Antonio non organizzo nessun’altra cena e la
gente a San Graziano
si chiedeva cosa ne avesse fatto. Mangiava così tanto
Antonio? Gli avanzi erano
finiti nella buca la notte stessa della fine della festa e Antonio li
buttò con
una certa soddisfazione. Inoltre, nei giorni successivi, vista
l’abbuffata,
avrebbe potuto gettarvi anche pranzo e cena senza troppi problemi.
Ben presto decise anche
che il suo stipendio poteva bastare
per due persone, quindi avrebbe potuto fare spesa per due. Aveva fatto
i conti
bene, così cominciò a comprare cibo per
sé e per la buca. Così, si diceva
Antonio, non avrebbe dovuto più fare i digiuni
perché avrebbe avuto i rifiuti a
sufficienza per la sua buca. Ogni giorno un paio di pagnotte, almeno
una
bistecca e un paio di uova finivano nella buca. Il livello della
poltiglia non
cresceva più di tanto visto che in realtà una
buona parte si degradava.
Tuttavia l’aspetto era sempre più rassicurante.
La vita di Antonio era
cambiata, ormai. L’inverno del ’49 fu
duro perché fece freddo e lui aveva deciso che per finire
prima la sua buca,
doveva rinunciare anche a qualcuno dei suoi pasti. Prese a mangiare
meno e
dimagrì molto. Il vino ormai era finito tutto nella buca.
Gli abitanti di San
Graziano cominciavano a mormorare nei suoi confronti. Sembrava che casa
di
Antonio fosse diventata più vecchia nel giro di un anno. In
effetti prima aveva
qualche albero da frutta, ma lui aveva deciso di tagliarli il che
rendeva
l’intorno dell’abitazione molto spoglio. Inoltre
decise che la legna era da
destinare alla buca, così stava in casa al freddo
utilizzando i propri cappotti.
Casa di Antonio, all’interno, era diventata grigia e
polverosa. Lui stava
sempre al tavolo, quando non lavorava, ad ideare la mossa successiva
per
aumentare la resa della buca. Era sempre assorto in quel pensiero.
Si alzarono strane dicerie
su Antonio quando comprò tutto il
necessario per la cena di Natale che faceva solitamente e non
organizzò nessuna
festa. Fedele si preoccupava per lui, ma Antonio cambiava sempre
discorso.
Anche la selvaggina che Antonio prendeva a caccia finiva subito nella
buca.
Certo, gli animali appena morti erano un toccasana, caldi, umidi. Aveva
cominciato a studiare la poltiglia nera, era sicuro che si stesse
trasformando.
Era diventato insensibile ai miasmi che salivano dalla buca, aveva
aumentato la
dose di veleno per topi per evitare che i ratti rovinassero il proprio
lavoro.
Meglio ancora, poi, se morivano dentro, avrebbero aiutato la buca.
Quando scoccò
il 1950, faceva freddo e a causa del poco cibo
e del continuo freddo Pilucco si ammalò. Aveva
già dieci anni e Antonio non sapeva
che fare. Guaiva in continuazione e probabilmente non ci sarebbe stato
molto da
sperare. Antonio non si sentì troppo in colpa quando
portò Pilucco in braccio
fino alla buca e lo buttò dentro. In fondo non
c’era nulla da fare e almeno lo
avrebbe aiutato. Il vecchio compagno picchiò sul fondo della
buca e prese a
guaire più forte. Antonio ebbe un sussulto di rimorso, ma
quando pensò alla
ricchezza che la buca poteva portargli, si scosse e tornò a
casa. Non ci
vollero più di dieci minuti perché i lamenti
dalla buca non si sentissero più.
Rimasto solo in casa
aumentò la quota di cibo destinata alla
buca, mangiava ormai poco e faceva poco caso alle stagioni che si
susseguivano.
In paese non si vedeva mai se non per fare le spese. Girava voce che
fosse
diventato pazzo o che fosse depresso, nessuno si avvicinava
più alla sua casa
che era decadente e grigia. Anche lui stava diventando grigio e non
parlava più
volentieri con nessuno. Aveva smesso di andare a caccia, il necessario
per la
buca poteva essere comprato. Fu nei mesi estivi che fu licenziato dal
lavoro,
forse a causa delle leggende su di lui.
Sparirono alcune pecore
dalle case vicine, ma nessuno poteva
accusarlo. Antonio viveva di notte e dalla sua dimora non si vedevano
mai luci
filtrare dagli scuri. Le quantità di cibarie buttate nella
buca erano aumentate
e tutti gli animali che trovava finivano là dentro. Il
livello della poltiglia
era notevolmente aumentato e ormai Antonio assaporava il risultato del
proprio
investimento in lavoro. Finirono anche i soldi, ma rimanevano gli
animali nel
circondario. Mangiava quando poteva, se trovava qualcosa, ma la
priorità andava
alla buca. Quando fosse riuscito ad avere il petrolio, non avrebbe
più avuto
problemi.
Un giorno di primavera
Fedele si convinse
ad andare da lui e lo trovò. Gli
spiegò che era preoccupato, che in paese si diceva che
s’incamminava di notte
nel bosco dietro casa, che era un uomo lupo, che era un pazzo.
Cercò di
convincerlo a farsi curare in ospedale. In effetti Antonio era molto
deperito,
ma quando Fedele disse di voler vedere cosa faceva là
dietro, Antonio accettò
subito. Fu una cosa veloce, ci vollero solo dieci minuti per giungere
alla
buca. Fedele ebbe un conato di vomito nel sentire la tremenda puzza e
nel
vedere i resti di animali mescolati a cibi marci, a legna a pezzi, ad
escrementi di vario tipo. Ai suoi occhi sembrò
l’inferno, ma non lo vide per
molto. Antonio lo colpì con un bastone. Poi
picchiò ancora e ancora, fino a che
sentì che il respiro non c’era più.
Buttò Fedele nella buca, nessuno poteva
rivelare del suo investimento e in fondo anche Fedele gli avrebbe dato
una
mano. Il corpo dell’amico sprofondò quasi
interamente nella melma scura.
Antonio era dispiaciuto per Fedele, ma la vita è fatta di
priorità. Fedele era
stato molto irrispettoso nei suoi confronti e non c’era tempo
da perdere.
Doveva trovare altri sistemi per finire la buca.
Nell’afa
dell’estate Antonio si era indebolito
ulteriormente. Nessuno lo vedeva o si avvicinava alla sua casa. Parlava
da solo
e non usciva più. Nella buca buttava i mobili di casa,
buttava la legna del
bosco vicino, buttava i gatti che catturava. Una sera, al crepuscolo,
si
trovava là, fissava la buca e guardava la melma nera. Si era
formata una pozza
in un angolo. Era certamente petrolio, stava ormai finendo, il proprio
enorme
lavoro sarebbe stato premiato. Ma era troppo debole. Una fitta al petto
lo fece
inginocchiare, gli sembrava che le braccia facessero male e respirava a
fatica.
Perse l’equilibrio del tutto, cercò di aggrapparsi
all’orlo dello scavo, ma non
aveva più forze. Scivolò dolcemente lungo la
parete della buca, si fermò sul
fondo. Antonio cadde nella melma e con le ultime forze si tenne a galla
con un
pezzo di legno, mentre il cuore cessava di battere.
Quando chiuse gli occhi,
non era nemmeno molto preoccupato.
In fondo…era il
suo investimento per il futuro.
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