Questo
racconto è autobiografico.
E'la
prima volta che mi metto su carta per un tema così
"intimo",così
familiare.Perciò se avete intenzione di screditarmi o di
scrivere
dei commenti stupidi preferirei lasciaste subito la pagina.
Riguarda
mia madre.
Le
ultime settimane sono state un vero inferno,ma ho cercato di
superarle al meglio.Spero possiate comprendere.
Ho
faticato molto per scrivere queste tre pagine però ne
è valsa la
pena,nel senso che sono riuscita a tirare fuori il "marcio",il
"dolore" che mi stava consumando dentro.
Non
gli do un titolo,non lo merita un esperienza così dolorosa.
La
stanza bianca.Le pareti vuote.I corridoi silenziosi tranne che per
quei dannati carrelli d'acciaio che sbatacchiano senza ritegno, in
quel luogo dove dovrebbe regnare la tranquillità.Una volta
avevo
persino chiesto a un infermiere se si potessero applicare dei gommini
per fare meno rumore,anche per la serenità dei pazienti.Come
pretendono che possano dormire,quando a mezzanotte un citrullo con un
camice passa con quel carro armato?
Guardo
le porte blu che ho davanti.
1,2,3...9.
Un
numero.
Il
numero nove.In Dante avevamo studiato che il numero 9 era il numero
sublime per eccellenza. Il 3 era il simbolo della perfezione
rappresentato da Dio,Cristo e lo Spirito Santo,pertanto tre alla
seconda sarebbe stato il top del top.
In
realtà il 9 per me,da un po' di tempo è sceso
clamorosamente nella
classifica per rappresentare l'inferno.
Un'inferno
fatto di visite ad orari prestabiliti,di macchine ospedaliere,di
occhiate piene di compassione da parte dei medici e delle altre
persone.Ho sempre odiato quegli sguardi.Danno tutto per scontato.Come
se non si potesse trovare una via d'uscita,come se sapessero
inevitabilmente il destino.
Sono
sulla soglia.Incapace di muovermi.Arriveranno tra poco e io non sono
nemmeno in grado di salutarla.Nei libri quando arrivava il momento di
dimostrare il proprio valore,pensavo che avrei saputo compiere
persino gesta migliori del protagonista ,e invece nella
realtà non
riesco neanche a oltrepassare una porta.
Poi
penso a lei.Al suo sorriso,ai suoi occhi,a tutto.
Inspiro
profondamente ed entro.
La
vedo sul lettino.Piccola,quasi indifesa.
Quando
andavamo in giro assieme,magari al mercato,incontrando degli amici,ci
venivano lanciate scherzosamente delle battute sul fatto di come io
potessi sembrare un gigante e lei una gnometta,talmente era tanta la
differenza tra noi due.Tuttavia non me n'ero resa mai conto sul
serio.
Ha
dei tubicini infilati nel naso e la flebo.
Ricordo
tristemente di come le facessero senso i prelievi del sangue.Non
poteva sopportarne la vista o rischiava di svenire,e allora io dovevo
costantemente accompagnarla dentro la stanza e tenerle la mano.
Mi
avvicino tremante,cercando di fare un mesto sorriso.Non per me,per
lei.
"Ehi"dico
come se dovessi ingoiare un rospo.Si scosta una ciocca di capelli
neri.Mi ha sentito.
Dio
quanto mi è mancata questa settimana.
La
osservo mentre tenta di ricambiare il sorriso.Pare quasi che le
s'illuminino gli occhi.
"Ehi"risponde
un po' rocamente.
Mi
viene il magone a vederla così,e io non vorrei piangere.Non
davanti
a lei.Sul serio.
"Stanno
arrivando"sussurro sulle labbra sfiorandole il dorso della mano
con delicatezza.Sembra una bambola di porcellana.
La
vedo annuire.
"Lo
so,tesoro"replica.Mi guarda negli occhi."Andrà tutto
bene,vedrai".
Buffa
la vita.Dovrei essere io quella che tenta di rassicurare.Io quella
forte,decisa.Quella che dovrebbe incoraggiare.Non lei.
Lei,incatenata
a quel lettino.In attesa di superare l'ostacolo più grande.
"Ricordati
la promessa"affermo.Percepisco gli infermieri attivi nel
corridoio.Stanno preparando il necessario.
Sento
il suo sguardo.Nero e profondo.
Mi
accarezza una guancia.
"Ricordi
cosa ti dicevo da piccola?"dice debolmente.Nel frattempo una
dottoressa entra nella stanza per somministrare nella sacca la dose
di sedativo.
Scuoto
la testa confusa.
"Io
ci sarò sempre sia qui che..."non riesce a finire la frase
per
la commozione,ma capisco lo stesso il significato.E per la prima
volta dopo due mesi cedo sotto il peso di tutto.Ho mantenuto una
facciata di normalità per troppo tempo.Con i parenti,a
scuola,con
gli amici.Non perchè non mi fidassi.No,per carità.
Tuttavia
non riesco ad aprirmi su queste cose.Io conservo il dolore
all'interno.
Tento
di combatterlo a modo mio.
"Non
continuare"le chiedo implorante "In fondo il dottore ha
detto che sarà come una passeggiata"mormorò con
il cuore che
va a mille "Giusto?"aggiungo,quasi dovessi avere una
conferma.
"Giusto"farfuglià
mentre il sedativo comincia a fare effetto.
Mi
scende una lacrima.Non ci credo neanche io.
Sono
seduta davanti alla sala operatoria.Nel reparto oncologia.
Ogni
tanto passa un inserviente col suo carrellino d'acciaio che
sbatacchia qua e là.
Per
il resto silenzio.
E
io lo odio.
Odio
il silenzio,la calma di quei dottori che camminano tranquilli davanti
a me,odio la loro spensieratezza forse perchè anch'io non ce
l'ho,perchè vorrei urlare e agitarmi,vorrei mostrare a loro
cosa si
sta scatenando dentro di me.
Invece
sono seduta,con le mani nei capelli.Silenziosa,taciturna solitaria.
Come
se avessi le parole ma non la bocca.
Alcuni
parenti sono venuti a presenziare per qualche istante,abbracci vuoti
e frasi da manuale.Mi fanno coraggio,continuano a ripetermi che
l'operazione andrà bene,di stare tranquilla.In fondo li
capisco.La
vita va avanti.Non ci si può fermare.
Li
saluto,ma paio un'automa e per la prima volta in vita mia ho
seriamente paura.
C'è
un ragazzo in fondo al corridoio.Avrà più o meno
la mia età.
Non
è solo.
Attorno
a lui vi è un gruppetto di persone.
Probabilmente
familiari.
Eppure
pare nella mia stessa situazione.
Si
tormenta nervoso i lembi della giacca,e ogni tanto va avanti e
indietro davanti alla macchietta come quei soldatini a cui si
caricano le pile.
Poi
alza lo sguardo e per un attimo mi fissa.
Forse
capisce.
Poi
si avvicina.
Non
mi ha detto nulla.Si è seduto accanto a me.Siamo immobili da
un'ora.I medici stanno continuando a lavorare.
"Tu
hai paura?"mi domanda improvvisamente.Sono talmente sorpresa che
per un attimo non riesco a parlare.Come se la lingua si fosse
inaridita.
"Sì"mormorò
a bassa voce "E tu?"
Mi
guarda con gli occhi scuri.Non è brutto,anzi.Però
in quel momento
due profonde occhiaie gli fanno da cornice.Probabilmente non
avrà
dormito.
"Un
po'" dice con la voce rotta.
Seguono
alcuni minuti di silenzio.
"Maligno?"domando
apaticamente quasi come se il problema non mi toccasse da vicino.
Annuisce,stringendo
i pugni.
"Sì"prosegue
"Però mi ha fatto una promessa"replica seccamente,forse
per scacciare l'emozione.
"Anch'io
ho una promessa"rispondo senza riuscire a trattenere le lacrime.
"Allora
sarà bene farle rispettare,d'accordo?"farfuglia accennando
un
timido sorriso.
Sappiamo
tutte e due cosa rappresentano le nostre promesse.
Lo
vedo lontano nella sala d'aspetto.
Sta
piangendo a dirotto mentre un amico lo consola con una pacca sulla
spalla.Altri lo stanno imitando.
E
non ho bisogno di spiegazioni.
Mi
faccio incontro con le lacrime nel cuore e lo abbraccio.
Stiamo
così per non so quanto tempo mentre lui singhiozza,e piango
anch'io.Sento il bordo della felpa bagnato,ma non fa niente.
Piango
con lui.
Piango
per lui.
E
mi sembra di morire.
"Non
ha rispettato la promessa"continua a dirmi "Non ha
rispettato la promessa".
Mia
madre per fortuna sta bene,ora.La strada da percorrere è
ancora
lunga,ma ce la faremo.La mamma di Nicola è volata in cielo.
E'
stato traumatico sia per me,sia per lui.
E'
strano come la vita ti possa sottoporre a infinite prove e di come
chi passi e chi no.Con questa storia volevo far trapelare un
messaggio per tutte le vostre mamme e anche per il pubblico femminile
in futuro.Vi prego,fate le visite preventive,non aspettate,se presi
in tempo i tumori possono essere eliminati senza gravi conseguenze.
Per
questa volta non metterò più il
Maggiordomo,perchè questa volta
sono semplicemente me stessa.
Grazie
di tutto
Firmato
Z.
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