C.1 Libertà
- Running away
- Dov' era Dio in quella tenebra?
- Dov' era il posto degli Dei in
quel mondo?
- Ci sono tanti piccoli Inferni su
questa Terra , uno di questi Inferni era una sudicia prigionia
traboccante di dolore ad un passo appena da un mondo di luce. Un
Inferno mondano per nulla dissimile da tanti altri.
- Ma Dio non poteva
varcare quel confine?
- No, gli dei non scendono dai
loro scranni illuminati per bagnarsi i piedi in questo mare miserevole
di dolore e impotenza.
- Ma se lo chiese comunque,
disperatamente: Dov' era finito il suo Dio?
-
- Da piccoli ti insegnano ad avere
paura dell' uomo cattivo, di fantasmi che non possono
toccarti e di bestie che non sono di questo mondo.
Poi ti dicono di non fidarti degli sconosciuti, di non accettare le
caramelle da nessuno, di non allontanarti da sola.
- Ti inculcano la paura per il
lupo, per il serpente, a volte ti invitano persino a temere l' animale
più innocuo.
- Ma nessuno ti dice che il tuo
dolore può venire dalle persone a te più care,
che l' uomo cattivo, il fantasma, la bestia, l' animale può
essere chi ti sta accanto.
- Nonna Katia era solita avvisarla
con quella sua voce un po' rude e un po' gracchiante che il dolore
poteva provenire da chiunque e da qualunque luogo. Non doveva mai
fidarsi, glielo diceva una il cui marito era espatriato in un altro
paese dopo quarant' anni di matrimonio. Puntualmente sua madre la
rimproverava perchè secondo lei il mondo non era poi
così brutto come diceva la nonna, che la stava spaventando
inutilmente. Iniziò ad ammonirla sempre più
spesso e con più vigore quando Dimitri entrò
nelle loro vite.
- Quanto si sbagliava sua mamma.
Eppure era strano che proprio lei credesse ancora nella
bontà della gente.
- Era una specie di sonno
offuscato, poco vivido e sempre più lontano, il viso di sua
nonna si faceva sempre meno delineato, lo scialle verde si confondeva
con il quadro appeso alla parete alle sue spalle, inesorabilmente
quelle vecchie immagini sparivano risalendo in alto verso la coscienza
di sè stessa e di ciò che la circondava.
- Eiri aprì lentamente
le palpebre degli occhi arrossati, sentì una specie di
rantolo allo stomaco ma non era sicura di aver fatto nessuno verso. Ma
quale sogno? Quale? La freddezza dell' acciaio intorno ai polsi e il
riconoscimento dell' ambiente le diedero immediatamente la
consapevolezza della realtà in cui era confinata come un
pugno improvviso contro il petto. Dovette resistere all' istintiva
reazione di piegarsi su sè stessa. Si mosse piano sentendo
vibrare chiaramente nelle orecchie il suono molesto delle catene che la
legavano al muro ricordandole ulterioremente la sua condizione.
Cercò di
mettersi meglio a sedere nel vano tentativo di appoggiare la schiena
contro la parete. Un malcelato gemito di dolore le uscì
dalle
labbra facendola desistere dall' impresa. Alzò gli occhi
scuri
verso la piccola finestra alla sua destra, l' unico buco da cui
filtrava la luce del sole, l' avevano sempre colpita i raggi immobili e
sereni all' interno del quale sambrava danzare quieto un fitto
pulviscolo.
- Sulle gambe poteva
sentire la polvere
accumulata sul pavimento, persino l' umidità viscida e
ammuffita
dalle pietre.
- Lo squittio di un topo le
fece istintivamente portare le gambe al petto in un moto di disgusto e
paura. Rimase in quella posizione nonostante avesse visto la coda
sottile sparire in un buco scavato nell muro. Avrebbe voluto essere un
topo.
Le fogne e la terra sarebbero state di gran lunga migliori di tutto
quello.
- Abbassò stancamente
la testa di lato, avrebbe preferito essere ancora incosciente, magari
addormentarsi per sempre.
- Sarebbe stato bello, le pareva
quasi poetico quel disperato agognare alla pace eterna. Persino il
suono, pace eterna, le richiamava alla mente una quieta
staticità beatamente luminosa, un sorriso ampio e distaccato
sulle labbra, un corpo mollemente adagiato senza che nulla possa
raggiungerlo o urtarlo o ferirlo.
- Invece sentiva il corpo intero
pulsare per il
dolore, reclamare l' annullamento dei sensi quando il suo sangue colava
dal naso sulle labbra, le scendeva fino al mento
e gocciolava sui vestiti sporchi. Avvertiva il senso di bagnato sulle
spalle e al tempo stesso quello del sangue rappresso e appiccicato alla
camicia del pigiama.
- Iniziò a dolerle la
gamba sinistra, forse il tempo doveva cambiare. Era sempre
così.
Anche sua nonna diceva sempre che le facevano male le ossa quando il
clima cambiava bruscamente.
- Tirò leggermente le
mani in avanti più che potè per vedere fin dove
arrivasse
la sua libertà costatando con la solita disperazione che era
davvero breve. Non era neppure un metro, la sua libertà, ed
era
fatta con l' acciaio di una catena pesante e con i braccialetti duri
che si portava legati ai polsi e alle caviglie come marchio di
proprietà.
- Non era quella la
libertà, era un' illusione sperare che quel metro scarso di
metallo potesse essere chiamato libertà.
- Era schiavitù.
- E il suo marchio di schiava era
l' anello d' oro che portava all' anulare sinistro.
- Doveva scappare quel giorno,
quando lo aveva visto in faccia per la prima volta. Bastardo.
- Gli occhi vuoti presero a
guardare i pantaloni del pigiama logori e sporchi di sangue, era
lì dentro da quattro giorni, ed era davvero strano
perchè di solito Dimitri dopo due o tre giorni la tirava
fuori
di lì e si scusava... bè... più o
meno, visto e che la considerava comunque una specie di cosa, un
animale
a voler essere generosi.
- Un rifiuto che lui aveva
generosamente sottratto alla strada e a cui aveva fatto il dono di
essere la moglie agiata di un uomo importante, poteva dormire su
guangiali morbidi e tra lenzuola di seta quel suo corpo indegno.
- Ma rimaneva pur sempre un
rifiuto.
- Dimitri si premurava gentilmente
di ricordarglielo assai spesso in modo che non potesse mai dimenticarlo.
- Doveva avere memoria solo di lui,
senza passato nè presente nè futuro che potessero
essere diversi da lui, che potessero riguardare altro che non fosse lui.
- Questa volta era stata punita
perchè aveva cercato di togliersi la fede.
- Oh, andiamo! Era stata punita per
capriccio.
- Perchè era un pazzo.
- Era di fronte allo
specchio, uno sguardo come sempre rivolto alla
porta nel terrore che Dimitri entrasse all' improvviso e l' altro sull'
immagine di sè che le veniva riflessa. Si stava pettinando
con cura i capelli
castani cercando di disricare bene i nodi perchè a Dimitri
piaceva farsi scivolare i suoi capelli tra le mani, senza ostacoli.
- Aveva abbassato lo sguardo
sulle proprie mani arrossate, una era ancora fasciata con le bende dopo
l' ultima sfuriata di quell' uomo. Aveva adocchiato la fede e si era
messa a piangere, tremando l' aveva sfilata lentamente come se in quel
modo potesse avere l' illusione di un attimo di libertà, che
tolta la fede non esistesse neppure Dimitri e tutto il resto.
- Quando la porta alle sue
spalle si aprì, alzò lo sguardo sullo specchio,
di
scatto, facendo rotolare l' anello sul tavolino, si girò
verso
di lui che le veniva incontro sorridendo rilassato, bello e
apparentemente affabile con i lunghi capelli biondi che ricadevano
placidi sulle spalle, gli occhi azzurri e il completo bianco che
aderiva perfettamente sulla pelle.
- Dimitri vestiva sempre di bianco,
oppure di rosso. Diceva di amare quei due colori per ragioni
completamente diverse, uno perchè puro, l' altro
perchè gli ricordava la passione del sesso e assieme l'
espiazione che simbolicamente donava il sangue versato.
- Si avvicinò a lei
poggiandole delicatamente le mani sulle spalle, abbassandosi all'
altezza delle sue labbra per salutarla, scese a prenderele
delicatamente le mani accorgendosi subito che qualcosa non andava, di
sicuro.
- -Tremano- notò quasi
stupito guardandole coperte dalle sue con la coda dell' occhio senza
però allontanarsi troppo dalle sue labbra.
- Si mise dritto aprendole
entrambe sui palmi delle proprie. Rimase qualche secondo in silenzio,
sospirò come se fosse di fronte a un bambino che aveva
commesso
l' ennesima marachella, sfiorando l' anulare libero con il pollice e l'
indice.
- -Qui... qui manca qualcosa, non
trovi?
- -Io...- Eiri non sapeva che dire,
si sarebbe messa a piangere e a implorare pietà se la paura
non l' avesse bloccata.
- Dimitri arricciò le
labbra, lo faceva sempre quando pensava:- Perchè hai tolto
la
tua fede? Non ti piaceva più? Era il simbolo del nostro
amore.-
- Il simbolo della sua
sottomissione.
- Del suo non appartenersi
più e dell' appartenere incondizionatamente a lui.
- Eiri sfilò le
proprie mani dalle sue, tastando il tavolino alla ricerca dell' anello,
si piegò e tirò una specie di sospiro quando lo
vide a
terra, raccogliendolo. Lo indossò nuovamente e si accorse
che era
preciso.
- -Era stretto- si
giustificò prendendo la palla al balzo.
- Dimitri si sedette di
fronte a lei accavallando le gambe e poggiando pigramente la testa
contro il pungo di una mano:- Ah... era stretto.-
- Glielo sfilò e poi
glielo rimise, ripetendo l' operazione un altro paio di volte.
- Sorrise:- Non mi sembra.
Voi rifiuti avete la pessima abitudine di mentire- fece una smorfia- e
non sapete neppure vestirvi- osservò il pigiama azzurro che
indossava- cos' è, Eiri? Non ti piacciono i vestiti che ti
compro? Vuoi farmi buttare i soldi dalla finestra? - ciò che
la
inquietava di più era il tono estremamente calmo con cui le
parlava, quasi indifferente, come se la cosa non lo riguardasse
affatto. Altre volte sembrava più un medico che la
analizzava,
distaccato.
- -Tu più di tutti
dovresti conoscere l' importanza del denaro.- aggrottò le
sopracciglia- e poi sai cosa? Mi da fastidio il fatto che tu non ti
faccia mai bella per me. Non sei affatto sensuale. Poi è
normale
che io mi arrabbi o che ti tradisca. -sospirò- Oggi ho avuto
una pessima
giornata, sai?
- Si alzò, afferrandola
all'
improvviso per il polso e trascinandosela dietro tra i corridoi enormi
dell' antico palazzo. Eiri vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi
leggermente sentendo gorgogliare una risata divertita.
- Spalancò gli occhi
rabbrividendo mentre avvertiva chiaramente la pelle d' oca sulle
braccia.
- Arrivarono nella piccola cella.
- Dimitri le sollevò le
maniche del pigiama scoprendo uno dei polsi circondato da un vecchio
bracciale spesso.
- -Questo lo conosco- si
ritrovò a sospirarle sulla sua guancia a occhi chiusi.
- Era il bracciale della
prima catena a cui l' aveva legata. Aveva voluto che lo tenesse. Per
ricordo, diceva lui. Perchè gli piaceva che lei portasse un
segno che la macchiasse ulteriormente, che la classificasse come sua
proprietà.
- La legò per i polsi
e come ogni volta Eiri iniziò a piangere, con l' orgoglio e
la
dignità sotto le scarpe a implorare una pietà che
non
sarebbe arrivata.
- -Questa sottomissione
è eccitante, peccato che tu piagnucoli troppo- aveva
affermato crucciato.
- Eiri ruppe bruscamente il
filo dei suoi pensieri, lo avrebbe fatto ugualmente a dire il
vero. In quel momento sentì dei rumori
improvvisi, dei passi concitati, infine degli spari. La porta della
cella si spalancò e lei non potè fare a meno di
urlare.
Un uomo con una specie di divisa scura e un equipaggiamento pesante le
puntò contro l' arma che reggeva tra le mani.
- -Un ostaggio- gridò
prima di entrare e di liberarla.
- Non le sembrava vero,
spostò le pupille da una parte all' altra seguendo i
movimenti bruschi dell' uomo, le labbra semiaperte per lo stupore.
- -Non si preoccupi, è
tutto finito.
- Eiri non stava capendo
più niente. Forse era la volta buona che arrestavano
Dimitri, ma
per quanto ne poteva sapere quello avrebbe
potuto essere benissimo una specie di assalto da parte di
qualche
banda.
- L' uomo sparì
nuovamente verso il corridoio non appena sentì altri spari.
Le
aveva detto di restare lì ma Eiri aveva troppa paura. Non
voleva
morire in una sparatoria o roba del genere, inoltre quella poteva
essere la sua unica occasione di essere libera. Si resse malamente
sulle gambe e cercò in qualche modo di scappare velocemente,
più facile a dirsi che a farsi in quelle condizioni.
Camminava più rapida che poteva aggrappandosi al muro,
imboccò un ingresso secondario difficilmente conosciuto
dagli
uomini che imperversavano all' interno del palazzo e si
ritrovò
ai piani superiori. Regnava uno strano silenzio, a tratti inquietanti.
Eiri se lo spiegò immaginando che le forze di Dimitri erano
tutte impegnate al piano terra e al massimo nei sotterranei dove si
trovavano la maggior parte delle armi e macchinari vari, oltre che i
laboratori di ricerca. Afferrò un vestito e un paio
di scarpe da ginnastica, degli oggetti di valore e
il denaro
che Dimitri non si creava problemi a tenere nel cassetto della
scrivania, infine la cassetta di primo soccorso nel bagno, per mettere
poi tutto nello zaino con cui era arrivata un anno primo in quel posto.
- Nell' ala sinistra del
corridoio c' erano delle scale strette, proprio dietro a una porticina
di legno, che portavano fino alla cucina, Eiri si ritrovò
nell'
ambiente odoroso di cibi che cuocevano lentamente sul fuoco, la
porticina che portava all' esterno spalancata e nessuna traccia di
cuochi o domestici vari. Mise il naso fuori soffocando un ulteriore
imprecazione per tutti quei movimenti bruschi.
- Si accorse che lo scontro
armato era concentrato sul lato principale della villa e di una
cameriera che spariva al di là di una siepe. Si mise a
correre
ritrovandosi senza aspettarselo dall' altro lato del giardino, in un
piccolo roseto. Si accodò alla gente che scappava.
Attraversò con loro un campo di viti per accasciarsi stanca
e in preda agli spasmi del dolore delle ferite
tra i grappoli che iniziavano a crescere. Strinse i denti, gli occhi le
pizzicavano, faceva male da morire.
- Dannatissimo Dimitri.
- -Marcisci all' Inferno!- si
ritrovò a sputare con un tono ringhioso e abbastanza alto.
- I domestici ormai non li vedeva
nemmeno più.
- Avrebbe continuato da sola,
quel miraggio di libertà l' avrebbe fatta andare avanti. Era
la
sua occasione, forse l' unica. Si alzò in piedi ed
attraversò il terreno.
- Non si sarebbe fermata fino a che
non si sarebbe sentita al sicuro.
-
- Tre mesi più tardi...
-
- ___
- Note: Salve a tutti, spero che la
storia possa piacervi, mi auguro di
non commettere troppi errori e di creare un personaggio il
più
vicino possibile a una qualsiasi persona reale. Speriamo bene.
Ovviamente vorrei
sapere cosa ne pensate voi, sia in positivo che in negativo
eventualmente, la speranza è l' ultima a morire XD
- So di avere altre storie in
corso, sto cercando di continuare a scrivere "Il buon vicinato".
- Il raiting arancione mi sembra
vada abbastanza bene, come vedete nonostante la tematica trattata non
sia delle più leggere, ho evitato di descrivere le scene
violente vere e proprie soffermandomi sul lato psicologico senza
comunque, appunto, renderlo eccessivamete pesante.
- DISCLAIMER: I personaggi di Saint
Seiya non mi appartengono. La storia non è scritta a scopo
di lucro.
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