A
dir la verità non so perchè sto scrivendo.
In effetti, ero sicuro
che non avrei più postato niente su questo blog.
Non sono particolarmente
ispirato, non ho molto da raccontare.
Questo perchè
ormai non mi succede più niente. Credo che il motivo
principale per cui adesso sono qui, davanti al mio portatile, seduto
sulla mia poltrona dell'appartamento 221b di Baker Street, sia la mia
analista. Quella benedetta donna, che continua a cercare di capire cosa
c'è che non va nella mia testa, mi ha suggerito di
ricominciare a scrivere. Raccontare quello che provo, che sento; forse
pensa che così riuscirò a farmi una ragione di
quello che è successo.
Vuole che affronti la
realtà. Vuole che riesca ad elaborare il lutto.
Già. Ancora
non mi sembra vero, non l'ho accettato. E non so se lo
accetterò mai.
E' passato un anno. Un
lunghissimo, maledetto anno. E' come se per tutto questo tempo sia
vissuto in una bolla: non ho sentito niente, nè rumori,
nè suoni. Tutto mi è sembrato offuscato, ho
vissuto in completa apatia. Ho frequentato non so quante
donne, senza neanche rendermene conto; più volte mi sono
ritrovato ubriaco in mezzo di strada, senza sapere cosa fare, dove
andare. Tutto quello che riuscivo a fare era piangere, urlando il suo
nome, disperato.
Sherlock.
Tutto in questo appartamento mi
ricorda lui. Per questo motivo dopo la sua morte non ci avevo voluto
mettere più piede. Volevo evitare di ritrovarmi davanti ai
suoi alambicchi, ai suoi esperimenti sparsi per casa, alla sua poltrona
nera, al suo cuscino con la bandiera inglese, al suo dannato
violino. Quel violino che mi svegliava ogni mattina alle sei in punto e
che mi accompagnava per tutta la giornata, a meno che Lestrade non
convocasse il mio coinquilino.
Adesso, però, ci
sono.
Entrare in questo palazzo, al
221b di Baker Street, è stata una delle cose più
difficili che avessi mai fatto... in confronto la guerra in Afghanistan
era una baggianata. Aprire la porta, salutare Mrs. Hudson, come
abitualmente facevo, non mi è mai sembrato più
difficile.
La padrona di casa aveva dipinta
sul volto un'espressione talmente triste, che stavo per mandare a quel
paese tutto e uscire di nuovo, con l'intenzione di non rientrare qua
dentro mai più. Invece ho preso coraggio e ho
salito i 17 gradini che portano al salotto del nostro vecchio
appartamento. La porta non era chiusa a chiave, così mi
è bastato spingere la maniglia per entrare.
Era tutto come lo avevamo
lasciato. Il violino di Sherlock era poggiato sulla sua poltrona, un
giornale appoggiato sulla mia. Mi guardai intorno e inspirai l'aria che
ancora aveva il suo profumo. Mi diressi verso la
cucina: sul tavolo c'era il classico caos dovuto alle provette che
venivano utilizzate dal mio amico per gli esperimenti.
-Non ho avuto il
coraggio di toccare nulla, alla fine.- Mrs Hudson mi aveva raggiunto.
-Credevo che avrebbe portato la
sua roba ad una scuola.- dissi io, ricordando che lo aveva detto, quel
giorno davanti alla tomba di Sherlock.
-Si, ma... non ce l'ho fatta.
Anche perchè non sapevo da che parte cominciare. E poi...
pensavo che un giorno saresti passato e avresti voluto portar via
qualcosa. Un... ricordo.-
-Capisco.-
Tra noi calò un
silenzio così pesante, che Mrs. Hudson decise di troncare
lasciandomi di nuovo solo.
Così decisi di tirare
fuori il mio portatile e di accontentare la mia cara terapista,
iniziando a scrivere di getto quello di cui sarei dovuto riuscire a
parlare con lei. Ammetto che ha ragione: non parlo del mio ex
coinquilino da quando... beh, da quando ha fatto quel che ha fatto. Lei
dice che mi servirà per elaborare questo dannatissimo lutto.
Dio, quanto odio questa frase. In un anno me l'avrà ripetuta
miliardi di volte. Vuole che parli di Sherlock? Molto bene,
è giunto il momento di accontentarla.
Dal primo istante in cui ci
siamo conosciuti ho provato qualcosa per lui. Curiosità,
ammirazione, affetto. Era una completa novità per me, non
avevo mai avuto a che fare con uomini del genere.
La prima volta che incontrai
Sherlock Holmes ricordo di aver pensato di essere davanti ad un pazzo,
un maniaco, un folle. Beh, in effetti non c'ero andato molto lontano.
La cosa più strana fu che non mi preoccupai di condividere
con un emerito sconosciuto l'appartamento al 221b. Di solito ho sempre
fatto fatica a relazionarmi con le persone e, soprattutto, a fidarmi di
loro: questo non accadde con Sherlock. Riposi in lui tatta la mia
fiducia... probabilmente perchè sentivo quanto fosse simile
a me. Dava l'impressione di non avere molti amici. A dir la
verità, dava l'impressione di non averne neanche uno.
Aveva bisogno di me tanto quanto
io ne avevo di lui.
Ci sono stati momenti, nella mia
convivenza con Sherlock, in cui avrei voluto prenderlo a ceffoni a
causa del suo sentirsi superiore ad ogni altro essere umano, oppure
quando mi escludeva dai suoi piani. Peggio ancora, quando escludeva se
stesso dalle emozioni e dai sentimenti, rinnegandoli ripetutamente.
Come fece con la Adler.
Come ha sempre fatto con me.
Sì, perchè
sono sicuro che per lui significassi qualcosa, esattamente come lui per
me.
Ricordo perfettamente una nostra
conversazione durante il caso del Mastino di Baskerville. Mi disse di
non avere amici. Mi arrabbiai così tanto... sono sempre
stato eccessivamente permaloso, in effetti. Ma non lo avevo capito.
Come la maggior parte delle volte, d'altronde. Sherlock ha sempre
costituito un mistero per me, non riuscivo mai a comprenderlo fino in
fondo. Comunque, il giorno dopo mi spiegò quello che voleva
dire la sua frase della sera prima: lui non aveva amici, certo.
Aveva solo me.
Credo sia stato quello il momento.
Penso che ogni persona,
almeno una volta nella vita, riesca a sentirsi così felice
tanto che potrebbe esplodere da un momento all'altro.
Anche se non lo detti a vedere,
sentii in me crescere una felicità, una gioia, mai provata
prima -e che temo non riproverò mai più- ; il mio
stomaco si aggrovigliò e a stento trattenni un sorriso.
Sapere che ero l'unica persona importante nella vita di Sherlock e che
ero il solo ad essere riuscito a trovare la chiave del suo "Palazzo
Mentale", come lo chiamava lui, mi inorgogliva in maniera, forse,
eccessiva.
Fu da quel giorno che iniziai a
notare e a far caso a come, effettivamente, Sherlock mi trattava e
considerava, diversamente da tutti gli altri. Non ha mai palesato il
suo affetto, sia chiaro, ma capivo che, nella sua maniera alquanto
stravagante, ne nutriva. Si preoccupava per me.
Ora che ci penso, lo ha sempre
fatto. Sempre.
Persino quando c'è
stata di mezzo Sara: quando fummo rapiti da quell'assurdo clan cinese.
Se non fossi stato coinvolto anch'io di certo Sherlock non si sarebbe
scomodato più di tanto. Odiava Sara, avrebbe lasciato
tranquillamente che la freccia le si conficcasse nel cervello, ne sono
sicuro.
In effetti, ha sempre detestato
tutte le donne con cui uscivo.
E tutte le donne con cui uscivo
mi hanno sempre lasciato per colpa sua.
"Non farmi competere con
Sherlock Holmes, John." Quando Jeanette mi disse così a
Natale di tre anni fa per poco non mi strozzai con il succo d'arancia.
Possibile che tutti scambiassero
me e Sherlock per una coppia?! Sempre, tutte le sante volte
che mettevamo piede fuori di casa: prima la signora Hudson, poi Angelo
al ristorante, poi Sherlock stesso ha pensato che ci provassi con lui,
poi Microft, poi Molly, persino quel pazzo di James Moriarty!
Il fatto che mi ha sempre
lasciato basito è che Sherlock non lo ha mai negato e non ha
mai ribattuto. Intanto io, invece, cercavo disperatamente di far capire
al mondo che eravamo solo colleghi. E' servito a qualcosa? No, certo
che no.
Rinunciai così ad
avere un qualunque tipo di relazione con le donne, a causa del mio caro
coinquilino sociopatico. Ammetto che non ne sentii la mancanza. Con
Sherlock poteva succederti di tutto, tranne che annoiarti. Lui,
piuttosto, tendeva ad annoiarsi spesso, ma per me non poteva esserci
niente di più comico. Quando non aveva un caso tra le mani,
passava le giornate avvolto nella sua vestaglia blu (o solamente nel
suo lenzuolo bianco), dicendo "Noia, noia, noia" in continuazione e
sparando contro il nostro povero muro. Mi divertivo ad osservarlo,
prendendolo in giro, poi scendevo al piano di sotto dalla Signora
Hudson che temeva fosse in corso chissà quale sparatoria.
Insomma, in parole povere:
Sherlock era il mio mondo.
La mia vita girava tutta intorno
a lui.
Prima di conoscerlo non avevo
nulla; se non l'avessi incontrato probabilmente sarei tornato in
guerra.
Mi ha salvato dalla
noia, dalla rabbia, dalla frustrazione, dalle tenebre in cui ero caduto
dopo l'Afghanistan.
E adesso?
Tutto finito. Sherlock ha
portato con sé nella tomba una parte rilevante di me, se non
tutta.
E' stato l'unico che mi
ha dato felicità, una felicità autentica, durante
tutti gli anni in cui siamo stati insieme. Non mi ero mai sentito
così, e sono certo che non mi capiterà mai
più.
E qui la gente potrebbe pensare
male, ma sapete che vi dico?
Che forse tutti hanno sempre
avuto ragione e l'unico idiota che non se ne è mai reso
conto sono stato proprio io.
Forse amavo davvero Sherlock
Holmes.
Ma ora non più. Non
dopo quello che ha fatto.
L'ho visto cadere giù
dal tetto del Barth's, ho udito il suono delle sue ossa fracassarsi
contro il cemento. Non mi sono mai sentito più inutile e
impotente di quel momento.
Ma lui è stato un
bastardo egoista e lo odio per questo. Si è buttato
giù, senza pensare a come avrebbero reagito gli altri. Senza
pensare a come avrei reagito io.
Eppure era un genio, avrebbe
dovuto prevedere la mia reazione, capire che non poteva lasciarmi da
solo, che avevo bisogno di lui.
Dannazione, avrebbe dovuto
mettermi al corrente dei suoi fottuti piani, invece di allontanarmi!
Saremmo riusciti a trovare una soluzione alternativa, sicuramente! Ma
no, come al solito a me non ha detto nulla! Ha lasciato che me ne
andassi dalla Signora Hudson, sapendo che stava bene e che il mio aiuto
era del tutto superfluo, anzi, inutile.
Perchè lo ha fatto?
Come pensava di farcela da solo? Glielo avevo appena detto, porca
miseria: Gli amici proteggono le persone.
Io avrei potuto proteggerlo.
Non so neanche da cosa, ma avrei
potuto. Avrei fatto di tutto, diamine, di tutto, per lui. Se fosse
servito a qualcosa mi sarei buttato io di sotto da quel tetto. O magari
avremmo potuto trovare una soluzione un po' meno drastica.
Invece no. Ha ritenuto fosse
meglio fare tutto di testa sua, come ogni santa volta. Mi sento
così arrabbiato e furioso nei suoi confronti... deve aver
pensato che non fossi all'altezza di quello che stava accadendo, che
non potessi capire. Bene, bravo, adesso sicuramente non ci riesco.
Il povero dottor Watson proprio
non riesce a comprendere quel gran genio di Sherlock Holmes.
Accidenti, la tastiera si sta
bagnando delle mie lacrime. Da quanto tempo ho iniziato a piangere? Non
me ne sono nemmeno accorto.
D'accordo, dovrei
andarmi a preparare una bella camomilla. Non qui, me ne
tornerò nell'appartamento mio e di Mary e me la
preparerà lei.
Già, non vi ho detto
di Mary.
Beh, c'è ben poco da
dire: ci siamo conosciuti un mese dopo la morte di Sherlock, lei si
è innamorata di me e... forse anch'io di lei. Per un momento
ho dimenticato il mio ex coinquilino frequentandola, ma in questi
ultimi tempi, avvicinandosi l'anniversario della sua morte, le cose
sono tornate esattamente come prima, se non peggio.
I giornali hanno ricominciato a
pubblicare tutte le loro varie stronzate della serie "Anniversario
della morte di un bugiardo" oppure "E' già passato un anno
da quando il Falso Eroe di Reichenbach si è buttato
giù dal tetto", ecc...
Mary cerca di nascondermi i
giornali apposta, ma li ritrovo tutti nel cestino della carta. E poi
esiste la televisione. Non riesco a trovare pace.
Il fatto che poi i giornalisti e
tutta la gente continui a marciare su questa cosa del 'falso eroe' mi
irrita profondamente.
Sherlock poteva essere di tutto:
irritante, narcisista, schizofrenico ("iperattivo sociopatico" mi
correggerebbe), viziato, scansafatiche ("Passami il telefono, John."
"Ma ce l'hai in tasca." "E allora?"), ma mai falso.
"E' tutto
vero. Sono un falso. I giornali hanno sempre avuto ragione."
Sono sicuro che le sue ultime
parole su quel tetto non fossero vere. Non ho idea del
perchè me le abbia volute dire, ma non importa: io non c'ho
mai creduto.
E nessuno riuscirà
mai a convincermi che mi ha detto una bugia.
Crederò sempre in
lui, in tutto quello che è stato e che sarà.
Un eroe.
Il mio eroe.
Si, certo, mi ha sempre detto
che gli eroi non esistono, ma ogni tanto anche il grande Sherlock
Holmes può sbagliare.
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