OS dollaria
Questa OS è
un missing moment ambientato tra il capitolo 10 e 11 della long story You saved
me.
Profumo di caffè e una sensazione piacevole sulla guancia.
Era da mesi che non mi svegliavo con quei gesti, da quando… mugugnai, incapace
di aprire gli occhi, a causa di quel tremendo mal di testa che doveva per forza
essere dipeso dalla bronza della sera prima. Lexi e la sua stupida idea di
bere, perché le avevo dato ragione? Ero quasi sicura che lei fosse messa peggio
di me, visto che non aveva nemmeno riconosciuto la sua immagine riflessa allo specchio
del bagno, al Phoenix.
«Ci sono
due aspirine nel bicchiere e una tazza di caffè con due zollette di zucchero e
mezzo bicchiere di latte, come piace a te, su, sveglia». Ancora una volta una strana sensazione piacevole sulla
guancia. Ma chi aveva parlato?
Mi alzai a sedere all’improvviso,
ignorando il capogiro e il senso di vomito. Mi concentrai sul viso di fronte al
mio. Dollar… era lui. La sua mano ancora a mezz’aria lì dove prima c’era il mio volto. «Che cosa ci fai qui?» gracchiai, cercando di ignorare
il dolore alla gola e strappandogli il bicchiere con le aspirine tra le mani:
ne avevo assoluto bisogno, altrimenti non avrei resistito otto ore al Phoenix.
«Ieri sera
ti sei ubriacata, ti ho portata a casa e…». Si interruppe, guardandomi mentre appoggiavo il bicchiere
vuoto sopra al comodino, di fianco al letto. Era impossibile nascondermi dal
suo sguardo che mi fissava. Che stava guardando? La mia faccia non aveva nulla
di strano.
Non era cambiato da quando giocavamo sulle altalene, Dollar si
era fermato; l’unico segno del tempo sul suo volto era quella cicatrice che si
era procurato per difendere lo zio. A quello stupido pensiero i miei occhi si
riempirono di nuovo di lacrime, mentre cercavo di spostarmi da Dollar, che
però, riuscì ad accorgersene.
«Ehi, vieni
qui» mormorò, cercando di
prendermi il braccio per attirarmi verso di lui. No, non potevo cedere ma
soprattutto non volevo. Dollar era come una droga, quando c’era lui mi sentivo assuefatta:
sapevo che, una volta smesso di averlo vicino, sarei stata male, ma non
riuscivo ad allontanarmi da lui. «Dai
Aria, sfogati un po’». Il mio
volto di nuovo contro al suo petto e quelle lacrime che non volevano saperne di
non uscire. Un po’, dovevo sfogarmi un po’? Non l’avevo forse già fatto nei
giorni precedenti?
«Doll, dai» piagnucolai, tirando su con il
naso e puntandogli le mani contro il petto perché smettesse di abbracciarmi e
mi lasciasse scendere dal letto. «Non
è successo niente, vero?».
Con un gesto del capo indicai prima il materasso e poi lui, sperando che la sua
risposta fosse negativa. Sapere di essere rimasta con lui per tutta la notte
senza ricordarmelo faceva male.
«E se
anche fosse? Aria, eri sconvolta».
Sentii i suoi passi dietro di me, mentre mi infilavo una vecchia maglia e mi
dirigevo in cucina per fare colazione, cercando di scacciare quel dopo sbornia.
No, non doveva essere, anche se ero sconvolta.
«Doll» sospirai, appoggiando le mani
contro il bancone e portando il capo all’indietro, «non complichiamoci di nuovo la vita, ok?». Perché ci saremmo feriti di
nuovo, esattamente come avevamo fatto fino a poco tempo prima.
Quando l’amore malato diventa qualcosa di così grande da
ferirti, sai che può essere quello della tua vita, e devi prendere una
decisione: lasciarlo andare per salvare entrambi o lanciarti in quel baratro
che ti distruggerà la vita, assieme a lui. E noi avevamo deciso, ci eravamo
allontanati, capendo che entrambi saremmo potuti sopravvivere se non ci fossimo
lasciati travolgere da quel vortice.
«Perché?
Cosa ci sarebbe di male se per una volta noi trombassimo di nuovo?». Non riuscii a trattenere un
sorriso amaro, alla domanda di Doll. Si era risposto da solo, avremmo solamente
trombato e poi sarebbe ricominciato tutto di nuovo: amici, amanti, troppo presi
l’uno dall’altra per non accorgerci quanto non prestassimo attenzione a niente
altro e poi ci saremmo divisi di nuovo.
«Lasciamo
stare» sbottai, aprendo con
rabbia una confezione di una brioche che avevo preso qualche giorno prima. Non
avevo voglia di litigare, non dopo il funerale di JC e dopo una sbronza
colossale. Dollar però non sembrava della mia idea, perché incrociò le braccia
al petto, appoggiandosi con la schiena al tavolo, davanti a me: quando si
comportava in quel modo voleva parlare.
«No, non
voglio lasciare stare, Aria. Voglio parlare e chiarire una volta per tutte,
perché non riesco a ricordare il motivo per cui ci siamo lasciati. Se vuoi
rinfrescarmi la memoria, sono pronto».
Ironia sottile, uno dei tanti comportamenti che aveva copiato involontariamente
da Ryan. Lui nemmeno si rendeva conto di quanto lo adorasse, di come, fin da
piccolo, avesse cercato di copiare ogni più piccolo gesto, anche nel suo modo
di fumare. Se JC era stato un padre per lui, Ryan era come il fratello
maggiore, pronto a proteggerlo nelle situazioni difficili e a prenderlo in giro
alla prima occasione.
«Perché
stiamo parlando di questa cosa? Avevamo detto che il discorso era chiuso». Non riuscivo nemmeno a guardarlo
negli occhi, non dopo aver detto una bugia del genere che poteva quasi essere una
bestemmia. Perché per me, Dollar non sarebbe mai stato un discorso chiuso, ero
pronta ad accoglierlo a braccia aperte a costo di ferirmi sempre di più.
«Non stai
rispondendo alla mia domanda e non mi guardi nemmeno negli occhi. Stai mentendo». Sentivo una nota divertita nella
sua voce, mentre si avvicinava a me schernendomi perché sapeva di avermi
smascherata. Eppure, come la bambina cocciuta che aveva conosciuto quasi dieci
anni prima, non volevo cedere, dimostrandogli che aveva ragione, ancora una volta.
Sapevo di non avere segreti per Dollar, ma odiavo il suo continuo rinfacciarmi
le mie piccole bugie bianche.
«Doll,
devo andare a lavorare».
Gettai la carta della merendina dentro al lavello, senza nemmeno guardarlo o
avvicinarmi a lui; infatti girai attorno alla tavola, evitando addirittura di
parlargli ancora una volta.
«Il tuo
turno comincia tra quattro ore, assieme a quello di Lexi, l’ha detto John ieri
sera, mentre eravate impegnate a cantare Born
in the USA». Mi stava
seguendo come se fosse la mia ombra, mentre camminavo verso la mia camera, per
cambiarmi. Quando, dopo aver chiuso la porta alle mie spalle, Dollar la aprì,
seguendomi anche lì, sbuffai infastidita, tornando subito in cucina. Sapevo che
mi avrebbe seguita fino a quando non avessi ceduto, ma era l’ultima cosa che
volevo fare.
«Posso
almeno andare in bagno da sola per farmi una doccia?» sibilai, ironica.Tentare di evitarlo fu impossibile: andai a
sbattere dritta contro il suo petto. Alzai lo sguardo; i suoi occhi divertiti
mi canzonavano ammiccanti.
Arricciò le labbra, ci stava pensando, poi schioccò la
lingua e ribatté: «tanto ti
ho già visto nuda, quindi se vengo in bagno con te non ci sono problemi. Se
vuoi ti insapono la schiena».
Mi fece l’occhiolino per farmi capire che era una battuta.
Ma ero sicura che se gli avessi detto di sì, non si sarebbe di certo tirato
indietro.
«Sei uno
stupido, ti hanno rovinato» esplosi
rabbiosa, senza pensare alle parole che stavo pronunciando.
Istintivamente le mani di Dollar si chiusero attorno ai miei
polsi, quasi in un gesto rabbioso. Quando alzai lo sguardo per intimargli di
lasciarmi andare, rabbrividii, spaventata: il ghigno divertito era sparito,
lasciando spazio a una smorfia paurosa che assomigliava decisamente troppo a quella
di Ryan.
«Non mi
hanno rovinato, mi hanno salvato. Senza di loro non so nemmeno dove potrei
essere. E dovresti saperlo, visto che sei sempre stata con me, no? È stato
grazie a JC che ti ho conosciuta, o fingi di non ricordare nemmeno questo?». La presa salda e il suo corpo
che mi spingeva sempre di più verso la tavola, intrappolandomi. No che non me
lo ero dimenticata, come avrei potuto farlo?
«Lasciami, non ho voglia di
parlare adesso». Un ultimo,
disperato, tentativo, visto che sentivo le mie barriere crollare sotto al suo
sguardo e alla vicinanza del suo corpo. Dollar sapeva annientare tutte le mie
paure, perché quando lui era al mio fianco, non riuscivo a non vedere il lato
positivo di tutto e tutti.
«E invece
parliamo. Voglio parlare, Aria, voglio sapere perché fingi che non ci sia mai
stato niente tra di noi e fingi che io sia come Ryan, Brandon o gli altri. Non
sono così stupido, lo capisco e mi fa male». La presa era diventata meno aggressiva, quasi dolce, forse
perché continuava a disegnare cerchi con il pollice lì, dove fino a poco prima
aveva stretto.
«Perché? È
così difficile da capire, Jack? Perché non è facile vederti e fare finta di
niente, sai? Non mi vergogno a mostrare i miei sentimenti come fate voi, se uno
ama, lo fa e basta, non finge di essere annoiato, arrabbiato o pieno di rabbia.
Ami, lo fai e basta, non ti vergogni, non ci sono sotterfugi o altro. C’è solo
l’amore. E quando non è così, tanto vale non amare». Perché si ama con tutto il cuore e con tutto il corpo, non
si ama solo quando si fa l’amore, si ama sempre.
«Non mi
sono mai vergognato di te, Aria. Cosa ti salta in mente? Non ho mai nascosto
niente a nessuno, sapevano tutti che stavamo assieme, sapevano quando venivi lì
per trombare e quando lo facevi per guardare un film». Sentivo il suo corpo premere contro al mio, intrappolato dal
tavolo dietro di me. Non c’era via d’uscita, come se quello fosse stato il
momento di reagire e dire quello che avevo sempre pensato.
«Sì, e poi
alla prima occasione, quando io non potevo trombare, te ne scopavi un’altra,
no?». Cercai di mettere tutto
il mio disprezzo in quella frase, forse perché speravo di poter confondere
Dollar e allontanarlo dalla verità, conducendolo verso una bugia.
Non mi era mai interessato delle altre, quelle che sapevo
c’erano durante le loro feste. Non ero mai stata la Signora di Dollar e non mi
interessava avere quel titolo; volevo solo il suo rispetto, quello che sapevo
mi aveva dato. Per questo continuavo a mentirgli: speravo che si arrabbiasse
tanto da perdere la ragione, dicendomi quello che già sapevo, cioè che non mi
aveva mai veramente tradita, quando eravamo una coppia.
«Non
prendermi per il culo, Aria. Non cercare di mentirmi, ti conosco meglio di quanto
non conosca me stesso, non rifilarmi la scusa che ti tradivo perché sai che non
è vero. Non ho mai toccato nessuna quando ero con te. Ora dimmi il vero motivo
per cui non mi guardi e mi eviti».
Prese il mio mento tra le sue dita, alzando il mio volto a forza perché non
potessi sfuggirgli.
Lasciai che alcune lacrime solcassero il mio viso, mentre mi
preparavo a scoppiare. «Perché,
Jack? Perché credi sia facile sapere che potresti non tornare a casa la sera?
Non me ne frega poi tanto se mi tradisci, tanto anche se non sono la tua
Signora c’è quella stupida regola e non lo faresti comunque. Ma è il tuo
continuo ferirmi, il sapere che ci facciamo male perché quando qualcuno di noi
si farà male, l’altro soffrirà. Non credi anche tu che sia così? Non ti fa male
il solo pensiero di svegliarti una mattina e sapere che non puoi più vedere il
tuo sorriso perché ti hanno ferito? Be’, è così per me, sarà perché sono
stronza, sarà perché sono una donna o forse perché ti amo, ma non ce la faccio
a vedere grigio. Voglio bianco, voglio nero, ti voglio sempre con me o non
voglio nemmeno ricordarmi che esisti, perché vederti ogni tanto mi fa male
Jack. È come se ti stessi trasformando in Ryan, guardo te e vedo lui dieci anni
fa, quando ha creato gli Eagles, è la stessa immagine. Fiero di farne parte,
che si gode la vita e che si sbatte la prima puttanella che apre le gambe per
diventare una Signora. Io non sono così, io lo facevo perché ti amavo, è
difficile da capire? Sì, a quanto pare».
Quanto avevo urlato? Molto, probabilmente, visto che Dollar si era allontanato
di un passo, lasciando il mio volto. «E
la cosa che mi fa più male, vuoi sapere qual è? Che in questi tre giorni,
averti avuto al mio fianco di nuovo mi ha fatto ritornare ai vecchi tempi, e
sono stata bene, sai? Perché è difficile stare senza di te». Con un gesto quasi rabbioso
tolsi la lacrima dalla mia guancia con la mano, cercando di non farne uscire
altre. Era impossibile, visto che il volto di Dollar mi appariva tutto
sfuocato.
«Riproviamoci.
Diventa la mia Signora ufficialmente. Nessuno potrà più toccarti e sai che non
ti tradirò mai, potrai venire alle feste e sarai protetta. I ragazzi non
obietteranno». Un passo verso
di me, tanto che ancora una volta il suo corpo si appoggiò al mio. Era testardo
come un mulo, lo sapevo, ma la situazione si stava dimostrando ancora peggio di
quello che mi ero immaginata.
«Non hai
capito niente di quello che ti ho detto, vero?» non riuscii a trattenere una risata quasi isterica tra le
lacrime. Dollar era ancora un bambino; cresciuto troppo in fretta sotto molti
aspetti, ma rimaneva sempre un piccolo bambino cocciuto; il mio piccolo Jack
cocciuto.
«Certo che
ho capito. Hai paura e ti manco, ma tu non hai capito quello che io ti ho
detto: ti voglio con me, come mia Signora. Perché mi manchi, anche adesso». Spinse il suo bacino verso di
me, punzecchiandomi. Socchiusi gli occhi, cercando di non cadere nella sua
trappola: Dollar sapeva come tentarmi, era sempre stato bravo a farlo. Ma non
volevo cedere alle sue parole, perché poteva benissimo mentirmi.
«Jack,
smettila» mormorai, cercando
di ritrarmi dal suo corpo. Nonostante la mia altezza, Dollar mi superava, tanto
che arrivavo su per giù al suo naso. Non riuscivo nemmeno a ragionare, non se
le sue labbra sfioravano le mie, mentre mi guardava con quello sguardo di
sfida, tentandomi.
«Andiamo,
ti sto dicendo che mi manchi, se non è così anche per te, perché non me lo fai
capire? Non senti quanto mi manchi?».
Portò la mia mano sul cavallo dei suoi pantaloni, forse perché credeva che non
me ne fossi accorta. La ritirai subito, voltando il viso dall’altra parte per
non guardare il suo ghigno soddisfatto. «La
piccola Aria si vergogna, lei che è così pudica, no?». Sentii la sua mano solleticare il mio fianco, mentre
continuava a tenermi intrappolata, senza che potessi liberarmi.
«Smettila,
stai facendo esattamente quello che odio»
sbottai, cacciando indietro le lacrime e puntando le braccia contro il suo
petto, per allontanarlo, inutilmente.
«Cosa odi?
Il fatto che io ti desideri? Il fatto che ti faccia capire quanto mi manchi?
Non capisco, Aria». Si portò
una mano tra i capelli, facendo una smorfia buffa che gli increspò tutta la
cicatrice, esattamente come succedeva quando non capiva qualcosa. Quello,
quello era il mio Jack. Non c’era Ryan in quella confusione.
«Il fatto
che tu riduca tutto al sesso. Sembra che tu voglia solo scopare con me». Scossi la testa, abbassando lo
sguardo involontariamente.
«Non
voglio fare sesso con te, non ricordi? Noi non facciamo sesso, non trombiamo,
noi facciamo l’amore. E voglio fare l’amore adesso, con te, qui. Non me ne
frega se siamo in cucina e se sei ancora mezza sbronza da ieri sera. Io ti
voglio». Circondò il mio
volto con le sue mani, avvicinandosi lentamente a me, sfiorando le mie labbra
con le sue senza veramente toccarle. Mi stava semplicemente facendo impazzire.
Mi tentava; lo faceva il suo respiro caldo che si infrangeva contro le mie
labbra, lo facevano i suoi occhi verdi che scrutavano dentro i miei, come se
cercassero di leggermi l’anima. «Fermami
e me ne vado, ma fallo solo se non mi vuoi più. Se è un no definitivo,
altrimenti riproviamoci».
No, non sarebbe mai stato un no definitivo per lui, mai.
Azzerai la distanza tra le nostre labbra, lasciando che un sospiro mi sfuggisse,
morendo sulla sua pelle.
Le mie mani ritrovarono con troppa facilità confidenza con
il suo collo, mentre salivo verso la sua nuca, per sfiorarlo, perché sapevo che
quel gesto gli dava i brividi. Raggiunti i suoi capelli cominciai a giocare con
qualche ciocca, mentre Dollar si muoveva contro di me, togliendomi il respiro.
Mi staccai dalle sue labbra ansante, socchiudendo gli occhi mentre appoggiavo
la fronte contro alla sua spalla.
La sua mano sollevò la maglia che portavo, arrivando al mio
ventre, che cominciò a sfiorare con i polpastrelli, mentre mi inarcavo verso di
lui. Sentii una sua risatina contro il mio lobo, prima che lo stuzzicasse con i
denti. «Ti manco, non è vero?». La sua mano salì, catturandomi
un seno, stretto dalla stoffa del reggiseno; a quel gesto mugolai, inarcando la
schiena, in cerca del calore del suo corpo contro al mio. «Lo so che ti manco Aria, lo sento»; con l’altra sua mano corse sulla
mia schiena, per slacciarmi il reggiseno. Istintivamente portai le mani a
poggiarsi sulla tavola dietro di me, visto che le mie gambe cominciavano a
cedere, a causa del peso della passione. «Se non ti mancassi, il tuo corpo non reagirebbe così». Strofinò il palmo della sua mano
contro al mio seno, per farmi capire che non si sbagliava. Cercavo di mordermi
le labbra per trattenere un gemito, ma quando la mano di Dollar scese,
sfiorandomi sopra gli slip, un mugolio di piacere mi sfuggì, facendolo ridere
soddisfatto. «Non sono poi
cambiate le cose che ti piacciono, eh, piccola?» soffiò al mio orecchio, scostandomi l’intimo mentre si
sistemava al mio fianco, senza che il suo inguine perdesse il contatto con il
mio corpo. «Quello che piace
a te, piace anche a me, lo sai»
scherzò, la voce già roca per l’eccitazione e un’erezione evidente sotto i jeans.
«Ora, se ti manco e mi vuoi,
be’»
spiegò, continuando con
le sue carezze sempre più profonde che mi mandavano ondate di piacere talmente
forti da costringermi a socchiudere gli occhi, «altrimenti se è un no definitivo mi fermo». Smise di accarezzarmi, lasciando
che mi sfuggisse un gemito frustrato per quella tortura che mi stava
infliggendo.
«Jack…» mormorai, circondandogli il volto
con le mie mani e attirandolo a me. Sentii le sue labbra tendersi in un
sorriso, mentre mi baciava, portando le sue mani sui miei fianchi e
sollevandomi perché potessi sedermi sul tavolo.
«Jack,
Jack, Jack» cantilenò,
scherzando, mentre le sue mani alzavano la maglia, togliendola; in pochi
secondi mi ritrovai solamente con gli slip addosso. Non provavo vergogna e non
pensai nemmeno di coprire il mio seno nudo, che si alzava e abbassava
velocemente, a causa delle carezze di Dollar. Portai le mani sul collo della
sua maglia tirando per levargliela e, quando ci riuscii, la lanciai per terra,
portando le mani sulle sue spalle e attirandolo a me. Baciai il tatuaggio sopra
al suo cuore, quella piccola aquila stilizzata che voleva emulare quella di
Ryan e salii su, verso il suo collo che mordicchiai e torturai, fino a quando
non ringhiò, frustrato. Sapevo cosa gli piaceva e cosa no, sapevo condurlo al
punto di non ritorno e sapevo farlo impazzire. «Aria…» mi
ammonì, calandosi i pantaloni e i boxer in un gesto solo. Non riuscii a
trattenere una risata divertita, vedendolo così impaziente; risata che morì
sulle mie labbra, quando si abbassò a baciare un mio seno, mentre sfilava i
miei slip in un gesto veloce. «Aria» tornò a ripetere, baciando le mie
labbra e muovendosi contro di me per farmi impazzire, senza mai accontentarmi,
nemmeno quando cercavo di tentarlo muovendo il mio bacino contro di lui.
«Fanculo» sbottai, allacciando un braccio
attorno al suo collo e facendo aderire i miei seni contro al suo petto,
ottenendo la reazione che mi aspettavo. Dollar gemette, portando una mano sulla
mia schiena e premendomi contro di lui, prima di appoggiarmi di nuovo alla
tavola, per potersi unire a me.
Reclinai la testa all’indietro, mentre Dollar gemeva,
cercando di trattenersi; riuscivo a sentirlo: lentamente, diventava una cosa
sola con me, le sue labbra mi accarezzavano la tempia e le sue mani sfioravano
il mio corpo. Potevo sentirmi finalmente completa, con Dollar dentro di me.
Perché sapevo di amarlo, e sapevo che non sarei mai riuscita
a rimanere senza di lui. «Jack…
non, non ferirmi di nuovo»
ansimai, mordendo la sua spalla, cercando di trattenere i gemiti che non
riuscivo a reprimere a causa delle sue spinte.
Stare tra le braccia di Dollar era come tornare a casa,
sentire il sapore della sua pelle sulle mie labbra era quasi eccitante, ma lo
era ancora di più il suo corpo contro, dentro, al mio, mentre cercavamo di
rincorrere un piacere che sembravamo quasi raggiungere, prima che scappasse di
nuovo. Quando Dollar aumentò il ritmo delle sue spinte, non riuscii a
trattenermi, gemendo il suo nome mentre gli graffiavo la schiena con le mie
unghie. Sorrise, un sorriso tirato, mentre, stanca e soddisfatta, andavo
incontro alle sue spinte, muovendo il mio bacino. Vedere la sua mascella
contrarsi e la smorfia di piacere sul suo viso era quasi più piacevole
dell’orgasmo stesso, forse perché mi sembrava di essere ritornata indietro nel
tempo. Dollar si accasciò sul mio corpo, dandomi un bacio sul mento, mentre
cercavamo di riprendere fiato.
«Dobbiamo
andare da Ryan, subito. Devo presentare ufficialmente la mia Signora. Nessuno potrà
toccarti o sfiorarti senza il mio permesso» mormorò, senza però sciogliere il nostro abbraccio e
interrompere il contatto tra i nostri corpi. Non riuscii a trattenere una
risatina, rimanendo con la schiena appoggiata al tavolo; certo, ora era una cosa
a senso unico.
«Dovresti
anche ricordare che non puoi tradirmi»
sussurrai, sfiorando la sua nuca con la punta delle dita e facendolo
rabbrividire. Appoggiò il mento al centro del mio petto, guardandomi con
un’espressione buffa che mi fece ridere di nuovo, felice.
«Come?
Cosa?» scherzò, senza
trattenere un attacco di risa. Le sue labbra scesero a baciare la pelle candida
del mio seno, risvegliando quella voglia di lui che avevo assopito per troppo
tempo. «Andiamo, perché
altrimenti non esco più da qui».
Sembrava quasi dispiaciuto da quella cosa, e questo mi fece ridere di nuovo.
Incredibile quanto Dollar potesse condizionare il mio umore: bastava sapere che
sarebbe stato di nuovo accanto a me, e riuscivo a vedere tutto più luminoso,
quasi.
«Aspetta» sussurrai, prendendo la sua mano
e attirandolo verso di me, dopo essermi seduta sulla tavola. «Dimentichi questo». Era la risposta al suo sguardo
confuso, dopo che l’avevo attirato di nuovo verso di me. Posai le mie labbra
sulla sua cicatrice, accarezzandola piano: dalla fronte al mento, in una
carezza fatta solo dalla bocca. Ora, come aveva sempre fatto, poteva andare,
avevamo veramente finito di fare l’amore.
Oooooook,
sì, lo so.
Non
ha molto senso e forse non c’entrava poi molto con la storia, ma le vostre
recensioni che parlavano di quanto Dollar e Aria fossero carini mi hanno
impressionato. O forse mi ha stupito il non essermi accorta che alla mattina
Dollar non era al 3B. così sono andata a controllare a casa di Aria e…
Vorrei
però che fosse chiara una cosa, prima di sembrare una pazza
(visto che rompo spesso le palle con la distinzione). Non è
sesso, è
amore. In una forma malata, estrema, qualsiasi cosa vogliate chiamarla,
ma è amore. È il ritrovarsi
e potersi finalmente appartenere di nuovo dopo aver sofferto per la
lontananza,
è sentirsi di nuovo a casa. Aria e Dollar ritornano a casa.
E
non era voluto, perché ripeto: Aria non è uno dei personaggi che c’erano, è
nata nel capitolo del Phoenix quasi per sbaglio e poi mi è piaciuta, quindi ho
deciso di darle un ruolo più di spessore.
Esagerato
il fatto che lei sia la Signora di Dollar? Non lo credo; Brandon aveva detto
una frase specifica a Lexi e quindi non mi sembra forzato. Poi non è nemmeno
detto che le cose vadano bene, eh! :D
Grazie
infinite a chi ha letto anche questa cosina, un po’ senza senso, un po’ idiota
e un po’ porno.
Ricordo
che fatti persone e luoghi non sono puramente casuali ma sono tratti dalla mia
long: You saved me.
Rob.
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