“When
you try
your best but you don’t succeed
When you get what you want but not what
you need
When you feel so tired but you
can’t sleep
Stuck in reverse.
And the tears
come streaming down your face
When you lose something you
can’t replace
When you love someone but it goes to
waste
Could it be worse?
Fix you, Coldplay
La
prima volta che aveva incontrato Lacey era rientrato a Londra solo da
qualche
giorno. Lui e i ragazzi avevano appena terminato il tour, e per qualche
mese
sarebbero stati tranquilli. Solo qualche intervista, qualche servizio,
ma
sempre lì, in città. Gliel’avevano
promesso.
Perciò,
quella mattina si
era mascherato il meglio che poteva, con cappello, sciarpa e occhiali
da sole e
si era diretto verso la metropolitana. Era a Tottenham Court Road,
quando lei era salita nel suo
stesso
scompartimento, avvolta in un lungo cardigan bianco, che scendeva fino
a
sfiorarle la metà coscia. L’aveva guardata appena,
perché tutto, in lei,
gridava “normalità”. E, al momento, gli
era sembrata così banale
– con quei banali capelli castani e con quei comunissimi
occhi marroni – che non l’aveva reputata nemmeno
degna della sua attenzione.
Poi, però, Lacey si era alzata per cedere il posto ad una
signora anziana, che
si guardava intorno nella speranza che uno degli altri passeggeri
avesse pietà
di lei e dei suoi reumatismi.
«Prenda pure
il mio posto,
signora. Io scendo alla prossima, tanto.» aveva detto, con
quella voce delicata
e un po’ da bambina. Aveva sorriso ed Harry, che osservava la
scena quasi con
indifferenza, non aveva più potuto trovarla normale, banale
o anonima.
Quel sorriso, fugace e
improvviso, l’aveva tormentato per giorni. Se l’era
addirittura sognato,
qualche volta.
I giorni passavano, la
vita andava avanti e la sua fama cresceva. Aveva tutto quello che
voleva e non
importava che si trattasse di soldi, di vestiti, di ragazze o di
chissà che
altro. Eppure non aveva ancora visto nessuno con un sorriso come quello
della
banale ragazza della metro.
La
seconda volta che aveva incontrato Lacey, Harry aveva ringraziato il
cielo per
avergli permesso di vedere di nuovo quel sorriso.
Aveva preso la metro
di
nuovo, alla stessa identica ora della volta precedente. Non sapeva
nemmeno per
quale motivo l’avesse fatto, fatto sta che quel giorno si era
svegliato con una
strana sensazione, come se dovesse fare qualcosa di importante, anche
se non
aveva idea di cosa fosse. Perciò si era camuffato e aveva
iniziato a vagare
senza meta, fino a che quel sorriso non gli era tornato alla mente,
insieme al
desiderio di rivederlo. Era stato allora, che aveva deciso di prendere
la prima
metro per Tottenham e aveva incrociato le dita.
E lei era salita,
questa
volta con indosso un vestito verde menta lungo quasi fino alle
ginocchia.
Parlava concitatamente al telefono e sorrideva.
«Finiscila
di dire
cavolate, Milly. Tanto non mi convinci ad accompagnarti.»
senza rivolgergli
nemmeno un’occhiata, gli si era seduta accanto e aveva
accavallato le gambe in
un modo grazioso e del tutto privo di malizia.
«E va bene,
va bene. Ti
accompagno, ma che sia l’ultima volta.» aveva
borbottato, tuttavia ancora
sorridente. Harry l’aveva guardata con la coda
dell’occhio, quasi sperando che
lei si voltasse verso di lui e ricambiasse la sua occhiata curiosa.
Invece
Lacey si era limitata a infilare il telefono nella borsa panna, e a
guardarsi
distrattamente intorno.
Si era alzata in piedi
quando la metro aveva cominciato a rallentare. Poi le porte si erano
aperte e
lei era scivolata fuori dallo scompartimento piuttosto velocemente,
confondendosi
con la folla. Harry aveva gettato uno sguardo al posto che poco prima
lei aveva
occupato e si era accorto che c’era un braccialetto in
argento, con un piccolo
ciondolo a forma di cuore.
Era sceso al volo, un
istante prima che le porte si chiudessero e che la metro ripartisse. Si
era
guardato intorno, individuando quasi subito il verde brillante del
vestito
della ragazza.
L’aveva
raggiunta
velocemente e l’aveva fermata mettendole una mano sulla
spalla. Lei aveva
sussultato, colta di sorpresa.
«Mi
dispiace, non volevo
spaventarti.» si era scusato Harry, rivolgendole un sorriso
tranquillo. Sperava
davvero che non fosse una sua fan o che almeno, se lo fosse stata, non
avesse
intenzione di mettersi ad urlare.
«Figurati.
Ti serve
qualcosa?» aveva domandato, gentile.
Sorridi,
aveva pensato Harry. Sorridi.
«Credo che
questo sia
tuo…» le aveva detto, allungando la mano e facendo
dondolare il braccialetto.
Gli occhi di Lacey si erano illuminati, increduli e lei aveva annuito
prima di
afferrarlo e posarlo sul polso fine.
«Ti
dispiacerebbe…» aveva
mormorato, mentre le guance le si coloravano di rosso.
Harry aveva sorriso,
poi
aveva afferrato i due ganci del braccialetto e l’aveva
allacciato.
«Ecco
fatto.»
«Sei stato
molto gentile.
Non so proprio come ringraziarti, davvero. È
l’ultimo regalo di mia nonna e mi
stavo già disperando. Magari non dovevi neanche scendere qui
e invece per colpa
mia…» aveva farfugliato Lacey, in
difficoltà. «Lascia almeno che ti paghi il
biglietto per la prossima metro…»
Harry aveva riso e
aveva
interrotto il suo sproloquio con un cenno della mano.
«E se invece
fossi io ad
offrirti un caffè?» aveva proposto. Lacey era
arrossita vistosamente.
Per un lungo attimo
Harry
aveva creduto che gli avrebbe detto di no e che l’avrebbe
piantato in asso come
un povero deficiente. Invece lei aveva sorriso e aveva annuito
timidamente.
«Come ti
chiami?» le aveva
chiesto. Oppure avrebbe continuato a chiamarla “ragazza con
il bel sorriso”.
«Lacey.
Lacey Potter.»
«Piacere di
conoscerti,
Lacey. Io sono Harry.»
La
prima volta che Harry aveva baciato Lacey, lei era corsa via senza
nemmeno
dirgli una parola. Stavano camminando lungo Hyde Park, parlando del
più e del
meno.
Era strano come Lacey
e il
suo sorriso fossero entrati nella vita di Harry.
All’improvviso,
si era
accorto di aver bisogno di qualcosa. Qualcosa che i soldi che aveva
iniziato a
guadagnare non potevano certo comprargli. Aveva bisogno di qualcuno che
lo
apprezzasse per quello che era e non per quello che mostrava di essere.
E Lacey
l’aveva fatto.
Quando le aveva parlato dei One Direction, si era quasi aspettato che
lei gli
dicesse di averlo sempre saputo, che la sua tranquillità era
solo una maschera
che si era imposta per arrivare a lui. Invece Lacey se n’era
uscita con un «e
allora?» che l’aveva lasciato completamente
spiazzato.
«E
allora?» aveva
ripetuto, sentendosi un po’ idiota.
«Si, e
allora? Cosa ti
aspetti da me, Harry?» gli aveva chiesto lei, portandosi un
ciuffo di capelli
castani dietro le orecchie.
«Non
capisco. Che vuoi
dire?» e davvero non riusciva a capire. Tutte volevano
qualcosa da lui, sempre.
Chi un autografo, chi una foto, chi un bacio, chi una notte di fuoco,
chi il
numero di uno dei ragazzi.
«Cosa ti
aspetti che
faccia, ora che mi hai detto questa cosa? Non vorrai mica uno
striscione, un
pianto isterico, un applauso, o…»
Lacey non aveva fatto
in
tempo a finire la frase, che lui le aveva afferrato il viso con
entrambe le
mani e l’aveva baciata. Lei era rimasta immobile,
completamente impietrita.
Quando
l’aveva lasciata
andare, aveva gli occhi un po’ lucidi e sembrava parecchio
confusa. Harry
avrebbe voluto parlare, ma lei gli aveva voltato le spalle ed era corsa
via,
senza rivolgergli neanche un saluto.
C’era
rimasto di sasso e
quella stessa notte non era riuscito a chiudere occhio nemmeno per un
minuto.
Era stanco, sapeva di esserlo, eppure non riusciva ad addormentarsi. Si
era
rigirato nel letto per ore, preda di pensieri scomodi che gli ronzavano
in
testa come uno sciame di api. Il più ricorrente, era il
risentimento verso sé
stesso e verso quell’impulsività che il
più delle volte non riusciva a
contenere. Non poteva credere di essersi giocato ogni
possibilità con Lacey.
Eppure le sue labbra erano così morbide e lei era
così dolce, che se solo ci
ripensava gli tornava la voglia di baciarla.
La
prima volta che Lacey aveva baciato Harry, lui aveva pensato che non
l’avrebbe
più lasciata andare.
Era stata lei a
chiamarlo,
un paio di giorni dopo il bacio a tradimento e, per grande sorpresa di
Harry,
gli aveva chiesto di incontrarsi.
Così, una
volta faccia a
faccia, Harry aveva preso in mano le redini della situazione e aveva
iniziato a
parlare.
«Mi
dispiace, Lacey. Non
avrei dovuto baciarti.» le aveva sussurrato, facendola
arrossire. Lei aveva
scosso la testa, prima di accarezzargli la guancia con dolcezza e
salire fino
alla fronte, per poi scostargli un ciuffo di capelli.
«Scusami tu.
Non era mia
intenzione mollarti lì così. Solo che non me
l’aspettavo e mi hai preso un po’
alla sprovvista.» aveva spiegato. Erano rimasti in silenzio
per qualche minuto,
ognuno perso nei propri pensieri, poi Lacey lo aveva afferrato
timidamente per
la manica della felpa e lo aveva costretto a girarsi verso di lei.
«Harry…»
aveva mormorato,
mordendosi il labbro inferiore, con aria indecisa e parecchio
tormentata.
«Dimmi.»
«Posso
baciarti?» era
arrossita vistosamente, ma aveva continuato a guardarlo negli occhi,
senza
distogliere lo sguardo un solo istante. Ed Harry non riusciva a credere
di aver
potuto definire “comunissimi”
quegli
occhi. Erano così caldi e così intensi, che non
si sarebbe mai stancato di
guardarli.
Perciò
aveva sorriso e
aveva aspettato con impazienza che Lacey trovasse il coraggio di
baciarlo. E
alla fine, quando lei si era alzata lievemente sulle punte e aveva
sfiorato
delicatamente le labbra con le sue, le aveva passato un braccio intorno
alla
vita e l’aveva stretta a sé, certo che, quella
volta, non sarebbe scappata.
La
prima volta che i ragazzi avevano incontrato Lacey, avevano dichiarato
senza
mezzi termini che sarebbe stata perfetta, per mettere a posto la testa
bacata
di Harry.
Lacey aveva riso,
divertita, prima di baciare Harry sulla guancia e sussurrargli che in
realtà lo
sapeva, che la sua testa non era tanto bacata come tutti pensavano.
Era stata quella sera
stessa, che Harry le aveva chiesto di stare con lui in via ufficiale.
I ragazzi si erano
lasciati andare ad esclamazioni entusiastiche, in particolare Louis,
che
continuava a dire che finalmente “il
suo piccolo Harry era diventato grande”,
fingendo di asciugarsi una lacrima. Avevano riso tutti quanti e Lacey
non aveva
potuto fare a meno di pensare che, nonostante fossero famosi,
costantemente
osservati e con un patrimonio non del tutto irrilevante, erano
esattamente come
lei: normali. Avevano degli amici, delle fidanzate (Louis e Liam) e dei
genitori ai quali ancora, nonostante fossero tutti maggiorenni,
rendevano
conto.
«E
tu?» aveva chiesto
Liam, rivolgendo a Lacey un’occhiata di sincera
curiosità.
«Io?
Be’, io lavoro
part-time in una scuola materna. Non pagano tanto, ma mi
accontento.»
«Scommetto
che i bambini
ti adorano.» aveva ridacchiato Louis, guadagnandosi
un’occhiata in tralice da
Harry.
«Che
c’è?» aveva chiesto
poi «Non sarai mica geloso dei bambini! Hanno tre
anni.»
Harry aveva fatto
spallucce, prima di avvolgere i fianchi di quella che era – a
tutti gli effetti
– la sua ragazza e stamparle un bacio sulle labbra morbide.
Lacey era arrossita
– non
era abituata a quelle manifestazioni d’affetto – e
aveva nascosto la testa
nell’incavo tra il collo e la spalla di Harry.
«E di un
po’, avresti una
sorella per Niall? O per Zayn?» aveva continuato Louis,
meritandosi un pugno da
entrambi gli amici. Lacey aveva ridacchiato, divertita.
«Ho una
sorella, ma ha
ventisei anni ed è già sposata.» aveva
raccontato, sorridendo a Niall e Zayn in
segno di scuse.
«Oh,
be’. Quando lascerai
Harry, io sono qui.» si era offerto Niall, prima di iniziare
a mangiare i
pop-corn che Liam aveva appena rovesciato in una ciotola grande quanto
una
bacinella.
«E
perché mai dovrebbe
lasciarmi? Guardami, sono perfetto!» si era pavoneggiato
Harry.
Ancora non sapeva che
quella perfezione che tanto vantava, sarebbe stata la sua rovina.
La
prima volta che Lacey parlò ad Harry delle sue paure, lo
fece con le lacrime
agli occhi, ma con la dignità di una persona in grado di
fronteggiare qualunque
situazione la vita le avrebbe messo davanti.
Erano in camera di
Lacey
ed Harry le stava accarezzando con dolcezza la schiena nuda.
La sentiva
rabbrividire ad
ogni suo tocco, nonostante, ormai, il corpo di Lacey si fosse abituato
al
contatto e alla vicinanza con quello di Harry. Lo conosceva alla
perfezione,
eppure bastava una sua carezza per farla vibrare come la corda di un
violino.
«Sai, ho
paura che prima o
poi ti stancherai di me.» gli aveva confessato, stringendosi
al suo petto e
posando la testa esattamente sopra il suo cuore. Harry le aveva
accarezzato i
capelli con tenerezza.
«Che dici?
Non potrei mai
stancarmi di te, Lacey.» le aveva lasciato un bacio sulla
testa e aveva sospirato.
Ormai, il solo pensiero di stare senza di lei, era diventato
insostenibile.
Lacey era tutto
ciò di cui
aveva bisogno.
«È
che domani parti per il
prossimo tour, e incontrerai di sicuro qualcuna più bella di
me, più simpatica,
più speciale. Qualcuna che non odia le feste di compleanno,
qualcuna che non
arrossisce ogni venti secondi…» aveva iniziato a
sproloquiare, sull’orlo del
pianto, ed Harry non aveva potuto fare a meno di stringerla ancora di
più a sé.
«Okay,
stammi bene a
sentire, Lacey: sono innamorato di te. Le altre non le vedo
neanche.» e nel
momento stesso in cui l’aveva detto, Harry si era accorto che
era assolutamente
vero. Era innamorato di Lacey. Sinceramente, come non gli era mai
capitato in
tutta la sua vita. Non aveva mai conosciuto una ragazza come lei. Come
avrebbe
potuto anche solo pensare di guardare qualcun’altra?
C’era solo lei, Lacey.
«A-anche io
s-sono
in-innamorata d-di t-te.» aveva balbettato Lacey, nascondendo
la testa sul
petto di Harry, per evitare che lui la vedesse arrossire per
l’ennesima volta.
Harry aveva sorriso,
prima
di costringerla con delicatezza a sollevare il volto.
L’aveva
baciata, pensando
che mai e poi mai l’avrebbe fatta soffrire.
«Te lo
prometto.» aveva
detto, serio. E Lacey gli aveva creduto, perché gli occhi
verdi di Harry erano
così sinceri e così limpidi che mai avrebbe
potuto dubitare che le potesse
mentire.
Erano
passati tre mesi, da quando era iniziato il tour dei One Direction.
Avevano
girato praticamente mezzo mondo e ne avrebbero avuto ancora per due
settimane.
I primi giorni, Harry
non
aveva fatto altro se non pensare a Lacey, al suo sorriso dolce, al suo
profumo,
al suo modo di pronunciare il suo nome quando facevano
l’amore. La chiamava in
ogni momento libero, raccontandole tutto, ogni cosa. E Lacey, lontana
chissà
quanti chilometri, rideva con lui, gli raccontava dei suoi bambini che
la
facevano impazzire e gli diceva che gli mancava e che senza di lui non
era più
la stessa cosa.
Trascorso il primo
mese,
Harry aveva iniziato a chiamarla un po’ meno frequentemente,
perché gli impegni
si erano come moltiplicati, le prove erano sempre più dure e
loro erano sempre
più stanchi. Soprattutto lui, che avrebbe voluto avere Lacey
accanto a sé, per
sentirle dire con quella voce dolce che tutto andava bene, che la
stanchezza
faceva parte del lavoro e che era orgogliosa di lui.
Così aveva
iniziato a
cercare Lacey in ogni ragazza che conosceva. Allo scadere del terzo
mese,
ancora non aveva trovato nessuna come lei. Qualcuna aveva lo stesso
colore di
capelli, una lo stesso taglio degli occhi, una la stessa forma del
viso, ma
nessuna, nessuna, aveva il suo stesso sorriso.
Poi aveva incontrato
Marisol
e lei aveva lo stesso sorriso di Lacey e gli stessi capelli.
Ma Lacey era lontana,
in
Inghilterra, e lui invece era lì, in Argentina.
Così,
quando Marisol gli
aveva offerto qualcosa da bere, nel bar in cui lui e i ragazzi avevano
deciso
di trascorrere la serata, Harry aveva accettato, perché
aveva bisogno di sentire Lacey
accanto a sé almeno
per un po’ e la breve telefonata di quella sera non aveva
fatto altro se non
accrescere la nostalgia di lei.
Con la
complicità di un
numero piuttosto elevato di alcolici, Marisol aveva convinto Harry a
seguirla a
casa sua, senza correggerlo nemmeno una volta, quando lui la chiamava
col nome
della ragazza di cui era – evidentemente - innamorato. In un
ultimo bagliore di
lucidità, Harry si era reso conto che il colore dei capelli
della ragazza era
più scuro e che il sorriso era troppo malizioso. Poi Marisol
si era spogliata
ed Harry non ricordava più niente.
Si era svegliato la
mattina dopo, confuso, frastornato e preda dei sensi di colpa. Aveva
vomitato
anche l’anima, ma non avrebbe saputo dire se per colpa
dell’alcol o per il modo
in cui si sentiva. Credeva di più alla seconda
possibilità, però, perché se
solo ripensava a Marisol, gli veniva voglia di correre in bagno
un’altra volta
e cacciarsi le dita in gola.
Non
appena aveva fatto ritorno a Londra, Harry aveva deciso di confessare
la verità
a Lacey, perché le aveva promesso che sarebbe sempre stato
sincero con lei.
«Ti ho
tradita.» nuda, cruda
e terribile, ecco com’era la realtà.
E Lacey
l’aveva accettata
con la sua solita dignità. All’inizio, almeno. Poi
si era scatenata contro di
lui con tutta la rabbia, la delusione e l’amore che aveva in
corpo.
Lo aveva accusato di
essere un bastardo senza cuore, uno stronzo egoista, un ragazzino
viziato che
era convinto di poter avere tutto quello che voleva.
«Hai voluto
il mio cuore?
Te lo sei preso! Hai voluto il mio corpo? Ti sei preso anche quello!
Hai preso
tutto di me, Harry, e per cosa? Per calpestarlo, come se fosse
insignificante!
Come se non fosse degno di te! Ma certo, dovevo immaginarlo…
Sai, sono stata
una stupida a credere che le tue promesse avessero un valore. Stupida,
nel
credere che tu fossi davvero innamorato di me. Ti sei divertito, vero?
A
conquistare la povera ragazzina insignificante, che non avrebbe mai
avuto
nessuna possibilità di piacere a qualcuno. Ma meno male che
ci sei tu, Harry,
almeno mi hai fatto provare come si sta con qualcuno accanto. Vuoi
sapere come,
eh? Uno schifo. È tutto uno schifo. Ed ora vattene, non
voglio più vederti.»
aveva concluso Lacey, ansimante per tutto il fiato che aveva sprecato.
Harry era rimasto in
silenzio, con la testa bassa, perché ogni parola di Lacey
corrispondeva a
verità. E lui era stato davvero uno stronzo.
Perciò, quando lei gli aveva
chiuso la porta in faccia, non aveva fatto niente per fermarla. Anche
se i
singhiozzi che aveva sentito qualche secondo dopo l’avevano
fatto stare ancora
peggio.
E allora, quando si
era
finalmente reso conto di aver perso l’unica persona della
quale gli importasse
davvero qualcosa, aveva pianto.
“Tears
stream, down your face
I
promise you I will learn from my mistakes
Tears
stream down your face and I…
Lights
will
guide you home
And
ignite your bones
And I
will try to fix you.”
Harry
si passò una mano tra i capelli, spettinandoli ancor
più di quanto già non
fossero. Non riusciva a credere di essersi messo in quella situazione.
Lui, che
aveva giurato – aveva promesso
– che
non l’avrebbe fatta soffrire, per nessuna ragione al mondo.
Aveva promesso che ci
sarebbe sempre stato, per lei.
Che niente e nessuno
avrebbe potuto dividerli.
Ed era stato crudele,
da
parte sua, infrangere quella promessa con così tanta
leggerezza.
Certo, al momento non
gli
era sembrato poi così grave, ma quando dalla bocca di Lacey
erano sfuggiti i
primi singhiozzi, si era sentito così piccolo che avrebbe
preferito farsi
calpestare, piuttosto che vederla in lacrime.
Aveva promesso che con
lei
le cose sarebbero andate diversamente. Che lui
sarebbe stato diverso. Aveva giurato che era
diverso, da come lo dipingevano.
Perché
Lacey meritava
qualcuno di buono, accanto a sé. E invece lui si era
comportato come uno
stronzo egoista, perché, in effetti, era esattamente quello.
Uno stronzo. E un
egoista.
E Lacey – la sua Lacey – sempre
così gentile,
pacata e dolce, gliel’aveva gridato in faccia. Con il trucco
colato sulle
guance rosse per la rabbia, con i capelli scompigliati per le troppe
volte in
cui vi aveva passato le mani tremanti.
Lui non aveva saputo
fare
altro se non rimanere immobile, con le mani infilate nelle tasche dei
pantaloni
beige – quelli che le piacevano tanto – in silenzio
e con lo sguardo basso.
Come avrebbe potuto giustificarsi, dopo averle spezzato il cuore?
Se solo fosse stato
uomo,
a quell’ora non avrebbe continuato a camminare avanti e
indietro per il
vialetto di casa Potter. Se fosse stato uomo, a quell’ora
sarebbe stato in
ginocchio davanti a Lacey, supplicandola di perdonarlo, seppur non se
lo
meritasse affatto.
Invece stava
lì, come un
perfetto idiota, davanti alla porta, senza sapere cosa fare. Senza
sapere cosa
dire.
Fino a che si accorse
che
tutto ciò che doveva dirle, era sempre stato lì.
Sempre, senza lasciarlo mai.
C’era anche quando l’aveva tradita, ma
l’effetto dell’alcool e i sorrisi di
Marisol erano riusciti a disorientarlo.
Ma le parole
c’erano
sempre state. E siccome Lacey era una persona intelligente, Harry era
sicuro che
avrebbe capito. Be’, non del tutto sicuro, ma ci sperava.
Perciò
prese coraggio e
bussò alla porta.
La voce di Lacey lo
raggiunse qualche secondo prima che lei aprisse la porta.
«Arrivo, un
momento.»
Harry si sentiva
nervoso e
si torturava insistentemente l’orlo della camicia bianca. Poi
lei aprì la porta
e l’agitazione sparì immediatamente. Era
lì, ed era bellissima, anche se
indossava quell’orrendo pigiama rosa con i cuoricini.
«Ciao.»
mormorò Harry,
guardando dietro le sue spalle per assicurarsi che in casa non ci fosse
nessuno.
«Cosa vuoi,
Harry? Mi
sembra di averti già detto tutto, l’ultima volta
che si siamo visti.» fece per
chiudere la porta, ma Harry glielo impedì, bloccandola con
il piede.
«D’accordo,
entra.»
sospirò Lacey, prima di fargli strada verso il salotto. Si
accomodò sul divano,
mentre Harry rimase in piedi.
«Allora?»
lo invitò lei,
con uno sbuffo spazientito.
«Io ti
amo.» iniziò Harry.
Non si era mai sentito così sicuro di ciò che
provava in tutta la sua vita e
anche dalla sua voce non trasparì alcun dubbio. E Lacey, che
si costringeva con
tutte le sue forze a non scoppiare a piangere, seppe che Harry diceva
la
verità. E si sentì stupida, perché
l’aveva perdonato già la settimana prima, o
forse quella prima ancora, ma c’era una parte di lei, quella
orgogliosa, che
voleva farlo stare male almeno la metà di quanto aveva
sofferto lei in
quell’ultimo periodo.
«E non sono
un granché nei
discorsi, soprattutto in quelli improvvisati, perciò
lasciami parlare.» la
interruppe, quando Lacey aprì la bocca per rispondere.
«Ti amo
davvero, Lacey.
Credo di non aver mai amato nessuno in questo modo. Non ho
giustificazioni per
quello che ho fatto, ma credimi se ti dico che, nonostante fossi
ubriaco
marcio, l’unica a cui pensavo eri tu. Penso solo a te, di
continuo. Non riesco
nemmeno a dormire, da quando mi hai lasciato. E non pretendo che tu mi
perdoni
da un giorno all’altro, perché sarebbe stupido da
parte mia pensare una cosa
del genere. In ogni caso, sono venuto qui per dirti che ti amo e che
non ho
nessuna intenzione di lasciarti andare così. Ti avevo
promesso che non ti avrei
fatto soffrire, e non ho mantenuto la promessa. E mi sono sentito una
merda. In
realtà, continuo a sentirmi una merda e vorrei tanto una
seconda possibilità.
Sono disposto a qualunque cosa. Se me lo chiedi, mollo anche i ragazzi.
Però,
ti prego…» concluse, trattenendosi a stento dal
mettersi in ginocchio e
supplicarla di perdonarlo.
Lacey sorrise
debolmente,
prima di alzarsi e avvicinarsi ad Harry. Erano così vicini
che Harry si
trattenne a stento dal baciarla.
«Mi hai
spezzato il cuore,
Harry.»
«Lo
so.»
«Mi hai
ferito in un modo
che non credevo possibile e odiarti sarebbe la scelta più
giusta, oltre che più
semplice. Eppure, ti amo.» sussurrò Lacey
lasciandogli una carezza sulla
guancia. Harry sorrise, poi la strinse a sé.
Poteva avere qualunque
cosa: fama, soldi, auto,
vestiti, ragazze, ogni cosa.
Ma avrebbe ceduto tutto
pur di poter vedere il
sorriso della banale ragazza della metro.
***
Questa
One-Shot non è niente di che, non ha nessuna
pretesa eppure quando l’ho scritta mi sono emozionata. Non
so, a me piace,
perciò ho deciso di pubblicarla.
Spero sia piaciuta un
po’ anche a voi! :)
Se vi và,
fatemi sapere che ne pensate, anche per
dirmi che è una completa schifezza! Giuro che non mi offendo
u.u
In ogni caso, vi
ringrazio anche solo per averla
letta!
Con affetto,
Fede.
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