Dieci mesi.
Sam era seduto nell’Impala, con
le gambe accartocciate e le ginocchia che picchiavano contro il cruscotto. Una torcia stretta nella mano destra e, sulle cosce, il diario di
suo padre. Ormai logoro, consumato. Testimone di tutte le pazzie che erano stati costretti a vivere. Cercava qualcosa, qualsiasi
cosa, sui patti del demone dell’incrocio.
Sentì bussare, in lontananza, e
alzò la testa. Dean era al di là della finestra del
motel, con addosso soltanto una canottiera bianca, e un’espressione rilassata
stampata in volto. Quella spensieratezza fuori luogo lo fece incazzare. Una
rabbia che si moltiplicò quando Dean gli fece l’occhiolino, e poi richiuse le
tende.
Vide il riflesso delle due donne,
le loro forme che si proiettavano sulle tende, il modo in cui le ombre s’intrecciavano
tra loro e poi si avvicinavano a suo fratello. Distinse una mano che lo
afferrava per il collo, e poi scomparvero. Tutti e tre. Forse sul letto, forse
sul pavimento.
Serrò la mascella, abbassò lo
sguardo. E, come ormai era sua abitudine, cancellò ogni pensiero che
riguardasse Dean. Ogni immagine, ogni ricordo. Da quando era tornato in vita -
da quando Dean l’aveva riportato in vita - era sempre più difficile, sempre più
faticoso. Era come se parte dei dubbi, delle paure e della vergogna che aveva
sempre provato, fossero rimasti attaccati su quel materasso insieme al suo
sangue secco. Ma, con qualche sforzo in più, anche
questa volta dimenticò quel breve istante di sbandamento e tornò a vestire i
panni dell’impeccabile fratello minore. Così rimase solo, con le sue pagine
piene di pazzia e la voglia di salvare l’unica vita che per lui aveva
importanza.
Il sole era sorto già da qualche
ora. Dean salì in macchina, con sottobraccio un quotidiano e le mani occupate con
la colazione. Guardò Sam sul sedile accanto al suo: la testa appoggiata sul
vetro, gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta e il diario aperto sulle
cosce. Sorrise, prima di suonare il clacson.
Sam sobbalzò, sbarrò gli occhi e
quando vide la faccia divertita di suo fratello si
rilassò di nuovo contro lo schienale. Scuotendo la testa si passò una mano
sugli occhi e sulla bocca, cercando di svegliarsi.
“Buongiorno, Sammy!”
Gli passò il quotidiano e uno dei due grossi bicchieri di caffè. Tenne per sé
la torta. “Giornata meravigliosa, eh?”
“Di più... ” bofonchiò, con gli
occhi già puntati sul giornale.
“Sai,”
continuò, indicando con un cenno della testa il diario sulle sue gambe.
“alternare con qualche giornalino porno non ti farebbe male!”
Sam non rispose, non lo stava più
ascoltando. Tutta la sua attenzione era concentrata su quell’articolo in prima
pagina. Finì di leggere e ricominciò da capo, senza saltare neanche una parola.
La lampadina si accese subito.
“Senti questa,”
disse, mentre suo fratello addentava la fetta di torta. “Un uomo è entrato al pronto
soccorso, è caduto in ginocchio ed è morto davanti ad un’infermiera. Il suo
fegato era sparito, strappato via.”
“Amico, sto mangiando.” Posò la
torta nel sacchetto, poi ci ripensò e continuo a mangiare.
“Il cadavere era ricoperto d’impronte,
e la cosa interessante è che appartengono ad un tizio
morto nel 1981.”
“Quindi?”
domandò. “Zombie?”
“Potrebbe.”
Dean alzò un angolo della bocca,
un mezzo sorriso soddisfatto. Poi, con un boccone, finì la torta. “Nottata da sballo, colazione deliziosa e una bella battuta di
caccia che ci aspetta. Cosa potrei chiedere di
più?” E sembrava davvero sincero mentre lo diceva.
“Si, certo.” aggiunse Sam. “Un po’
di distrazione farà bene ad entrambi.”
“Esatto. C’è chi legge un libro,
e chi invece gioca a nascondino con gli zombie…”
E mise in moto.
“Il resto del corpo era intatto,
l’unico organo mancante era il fegato.” confermò il medico legale, guardando
negli occhi l’uomo in giacca e cravatta davanti a lui.
Appena entrati nella camera del
motel, dopo aver fatto il check-in, si erano divisi quasi subito. Dean aveva
indossato il completo scuro e aveva cercato l’ospedale, mentre Sam era rimasto
nella stanza con il suo portatile, il diario e alcuni dei loro libri. Il federale e il topo da biblioteca.
“Dove il fegato è stato
strappato, ha notato per caso segni di morsi?” chiese Dean cauto, gesticolando
con le mani. Ciò che ottenne fu un’occhiataccia da parte del medico.
“Il fegato non è stato
strappato.” spiegò, tirando verso di sé il carrello di metallo e mostrandogli
il cadavere. “E’ stato rimosso, chirurgicamente. Da qualcuno che sa usare molto
bene il bisturi. Non ha letto il mio rapporto?”
“Certo, certo che l’ho letto. Era
incantevole… avvincente, piacevolissimo. Davvero.”
“Ha finito?” chiese, alzando un
sopracciglio.
“Penso proprio di sì.”
“Allora vada.” E Dean, voltandosi
e sbarrando gli occhi, ubbidì.
Era confuso. Non aveva trovato
quello che si aspettava, e quella storia del bisturi mandava all’aria tutta la
teoria degli zombie. Chiamò Sam.
“Abbiamo sbagliato.” disse appena
suo fratello rispose al telefono. “Non dobbiamo cercare cadaveri mutilati, ma sopravvissuti. Questo non è un pasto per zombie, è un fottuto furto di organi!”
“Okay, d’accordo.” pensò Sam ad
alta voce. “Tu continua a indagare in ospedale, magari trovi qualcuno a cui è stato portato via un organo ed è riuscito a
sopravvivere, io raggiungo la biblioteca più vicina per capirci qualcosa in
più, okay?”
E così Dean fece. Rimase in
ospedale, trovò un uomo visibilmente sotto shock al quale era stato appena
rubato un rene, e continuò a indagare. Sam, invece, non si mosse dalla loro
stanza. Non cercò la biblioteca, non cercò altri
libri. Non ne aveva bisogno. La verità era che Sam aveva capito tutto fin
dall’inizio, fin da quando aveva posato gli occhi su quell’articolo di
giornale. Aveva passato la notte a sfogliare il diario e le parole di suo padre
erano venute a galla da sole.
Passandosi una mano tra i
capelli, sfogliò le pagine logore e lesse ancora una volta.
Si trattava di Doc Benton, un medico. Viveva nel New Hampshire. Era
intelligente, brillante e aveva una passione: era ossessionato
dall’immortalità, dal come vivere per sempre. Così, nel
1816, Benton aveva smesso di esercitare. La sua idea aveva funzionato, e lui
aveva continuato a vivere: le parti del suo corpo che si rovinavano, le sostituiva. Sam e Dean ne avevano già sentito parlare, e credevano
che John gli avesse dato la caccia e gli avesse strappato il cuore. Ma, a quanto pare, il dottore era riuscito a sostituirlo con
uno nuovo.
Sam continuò a leggere
attentamente e scoprì che Benton era molto pignolo nello scegliere e sistemare
il laboratorio. Gli piacevano i boschi fitti, con accesso a un fiume o un
torrente, perché era nell’acqua che si liberava dei
resti degli umani che non potevano sopravvivere.
Sam, vedendo una luce – debole,
ma c’era – in fondo al tunnel, iniziò a studiare le cartine del luogo.
Cercò tutti i capanni da caccia, soprattutto quelli abbandonati da anni. Vide
il piano prendere forma davanti ai suoi occhi. L’unica cosa che restava da fare
era procurarsi un’auto.
Dean compose per l’ennesima volta
il numero di suo fratello. Ancora una volta non ottenne risposta e, buttando
gli occhi al cielo, lasciò un messaggio in segreteria.
“Bello, che fine hai fatto?”
esordì. “Senti un po’ che geniaccio è tuo fratello, e
preparati a ringraziarmi. Mi sono ricordato una cosa, un vecchio caso di
papà. Un pazzo fuori di testa che rubava organi e se
li incollava addosso per restare immortale, un specie di Frankestein.
Uno schifo… lo so. Papà disse che era un caso chiuso, ma te l’ho detto… era un
pazzo, avrà trovato il modo di sopravvivere.” Fece una
pausa. “Io vado a dare un’occhiata nei boschi delle
vicinanze, okay? Ti tengo aggiornato. Appena puoi
richiamami, okay Sammy?” E
riagganciò.
Entrò a braccia tese, una mano
sopra l’altra. Una stringeva la pistola carica e una la
torcia. Il capanno era avvolto nel buio e l’odore era insopportabile, nauseante.
E alla nausea si aggiungeva quel fastidio che aveva alla bocca dello stomaco, e
che non riusciva ad ignorare: Sam non si faceva
sentire da ore, nella stanza del motel non c’era, non rispondeva al telefono, e
non lo aveva ancora richiamato. Tutto sembrava promettergli il peggio. Non era
al suo fianco, non erano insieme, e questo bastava ad
innervosirlo.
Si fece posto tra vecchi mobili, tavoli e sedie. Dette un’occhiata veloce ai
quaderni e ai libri appoggiati sui ripiani, tutti ricoperti di appunti e
formule per lui incomprensibili. Trovò una rampa di scale e, con la pistola
ancora più salda tra le dita, scese al piano di sotto.
La prima cosa che vide fu lui,
suo fratello. Ad occhi chiusi, legato ad un tavolo.
Represse l’istinto e la voglia di
urlare e chiamarlo subito, l’unica cosa che fece fu sparare. Sparò a quell’uomo
alto magro e vecchio, in piedi accanto al tavolo.
“Sam!” urlò, appena il dottore
abbassò lo sguardo sulla ferita. “Mi senti? Sam! Sammy!”
Lo aveva colpito in pieno petto, Dean
poteva vedere il buco del proiettile e la ferita piena di sangue. Ma l’uomo, ancora in piedi, alzò la testa e lo guardò. Aveva
il volto pieno di cuciture, una pelle straziata, di diecine di carnagioni
diverse. Pochi capelli in testa e gli occhi vuoti, opachi,
coperti da un velo chiaro.
“Spara quanto vuoi.” ridacchiò. Quella voce roca sembrò provenire dall’aldilà.
Dean sparò un’altra volta, e
un’altra ancora.
Il dottore inizio a camminare, raggiunse
Dean e lo prese per la gola.
“Quale parte del concetto
d’immortalità non ti è chiara?” sussurrò.
Dean, con la mano di quell’essere
stretta intorno al collo, annaspò e lasciò cadere la pistola sul pavimento. Cercò
nella tasca del giubbotto e trovò le due cose di cui aveva bisogno.
Impugnò il coltello e con un
gemito glielo piantò nel cuore.
“Spero solo che il cuore fosse nuovo di zecca.” tossì, quasi
senza fiato. E, guardando Sam ancora immobile su quel tavolo, trovò la forza per
continuare a parlare. “Non vorrei che ci mettesse troppo a pompare questa
roba.”
Alzò una mano e gli mostrò la
bottiglia di cloroformio che stringeva tra le dita.
L’uomo lasciò la presa e, mentre
Dean tossiva e sentiva l’aria che tornava con violenza a riempire i polmoni,
portò le mani intorno al manico del coltello.
“Cosa hai
fatto?” sussurrò, incredulo.
“Ho trovato la bottiglia di sopra,” disse, prima di vederlo crollare ai suoi piedi. “e ci ho
intinto il coltello.”
Raggiunse il tavolo di corsa. Afferrò
la testa di Sam, lo chiamò, gli schiaffeggiò le guance, lo chiamò
ancora una volta. “Sam! Sammy!”
Si accorse che la camicia era aperta
sul davanti, i bottoni erano tutti slacciati, e gli bastò sfiorarla per
ritrovarsi davanti il torace nudo di suo fratello. Si
fece prendere dal panico, pensò al peggio. Pregando sottovoce, controllò ogni
centimetro di quel corpo, di quella pelle, con il terrore di trovare ferite,
punti, cicatrici.
Non ne trovò,
finalmente poté respirare.
Gli liberò le mani, i piedi e
continuò a chiamarlo. Finché ebbe fiato.
Sam galleggiava nel vuoto. Vedeva
nero, soltanto una distesa infinita di nero. Sentiva
la testa pesante, le gambe e le braccia staccate dal corpo. Avrebbe voluto dormire,
continuare a galleggiare. Ma c’era qualcosa che lo teneva
ancorato al tavolo, alla realtà. Due braccia, due mani, una voce. Quella voce
che lo chiamava, che lo supplicava di svegliarsi, di tornare da lui. Quelle
mani che lo accarezzavano, che cercavano il suo viso. Lo toccavano, premevano
sulla pelle, gli aprivano la camicia. Lo sentì respirare sul suo torace, lo sentì vicino come non mai. E tutto quello sapeva, tutto
quello che vedeva, l’unica luce in quel mare di nero, era la voglia di tornare
da quelle mani, da quelle braccia, da quella voce. Da quell’uomo. E allora
lasciò andare il buio, e aprì gli occhi.
Erano entrambi ai lati del
tavolo, uno di fronte all’altro. Davanti a loro, legato proprio dove prima era
stato legato Sam, il dottore. Stava lentamente riprendendo i sensi e quando
finalmente aprì gli occhi e vide Dean, passò dallo smarrimento al terrore.
“Per favore…” iniziò a mugolare.
“Silenzio!” lo interruppe subito
Dean.
“So quello di cui hai bisogno, lo
so…” continuò. “Io ti posso aiutare, fatti aiutare.”
“Come procediamo, Sammy?” chiese al fratello, ignorando i deliri di quel
vecchio. “Tanti piccoli pezzettini, che ne dici?”
Sam non rispose. Era in un
angolo, con le mani in tasca e un’espressione da cane bastonato stampata sul
volto. Guardava Dean come se potesse scomparirgli davanti agli occhi da un
momento all’altro.
“Posso spiegarti la formula.”
borbottò il dottore.
E mentre Dean si passava tra le
mani il coltello, Sam finalmente aprì bocca. E lo fece per lasciar andare un
sussurro, un sospiro, il suo nome.
“Dean…” lo chiamò.
Il fratello maggiore, preoccupato
da quel tono di voce così disperato, alzò lo sguardo e cercò i suoi occhi. Capì
tutto nell’istante in cui si guardarono, come se potesse leggere ogni pensiero.
“Sam.” E quelle tre lettere
suonarono come un ordine, un ammonimento.
Sam scosse la testa, gli occhi
lucidi che brillavano nel buio della stanza. L’altro gli fece cenno di uscire e
poi, a passi lenti, lo seguì.
“Ti prego, Dean.” disse, appena
furono all’aria aperta.
“Cosa?”
Lentamente, come se si
vergognasse del suo gesto, infilò una mano nella tasca interna del giubbotto e
tirò fuori un quaderno. Glielo mostrò, sfogliò le pagine davanti a lui,
ignorando il tremore delle mani. “E’ la formula, Dean.” iniziò cauto, scandendo
ogni parola. “Non c’è nessun sacrificio di sangue o stronzate simili. Non è
magia nera, è solo… scienza. E’ fattibile, penso sia fattibile.
Questa formula… Dean, questa formula potrebbe essere la soluzione.”
“La soluzione?!”
Sam, esitante, alzò gli occhi dalla
carta e lo guardò.
“Ti scongiuro,
Dean…” lo pregò. Rimise in tasca il quaderno e lo afferrò per le spalle. “Ci serve tempo, solo tempo. Lo sai che non sarà facile né
veloce ingannare quel patto, lo sappiamo entrambi… e questo è quello che ci
serve. Guadagniamo tempo e nel frattempo ci facciamo venire in mente
qualcos’altro. Pensaci… almeno pensaci.” Poi aggiunse, quasi
stizzito, ”Cazzo, non vuoi vivere?”
“Cristo Santo,
Sam!” sbottò Dean. Posò le mani su quelle di suo fratello, che gli
stringevano le spalle, e le allontanò con uno strattone. “Quello non è vivere!”
“Lo so che per te non ci sono
sfumature.” insistette, deciso a non demordere. “Bianco o
nero, umano o non umano. So che non è la soluzione perfetta, cazzo lo
so. L’ho sempre saputo che non sarebbe stato semplice, che ti avrei dovuto
convincere, che per-“
“Aspetta, aspetta
un attimo.” lo interruppe, con il gelo nel sangue e il vuoto negli occhi.
“Dean, ti prego. Non cominciare…”
“Tu sapevi che si trattava di
questo fin dall’inizio?”
“Non te ne volevo parlare finché
non ne fossi stato sicuro. Sto solo cercando di aiutare, sto solo cercando una
soluzione!”
“Non stai aiutando!” sbraitò. “E,
porca puttana, questa non è una
soluzione!”
“Dio, quanto sei testardo!” Scosse
la testa, si impose di restare calmo. “E’ semplice:
Benton non può morire, se scopriamo come ha fatto
possiamo fare la stessa cosa con te e ti salviamo dal patto. Devi morire per
andare all’inferno, giusto?”
“Non possiamo farlo.”
Sam digrignò i denti, si passò le mani tra i capelli. “Perché?” chiese. Gli si piazzò
davanti, incollò gli occhi ai suoi. “Mi sto facendo il culo
per cercare di salvarti la vita, Dean, e ti comporti come non te ne potesse
fregare di meno. Che c’è? Hai così tanta voglia di morire?”
“Non è questo.” disse, con una
specie di sorriso deformato sulle labbra.
“Allora che cos’è, Dean?”
“Sam.”
“Ti prego, dimmelo.”
Fece una pausa, scosse la testa,
poi parlò. “Se incastriamo il demone dell’incrocio, o
cerchiamo di fregare il patto in qualche modo… tu muori. Okay?”
Sam sentì ogni muscolo diventare
ghiaccio. Si sentì abbandonare da ogni forza. La forza di
parlare, di muoversi, di pensare. Non riusciva nemmeno ad urlargli contro, a picchiarlo, a chiedergli ancora una
volta perché lo avesse fatto. Perché gli stava facendo questo.
“E non morire, vivere per sempre,
significa ingannare l’accordo.” aggiunse. “Non c’è modo di
uscirne Sam, questi sono i termini: se io mi sottraggo al patto, tu muori.
E se cerchi di trovare un modo, te lo impedirò con tutte le mie forze.”
Vide Sam, impietrito di fronte a
lui, con la morte negli occhi, e non ebbe la forza di svelargli tutta la
verità. Non riuscì a dirgli che tutto era ancora peggiore di quanto riuscisse ad immaginare, che non avevano dieci anni ma soltanto uno,
non riuscì a ferirlo con un’altra - l’ennesima - coltellata.
“Ora io mi occuperò di lui.”
disse, indicando il capanno. “Lo addormenterò di nuovo e lo
seppellirò insieme alla sua formula. Puoi aiutarmi oppure no, a te la
scelta.”
Dean avvicinò le mani al petto di
suo fratello. Per un istante, un fottutissimo istante, tutto quello che Sam desiderò fu vedere quelle mani, quella braccia intorno al
suo corpo. Sentirsi stringere, sentirsi abbracciare da
suo fratello, poter riposare sulle sue spalle e scordare tutto il peso che lo
stava schiacciando.
Ma Dean
non lo abbracciò, nemmeno si avvicinò. Si limitò ad aprirgli il giubbotto e a
recuperare il quaderno.
Lo vide scomparire al di là della porta, e gli sembrò di vederlo sparire per
sempre.