Viaggio nella luce
Viaggio nella luce
Non si faceva domande. Svolgeva
il suo lavoro, insensibile, indifferente e così era, senza alternative.
Puntuale, inesorabile, era sempre al suo posto al momento opportuno. Lui, o
lei, la distinzione non aveva alcun senso, 'sentiva' quando era il momento e
solo allora interveniva. Rimaneva a volte
sconcertato/a dalla reazione della gente ma la cosa comunque non lo/a
riguardava. Preciso/a, efficiente, senza farsi scrupoli o porsi problemi.
Sempre, senza sosta, ogni volta che c'era bisogno del suo intervento. Senza un
corpo fisico, privo/a quindi di normali sensazioni o dimensioni, poteva essere
definito/a una particolare entità, perfettamente efficiente nell'eseguire i
compiti a cui era destinata.
Nel modesto appartamento al primo
piano di un palazzo popolare, in una piccola stanza, Maria stava portando a
termine la sua esistenza. Non era vecchia ma la vita che aveva vissuto l'aveva
letteralmente consumata. Vedova, con tre figli, non si era risparmiata mai,
nemmeno un giorno. I suoi figli avevano avuto tutto quello che era stato
necessario per crescere sani e forti. Per mandarli a scuola si era sobbarcata i
lavori più vari, più onerosi. Poi, i nipoti. Alla fine, con il clima della sua
città, il suo fisico troppo a lungo trascurato, non ce l'aveva fatta. Ora era
nel suo letto, con attorno alcuni membri della sua famiglia che l'assistevano
come potevano ma ormai rassegnati all'inevitabile, e sentiva che le forze la
stavano lentamente ma decisamente abbandonando. Volse lo sguardo verso i suoi
cari ai piedi del letto, due dei suoi figli, due nipoti e..... e una figura che
non sapeva come definire, ma non paurosa, anzi. La figura lentamente si
avvicinò a lei e si fermò ad osservarla serena, senza espressione. Maria vedeva
una persona, quasi incorporea, senza consistenza eppure con i tratti ben
definiti. Vedeva con i suoi occhi stanchi un bel viso, con lunghi capelli
lisci, un corpo alto e slanciato coperto da un abito semplice ma elegante, il
tutto però privo di colore, un'immagine chiara con i toni più scuri tendenti al
blu, come di ghiaccio. Lentamente, con
fatica, utilizzando le sue ultime energie, riuscì a sollevare una mano e senza
riuscire a parlare, indicò con un dito tremante la figura. I presenti notarono
il gesto ma non lo collegarono a nulla di particolare poichè nella stanza non
c'era nulla di particolare. La figura si avvicinò ulteriormente e dopo aver
osservato per alcuni istanti Maria che ansante, stremata nel suo letto aveva
lasciato ricadere il braccio ed ora lo/la guardava semplicemente, in attesa, si
chinò su di lei, le mise una mano sulla spalla e delicatamente l'aiutò ad
alzarsi. Maria in piedi, lentamente si girò ad osservare il corpo disteso sul letto,
poi le persone presenti e, infine, con un cenno di assenso, come sollevata, seguì l'altro/a fuori da quel luogo. La
figura camminava avanti e Maria la seguiva. Via via che procedevano sparivano i
segni dell'età, i cedimenti di una vita di fatica e sacrificio. Il suo corpo si
raddrizzava, acquistava energia e forza. Quella che giunse nel luogo prefissato
era una bella donna, abbastanza giovane, coperta da un bel vestito semplice ma
di classe. Il luogo era strano, insolito. Una grande stanza con le pareti
grigie, forse in cemento, di cui si vedevano chiaramente solo due lati adiacenti.
Una foschia densa copriva il pavimento e buona metà del locale. nascondendo i
lati più lontani. Il soffitto, non aveva importanza. Si notavano alle pareti
dei rampicanti che smorzavano un pò il loro colore grigio. L'atmosfera
dell'ambiente era serena, calma. Trasmetteva una strana sensazione di vastità e
di raccoglimento contemporaneamente. In una delle pareti in vista, era presente
un passaggio, l'inizio di un lungo tunnel buio ma che alla fine terminava in un
luogo da dove proveniva una fantastica, intensissima luce. La figura indicò con
la mano l'ingresso e Maria, dopo aver chiesto conferma, senza problemi,
curiosa, attratta, si incamminò. La figura la vide allontanarsi attraverso il
passaggio, diretta alla estremità opposta. Procedeva sicura e serena. Quando
giunse all'altra estremità, ci fu un'intensificarsi della luce, Maria
semplicemente ne fu assorbita e dal fenomeno derivò una sensazione di gioia, di
benessere, di completamento. Poi tutto tornò come prima. La figura, eseguito il
suo compito lasciò quel luogo.
Non era passato molto tempo che
si trovò in strada, fra tanta gente ferma a guardare l'esito del terribile
incidente. Roberto era disteso in terra. Il corpo prono sull'asfalto in
posizione scomposta, rotto, spezzato. Ora non sentiva più niente, dopo un
terribile, lancinante dolore al momento dell'impatto, l'unica sensazione rimasta
era il contatto fra il viso e l'interno del casco su cui poggiava. Poteva
vedere, ma solo confusamente, il grigio della strada attraverso la visiera
scheggiata. Forse avrebbe potuto provare a muoversi ma stranamente non gli
importava, non gli sembrava importante
nè necessario. Sapeva, sentiva che lo stavano guardando e la cosa gli seccava,
quasi si vergognava. Non ricordava nulla ma qualcosa premeva nella sua mente,
qualcosa..... Irene! Irene, seduta sulla moto dietro a lui. Cosa le era
successo? E poi, cosa era successo a lui? Sentì il rumore della folla crescere,
persone parlare in modo concitato, la sirena di un mezzo di soccorso. Ora lo
avrebbero tolto da lì, avrebbe potuto girarsi e guardare cosa era accaduto. Poi
una mano su una spalla. Gli sembrò che gli tornassero all'improvviso le forze,
che stesse bene, che non fosse successo nulla. Senza problemi si alzò e si
tolse il casco danneggiato per vedere meglio, per essere più libero. Vide tutto
insieme e sul momento non riuscì a capire. Davanti a lui non c'era un infermiere o un vigile ma una strana figura
che lo guardava con espressione serena. Roberto non si chiese chi fosse,
stranamente 'sentiva' che era l'unico elemento normale presente sulla scena, ma
guardandosi attorno vide la sua moto, lontana, con il segno che aveva lasciato strusciando
sull'asfalto, seminato di piccoli rottami. La donna anziana, appoggiata alla
sua automobile, ammaccata dall'impatto, che piangendo parlava con due vigili i
quali, intenti a scrivere, la ascoltavano. Poi, Irene, a terra. Ma la stavano
per mettere su una barella mentre lei si muoveva, si agitava, piangendo,
parlando, indicando, malgrado i tentativi dei suoi soccorritori per calmarla. E
poi vide il ragazzo steso a terra, prono, in posizione scomposta. Una chiazza
di sangue si allargava sotto il suo corpo. Inginocchiato accanto al ragazzo
un'infermiere che, mestamente scuoteva la testa, rimettendo via gli oggetti di
pronto soccorso che aveva subito estratto per intervenire. Roberto
all'improvviso capì tutto e la figura gli fece un gesto per indicargli che era
ora di andare. Roberto però sembrava esitare. Che cosa era successo alla sua
ragazza, che cosa avrebbe fatto ora senza di lui? E i suoi genitori che in lui,
figlio unico, avevano riposto tutte le loro aspettative? Poteva lasciare tutti
ed andare via così? La figura ripetè il suo silente invito ad andare e Roberto
alla fine accondiscese sentendo che non c'era null'altro da fare, seguendolo/a,
con la sua tuta strappata e macchiata ed in mano il suo casco rotto. Giunsero
al luogo finale e l'entità mostrò l'ingresso del tunnel. Roberto capiva, ora
sapeva, ma per qualche motivo sembrava esitare. Poi, seppure con qualche
riserva imboccò la sua strada. Procedendo si faceva più determinato, i dubbi e
le riserve scomparvero e alla fine fu tutt'uno con la luce. La figura indugiò
un attimo prima di andare. Perchè quell'esitazione? Eppure il ragazzo sapeva
cosa c'era dall'altra parte del tunnel. Quindi? Cosa poteva essere in grado di
trattenere una persona dal passare? Fu solo un momento e poi uscì da li.
Svolgeva il suo lavoro dove ce ne
era bisogno, e ce ne era, bisogno. Sollevava, accompagnava, talvolta esortava.
E ogni volta, alla fine, quella strana sensazione. Quel particolare momento di
gioia, di completamento, come di ritorno dopo un lungo viaggio. In realtà non
sapeva nemmeno lui/lei cosa c'era esattamente dall'altra parte. Sapeva che era
così che era giusto andassero le cose e che era bellissimo ma allo stesso tempo
naturale che si concludessero in quel modo. Fu strano che ad un certo punto
provò un nuovo particolare impulso, una sensazione sconosciuta, che per lui/lei
non aveva senso. Inconsciamente sapeva che quella cosa si sarebbe potuta
definire 'curiosità'. Non ricordava da quanto faceva il suo lavoro ma doveva
essere da tanto, tanto tempo. Tanto che non ne aveva memoria. Nemmeno di quelli
che aveva accompagnato. No, non era proprio così. Il primo era stato il
ragazzo. Poi c'era stata la donna......
Anna, 35 anni, finalmente un
lavoro come addetta alle pulizie, ma comunque un lavoro. Un bambino piccolo, un
marito, un ottimo marito, ma che non riusciva a trovare un impiego stabile. Poi,
finalmente l'impresa di pulizie. Un lavoro duro, pesante ma discretamente
pagato. Quella mattina sostituiva un collega alla macchina per il lavaggio del
pavimento. Una macchina pesante, vecchia. Un cavo che si attorcigliava
continuamente e che, alla minima distrazione, finiva sotto le spazzole della
macchina. E Anna ogni volta doveva spengere la macchina e recuperare il cavo.
Alla fine del turno, era stanca, con il pensiero di dover andare a prendere il
bambino dalla madre e poi fare la spesa. All'ennesimo ingarbugliamento del
filo, spense il motore e si chinò per tirare il cavo. Accidenti, si era
imbrogliato per bene. "E dai! Vieni via! Accidenti a te!". Con un
deciso strattone, finalmente il cavo si liberò e quando Anna andò a prenderlo
per risistemarlo, ci fu una tremenda scintilla. Anna, che si era chinata,
sorpresa si rialzò subito. Davanti a lei una bella figura eterea, in toni
bianchi e blu, ma non era quello che non andava. Era il corpo di Anna a terra,
con il cavo bruciato nella mano contratta ed anche il braccio era malamente
ustionato. La gente, i colleghi stavano accorrendo. La figura mise una mano
sulla spalla di Anna e lei come riscossa dallo shock, dalla sorpresa, disse:
"No, no, per favore. So chi sei ma aspetta, aspetta!" E si chinò sul
corpo riverso, irrigidito, cercando di muoverlo, di scuoterlo: "Muoviti,
dai muoviti, accidenti, muoviti dai, svegliati. accidenti a te!" E
insisteva singhiozzando ma senza alcun esito. La figura si chinò e la prese
delicatamente per un braccio. "Andiamo, non c'è più nulla da fare qui. Lo
sai.". "No, non vengo" - e con un movimento brusco si liberò -
"Ho un figlio piccolo, lo sai? E ho un marito che mi vuole bene! E che
fanno senza di me? E io senza di loro?". E poi agli infermieri appena
arrivati e che si muovevano attorno al corpo steso a terra: "Fate
qualcosa! Forza! Che ci fate qui, aiutatemi, AIUTATEMI!". E scoppiò a
piangere coprendosi il viso con le mani. "Andiamo, su, non abbiamo più
nulla da fare qui", disse la figura con voce gentile,"Andiamo, per
favore.". Ascoltò la sua stessa voce con sorpresa. Non aveva mai parlato
fino a quel momento. Forse erano molte le cose che non conosceva di sè. Anna
non si risolveva a muoversi e con le mani giunte davanti al viso osservava
disperata, piangendo, gli infermieri che coprivano il corpo con un telo. Poi,
dal fondo della sala, un trambusto, un vociare! Era il marito. Anna si rivolse
alla figura; "Andiamo via, ti prego, questo non ce la faccio a
sopportarlo!". E mentre l'entità la conduceva via, la donna, si copriva
gli occhi con entrambe le mani come se volesse estraniarsi completamente dalla
scena. La figura le circondò le spalle con un braccio come a proteggerla e con
voce gentile le faceva coraggio. Arrivati al passaggio Anna si era rimessa ed
ora su invito del/la suo/a accompagnatore/trice di diresse verso l'ingresso.
Poi però si girò, tornò un attimo indietro e gli/le prese le mani.
"Grazie! Grazie per tutto!" Poi si girò e andò. L'entità era rimasta
molto sconcertata. Aveva parlato, aveva confortato, aveva ricevuto addirittura
dei ringraziamenti. Cosa stava succedendo? Qualcosa stava forse cambiando?
Aveva scoperto che poteva
parlare, se necessario. Ora, quindi, alla curiosità si era aggiunto un altro
elemento. E inoltre cominciava a provare un certo strano desiderio di
percorrere la stessa strada degli altri ma, a quanto pareva, ciò non era
previsto.
Giuseppe, 56 anni, ancora bell'uomo,
molto curato, alto, slanciato, ancora atletico malgrado l'età, usciva dal
circolo del tennis che frequentava, dopo una partita che l'aveva visto opposto
al suo socio giovane. L'aveva umiliato, l'aveva sconfitto davanti a tutti. Gli
aveva fatto vedere chi era che contava. Quel giovincello che si era fatto forte
dei soldi del padre. Dare lezioni a lui! A lui che era nel campo degli affari da
almeno trent'anni. E quella sera, in ufficio, si cambiava registro, il suo
progetto era stato approvato e finalmente arrivava il successo. Quanto ci aveva
lavorato! Ma ora, finalmente, era fatta. Ora sarebbero arrivati i 'soldi veri'
e avrebbe potuto finalmente mettersi sa solo in affari, senza più dipendere da
nessuno nè chiedere a nessuno. Salì in automobile e mise in moto. Mentre
inseriva la marcia, un dolore intenso al petto, una difficoltà a respirare.
"E questo che diavolo è? Non mi starà mica...... no, maledizione,
no!". Un misto di panico e disperazione, una sensazione di dolore
incredibile che coinvolse anche la figura che era lì, a fianco dell'automobile.
Quell'angoscia infinita lo/a confondeva, quasi che non sapesse più cosa fare.
Poi ritrovato un minimo di equilibrio, posò una mano sulla spalla di Giuseppe.
Questo guardandolo/a, fece un gesto di diniego e si piegò sul volante
afferrandosi con tutte due le mani. "Su - disse la figura- andiamo, lo sai
che ormai è inutile, dobbiamo andare". "No! Non vengo da nessuna
parte, ho troppo da fare. Vai via, vai via! Ma chi sei tu, l'angelo della
morte? Vattene e lasciami in pace! Io sto bene, sto bene!". La figura era
rimasta sconcertata. Mai nessun l'aveva definita in quel modo fino a quel
momento. L'angelo della morte. Non ci aveva mai pensato, eppure era proprio
quello, che faceva, in fondo. Ma chissà perchè abbinava quel compito ad un
essere scuro, spaventoso e lui/lei non si sentiva affatto in quel modo. Ora
Giuseppe era in piedi accanto all'auto con le mani posate sulla cornice del finestrino
e guardava stravolto il corpo ancora seduto e con il volto poggiato sul
volante. "No,no! Non può essere!". Poi rivolto alla figura " Fai
qualcosa, non startene lì impalato! Fai qualcosa! Non può essere finito così,
non adesso!". Non gli/le era mai successo. Qualcuno che resisteva in modo
così violento e chiedeva addirittura di poter tornare indietro. "Lo sai
che non è possibile, andiamo, non ci puoi fare nulla.". "Nemmeno per
sogno, io non ci vengo con te e stammi lontano! Se solo ti avvicini, io, io......".
"Ascolta, io ti capisco. Hai lavorato tanto ed ora che il successo è
arrivato, ti sembra di aver perduto tutto. Ma non è così. Il tuo lavoro darà
dei buoni frutti e tu avrai la ricompensa che ti spetta, anche se non e' quella
che pensavi. E' molto meglio." Giuseppe ora aveva teso un braccio in
avanti e, con la testa incassata fra le spalle aveva assunto un tono minaccioso
: "Stai li e non ti avvicinare o guarda che io....., dico sul
serio.". La situazione sembrava in stallo. Giuseppe non avrebbe potuto di
certo recar danno alla figura ma quell'atteggiamento, quell'ostinazione a
resistere gli/le faceva provare un intenso dolore, come non aveva provato mai.
Poi arrivò l'altro. Una figura d'oro, luminosissima, con i tratti appena distinguibili,
lentamente si avvicinò. "Vai - disse rivolta alla figura - hai fatto un
buon lavoro. Questo caso però richiede un intervento diverso." L'entità
dorata mise una mano sul braccio di Giuseppe, che non oppose la minima
resistenza, e prese a parlargli a lungo, sottovoce. Alla fine l'uomo chinò il
capo e si lasciò condurre via. La figura rimase sola ancora accanto
all'automobile nella quale Giuseppe chino sul volante, con il viso rivolto
verso l'esterno, sembrava guardare lontano con un'espressione serena che non
sembrava in carattere con ciò che era successo poco prima. Prima di quel
momento non aveva mai incontrato nessun altro che svolgesse un lavoro simile al
suo. Ma evidentemente non poteva essere solo lui/lei a svolgere quell'attività.
Ora poi aveva preso atto che esisteva un'entità decisamente superiore con
capacità ben diverse dalle sue. Certo il caso di Giuseppe era particolare. Un
uomo non più giovane che aveva sacrificato tutto per il successo, per
l'ambizione. Quasi gli faceva pena per le scelte che aveva fatto. Nessun legame
affettivo, nessuna debolezza, sempre al massimo, pretendendo da se stesso
sempre il meglio, senza sosta, senza tregua, senza nessuno vicino. Non sapeva
cosa aveva perso, a cosa aveva rinunciato. Ma lui/lei, come faceva a sapere
queste cose? E poi, un sentimento di pena, non era da lui/lei. Invece no. Aveva
provato pena per Roberto, quando aveva percepito il suo dolore nei confronti
dei suoi genitori, quasi l'avesse delusi, abbandonati. E poi Anna. Aveva
percepito all'inizio il suo dolore per il marito ed il figlio rimasti soli,
talmente forte da non farle apprezzare ciò che l'attendeva. E poi, pensandoci
bene non era sempre rimasto/a indifferente davanti ai casi che aveva
affrontato. Comunque in questa occasione quello che provava lo/a sconcertava,
era come se provasse un inspiegabile sensazione di affinità o comunque
solidarietà con quell'individuo. Sapendo di non aver da fare più nulla in quel
posto, si passò una mano nei capelli, istintivamente, come a ritrovare un equilibrio
ed una opportuna serenità e si diresse dove certamente ci sarebbe stato ancora
bisogno di lei/lui.
Scoprì di essere in grado di
trovarsi nel luogo giusto non più all'ultimo istante ma anche diverso tempo
prima che fosse richiesto il suo intervento. Assistette a scene dolorose di
parenti che non volevano rassegnarsi, di persone che avrebbero voluto un po'
più di tempo per fare ancora qualcosa di importante per loro o che ritenevano
di non aver vissuto abbastanza per avere certe esperienze che ritenevano essenziali.
Vide anziani ormai stanchi per i motivi più vari, che aspettavano con speranza
il loro ultimo momento. Vide medici non riuscire a salvare vite, malgrado
essersi prodigati oltre misura e li vide anche commettere errori fatali. Assistette
persone che terminavano la loro esperienza nel mezzo di un importante progetto,
in attesa di un evento a lungo atteso o subito dopo una felice esperienza. E
ogni volta partecipava, consolava, assisteva. Era diventata/o veramente
brava/o. Sentiva però che quell'impegno continuo, quell'attività così intensa
la/lo stavano sempre più coinvolgendo e, sempre più spesso, provava delle
intense emozioni per ciò che le/gli accadeva attorno.
Si ritrovò nella sala del tunnel.
Ma lì non c'era nessuno da accompagnare e si stava già chiedendo perchè si
trovasse in quel posto quando vide arrivare un'altra figura dorata che
accompagnava una ragazza, alta, decisa, molto bella. Quando l'entità le indicò
il tunnel però la ragazza parve esitare. Poi fece un passo indietro, scuotendo
la testa. La figura dorata ripetè il suo gesto di invito ad entrare, ma la
ragazza, fortemente a disagio non si mosse. Anzi, con le braccia conserte e lo
sguardo fisso al suolo sembrava preda di un grande conflitto interiore. La
figura dorata le si avvicinò e le chiese con una voce dolcissima e suadente
cosa le succedeva. La ragazza al principio restò chiusa nel suo rigido mutismo
e poi, scoppiando in singhiozzi e coprendosi il viso con le mani disse che non
poteva fare quel passo perchè sentiva di non meritarselo. La figura dorata le mise una mano su una
spalla e delicatamente cominciò a parlarle sottovoce. La situazione però non
sembrava risolversi. La ragazza appariva più calma e di quando in quando a sua
volta diceva qualcosa ma restava ferma nella sua posizione. Dopo un poco la
figura dorata la condusse via. Lui/lei aveva assistito alla scena con grande
coinvolgimento, anche se non capiva il perchè. Era vero, da un pò si sentiva
attratto/a da quel tunnel e non riusciva a capire come qualcuno potesse esitare
ad attraversarlo. Qualcuno o qualcosa aveva provveduto a farlo/la assistere a
quell'evento ma non ne capiva il motivo.
Renato, una vita attiva, tre
figli, una bella moglie. Poi gli anni erano passati, lui e la moglie si erano
fatti vecchi, molto vecchi. Se ne erano andate le energie, i sogni e le
speranze. Se ne erano andati anche i figli, lontano, per lavoro, per formarsi
una famiglia. Lui e la moglie soli, andavano avanti giorno per giorno senza più
entusiasmi, senza aspettative. Renato disteso nel suo letto, ora ammalato,
bisognoso di assistenza pressochè continua, con la moglie sempre accanto,
devota e attenta. Due flebo ormai sistematicamente, da un pezzo, gli fornivano
con lentezza e continuità i medicinali per il dolore ed il sostegno. Ma che
vita era quella? Aveva diritto di sacrificare la moglie inutilmente, dato che
non avrebbe mai potuto guarire? E poi gli mancavano le passeggiate, l'aria
aperta, una bella mangiata, gli amici che erano morti o comunque scomparsi e i
suoi figli, i suoi diletti figli, che si erano dimenticati di loro, di lui. "Basta
- si diceva sempre più spesso, - ora basta, e facciamola finita!". Finchè
una mattina, mentre la moglie era fuori per fare la spesa, Renato, che ci aveva
riflettuto parecchio, allungò una mano verso i regolatori del flusso delle
flebo. Aveva deciso di aprire al massimo la regolazione. del calmante. Una
volta che era accaduto per caso, aveva rischiato di morire e da quel momento il
controllo era diventato continuo, quasi ossessivo da parte di chi si occupava
di lui. Ora lo scopo era proprio quello, invece, senza scrupoli o ripensamenti.
La sua mano aveva quasi raggiunto l'obiettivo prefissato, quando percepì un
tocco leggero sul polso. Quasi una carezza. Interdetto si arrestò e rimase per
un attimo ad osservare quella bella figura di donna, quasi eterea, con i
capelli lunghi e lisci, dai riflessi ramati. Il suo volto era atteggiato ad un
mesto sorriso e si limitava a tenergli poggiata la mano sul polso. "Perchè
fai questa cosa?"- gli domandò con una voce dolcissima. "E che altro
mi resta da fare? - e proseguì con rabbia e tristezza - Sono malato, inutile,
abbandonato da quelli a cui ho voluto più bene, massacro mia moglie fra
richieste e litigi. E mi chiedi perchè? A che servo io, ormai? A far soffrire
chi mi sta accanto?". La bella figura femminile, delicatamente gli prese
le mani, si sedette sulla sponda del letto e con voce gentile e suadente gli
disse le cose che lui voleva ascoltare, che aveva bisogno di ascoltare, e poi
attenta ascoltò le cose che lui voleva dire, che aveva bisogno di dire. Infine,
con grande delicatezza, si chinò ad abbracciarlo. L'abbraccio scatenò una serie
di reazioni nel profondo dell'animo di Renato che finalmente piangendo riuscì a
liberarsi di tutta l'amarezza e l'astio che aveva accumulato negli ultimi
tempi. Quando la moglie tornò a casa, sistemate le poche cose che aveva
comperato, andò a vedere come stava il marito. Entrando nella stanza lo trovò che
guardava fuori della finestra, con il volto sereno come non lo vedeva da molto. Quando si avvicinò al
letto Renato le prese la mano e se la portò alle labbra, con un gesto che non
faceva più da tanto tempo. La moglie non capiva, ma notando gli occhi del
marito velati di lacrime e colpita da quel gesto gli fece comunque una leggera
carezza sulla fronte.
La figura sentiva che quello che
faceva era corretto, anche se non ne poteva essere completamente sicura. In
realtà all'inizio, per quello che poteva ricordare, aveva agito per puro
istinto. Nessuno le aveva fornito indicazioni e direttive, a parte un episodio
isolato, non aveva mai avuto contatti con altre entità simili a lei. Ora piano
piano qualcosa l'aveva indotta a cambiare, le consentiva di prendere
particolari iniziative e, contemporaneamente, la sua essenza sembrava essersi
fatta più determinata, più consistente. Adesso poi si sentiva portata ad
intervenire, ad aiutare. Poichè da nessuna parte erano arrivati rimproveri o
altri segnali simili, forse era giusto così.
Era sotto il portico di una casa in legno in riva al mare. Non una
casa elegante ma accogliente. Un arredamento rustico abbellito con originali
suppellettili evidentemente acquistati in giro per il mondo da qualcuno che
doveva aver viaggiato molto. Una gran quantità di vasi di fiori colorati e
profumati adornava la facciata e un'amaca era accompagnata da un dondolo
foderato in colori vivaci. All'esterno solo il rumore del mare. Dall'interno,
la porta era aperta, proveniva un piacevole suono di chitarra, rilassante.
Entrando, la donna si trovò davanti una coppia anziana accomodata su un divano.
La musica proveniva da uno stereo regolato a volume discreto. Lui un bell'uomo,
curato, di una settantina d'anni, regolarmente seduto ad una estremità. Lei una
bella donna, distinta, altrettanto curata, all'incirca della stessa età, era
sdraiata e poggiava le spalle e la testa sulle gambe del marito. Lei, molto
esile, aveva un qualcosa di estremamente delicato, quasi una porcellana
fragilissima. Lui, ancora forte, ascoltando la musica ad occhi chiusi, come se
gli riportasse alla mente chissà quale felice ricordo, delicatamente carezzava
la testa della sua compagna. Quando lei entrò, la donna dischiuse per un attimo
gli occhi e la guardò. Dapprima senza capire ma poi diventando consapevole. Un
suo pur leggero movimento fece aprire immediatamente gli occhi dell'uomo. Lei
gli sorrise e gli carezzò un braccio come a tranquillizzarlo. In realtà stava
prendendo commiato dall'amore della sua vita. Da quando lei si era ammalata,
avevano scelto di lasciare tutto, città, amici, viaggi, vita mondana per
ritrovarsi in quel bel posto sereno per godere al massimo della compagnia uno
dell'altra. Ma ora purtroppo, dopo un apparente miglioramento, la malattia
aveva ricominciato a manifestarsi, con violenza, come a volersi rifare con gli
interessi del periodo di tregua accordato. Lei lo sapeva, lo aveva sempre
saputo. Lui non si rassegnava e anche se esteriormente mostrava forza per tutti
e due, dentro si sentiva lacerare, angosciato per la sorte della compagna, del
suo grande amore. Avrebbe dato la vita per lei e non per modo di dire. Anzi
aveva pensato più volte di accelerare i tempi immaginando un modo per
addormentarsi assieme alla sua compagna, con lo scopo di risparmiare a lei
ulteriori sofferenze ed a lui un'angosciosa solitudine. Lei aveva però
subodorato qualcosa e gli aveva detto chiaro e tondo che non avrebbe per nessun
motivo perdonato mai, chiunque le avesse accorciato la sua restante pur breve
vita. Chiunque le avesse rubato anche un solo minuto, privandola della possibilità di godere fino in fondo di un
magnifico tramonto, del profumo di un fiore, di una melodia coinvolgente, di un
abbraccio di lui. E ora il momento era arrivato. Lui aveva richiuso gli occhi e
ora stava fermo con la sua mano poggiata sui capelli di lei. Lei si alzò e andò
verso la figura in piedi accanto al divano. Poi, come un ripensamento.
"Aspetta, ti prego, non me ne posso andare così, non lo posso lasciare in
questo modo, dammi una mano. Per favore". La figura le prese delicatamente
le mani e gliele guidò sulla testa dell'uomo e così rimase ferma come a fare da
ponte fra i due, ormai posti su dimensioni completamente diverse. Lui ricevette
il messaggio come in sogno e non seppe mai decidere se quanto recepito fosse
stato vero o solo immaginato. La cosa però era stata così reale che lui non
ebbe mai, neppure per un attimo il dubbio che si fossero lasciati senza
salutarsi. Lei gli aveva detto che non lo lasciava solo. Gli restavano i suoi
quadri in cui lei aveva messo tutta la sua energia ed i suoi fiori nei quali
essa aveva profuso tutto il suo amore. Quindi gli aveva sfiorato la guancia con
un leggero bacio, un'ultima carezza e poi lui la vide andar via assieme ad una
figura luminosa. Dopo restò ancora a lungo con la sua compagna fra le braccia
ascoltando la musica che lei aveva scelto per quella sera.
L'amore di quelle due persone,
così profondo, così totale, assoluto, l'aveva quasi travolta e si era sentita
tentata di fare ben'altro che metterli in comunicazione per un'ultima volta.
Però poi si era resa conto che in quel frangente aveva agito nell'unico modo
possibile. Si era trovata a fare da ponte fra quelle due persone straordinarie
ed aveva sentito distintamente di essere quasi attraversata dalla speciale
energia che legava quegli spiriti particolari. Si era sentita come esaltare,
era diventata quasi una parte di quel sentimento che l'aveva fatta sussultare per la sua intensità, forza e
pulizia. Ed ora si sentiva in qualche modo arricchita, ancora cambiata, ulteriormente
cresciuta, avvicinata ad uno stato di cui però sentiva di ignorare ancora
molto, ma senza capire ancora il perchè degli eventi che la coinvolgevano fin
da quando aveva preso coscienza.
Ora era in grado di percepire un
grande senso di fastidio nei confronti dei momenti in cui veniva 'spostata'
senza nessun preavviso e questo era uno di quei momenti. Si trovava accanto ad
una automobile, completamente accartocciata su un lato dell'autostrada. Un'auto
impazzita, certo per l'alta velocità a cui era stata guidata, aveva saltato il
guard-rail ed era piombata su un'utilitaria, appunto quella vicino a cui si
trovava ora. Non erano ancora giunti mezzi di soccorso ed alcuni viaggiatori,
stavano comunque rallentando, per capire intanto cosa fare o come intervenire.
La donna si avvicinò all'abitacolo ed attraverso i vetri rotti e uno sportello quasi
completamente scardinato vide la giovane coppia intrappolata sui sedili
anteriori. Gli airbag e le cinture avevano loro salvato la vita ma avevano
preteso a loro volta, vista l'alta velocità, un pesante tributo. Lui con il
volto insanguinato, esanime, al posto di guida. Lei con diverse ferite e
fratture, pallidissima, aprì lentamente gli occhi e vedendo la donna trovò la
forza di mormorare: "Il mio bambino.... è solo..... è là fuori... ti prego
occupati di lui.....". Sul viso, le copiose lacrime si erano mescolate con
il sangue uscito da alcune ferite. Poi, quasi sollevata di aver potuto lasciare
il suo bambino in buone mani, si lasciò andare e si permise di perdere
conoscenza. Doveva essere ben grave per averla vista e aver parlato con lei. Ma
cosa aveva voluto dire? Si guardò attorno e, con una profonda angoscia, notò a
pochi metri dalla carcassa dell'auto un bambino, in piedi, di circa
quattro/cinque anni che la guardava, come in attesa. Immediatamente corse da
lui che intanto le tendeva le braccia. Lo prese e lo sollevò. Lui si strinse a
lei, come consolato, rassicurato. Poi le chiese: "Sei tu la mia nuova
mamma?". La donna si sentì stringere il cuore e per un attimo stette lì
senza sapere come rispondere ma limitandosi a tenerlo stretto. Forse in quel momento
era il bambino che dava forza a lei o che le comunicava una sensazione di
consolazione. Sempre tenendolo stretto fra le braccia, la donna condusse il
bambino al tunnel. Lo mise giù con una sensazione di grande commozione. Poi,
facendosi forza, sorridendogli, gli indicò la strada e lo invitò ad andare. Il
bambino, la guardò ancora per un attimo, poi la salutò con la manina e deciso,
si avviò. La donna con lo sguardo lo seguì nel suo tragitto finchè lo vide
scomparire, immensamente felice per lui ma nello stesso tempo addolorata,
angosciata per sè stessa. Si rendeva conto di aver perso qualcosa di serio, di
importante, qualcosa che quel bambino aveva ridestato in lei.
Non capiva, non riusciva ad avere
delle risposte ed a volte la confusione che provava era grande. La cosa strana,
però era che malgrado le domande che si poneva, malgrado i dubbi e le angosce
in cui si trovava, apparentemente, nella sua attività non aveva mai sbagliato.
Si trovò, quasi senza
accorgersene, nel giardino di una bella villetta in campagna. Una costruzione
in pietra, grandi finestre in acciaio e vetro ed un ampio giardino. Su un lato
del giardino una piccola piscina a livello del terreno, con un'acqua azzurra ed
invitante. Malgrado la figura non badasse a questi particolari, faceva indubbiamente
caldo. Accanto al bordo una giovane donna giocava con il suo bambino di circa
un anno e mezzo. Erano semi sdraiati su un asciugamano e giocavano con delle
macchinine e dei pupazzetti. Il bambino rideva felice e si vedeva che si
divertiva molto. Quando squillò la suoneria del telefono, la donna rispose e si
mise a parlare senza perdere d'occhio il bambino che continuava a gingillarsi
con i suoi giocattoli. Ma poi, per qualche motivo la conversazione si fece più
accesa e la donna sempre più presa e meno attenta, addirittura si alzò in piedi
e iniziò a passeggiare avanti e indietro, argomentando e gesticolando e
accalorandosi sempre di più. Poi un pupazzetto, alla fine di un gioco più
vivace degli altri, volò nell'acqua della piscina. Immediatamente il bambino,
dapprima contrariato poi curioso, si portò sul bordo e guardò giù. Il
pupazzetto si intravedeva tremolante sul fondo. Il bambino tese il braccino
come a vedere se ci arrivava. Poi sorridendo lo indicò alla figura femminile
che lo osservava poco distante ma non ricevendo risposa, si sporse di più, per
vedere se poteva fare da solo. La donna guardò verso la madre che discuteva
sempre più animatamente, apparentemente completamente dimentica del figlio.
Allora si avvicinò al bambino e con una carezza gli disse di stare fermo, di
aspettare. Ma ora il bambino non era nemmeno più attratto dal pupazzetto sul
fondo. Era invece affascinato da quella superficie piena di riflessi, in
continuo movimento e faceva il possibile per arrivare a toccarla. La donna fece
l' atto di trattenerlo ma purtroppo il suo contatto, la sua consistenza non le
consentiva che di esercitare una minima pressione, quasi solo in grado di
sfiorare il bambino. Sapendo però di essere vista da lui, la donna gli diceva
di stare fermo, di aspettare la mamma che invece ora, al telefono, appariva
lontana mille miglia. Fu un attimo, un tonfo nell'acqua ed il bambino era giù.
Non riusciva a stare a galla e la donna scese giù anche lei. Purtroppo non era
in grado di afferrarlo, di sostenerlo. Con un grande sforzo si accorse che
appena riusciva a tenergli la testa fuori dell'acqua ma le costava una fatica
enorme. Disperata chiamava la madre con tutta l'energia di cui disponeva ma
senza risultato perchè l'altra non poteva sentirla nè vederla. Alla fine, stremata,
chiamando, piangendo, raccomandandosi, abbracciò stretto il bambino e si rese
conto che così riusciva a tenergli la testa fuori dall'acqua. Stavolta no, non
doveva succedere! Il bambino, per nulla spaventato, la carezzava e le
sorrideva, particolarmente divertito dal quel nuovo, particolare gioco. Poi
finalmente, un urlo. La voce terrorizzata della donna che chiamava a voce alta
il figlio. Subito dopo un tuffo, la madre era in acqua e aveva afferrato il
bambino, guardandolo, accarezzandolo, quasi non credendo che non fosse accaduto
nulla di male. Subito lo portò fuori dall'acqua e prese ad asciugarlo, a
carezzarlo, a parlare in modo da tranquillizzarlo mentre lui, assolutamente
sereno, sorrideva ed indicava l'altra con la manina. Poi, dopo pochi minuti,
madre e figlio entrarono in casa.
Ancora in lacrime, per la commozione e lo stress subiti,
era rimasta seduta sull'erba, appoggiata con la schiena al tronco di un robusto
salice. Si sentiva svuotata, stanchissima, come dopo una prova incredibilmente
dura. Non le era mai successa una cosa simile, eppure non era il primo bambino
che si trovava a seguire. Ma con l'andare del tempo era cambiata, quasi a
trovare una sua propria identità, era diventata capace di provare sentimenti
umani e questo indubbiamente la metteva sempre più in difficoltà nello
svolgimento del suo incarico. Questa volta, poi, l'esperienza si era dimostrata
devastante. Si chiedeva come avrebbe potuto continuare con il suo lavoro in
quelle condizioni. Fu all'improvviso che percepì accanto a sè l'entità dorata
che aveva già incontrato due volte, in passato. La sua vicinanza le trasmise un
senso di sollievo e di consolazione. Una voce particolarmente gradevole e
rassicurante le chiese come si sentiva. La donna, ricomponendosi e asciugandosi
gli occhi rispose che ora andava decisamente meglio. "Si, decisamente meglio - disse la figura
accanto a lei - E direi anche ormai decisamente pronta." "Pronta per
cosa ? - si chiedeva la donna. - Che significava tutta quella storia?". "Ti
ricordi il tuo nome? - Un vago ricordo, ma nulla di più - Bene, allora, te lo
dico io. Ti chiami Elisabetta". Elisabetta, le sembrava effettivamente che
questo nome le dicesse qualcosa, ma.... era il suo! Certo era il suo nome. Ed
era , o almeno era stata, anche una professionista in gamba, si, una delle
migliori. E aveva sudato, aveva lavorato per raggiungere i suoi traguardi!
"Si, - confermò la figura dorata - indubbiamente una delle migliori nel
tuo campo. E per questo anche tu, come altri, hai sacrificato tutto, non hai
avuto mai il tempo per seguire o organizzare una tua vita privata. Hai
rinunciato ai tuoi sentimenti, ti sei trattata con una severità che deriva dal
tuo carattere forte e rigido. Hai tagliato fuori umanità, amore, gentilezza,
rispetto, affetti. Ma tu in fondo non eri così, e quando hai cominciato a
capire, quando hai deciso che non ne potevi più e dalla macchina piangendo hai
telefonato al ragazzo che ti ha sempre amato e sopportato per vedere se era
ancora lì, la sorte ti ha portato via. Hai sbandato e ......". Una pausa
per verificare che Elisabetta ricordasse. La donna, con il viso di pietra, ora
ricordava tutto e si sentiva travolgere
da un flusso di emozioni e sentimenti fortissimi e contrastanti che
apparentemente le toglievano qualsiasi capacità di iniziativa. "Quando sei
giunta quì hai realizzato quanto avevi fatto nella tua vita e a cosa avevi
rinunciato per raggiungere i tuoi scopi. Non sapevi più cosa fosse l'umanità,
l'amore, la solidarietà. L'energia del tunnel ti ha messa davanti alla tua
situazione e ti ha obbligata a guardarti dentro, nel profondo e tu, come quella
ragazza che hai visto tempo fà, con il tuo carattere rigido e inflessibile, hai
ritenuto che non potevi passare, che non ne avevi il diritto. Hai rivisto tutte
quelle persone che avevi maltrattato, che avevi allontanato, di cui ti eri
addirittura approfittata per raggiungere i tuoi scopi, tutti quelli che hai
fatto soffrire. Dovevi in qualche modo pagare, dovevi guadagnartelo. E così,
ecco il motivo del tuo incarico. Gli eventi che hai affrontato hanno finalmente
rivelato il tuo vero carattere, ti hanno liberato della terribile gabbia che ti
eri costruita attorno, trasformandoti in una persona che non riusciva a godere
dei suoi successi perchè nel fondo del suo animo in realtà si disprezzava, non
si riconosceva e non si piaceva assolutamente, ti sei ammorbidita, addolcita.
Ma il punto principale è che per raggiungere i tuoi scopi, non avevi scelta. Dovevi
cercare la strada da sola. Dovevi trovare con i tuoi mezzi la via che ti riconducesse
ad una condizione di umanità e amore che hai sempre posseduto ma che hai sempre
combattuto. Purtroppo il sistema impone le sue regole. Ora hai raggiunto il tuo
scopo. Sei in grado di farti coinvolgere dall'amore fra le persone, sei capace
di piangere per un bambino che soffre o che resta solo. Sei stata in grado di
provare una profonda solidarietà con coloro che soffrivano, hai conosciuto la
pietà e, senza nessun consiglio, sei stata capace di consolare, di aiutare, di
alleviare le sofferenze. A questo punto è giusto ed opportuno che tu abbia
finalmente quello che ti meriti, quello che ti sei guadagnata, senza perdere
altro tempo". La figura le tese la mano e Elisabetta, che non aveva più
nulla di etereo, che aveva ripreso completamente la sua forma naturale,
obbediente la seguì. Ora era lei davanti a quel tunnel e si sentiva felice,
leggera, finalmente serena, senza più dubbi ed esitazioni. Rivolse un ultimo
sguardo di gratitudine a chi l' aveva accompagnata e poi si incamminò. La
figura dorata la guardò avanzare e attraversare decisa la soglia. Ci fu il
solito bagliore, stavolta un pò più intenso e prolungato. Elisabetta era adesso
nella luce e la figura dorata, compiuta la sua missione si allontanò.
NB : Il presente racconto è da
considerarsi frutto di pura fantasia. Deriva da un concetto personale connesso
con il normale svolgersi degli eventi e non vuole minimamente interferire con
le convinzioni altrui pertanto, malgrado la serietà dell'argomento, è da
prendersi solo come l'occasione per raccontare una storia.
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