Ancora di Salvezza; Prologo
Disclaimer: io non
scrivo a scopo di
lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta
Charme
per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!
Ancora di salvezza
“Allora John. Come si sente oggi?”
La voce proveniva da una signora
vestita in modo piuttosto consono alla sua professione: era una
psichiatra. Aveva in mano un taccuino e nell’altra una penna.
Fissava il suo paziente con occhi neri e profondi.
John Watson era steso sul lettino, indossava abiti comodi e fissava la parete di fronte come se fosse interessantissima.
“Come vuole che mi
senta?” domandò ironicamente, “Ah, lasci perdere. Mi
sento… ecco... vuoto: insomma, sono un uomo di quasi
quarant’anni, senza una posizione, con un passato da buttar
via… mi dica lei.”
La donna sorrise accondiscendente,
rispondendo: “Però deve fare un sacco di cose questa
settimana, signor Watson: ha trovato un lavoro, è riuscito a
trovare una casa e un coinquilino.”
“È questo quello che
mi spaventa, miss Smith. Il coinquilino. So che è un
tipo giovane, ma se mi trovo con un ventenne in piena crisi ormonale? E
poi il lavoro. Insomma, anche quello non mi entusiasma. Insegnare.
È vero, non sono stato mai un tipo di troppe pretese,
però proprio l’insegnamento… No, non ci voglio
pensare. Io non voglio insegnare a un branco di stupidi ventenni che
non mi staranno mai ad ascoltare.” sbottò l’uomo,
fissando la Smith, che sospirò.
“Signor Watson, so che ha perso la famiglia, però non si lasci scoraggiare.”
“Non faccia psicologia da quattro soldi, signorina Smith, e mi dia quelle pillole per favore.”
La donna lo guardò con
dolore. “Si sta consumando Mr.Watson, voglio che lo
sappia.” scrisse il nome dei farmaci sul taccuino, e
strappò la pagina consegnandola a John Watson che la prese e
sorrise, finalmente contento.
“Grazie miss Smith, lei è la mia ancora di salvezza.” mormorò l’uomo.
Quando John Watson entrò
nella sua aula all’università di criminologia capì
di essere all’inferno.
Capì che nessuno l’avrebbe ascoltato.
Capì che tutti stavano lì solo per far trascorrere il tempo in un giorno di pioggia con i propri coetanei.
Questo gettò John Watson ancor di più in depressione.
Il nuovo professore sospirò, raggiungendo la cattedra e salì sulla sedia.
Alzò gli occhi e di nuovo furono investiti dallo ciarpame post-adolescenziale.
C’era chi si era svegliato
con un sbronza e quindi dormiva, chi stava chiacchierando animatamente
con le compagne, chi si truccava, chi giocava con il cellulare.
Solo un ragazzo, registrò la
mente di Watson, non faceva niente di tutto quello, ma nel banco
davanti a sé tutto era in perfetto ordine: il libro,
l’astuccio, e il cellulare posti davanti a sé in modo
ordinato quasi maniacale.
Il ragazzo aveva folti capelli
neri, pelle pallidissima e sedeva al primo banco. Ecco perché
non fu difficile per Watson notarlo.
Aveva però gli occhi chiusi
e questo mise John a perfetto disagio, forse molto più dei
ragazzi che dormivano sui banchi.
Si schiarì la gola, osservando ancora i ragazzi, doveva agire, fare qualcosa.
“Solo una cosa potrà
salvarla, professore Watson.” a parlare era stato il ragazzo con
gli occhi chiusi, che adesso però aveva aperto e che
risplendevano. Erano verdi, ma di un verde strano. Sembravano dei pozzi
d’acqua gelida.
“Cosa… Come?”
domandò il professore, non riuscendo a capire come l’altro
potesse aver compreso quello che pensava e soprattutto come conoscesse
il suo nome.
“Come ho capito quello che
pensava? Semplice, si guardava intorno con aria da cucciolo smarrito,
anche il più stupido avrebbe compreso che cercava un modo per
essere salvato. Come ho fatto a sapere il suo nome? Anche questo
è stato semplicissimo. Mi è basto vedere
all’interno del suo taschino, e ho visto che aveva impresso il
suo cognome. E visto che è seduto alla cattedra ho fatto due
più due e ho subito compreso che lei era il nuovo professore di
medicina legale. Semplice, no?” il ragazzo non aveva emesso una
pausa da quando aveva iniziato a parlare e il nuovo, recalcitrante
professore per poco non si era perso.
“Capisco.”
“Sono contento di
incontrarla, sa professore? Potrei benissimo essere quella ancora di
salvezza che cercava. Anche perché li ho fatti smettere.”
disse.
E il professore, dopo un attimo di
paura per come il suo alunno sapesse le parole che aveva pronunciato
solo alla dottoressa Smith, si guardò intorno, e notò che
effettivamente il ragazzo aveva ragione.
Evidentemente doveva avere grande
peso nella società studentesca. Perché chi stava dormendo
aveva smesso e i propri occhi si erano fatti attenti, chi cinguettava
aveva interrotto e stava guardando l’alunno, chi si stava
truccando aveva concluso, e persino chi stava giocando con il cellulare
l’aveva deposto e stavano tutti guardando l’alunno seduto
al primo banco.
“La ringrazio.,
signor…” il professor Watson parlò con cortesia,
anche se avrebbe voluto essere stato lui a farli smettere.
“Holmes. Mi chiamo Sherlock.” si presentò il ragazzo.
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Come avevo detto nella precendente shot, non avrei abbandonato tanto
facilmente i nostri due uomini. E così eccomi qua, spero di aver
fatto incuriosire almeno qualcuno. ah la mia paura è quello di
aver fatto risultare John e Sherlock un pò OOC. Mi raccomando di
avvertirmi se questo dovesse mai accadere.
Un bacio, al prossimo capitolo.
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