Shunkashuutou

di Vortex
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Disclaimer: ok, per quanto mi piaccia pensarlo, gli Alice Nine non mi appartengono, di certo non starei qui a scrivere se li avessi a disposizione, ad ogni modo quanto è riportato in seguito è un prodotto della mia testa -un po' andata, lo ammetto- ah bella la fantasia, eh?


Shunkashuutou



I imagined willfully flying through the image of the future which I drew
Shaking, being shaken, till the time I flap my wings
Someday, till when, can I smile? Where am I running to, how far…
-Shunkashuutou




Dei miei anni di liceo conservo ancora qualche ricordo, tra quelli fondamentali che mi hanno portato ad essere l’uomo di oggi; principalmente nella mia testa è inciso a ferro e fuoco, con un nitore abbagliante, l’anno in cui lo incontrai.
Mi risulta ancora poco credibile come le cose mi scorressero accanto senza che io vi prestassi la benché minima attenzione. Dicono che nell’adolescenza si attraversa il ponte che collega infanzia ad età adulta, e perciò, essendo troppo presi ad adattarci al cambiamento, non possiamo destreggiarci tra le varie visioni del mondo che impariamo a conoscere, dobbiamo sceglierne una sola sulla quale basare le nostre convinzioni, leggere la vita mediante linee di colori assoluti. Probabilmente è vero, perché durante la mia adolescenza non feci altro che cercare disperatamente una mia identità, nonostante fossi ancora un progetto incompleto; volevo un’ autonomia per effettuare un distinguo tra me e gli ideali conservatori che sapevano di vecchio e stantio dei miei genitori, o più in generale, degli adulti. Mi identificavo nella ribellione, la vedevo come un paio di ali con le quali solcare il cielo del domani, senza mai dovermi fermare per guardare un’ultima volta ciò che mi ero lasciato alle spalle. Anche lui pensava come me, fu sicuramente questo il nostro primo punto d’incontro. La musica fece il resto.

Cadeva una pioggia torrenziale dalla notte prima, il treno puzzava di stordimento mattutino e sudorazione dovuta alla totale assenza di spazio vitale, oltre che di cane bagnato; ma nel farmi largo tra la folla per raggiungere un vagone decisamente più sgombro ebbi modo di vederlo. Lui con quegli occhi da cerbiatto ed i capelli che erano nastri dorati in contrasto con una folta chioma castana. La seconda cosa che notai, dopo il piercing al labbro che lo classificava automaticamente come trasgressivo, furono le cuffiette scure collegate al walkman; ricordo che mi chiesi immediatamente cosa stesse ascoltando, anche se non ebbi il coraggio di avvicinarmi abbastanza per chiederglielo.

Entrai in classe con la sua immagine ancora vivida nei pensieri, gli appunti che avevo tentato maldestramente di prendere qualche giorno prima mi sembravano improvvisamente una serie di geroglifici ai quali non avrei mai potuto associare un senso. Peccato che il sensei di matematica non avesse nei miei riguardi la stessa indulgenza che possedevo, invece, io. Dopo una serie di richiami per attirare la mia attenzione -già solitamente poco vigile-, decise di sbattermi fuori dall’aula, “Amano-san deve ringraziare che i miei nervi abbiano resistito abbastanza da permetterle uscire passando dalla porta.”, non me lo disse mai a voce alta, non avrebbe potuto, ma dallo sguardo eloquente che mi lanciò poco prima di ritornare in classe, capii appieno il significato dell’espressione leggere tra le righe.
Senza corrucciarmi troppo per l’accaduto, misi le mani in tasca e decisi di passeggiare attraverso il corridoio per occupare il tempo e giunto di fronte alla porta della II C mi arrestai improvvisamente. Davanti a me si ergeva nuovamente la sua figura, questa volta se ne stava in piedi, appoggiato di sbieco al muro, accanto ad una finestra, con lo sguardo trasognato perso nel paesaggio monocromo immerso nel grigiore spento di una città che si accingeva a fare il proprio ingresso nella globalizzazione, di cui si sarebbe cominciato a parlare qualche anno più tardi.
La mia arma –spuntata- era quanto rifletteva il riflesso opaco di quel vetro: dopo aver deciso di entrare a far parte di una rock band avevo cominciato a dimagrire, tanto da far sparire quella fastidiosa rotondità giovanile delle guancie bianche, ero alto –più di lui-, bello fin da allora e ostentavo con orgoglio quel cipiglio in grado –speravo- di conferirmi un’aria vissuta, da ribelle.

Nonostante tutto fu lui il primo a parlarmi. << Hai da accendere? >> mi chiese non appena fui abbastanza vicino per non poter più passare inosservato.
<< Intendi fumare qui? >> risposi alla sua domanda con una richiesta stupita, inarcando un sopracciglio a voler sottolineare lo scetticismo che la pregnava; a quei tempi fumare era un atto per piccoli delinquenti, un modo come un altro per cercare disperatamente di esternare quel sentirsi adulti in dei corpi ancora acerbi.
Lui emise uno sbuffo simile ad una risata. << Ovviamente no, farmi espellere non è tra i miei progetti al momento. Non hai risposto, però. >>
Infilando una mano in tasca estrassi l’unico accendino che avevo, mostrandoglielo per un fugace attimo prima di lasciarlo cadere nuovamente nel luogo da cui lo avevo preso.
Esibì un sorriso che mi fece avvertire d’un tratto un formicolio che andava dal petto alle ginocchia. << Sul tetto della scuola, tra un’ora. >> così dicendo raggiunse la propria classe nell’esatto momento in cui il suono della campanella annunciò il cambio dell’ora.

Quando giunse la pausa pranzo che tanto avevo atteso –tra i sessanta minuti più lunghi di tutta la mia vita- non esitai a raggiungere le scale che portavano all’uscita sul tetto. Lì sopra un venticello primaverile mi raffreddava il viso e si insinuava molesto sotto la camicia bianca dell’uniforme scolastica, mi dicevo che i sottili brividi che avvertivo erano dovuti ad esso.
Nel guardarmi attorno lo riconobbi seduto per terra, con la schiena appoggiata ad un rialzo. Mi salutò con un nuovo sorriso ed un cenno della testa. Ci dividemmo una sigaretta passandocela tra le mani ad ogni boccata di fumo. Si chiamava Kazamasa Kohara e non avevo mai visto un ragazzo come lui fino ad allora; i miei occhi erano inevitabilmente attratti da ogni sua movenza, e non era dovuto alla sua bellezza innocente –in netto contrasto con il suo atteggiamento ed il modo di proporsi agli altri-, un mio amico –Kouyou Takashima- aveva dei tratti anche più armonici dei suoi, il fatto è che possedeva un fascino del tutto particolare, che mi era sempre stato estraneo.
<< Senti, anche se conosci il mio vero nome, chiamami Shou. >>
<< Ok, allora tu chiamami Tora. >>
Shou ghignò. << Come la tigre? >> mi chiese divertito.
<< Esatto. >> gli risposi ridendo assieme a lui, prima di portarmi nuovamente la sigaretta alle labbra ed inalare profondamente.
<< E come mai questo soprannome? >>
Feci un piccolo sospiro, fissando un punto imprecisato del pavimento davanti a me. << Me l’hanno dato gli altri membri della mia band. >>
Lui reagì repentinamente con un: << Oh, me l’aspettavo, sai Tora-san? Un tipo come te deve per forza fare parte di una band, sicuramente rock. >>
<< E cosa te lo fa pensare? >>
<< Oh ma è semplice Tora-san, si vede. L’ho capito quando ti ho visto, così come sapevo che avresti avuto quell’accendino. >> disse compiaciuto. << Sei diverso da quella massa di automi, Tora-san. >>
Decisi di buttarla sul ridere per mascherare pietosamente il modo il cui il mio cuore aveva preso a palpitare nel sentire quelle parole. << Oh oh, ma senti, “automi” allora ogni tanto li leggi i libri che ti porti dietro, eh? >>
Shou rise, emise un suono cristallino, diverso dal suo tono di voce profondo, ed uno strano calore mi scivolò dentro.  << E’ che a volte ho l’impressione che gli altri vogliano impormi un modo di essere che non mi appartiene. >> quella sua spiegazione mi fece ammutolire, potevo rispecchiarmi perfettamente nella sua riflessione. Per un attimo i suoi occhi si colmarono di una profonda malinconia, della quale avrei scoperto l’origine solo anni ed anni dopo. << E’ grandioso poter spaccare il culo a tutti a colpi di chitarra! >> aggiunse poi, ritornando lo stesso di poco prima, con quel suo sorrisino che meglio poteva essere definito un ghigno su un volto terribilmente espressivo.
Scoppiai a ridere scuotendo le spalle e facendo oscillare la testa. << E tu? Niente rock band per te? >>
<< Ci siamo sciolti quest’estate. >> mi rispose con rassegnazione, più che dispiacere.
<< Be’, se ti piaceva davvero dovresti cercare di ricomporne una nuova, non credi? >>
Shou annuì con una piccola smorfia, poi, accorgendosi di essere quasi arrivato al filtro, schiacciò la sigaretta contro una mattonella, mettendosi in ginocchio davanti a me. << Penso che lo farò, ma in quel caso, Tora-san, ti voglio nel gruppo. >>

Per tutto il tempo non avevo fatto altro che pensare a lui, e a quanto affascinante fosse, tanto che la mia mente aveva persino occultato un piccolo particolare: era un maschio. Come me, del resto. Me ne resi conto improvvisamente, fu come venir attraversati da una scarica elettrica, tanto che le mie sinapsi ne uscirono distrutte. Non si trattava di omofobia, nemmeno sapevo cosa volesse dire all’epoca, semplicemente erano altri tempi e per il mio modo di ragionare  non era accettabile addentrarsi in un campo tanto particolare e delicato come quello. Non ero in grado di affrontare una situazione di quel genere, perciò il mio istinto da codardo non faceva che ordinarmi di scappare quanto più lontano possibile.
<< Non mi hai nemmeno sentito suonare. >> dissi, però, rimanendo immobile. Il modo che aveva di stregarmi mi teneva incatenato al suo sguardo troppo dolce, il mio petto sembrava potersi dilaniare sotto quell’incanto che mi spaccava in due.
<< Me lo sento che un giorno farai parte della mia band. >> così vicino al mio viso era talmente bello da poter adombrare senza il minimo sforzo le fattezze di chiunque. Dentro di me sperai vivamente che ciò che aveva appena detto si fosse avverato.

Arrivato a quel punto, potevo essere onesto e provare a baciarlo, ma questo avrebbe implicato ammettere una realtà scomoda; avevo diciassette anni –quasi diciotto- a coprirmi le spalle, troppo pochi per il coraggio richiestomi.
Esibendo il mio miglior sorriso beffardo, perfetto per occasioni come queste, risposi prima di doverlo abbandonare per tornare in classe accompagnato dal suono della campanella.

<< Staremo a vedere. >>





Note di Vortex: Allora, eccoci qui. Era da tanto che scrivevo più nulla, eh? Comunque, questo è il mio ingresso ufficiale nel fandom, bene, la cosa mi agita giusto un po'. Questa storia è ispirata alla canzone degli arisu da cui prende il nome, diciamo che non segue esattamente il significato del testo, più che altro l'idea mi è venuta guardando il pv, dato che sapevo che Shou conosce Tora da più tempo rispetto al resto della band ho pensato di descrivere un loro ipotetico primo incontro. Ho cercato di ambientarla in un arco temporale che si trova alla fine degli anni novanta, visto che poi nei primi del nuovo millennio gli Alice hanno debuttato.
Ci sta un piccolo riferimento ad un certo Kouyou Takashima ad un certo punto, lui è il chitarrista dei Gazette, ho pensato di mette il confronto tra la sua bellezza e quella di Shou perchè si comprendesse meglio quanto fascino abbia il nostro caro vocalist U_U
Ho scelto proprio lui perchè Tora è stato in una band insieme a Uruha -il suddetto chitarrista.
Bene... Che dire, arrivati a questo punto, grazie per l'attenzione e casomai doveste sentire il bisogno impellente(?) di dirmi che ne pensate, lasciate pure una recensione.





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