Laura
stava per varcare per la prima volta l’entrata della True Cross Academy, dove era
riuscita a farsi ammettere grazie al duro lavoro che aveva portato avanti
studiando tutti i giorni per dodici ore nell’ultimo mese.
Doveva
molto quell’ammissione anche alla sua migliore amica Rea, che, pur di non
lasciarla sola lontana da casa, l’aveva seguita all’accademia.
Erano
rimaste in silenzio e tese fin da quando erano salite sul treno che le avrebbe
portate alla scuola. Quel silenzio le stava uccidendo, aumentava la loro
agitazione.
“Allora ci siamo, eh Rea?” domandò Laura per
smorzare l’atmosfera.
“Già. Siamo proprio sicure di voler stare in un’accademia?
Insomma, non sarà come una specie di convento dove non possiamo fare
niente?”
“Speriamo di no!”
“Magari è un castello enorme dove ci sono i demoni e i
fantasmi!” scherzò la sua amica, mettendole una certa
apprensione.
“Smettila, lo sai che ho paura dei demoni!” la
riprese l’altra.
Aveva
quella paura fin da piccola, da quando aveva visto in televisione uno speciale
in cui una ragazza veniva posseduta da uno di essi. Al solo pensiero
rabbrividì.
“Ehi, credo che ci siamo” disse Rea.
Quando
uscirono dalla galleria si aprì davanti ai loro occhi un mondo nuovo: non era
una semplice scuola, era un vero e proprio paese!
Le
ragazze rimasero a bocca aperta, incapaci di parlare.
La
montagna sulla quale si ergeva la scuola aveva alla base una città che si
estendeva per qualche chilometro, circondata da quello che Laura pensò essere il
mare, o un lago.
“Non… non mi sembra proprio un convento, sai Rea?”
disse.
L’altra
annuì, ancora troppo stupita.
L’interno
della True Cross era enorme, talmente grande che ci si
poteva perdere da un momento all’altro.
Spaventate
e insicure, le due ragazze rimasero vicine fin quando il preside tenne il
discorso.
“Le lezioni inizieranno la prossima
settimana, così potrete ambientarvi e sistemarvi per bene. Benvenuti alla True Cross Academy, ragazzi!”
disse.
Era un
tipo strano: vestito di bianco con buffe calze a righe rosse, portava una tuba
dello stesso colore del vestito e un foulard rosa a pois.
Laura
lo fissò rapita fin quando Rea non la prese per mano e la
scosse.
“Ma che guardi?” le chiese. La ragazza arrossì
violentemente.
“Niente, niente” disse vaga.
Seguendo
la traiettoria del suo sguardo, l’amica trovò il bersaglio e spalancò la
bocca.
“Non pensarci nemmeno!” proibì.
“A cosa? Chi stava pensando? Ti sembro
il tipo che pensa?”
“Laura, non dirmi che ti piace il preside, ti prego non
dirmelo!” implorò disperata Rea. Si stavano dirigendo verso le loro
stanze. Sarebbero state in camera insieme.
“Possiamo parlarne una volta
sola?”
“Sei un’idiota, ricordatelo, ma va bene”
Tirando
un sospiro di sollievo, Laura si guardò attorno: l’ampio ingresso era dipinto di
bianco, e ovunque c’erano scale mobili e scalinate varie.
“Ma tu sai dove dobbiamo andare?” chiese dopo un
po’ che camminavano.
“No, ma seguo la folla.
Il nostro appartamento è questo, vedi?” le spiegò mostrandole un
foglietto.
“E se tutta questa gente andasse da un’altra
parte?”
“Vorrà dire che torneremo
indietro”
Circa
venti minuti dopo, riuscirono a trovare l’alloggio. Era una piccola stanza in
un’ala della scuola, dalla parte del dormitorio femminile. I letti erano messi
uno da un lato e uno dall’altro della camera, e sotto le finestre (che si
trovavano di fronte alla porta) c’erano le scrivanie.
“Finalmente!” disse Rea gettandosi su uno dei due
letti. Le loro valigie erano già là.
“Questo posto è gigantesco!
Sei sicura che non ti perderai?” insinuò Laura,
sogghignando.
Il
senso dell’orientamento dell’amica era paragonabile a quello di un cieco in un
labirinto.
“Cosa vorresti dire?
Guarda che potrei dirti la stessa cosa!” rispose lei arrabbiata.
“No, non puoi.
Io so orientarmi molto meglio di te e lo sai benissimo” ribatté Laura sedendosi sull’altro
letto.
“Ah sì?
Ora la paghi!” le disse Rea,
catapultandosi dall’altra parte della stanza e stendendo Laura sul
letto.
Iniziò a farle il solletico sui fianchi, dove sapeva che l’amica soffriva
moltissimo.
“No! No, ferma, no! Ahahahahah, smettila, ti prego!”
“Chiedimi scusa! Chiedimi subito
scusa!”
“Ok, ok, mi arrendo.
Scusa!” disse l’altra tra le
lacrime.
“Mmh… forse posso perdonarti… ma ad una sola condizione!”
concesse Rea continuando a bloccare Laura.
“Cioè?”
“Cosa stavi guardando prima?” domandò minacciosa
puntandole un dito contro.
La
ragazza sbiancò.
“Niente! Te l’ho già detto!”
“Tu non me la racconti giusta, Hachi!” (NOTA PER LAURA: SCUSAMI, MI E’ NATA
SPONTANEA! HACHI CI STAVA TROPPO BENE!!!) rispose
dubbiosa Rea.
“Fidati!
Ero solo curiosa perché il nostro preside è molto…
particolare, ecco” spiegò Laura.
“In effetti, è proprio un tipo
buffo.
Hai visto com’era vestito? Eccentricità a mille!” rise l’altra.
“Vero. E il cappello?”
“Vogliamo nominare l’ombrello?”
“O le scarpe a punta!!”
Continuarono
così per un po’ di tempo, poi la stanchezza per il viaggio e per la grande
eccitazione le fecero crollare. Si addormentarono poco dopo e dormirono fino al
mattino successivo.