Il sesto

di Ghen
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Il sesto






1. Irregolarità

Penso che mi chiamerò June: come il giugno in cui sono nato, come il giugno in cui è morto il mio gatto, come il giugno dei miei genitori che mi hanno abbandonato.
O meglio: sono spariti, loro. Il giorno in cui comparve quella meteora in cielo e mi convinsi di essere solo. Era comparsa oggi in effetti, in mattina, svuotando il cielo di nuvole. Mi sono svegliato e quella stava lassù nel cielo e i miei genitori non stavano più nella loro camera. Alla finestra vidi solo qualche foglia morta, che della campagna non n’era rimasta più nulla.
Pensai, scendendo le scale, che forse quella meteora s’era già schiantata a terra e aveva spazzato tutti via, meno che me e la mia casa.
Preparai per fare colazione, come se tutto potesse essere normale nella sua anormalità. Magari, pensai, poteva forse sistemarsi tutto da solo. Ma ahimè avvolto della mia innocenza mi sbagliavo, e in fondo tanto in fondo, io già lo sapevo di sbagliarmi; e tutto mi sembrò più chiaro nel veder rientrare Pussy dall’angolo della finestra. O meglio: non più chiaro, no, ma nella sua infinita irregolarità, sì.
Pussy era il mio gatto. Il mio gatto morto.

Lo fissai e lui fissò me, sedendo sul davanzale.
Bello come lo ricordavo: bianco e a chiazze nere, con quel suo musetto rosa. Si leccò una zampa mentre continuava a fissarmi, ed io fissavo lui mentre ingoiavo i cereali della mia tazza di latte caldo.
Il perché, mi chiedevo, del suo fissarmi continuo. Non che Pussy non mi avesse mai fissato, ma c’era un qualcosa in quel fissare incessante e snervante che quand’era in vita non c’era. Eppure, accidenti, non mi chiesi neanche un po’ com’era che fosse eretto sulle sue zampe dentro la cucina, quando lo scorso giugno io stesso l’avevo seppellito sotto qualche centimetro di terra in giardino.
Il cielo, buffamente, cominciava a diventar di un arancio diluito, che prese la mia attenzione. E con la mia, quella di Pussy. Buffo colore, quello, per essere il mattino. Di certo non pensai, continuando ad ingoiar cereali, che doveva sicuramente trattarsi della meteora che correva rapida verso il suolo.
«Beh». Quella voce fine d’un cantante d’opera mi bloccò l’ultimo boccone. «Dunque è così che deve andare? Tu mangi cereali seduto comodamente ed io osservo preoccupato quel coso lassù, pregando in Dio per il nostro ultimo viaggio». Era Pussy. Pussy che aveva parlato ed io a bocca aperta lo fissai sbalordito. «Non credevo di finire così. Va bene, non sarò stato il gatto d’eccellenza che ogni padrone volesse amare ma, a mia discolpa, posso dire di essermi sempre lavato, e pulito la mia lettiera ogni dì… Ogni dì!», continuava mugolante, osservando prima me e poi la finestra.
«E-Ed io che posso fare…?», mi decisi a parlare. Avevo paura in verità, di una sua eventuale risposta: Pussy sembrava così dannatamente superiore, nel suo miagolare degno d’un attore, che mi salì un pizzico d’angoscia.
Nuovamente, mi fissò dritto nelle iridi spaventate. «Tu? Era qui che ti volevo», parve sorridere. «Tu sei l’unico che può fermare ciò».
«Oh… io? E come?». Decisi di rimettere giù il cucchiaino con l’ultimo boccone di cereali e di alzarmi dalla sedia, per mettermi al centro della stanza. Se potevo fare qualcosa, dovevo farla subito.
«Mio giovane padrone…», ricominciò a miagolare Pussy, fissandomi. «June», sottolineò il mio nome. «Trova gli innamorati e avrai la soluzione. Segui il percorso, vinci la sfida, aggiusta l’intuito e apri gli occhi, solo così avrai vinto. E Pussy te lo promette, mio campione, riavrai indietro ogni cosa».
Deglutii. Era come se avessi capito ogni cosa di quelle parole, per quel solo momento, che mi sembrò quasi vero d’aver già terminato. Riavere indietro ogni cosa: i miei genitori, la mia campagna, la mia vita? Tutto vero, mai dimenticato, ma la nuova realtà mi dava consolazione: non sentivo nessun dolore.
Sguardo veloce, quello di Pussy, che dopo un altro sorriso scivolò via dalla finestra com’era venuto, lasciandomi solo con il pensare: da dov’era che dovevo cominciare?
Dovevo trovare un percorso, ma l’unico che vidi fu l’andito per la porta di casa: strana, aveva una forma inusuale, e così capii che da lì tutto poteva iniziare.














***

Questa che vi state apprestando a leggere è una piccola storiella immersa in un mondo onirico, dove ogni cosa ne nasconde un’altra… quindi non aprite gli occhi, ma la mente!
Per aiutarvi, comunque, vi farò una piccola guida sotto ogni capitolo, che metterò scritta di bianco, così basta passare sopra il mouse per leggere ma evita la lettura invece a chi non ha interesse.
Il primo e l’ultimo capitolo sono le cornici della storia, quindi non c’è molto da dire su questo primo capitolo che non valga la pena se non dopo aver letto l’ultimo.
Forse, però, annoto una cosa…
June: il protagonista si chiama June? No. Il protagonista “pensa” che si chiamerà June, da quel momento in poi. Perché June non è il suo vero nome ma dal momento in cui è “entrato” in quello strano mondo non aveva bisogno del suo nome, ma del giugno.
E giugno non è forse il sesto mese dell’anno?



Questa storia è arrivata seconda (su tre) al contest [Original Malefica 1] L'Ala e... il Gatto:



(Il banner mi piace un sacco <3)

Al prossimo capitolo!
Ciao, ciao da Ghen =^____^=







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