Desclaimer: chi
ha letto il racconto “I morti” di Joyce sa da cosa
ho tratto ispirazione, per
quel “Credo che se avesse potuto, sarebbe morto per
me”. Senza dimenticare che
la frase di Nietzsche “E se guarderai a lungo nell'abisso,
anche l'abisso
guarderà dentro di te” ha avuto la sua parte. Ok,
lo ammetto, devo credits a
Friedrich anche per l’aforisma 125 de La
Gaia Scienza.
Parting ways
Niente
più di una sigaretta accesa nel buio della stanza, un
tizzone che sembrava ardere ritmicamente ogni qualvolta ne veniva
inspirata una
boccata. Solo una sigaretta e un incessante girotondo solitario.
Marie
continuava a camminare in tondo per la stanza,
incurante del buio o del
ragazzo che,
seduto di fronte a lei, la osservava. Ricordava altri tempi, altre
sigarette,
soffici capelli che spiovevano su un viso sbiadito nella memoria.
-Non
è giusto.- Le prime parole che le uscivano dalla bocca
da diverse ore avevano un retrogusto amaro, quasi come un sorso di
whiskey da
quattro soldi.
La
figura silente di fronte a lei non diede neppure segno di
essersi accorta del mormorio che aveva squarciato il pesante silenzio.
-Non
è giusto- ripeté Marie, questa volta con una voce
un
po’ più sicura e più alta.
Ecco,
il suo vagare irrequieto era finalmente giunto al
termine, nel momento in cui si era seduta sul pavimento polveroso.
Aveva
incrociato le gambe magrissime, in una specie di parodia di bambina.
-Sai,
credo mi amasse. Credo che se avesse potuto, sarebbe
morto per me.- Solo un breve cenno di assenso diede a intuire che
l’altro era
all’ascolto.
-Non
so se mi amava davvero, ma credo fosse una di quelle
cose da ragazzini, sai, quando pensi di amare davvero e questo tuo
amore ti
sconvolge così tanto che lascia solo ceneri dietro di
sé, ma ti lascia anche un
calore incredibile e…- La voce si spense in un mormorio
fioco, mentre il suo
sguardo si perdeva in chissà quale astratto pensiero, la
bocca leggermente
aperta a testimoniare la sua concentrazione.
Fu
solo in quel momento che, gettato il mozzicone in un
bicchiere sbeccato, il ragazzo parlò. -Probabilmente ti
amava davvero, Marie.-
Ma la reazione di Marie non fu positiva, nonostante le parole forse di
conforto: prima trasalì, sorpresa da
quell’intervento, e poi il viso le si velò
di rimpianto, mentre gli occhi iniziavano a diventare lucidi.
-Non
so, ma quello che mi rendo conto è che non ho mai saputo
chi lui fosse, in realtà.- trasse un sospiro profondo, a
trattenere le lacrime
che minacciavano di uscire. -Forse… Forse se
l’avessi conosciuto davvero,
l’avrei amato anch’io. Forse ora saremmo felici.-
-Non
parlarne come se fosse morto- rispose il suo
interlocutore con un tono aspro. –E non lo è
forse?- si ritrovò lei a urlare,
senza ricordarsi esattamente quando si era alzata in piedi con i pugni
serrati.
–Non siamo tutti morti nel momento in cui ci siamo arresi?
Non siamo forse
morti quando abbiamo smesso di sognare?-
-Basta,
Marie. Sei stanca, devi riposare.- La voce si fece
ancora più secca, quasi cattiva, nonostante le parole di
riguardo. Lei se ne
accorse e ne sorrise amaramente.
-No,
non ti importa del mio riposo, non ti importa di nulla.
E’ che non capisci. Tu… Tu un tempo avresti
capito, ma ora no. Ora non sei più
in grado di… Ora sei passato dall’altra parte.- La
ragazza febbrilmente aveva
ricominciato a girare in tondo, i pugni che si contraevano
spasmodicamente. -Tu
sei solo un burattino di quella società che avevamo giurato
di eliminare,
Christian.-
-Non
si può eliminare una società, non si
può distruggere
tutto quello che milioni di uomini hanno costruito a fatica. Non ne hai
la
forza, ma soprattutto non ne hai il diritto.- Il rumore di una sedia
spostata
fu l’indizio che anche il ragazzo si era alzato in piedi, a
fronteggiarla.
-Ho
questo diritto, come lo chiami tu, ma io preferirei parlare
di dovere. Io non voglio fare male a nessuno, tranne a chi fa del male
agli
altri.- Il viso di lei era nascosto nell’ombra, ma Christian
immaginava la sua
espressione fiera, il mento alzato, come quando era ancora piena di
sogni e
illusioni. Si passò una mano tra i capelli corti, ormai
spazientito dalla sua
ottusità. -Non potrai ribellarti in eterno, cerca di
capirlo. Questa gente non
ci ascolterà. Questa gente vuole solo vivere la propria
vita.-
-Quanti
mostri che hai creato, Christian…- Ma la ragazza fu
interrotta ancora una volta dal brillio negli occhi di lui, folli di
lucidità.
-I
mostri ce li creiamo tutti. I mostri ci vivono nel
cervello e noi li guardiamo costantemente
negli occhi, mentre loro guardano dentro di noi.-
Christian aveva
l’impressione che quelle parole che aveva pronunciato,
proprio quelle, solo quelle,
fossero la chiave di tutta
la conversazione. Anche Marie sembrò percepirlo, mentre
l’atmosfera nella
stanza tornava all’ovattata alienazione di prima. Per questo,
quando parlò, lo
fece con un tono di voce molto basso, quasi impercettibile.
-Vorrei
che Stephan fosse qui, lui risolverebbe tutto.- Quando
la rabbia se ne andava, in lei c’era posto solo per la
malinconia, nostalgia di
un passato irraggiungibile. Così irraggiungibile eppure
così vicino, come notò
Christian un istante prima di pronunciare le parole successive:
-Neppure Stephan
avrebbe potuto portarti via dal tuo abisso, Marie. Neppure con tutto
l’amore di
questo mondo.-
Un
altro sospiro e -Non lo so, Christian, non lo so.- Il
tono di entrambi si abbassò ancora, la stanza stessa
sembrò oscurarsi ancora
più, segno che forse, al di là delle imposte
chiuse, il sole era
definitivamente tramontato. Con la scomparsa dell’ultima
fievole luce, anche le
loro voci parvero spegnersi, confondendosi e sovrapponendosi negli
ultimi
strascichi della conversazione, prima di essere inghiottiti
definitivamente dal
nulla di quel luogo senza tempo.
-Sai, forse l’amore è
più forte del resto. Credo che bisognerebbe provarci.-
-A fare cosa?-
-A lasciar perdere
queste ribellioni. A insegnare solo l’amore, per comprenderlo
anche noi.-
Note
dell’autrice: questi
personaggi mi sono entrati nell’anima, forse
perché ne sono parte.
|