Blood
and dust
-Un giorno te ne andrai. Forse non così
presto, a giudicare da quanto è imbarazzante la tua vita sentimentale, ma
succederà. So che succederà. Ho immaginato tutti gli scenari possibili.-
Sherlock è sulla poltrona, attorcigliato
nella vestaglia. John lo guarda da sopra il giornale e non dice niente, ma sa
che è vero. Un giorno se ne andrà. Magari non per Sarah, magari per una Grace o
una Anne o una Mary. Un giorno se ne andrà sul serio.
-Non è un problema, John. Non sono mai
stato sentimentale.-
E John sa che è vero anche questo, ma ci
sono delle cose. Momenti minuscoli, polvere negli occhi. Tazze di tè che Mrs Hudson giura di non essere stata lei a preparare,
coperte che non ricorda di essersi messo addosso prima di addormentarsi davanti
alla tv, sguardi da sopra il microscopio. Sorrisi.
-Quando te ne andrai io rimarrò qui.
Potrei cambiare appartamento, ma non lo farò, e comunque non è questo il
punto.- Sherlock si incrina appena, John lo vede dalla luce troppo bagnata nei
suoi occhi. E’ come se stesse dicendo ad alta voce un discorso che ha ripetuto
migliaia di volte nella sua testa, fino a stare male, fino a vomitare. –Devo
chiederti una cosa, John, e capisco che potrebbe venire fraintesa. Non che
resti molto, se si esclude quello che può venire frainteso. Ho bisogno che tu ti
tolga i vestiti. Per favore.-
John vorrebbe dire che Dio, no.
Assolutamente no. Non i vestiti, non davanti a un uomo, non davanti a lui. Però c’è qualcosa, dentro Sherlock,
in questo momento. Qualcosa di rotto, cocci di vetro, una ferita che brucia.
-Per favore, John.-
E John lo fa. Ed è strano perché non è
strano, è quasi come se non fosse sbagliato, come se stare in piedi nudo
davanti a un altro uomo che adesso è nudo anche lui, come se questo andasse
bene. Come se la stanza si chiudesse su di loro come una bolla, e fuori non ci
fosse più Londra, non ci fosse più niente.
-Ora devo fare una cosa. Non fermarmi.
Rimani fermo e basta, non ti chiedo altro. Puoi chiudere gli occhi, se vuoi.-
John li chiude e aspetta, ma non succede
niente. E’ quando li riapre che qualcosa non va. C’è del sangue, e Sherlock ha
un coltello tra le dita, e sta disegnando linee sulla propria pelle, traccia
cicatrici esattamente dove John ha le sue, il segno sulla gamba di quella volta
che a sette anni è caduto dalla bicicletta, il taglio netto sul braccio di
quando il suo compagno di facoltà si è voltato di scatto con un bisturi in mano.
E poi le ferite di guerra, lo scarabocchio sulla spalla. John si lancia in
avanti e butta il coltello lontano, da qualche parte tra la polvere e i fogli
accartocciati.
-John, non ho ancora finito. Mi manca il
braccio destro, e quel segno sul fianco non si farà da solo. Dammi un attimo,
non ci vorrà più di qualche minuto, davvero.- Ha lo sguardo annebbiato, mentre
perde sangue sul tappeto. John vorrebbe urlargli in faccia e baciarlo e dire
che non se andrà mai e non deve fare tutto questo, ma non si fanno promesse che
non si possono mantenere, non si fanno e basta, è roba da scuola elementare.
-Lasciami finire, John. Potrai medicarmi,
dopo, se ti farà sentire meglio. Ma adesso ho bisogno di finire. Voglio averti
inciso addosso, quando te ne andrai. E’ meglio così, credimi. Farà meno male.-
John respira la polvere del tappeto e
l’odore di ferro del sangue, tutto insieme. C’è qualcosa di rotto anche dentro
di lui, adesso, però se lo tiene e prende il coltello e il braccio di destro di
Sherlock, e lo fa lui. Ogni segno, ogni cicatrice. Il sangue gli bagna le dita
e le lacrime gli bagnano gli occhi, e sono un po’ troppi liquidi in un giorno
solo, ma va bene, può farlo.
-Devi premere di più, John. Deve rimanere
per sempre.-
John annuisce. L’ultimo taglio è quello
sul fianco, è stato in Afghanistan, è stato una vita fa. Chiude gli occhi e
respira piano tra le dita.
-Non per metterti fretta, John, ma
suppongo che ora quelle bende mi sarebbero utili.- Sherlock sorride appena e le
sue palpebre tremano come se stesse cercando di non chiudere gli occhi per non spaventarlo.
Questo lo spaventa ancora di più, in realtà, però si alza e corre in bagno e lo
stringe nella stoffa che si bagna subito di sangue, fiori rossi su neve
candida, come in quella storia per bambini, quella della ragazza bellissima che
mangia la mela avvelenata. Si concentra su questo perché è un pensiero
qualunque e sente di aver bisogno di pensieri qualunque, adesso, per non impazzire.
-Grazie, John. Se mi aiutassi ad arrivare
al divano poi ti lascerei tornare al tuo giornale. Hai perso il segno, ma eri a
pagina ventisette.-
John si alza e lo accompagna. Si riempie
la testa di quella volta che ha dovuto raccontare una storia alle gemelline in
ambulatorio, e una assomigliava alla sua cotta delle elementari, doveva essere
qualcosa come Lilian, o Lilith, era bionda e carina e gli prestava la gomma
anche se non ne aveva bisogno. Quando torna al suo giornale viene fuori che Sherlock
aveva ragione, era davvero a pagina ventisette, si ricorda il trafiletto
laterale sull’apertura di un nuovo centro commerciale, magari ci farà un salto
domani pomeriggio, dopo il lavoro, perché no?
C’è così tanto sangue, tra la polvere del
tappeto.
Angolino
Questa storia è stata scritta per il prompt #11 - “legame di sangue” - del Team Fanon
dello Sherlothon, il quale è una cosa bellissima dello
SFI. Tutto quello che avete sempre voluto sapere e non avete mai osato chiedere
lo trovate qui (http://sherlockfest-it.livejournal.com/21513.html#comments).
E boh, basta <3