Titolo:
Snuff
Summary:
Sherlock
aveva ripreso a fumare con una certa regolarità, da quando era
morto.
Pairing:
Sherlock/John; mamma Holmes.
Words:
1458
Rating:
PG
Desclaimers:
Not mine, gnè.
Notes:
Partecipa alla Sherlothon dell SFI, col prompt #4 (Fumo di tabacco)
del Team Canon.
Snuff
“Il
vizio del fumo,
come
ogni altro vizio divenuto abituale,
ha
questo di triste,
che
non dà più, se non raramente,
gusto
per sé,
ma
prende qualità dal momento in cui si soddisfa
e
dall'anima con cui si soddisfa.”
(Pirandello)
Sherlock aveva ripreso
a fumare con una certa regolarità, da quando era morto.
John non avrebbe
apprezzato, lo sapeva. Sorrise, accendendosi l'ennesima sigaretta.
No, non avrebbe
apprezzato.
Lo osservò
parlare con Harry dalla vetrina del ristorante ancora un po', poi si
accorse dell'orario e seppe che doveva fare altro. Gli diede
un'ultima occhiata.
Non stava bene. Non
stava bene per niente.
Aveva sperato solo
che non fosse suo amico, così avrebbe potuto fargli del male.
Almeno senza provare
dolore a sua volta.
Quando era vivo –
se così si poteva dire - Sherlock fumava di notte, di solito
mentre guardava John dormire.
Non era per qualche
tipo di feticismo che lo faceva, forse solo per il gusto di guardarlo
e basta. Oppure perché trovava che tanta perfezione dovesse
essere accompagnata dal tabacco. O il contrario. Non ne era certo.
All'inizio –
all'inizio, quando aveva iniziato a capire che da un momento
all'altro non avrebbe più potuto fare a meno di lui e che,
considerando quello che era, non ne sarebbe uscito incolume - l'aveva
pregato di scappare, andarsene. Allontanarsi dalla sua anima, dalla
sua mente. Anche se non aveva ancora capito dove aveva tirato fuori
la forza per farlo, ogni volta. Evidentemente la preoccupazione per
l'altro aveva superato, cosa straordinaria, anche la sua naturale
ritrosia a fare discussioni inutili. Inutili perché sapeva che
nessuna giustificazione avrebbe fatto smuovere John Watson dalla sua
posizione, ma si aggrappava a una sottile speranza. Era umano anche
lui.
Gli
aveva detto che il suo cuore era troppo nero per provare
emozioni, che non
poteva distruggere quello che non c'era.
Non era servito a
niente, ovviamente. Qualsiasi cosa accadesse, John restava al suo
fianco.
«Lo so.»
«Cosa?»
«So che fumi di
notte, mentre dormo.»
«Non hai prove.»
«Le mie lenzuola
odorano di tabacco quasi tutti i giorni, quindi...»
«Uscirò
dalla camera, se vuoi.»
«Non m'importa
delle mie lenzuola. Basta che tu sappia che io lo so.»
Non si meritava di
averlo. Davvero.
«Non ho mai
dubitato della tua intelligenza, John.»
Il suo spasmodico ed
egoistico bisogno di averlo lì, accanto a lui, stretto
a lui, l'aveva portato a lasciare gradualmente perdere le discussioni
inutili, e a lasciare spazio alla comune rassegnazione al fatto che
ormai erano l'uno nella vita dell'altro, completamente. Punto e
basta.
Però...
se lui era solo non poteva odiare.
Gliel'aveva sempre
detto anche sua madre.
Avrebbero finito con
l'odiarsi l'un l'altro? Sherlock ci pensava ogni volta, e ogni volta
scuoteva la testa, spegneva la sigaretta e lo guardava.
Non si sarebbe mai
stancato di guardarlo.
Forse poteva odiare
abbastanza da amare.
Sherlock entrò
in casa piano, aprendo la porta con le chiavi. Per fortuna Mycroft
non aveva fatto cambiare la serratura da quando era andato via. Si
diresse a passo felpato verso il corridoio, ma si fermò quando
la luce nel salotto si accese.
Sua madre lo guardava
dalla poltrona sulla quale era seduta. «Sapevo che eri vivo.»
disse.
Sherlock scoprì
di non essere sorpreso di vederla, e si andò a sedere sulla
poltrona accanto, senza guardarla.
«Sei tornato per
fermarti?» chiese.
«Per fermarmi non
lo so. Per migliorare a precipitare.» (1)
Lei sorrise, un sorriso
sghembo.
«Mi dai una
sigaretta, Sherlock?»
Finalmente guardò
verso di lei, col sopracciglio alzato. «Come fai a sapere che
ho ricominciato? Non te l'avrà mica detto Mycroft?»
Lei sbuffò. «Ti
prego. Sono tua madre. So più cose io di te di quante tu
stesso ne potresti scoprire mai.»
Sherlock non disse
niente. Sospirò. Prese il pacchetto dalla tasca del cappotto,
ne offrì una a sua madre e l'accese. Lei fece una faccia
soddisfatta, simile alla sua, quando fece il primo tiro.
«Non abbiamo mai
fumato insieme, mamma.» disse.
«Per forza! Tu e
tuo fratello lo facevate di nascosto, anche se sapevate perfettamente
che io fumavo.» Gli lanciò uno sguardo accusatore prima
di aggiungere: «Tu facevi anche altre cose, di
nascosto.»
Sherlock preferì
lasciar cadere da qualche parte nascosta della sua memoria il momento
in cui sua madre aveva trovato le altre cose nella sua stanza.
«Come fai a
ricordarti di me?» chiese lui all'improvviso, osservandola.
Perché era quella la cosa più sorprendente.
«Perché
non dovrei ricordarmi di te?» Sembrava stupita.
«Non ti ricordi
mai di me, mamma. Hai l'Alzheimer.»
«Oggi sono
lucida.» tagliò corto lei.
Sherlock si accese
impaziente una sigaretta a sua volta, perché aveva sempre
odiato le mezze risposte.
«Cosa sei venuto
a prendere qui?» chiese lei con un sorriso beffardo e amaro al
tempo stesso «Cosa può esserti utile della tua vecchia
vita?»
«Non ti
riguarda.» sputò fuori lui insieme al fumo.
«Come sempre.»
mormorò sua madre fissandosi le unghie.
Fumava nervosa.
Sherlock aveva visto quella scena centinaia di altre volte, e sempre
quel nervosismo era per colpa sua. Piacevoli ricordi di famiglia.
«Perché
non mi ami, mamma?» (2)
Se l'era sempre
chiesto, ma da giovane certe domande non le poteva fare, o comunque
non era interessato alle risposte. Appena diventato adulto era andato
via. Prima per il college, poi... Poi a Baker Street, con John. E
quando finalmente raggiungeva l'età giusta, sua madre prendeva
l'Alzheimer e non poteva più rimproverarle niente. Non si
ricordava neanche chi fosse. Adesso... sapeva che la sua lucidità
non sarebbe durata, ma sapeva anche che era l'unico momento in cui
avrebbe potuto farle quella domanda. Adesso che era morto, doveva
sapere perché era vissuto. Perché era venuto al mondo.
Lei si voltò a
guardarlo, gli occhi spalancati, offesi.
«Che sciocchezze
dici?»
«Perché
ami Mycroft più di me? Che cos'ho che non va?» insisté
implacabile.
«Niente.»
rispose secca sua madre «Tu non hai niente che non vada.»
Si sentiva come se
avesse avuto di nuovo otto anni, quando dal basso la osservava fumare
per calmarsi, dopo l'ennesimo errore che lui aveva fatto. Quando
vedeva l'affetto di sua madre bruciare insieme al tabacco.
Il suo amore era
stato punito – bandito – tempo prima.
«Hai sempre
pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in me.» disse
alzandosi «Perché non mi hai mai dato un briciolo
dell'amore che avevi per lui?»
L'aveva venduto per
salvare se stessa.
Lei scosse la testa,
distogliendo lo sguardo da lui.
«Ho fatto tanti
errori con te, Sherlock.» disse, osservando la sigaretta
stretta tra le dita «Ma tu non sai cosa significhi averti per
figlio.»
Lui
strinse i pugni e i denti. Non aveva mai detto di essere un
santo, ma non era necessario che
sputasse pietà nella sua anima. Pietà
verso se stessa.
Non avrebbe
ascoltato la sua vergogna.
«Hai ragione. Non
c'è niente che mi sia utile della mia vecchia vita.»
Buttò quello che
restava della sua sigaretta per terra. Si voltò per andarsene,
ma pensò che se era l'ultima volta che aveva l'occasione di
parlare con sua madre – quella vera, non con quella specie di
fantasma che era da malata – tanto valeva farlo fino in fondo.
«Come sapevi che
non ero morto?» chiese allora.
La sentì
sorridere. «Sono tua madre, Sherlock. Se fossi morto, l'avrei
sentito prima di tutti.»
Sherlock
pensò che non era giusto, che se qualcuno aveva il diritto di
sentire la sua morte
prima di chiunque altro, l'unico doveva essere John.
L'unico.
Sherlock camminò
fino all'ingresso e afferrò la maniglia. Esitò un
attimo.
«Addio, mamma.»
mormorò.
«Grazie per la
sigaretta.» disse lei.
Sherlock aprì la
porta e uscì nella notte, senza voltarsi indietro.
Sherlock si accese
un'altra sigaretta. Lo trovò leggermente più difficile,
dato che gli tremavano le mani. Buttò il fumo in alto,
lontano. Riportò il suo sguardo su John.
John.
Lui era l'unico che
poteva permettersi il lusso del dolore.
Chi erano quelle
persone? Che diritto avevano di addolorarsi per lui? Erano tutti
scappati via. Erano tutti uguali.
Serviva la morte
della speranza perché lo lasciasse andare.
Ma John non avrebbe mai
smesso di sperare. Forse era quello a ucciderlo veramente.
Sherlock tirò
ancora, e poi si rigirò la sigaretta tra le dita,
osservandola. Si chiese perché quella che aveva fumato prima
insieme a sua madre – come quasi tutte le sigarette della sua
vita, in realtà – avesse un sapore così amaro,
mentre quelle che fumava a casa sua, guardando John, sapessero invece
di buono. Di pace. Di perfezione.
Non si sarebbe mai
stancato di guardarlo.
Il calore al centro del
petto che sentiva ogni volta aveva l'assurdo potere di calmarlo, come
solo la nicotina sapeva fare prima che lo incontrasse. John era la
sua personale, unica, sigaretta.
Non avrebbe potuto
affrontare una vita senza la sua luce.
Buttò la cicca
fuori dalla finestra e appoggiò le ginocchia sul materasso,
cercando di fare meno rumore possibile. Allungò lentamente la
mano verso John, e gli sfiorò il viso con le punte delle dita.
Doveva farselo bastare per un tempo interminabile.
L'aria attorno a lui
sarebbe ancora sembrata una gabbia.
«Perdonami.»
sussurrò appena.
Si alzò e alla
porta si voltò per guardarlo ancora.
Non
se ne sarebbe mai stancato. Mai.
John avrebbe annusato
odore di fumo sulle sue lenzuola la mattina dopo. Avrebbe sentito
odore di lui. Probabilmente lo avrebbe trovato più amaro del
solito.
John avrebbe annusato
odore di tabacco e avrebbe sperato, anche solo per un secondo, di
vederlo.
John avrebbe annusato
il suo odore, e avrebbe continuato a sperare.
Uscendo dal 221B,
Sherlock non sapeva se questo era un bene, o un male.
Notes, again:
Sulle note della
bellissima Snuff degli Slipknot (traduzione: “annusare”
o anche “tabacco da fiuto”). Le parti in corsivo del
testo sono appunto tratte dalla suddetta u.u
La citazione è
da Ciascuno a suo modo del buon Pira. ♥ L'ho trovato
piuttosto vero.
Lo so che è
trista... ma triste! Il fatto è che vedo questo
rapporto madre/figlia molto, molto, moooolto problematico. Quindi
triste. A ciò si contrappone invece il rapporto
Sherlock/John che invece è tutt'altro. L'ammoreh. Ma dato che
Sherly è morto, anche quelle parti sono tristi.
Mi dispiace.
(1) è tratto dal
film Poeti dall'Inferno; (2) dal film Marnie. E' una
domanda che mi sembrava lecito far fare a Sherlock, dato il rapporto
madre/figlio di cui sopra.
La vorrei dedicare alla
mia neo-figlia Giulia (quale piacevole coincidenza di nomi! XD)
ovvero _Daenerys_ ♥
Il solito grazie a
Sonia per la consulenza. :) ♥
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