Ichigo sbuffò, chiuse con rabbia l'anta del suo armadio, e
contemporaneamente lanciò il cellulare sul letto, soffocando
un urletto di
stizza.
Era il
suo compleanno, che diamine! E quel
rincitrullito di Hisao aveva deciso di darle buca, così,
all’ultimo momento
disponibile! Gliene avrebbe dette quattro, se mai le fosse tornata la
voglia di
rifrequentarlo.
Se solo non avesse posticipato il suo incontro con Mowe e
Miwa per lui…
Si sedette sul bordo del materasso e riafferrò il
telefono, prendendo a scorrere gli auguri che aveva ricevuto durante la
mattina
e recuperando un po’ del buon umore. C’era
già perfino la solita e-mail di
Masaya, che, nonostante gli anni passati e il fuso orario, non mancava
mai di
essere sempre tra i primi quando si trattava di ricorrenze speciali.
Ichigo sbuffò una seconda volta, sollevando qualche
ciocca della frangetta rossa, e si lasciò cadere supina,
perdendosi un istante
nei ricordi.
Erano sei anni
(*) che poteva considerare la
sua vita –
quasi – normale; sei
anni in cui aveva finito il liceo, aveva
continuato a lavoricchiare part-time il più possibile, aveva
iniziato
l’università, tutto senza dover nascondere strambe
orecchie e code pelose o
inventarsi contorti avvenimenti per ovviare alle sue assenze. Non aveva
del
tutto perso le sue abitudini feline, d’accordo, ma poteva
sinceramente
considerarsi tranquilla.
Anche se di cose ne erano cambiate parecchie.
In primis, circa un paio di anni prima lei e Masaya
avevano deciso, amichevolmente e di comune accordo, di prendere strade
separate: l’affetto che li aveva uniti non era stato
abbastanza per sormontare
la distanza tra Inghilterra e Giappone, gli impegni di entrambi tra
esami
all’università e corsi extra, ed entrambi avevano
preferito farlo al momento
giusto per mantenere un buon ricordo della loro relazione. Ichigo aveva
sicuramente guadagnato un caro amico, e forse il suo rapporto con
l’ambizioso
moro era addirittura migliorato da quando non sentiva più la
pressione di
preservare la relazione perfetta.
D’altra parte, però, le sembrava che le sue
relazioni a
distanza si fossero, in realtà, quintuplicate. Per quanto
ancora si volessero
bene, si sentissero regolarmente, e si tenessero aggiornate, era
diventato
estremamente complicato riunirsi insieme alle sue ex compagne Mew Mew.
Crescere, infatti, aveva determinato che si
sparpagliassero un po’ per il mondo. La carriera di Zakuro
era decollata ancora
di più, se possibile, e Ichigo aveva ormai una scatola di
scarpe colma delle
cartoline e delle polaroid che la mora le spediva da ogni suo viaggio.
Minto,
non tanto straordinariamente forse, aveva deciso di seguirla; in una
decisione
che aveva – questa volta – stupito tutti, dopo
cinque anni come ballerina solista
aveva all’improvviso deciso di prendere una pausa dalla danza
e seguire la sua
onee-sama come assistente personale. Purin aveva definitivamente messo
un veto
alle insistenze di suo padre perché lei sposasse Yue-Bin, ma
al tempo stesso,
il suo ruolo alla palestra di famiglia era cresciuto, e lei si era
ritrovata a
dover sospendere gli studi per fare la spola tra Cina e Giappone.
L’unica
rimasta in pianta stabile a Tokyo era Retasu, che studiava con successo
biologia marina, ma tra la mole di studio di entrambe e i lavoretti
saltuari
che si trovavano per concedersi qualche capriccio in più,
lei e Ichigo erano
fortunate se riuscivano a incontrarsi una volta ogni paio di settimane.
E infine, a fare avanti e indietro dall’altra parte del
mondo c’erano anche Ryou e Keiichiro, che avevano continuato
a espandere la
loro rete di conoscenze e ricerche, e che negli ultimi anni avevano
davvero
passato la maggior parte del tempo negli Stati Uniti che altrove.
Ichigo esalò nuovamente, scorrendo gli ultimi messaggi
che si era scambiata con le sue più care amiche e notando
con un certo
disappunto che nessuna di loro ancora si era prodigata ad augurarle un
buon
compleanno. Si corrucciò e si torturò il labbro
inferiore con le dita, cosa
diavolo aveva preso tutti quel giorno!?
Si alzò di scatto e afferrò una delle sue
borsette
preferite. L'unico modo in cui avrebbe potuto risollevarsi un po' il
morale era
farsi una passeggiata; era una mattina splendida, e non aveva per nulla
voglia
di starsene in casa a rimuginare sulla sua terribile vita privata. Poi,
se
proprio nessuno si fosse degnato di volerle fare un po’ di
compagnia, si
sarebbe arrangiata da sola e si sarebbe dedicata un’intera
torta. Ecco.
Infilandosi le cuffie nelle orecchie, si incamminò a
passi pesanti fuori dal suo appartamento, rilassandosi solo quando
poté
respirare a pieni polmoni l’aria frizzante di marzo; quasi
sovrappensiero, si
diresse verso il suo parco preferito e poi lungo il familiare sentiero
che aveva
percorso così tante volte da sembrarle ormai naturale. Non
doveva nemmeno
pensare a che direzione seguire, le sue gambe facevano tutto da sole.
Sapevano
benissimo che la meta era quel locale rosa confetto che sorgeva nella
bella
radura soleggiata.
Il Caffè Mew Mew sorgeva ancora in tutta la sua
leziosità, anche se non più splendente come una
volta, con le finestre chiuse,
il cancello sbarrato da un grande catenaccio, e le telecamere di
guardia a
controllare il perimetro ventiquattr’ore su ventiquattro.
Visto i crescenti
impegni dei due proprietari all’estero, la
disponibilità delle ragazze in
diminuzione, e la pochissima fiducia di Keiichiro a lasciare che fosse
qualcun
altro a gestirlo al posto suo (visto pure che sarebbe stato un filino
complicato
spiegare il perché di tutto quello strano armamentario nel
seminterrato),
avevano deciso di chiuderlo a tempo indeterminato, finché
non avessero deciso
se ristabilirsi permanentemente in Giappone.
Era stata una serata dolceamara, quando si erano
incontrati tutti e sette per dare il giro di chiave finale alle
serrature, ma
vederlo lì, immobile come al solito, dava comunque una
sensazione di grande
sicurezza. Come se non proprio tutto, alla fine, fosse cambiato.
Rimaneva per
Ichigo il posto perfetto dove trovare degli attimi di quiete. Si
andò ad
accomodare sulla sua panchina preferita, all'ombra di una quercia, poco
distante dall'entrata del locale. Era sempre un punto fresco, e le
piaceva
sedersi lì per leggere o ascoltare della musica, oppure
chiacchierare con
Retasu quando entrambe sentivano il bisogno di liberarsi
dell’aria viziata
delle aule universitarie.
Ichigo si rilassò, godendosi il venticello che le fece
arrossare le guance e giocherellando ancora con il cellulare, quasi
tentata di
mandare un messaggio passivo aggressivo a Minto solo per stizza che non
si
fosse ancora fatta viva. Stava giusto per ingannare l’attesa
mettendosi a
rispondere agli altri suoi compagni di corso, quando il cellulare prese
a
trillare allegro, e lei aggrottò la fronte: chi mai poteva
chiamarla da un
numero sconosciuto a quell’ora?
«
Non siamo un po’ troppo prevedibili con
una borsa a
forma di gatto? »
Ichigo ci mise qualche secondo a connettere, poi scattò
giù dalla panchina con un balzo, guardandosi intorno alla
ricerca di una
familiare testa bionda: « Shirogane! Screanzato che non sei
altro! Ma dove
sei?! »
La risata roca del ragazzo le rimbombò nell'orecchio:
«
Ti
vedo dalle telecamere, Momomiya. »
Lei si voltò verso l'entrata del locale, facendo una
linguaccia ad una degli apparecchi di sorveglianza, poi
accennò ad un sorriso e
un gesto con la mano: « Sappi che è una cosa molto
inquietante. E comunque non
mi hai risposto! »
«
Sei tu quella che gironzola sempre qui intorno
come
una vera gattina randagia. Io e Kei siamo appena tornati, ho dato una
controllatina ai filmati, » si affrettò
ad aggiungere, avendo sentito come
lei aveva inspirato, pronta a lanciarsi di nuovo contro di lui,
«
Ti sei
messa a fare jogging, sono stupito. O dovrei dire impaurito? »
« Non sei divertente, » rimbrottò lei,
continuando a
fissare torva la telecamera, « E comunque, che modi sono
questi, tornare senza
dire niente?! »
«
Decisione dell’ultimo minuto,
» spiegò lui, «
Se
non ci avessero convalidato dei documenti, non saremmo potuti partire,
quindi… »
« Mmmhm, okay, » la rossa mormorò poco
convinta, poi si
mordicchiò il labbro inferiore, « Senti,
ma… se ci incontrassimo? Non ci
vediamo da secoli, e oggi - »
« Ragazzina, pensi davvero che mi sia dimenticato
che
giorno è oggi? » la prese in giro
bonariamente.
Lei storse il naso: « Non mi hai detto nulla. »
« Sono appena atterrato, gimme a break, » lo
sentì
ridere di nuovo, poi le sembrò che tentennasse,
«
Comunque, volentieri.
Diciamo tra un’oretta? Ci possiamo vedere lì, se
vuoi. »
« Sì! » rispose Ichigo, e
sperò di non essere stata
troppo frettolosa, « Perfetto. Ti… ti aspetto qui,
allora. »
Dopo un ultimo saluto e un
ciao con la mano,
Ichigo chiuse la telefonata e si inoltrò ancora un
po’ nel parco,
allontanandosi dal sistema di sorveglianza del locale, e prese un
respiro. Non
capiva perché ancora, dopo anni, continuava a sentirsi
lievemente agitata al
pensiero di Shirogane. Erano diventati molto amici col tempo,
nonostante i
continui battibecchi e il suo insopportabile sarcasmo, ma lei sentiva
sempre un
sordo sfarfallio all’altezza del petto nei momenti in cui
erano solo loro due.
Scosse la testa, e si diede della sciocca; non si
vedevano da quasi un anno, era normale essere un po’ nervosi,
era un nervosismo
positivo, quello dato dalla felicità di
finalmente rivedere una persona
cara, nient’altro.
Per sicurezza, in ogni caso, prese fuori dalla borsetta
lo specchietto che aveva con sé e si controllò il
minimo trucco che – grazie ai
kami – aveva deciso di sfoggiare allo
sfumato appuntamento con Hisao,
ripassandosi velocemente il burro cacao.
Trotterellò a caso per il parco, canticchiando sottovoce
per ingannare il tempo e continuando a lanciare occhiate storte al
telefonino
in borsa, finché non lo udì suonare di nuovo.
«
Possibile che tu sia in ritardo anche quando sei
già
nel posto concordato? »
Ichigo fece quasi immediatamente dietrofront, ingoiando
un paio di insulti: « Arrivo! »
Avrebbe riconosciuto la chioma anche se non fosse stato
letteralmente l’unico a sostare davanti al cancello del
Caffè, a digitare
ancora al cellulare, e Ichigo non poté evitare di sorridere
mentre lo stomaco
le regalava una capriola vecchia di secoli. Possibile che in poco meno
di
dodici mesi, lui fosse diventato più alto, con le spalle
più larghe? Anche i capelli
erano un filo più lunghi, e lei avrebbe giurato che fossero
anche più biondi
del solito.
Ryou alzò la testa quando udì lo scalpiccio
rapido, e gli
occhi celesti brillarono d’arguzia: « Un anno
più vecchia, ma sei sempre la
solita, ragazzina. »
« Antipatico, » borbottò lei, e senza
aspettare che
aggiungesse oltre, gli circondò il torace con le braccia e
vi appoggiò la
guancia, « Ben tornato. »
L’americano impiegò una frazione di secondo a
reagire,
staccandosi da lei per darle un buffetto sul naso: «
Happy
birthday, ginger.
»
« Grazie, » gongolò lei, contenta che
almeno negli anni
avesse imparato a tenere sotto controllo il suo arrossire furiosamente,
« Come
stai? »
Ryou scrollò le spalle: « Come qualcuno che ha
lavorato
fino all’ora prima di intraprendere un viaggio
intercontinentale può stare. »
« Oh, andiamo, non tornavi da una vita, che sarà
mai! »
« Non è che se non torno in Giappone allora sto
fermo,
kitty
cat. »
« Lo so, lo so, ci hai mandato chiarissime foto delle tue
orribili conferenze in Sud America, » lo prese in giro lei,
poi lo guardò da
sotto in su, « Rimanete un po’, ora? »
Lui infilò le mani nelle tasche del giubbotto: «
Abbiamo
sviluppato un nuovo progetto con un'azienda associata, ora siamo in
fase di
perfezionamento. Stiamo cercando soci per poterlo lanciare, quindi
direi che ci
vorrà del tempo. »
Ichigo non trattenne il sorriso soddisfatto, poi lo
guardò furba: « Allora cosa facciamo per il mio
compleanno? »
Shirogane rise e scosse la testa, sfiorandole di nuovo la
punta del naso: « Gattina viziata.
I’ll
tell you what, »
fece un
cenno della testa verso il Caffè, tirando fuori dalla tasca
un mazzo di chiavi,
« Che ne dici se entriamo a fare un giro? »
La prima reazione di Ichigo fu di guardarlo sospettosa, il
locale era chiuso da anni e lei si poteva benissimo immaginare le
decine di
ragnatele e annesse bestioline brulicanti nel buio che ci avrebbe
sicuramente trovato,
cosa che non la rendeva così estasiata. Ryou,
però, aveva già iniziato a
trafficare con il catenaccio che ne bloccava l’ingresso, e le
ammiccò
incoraggiante:
«
Come on. »
« Perché ho la sensazione che tu stia per farmi
uno
scherzo? » mormorò titubante lei, sbirciando da
sopra la spalla del biondo
mentre lui procedeva alla serratura principale della porta
d’ingresso.
L’americano le sorrise smagliante, forse fin troppo
contento per i suoi gusti:
« Il giorno del tuo compleanno? Non potrei mai. »
Aprì la porta rosa e la socchiuse, poggiandole appena la
mano sull’incavo della schiena per incitarla ad attraversare
la soglia. Ichigo
tentennò ancora un istante, stringendo la tracolla della
borsetta mentre gli
occhi si abituavano alla semi-oscurità, il cuore che le
batté piacevolmente a
risentire il delicato profumo familiare anche sotto l’odore
di chiuso, a
intravedere i contorni così conosciuti.
Anche se pensava di ricordarsi che avessero coperto tutti
i tavoli e le sedie quando avevano chiuso.
Le luci si accesero all’improvviso, accecandola, e prima
che Ichigo potesse capire esattamente cosa stesse succedendo, le
ragazze e
Keiichiro spuntarono dalla finestrella della cucina, in un grido
collettivo:
« Sorpresa!! »
Ichigo rimase interdetta un istante, poi saltellò sul
posto e con un versetto stridulo, si lanciò a braccia aperte
nell’abbraccio
delle amiche.
« E io che pensavo che vi foste scordate! »
« Ma per chi ci hai preso, » la
rimbrottò Minto,
piacevolmente con un sorriso dall’orecchio
all’altro, « Noi non siamo delle
svampite come te. »
« Abbiamo organizzato per un mese, » Retasu le
strinse la
mano, le guance rosse per la contentezza, « Non sai che
fatica non dirtelo! »
« Ragazze, ma… e il Caffè! »
la rossa fece un passo
indietro per ammirare il locale, mentre Shirogane e Keiichiro aprivano
le varie
imposte, notando come pareva che non fosse passato che un giorno dalla
loro
ultima visita, adocchiando subito il tavolo elegantemente
apparecchiato.
« Ci siamo svegliate all’alba per sistemare e
pulire
tutto! » Purin le urlò in un orecchio mentre
continuava a stritolarle il collo.
« E se fossi stata impegnata? » replicò
lei, fingendosi
offesa.
« Oh, per favore, come se potessi dirci di no, »
esclamò
Minto, portandosi un boccolo dietro l’orecchio, «
Dopo tutta questa faticaccia,
saremmo venuti a prenderti di peso. »
« Sì, immagino il tuo contributo, Minto-chan.
»
Zakuro le fece l’occhiolino: « Il credito
dell’idea è di
Kei-san. È stato lui a suggerire il Caffè.
»
« Mi sembrava confacesse, » il pasticcere
uscì in quel
momento dalla cucina, spingendo un carrellino di metallo stracolmo di
dolcetti,
bevande, e una torta con delle candeline sopra, « Giusto
qualche assaggio. »
Ichigo si tinse piacevolmente di rosso, aggrappandosi di
nuovo a forza a Purin e Minto, ignorando i lamenti di
quest’ultima: « Siete i
migliori! »
« Non strafogarti, stasera siamo tutti a cena fuori
insieme, » l’avvertì la mora, quasi
scrollandosela di dosso, « E in un
ristorante
elegante, quindi scordati
quell’orribile borsetta. »
La rossa storse il naso, poi però la riagguantò,
strusciando la guancia contro la sua: « Anche tu mi sei
mancata, Minto-chan. Mi
siete mancati tutti! Ah, che bello questo è il migliore
compleanno del mondo,
non vedo l’ora di aggiornarci su tutto! »
« Sì, ma ora mangiamo! »
Al richiamo di Purin, il gruppetto si spostò
rumorosamente verso il tavolo – troppo rumorosamente per sole
cinque persone,
ponderò Shirogane con un sorrisetto, mentre le osservava da
poggiato contro al
muro della cucina, a braccia conserte.
Come se non le conoscessi, pensò, e
appena la
biondina sventolò con foga il braccio verso di lui, si
arrese con un sospiro e
si unì a loro.
« Yummm… » Ichigo assaporò il
cucchiaio per un’ultima
volta, ripulendo qualsiasi traccia del tortino al cioccolato caldo,
« Sto per
scoppiare. Anche se non era buono quanto i tuoi, Kei-san. »
Mentre il moro le rivolgeva un sorriso caloroso e grato,
Minto le lanciò un’occhiataccia: «
Possibile che tu sia sempre la solita
esagerata? »
« È il mio compleanno, posso fare quello che
voglio. »
« Non credo funzioni così, Ichigo. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, poi sospirò e si
appoggiò
al tavolo: « Quanto rimarrete, ora? Io e Retasu ci sentiamo
abbastanza
abbandonate. »
Purin fu la prima a stendere un sorrisone a trentadue
denti: « Io non ho intenzione di muovermi per un bel
po’. La palestra qui è
finalmente finita, mio papà ha promesso che
tornerà più spesso così da attirare
più apprendisti, e passare anche un po’ di tempo
con i fratellini. »
Retasu coprì la mano con la sua, sorridendole
incoraggiante: « Così riuscirai anche a completare
gli studi! »
La biondina annuì convinta: « Sempre che Ryou
nii-san
mantenga la sua promessa di darmi una mano. »
« Perché mettete sempre in mezzo me ai vostri
bisogni
scolastici? »
« Come se non ti piacesse far vedere quanto sai tutto di
tutto! »
Lui evitò di dare adito a quelle sciocche accuse,
limitandosi a prendere un sorso dal proprio bicchiere con un sospiro
esagerato.
« E tu, Zakuro nee-san? »
La modella piegò appena la testa da un lato: « Se
tutto
va bene, nei prossimi giorni dovrei firmare il contratto finale per
girare una
serie qui. Promettono minimo due stagioni, » aggiunse con un
occhiolino.
Ichigo quasi si alzò dalla sedia estasiata, di nuovo
sporgendosi per agguantare Minto nonostante le poco velate minacce di
quest’ultima circa le figuracce al ristorante: «
Sììì! Questo è il
compleanno
migliore del mondo, sono mesi che non facciamo un pigiama party nel tuo
lettone! »
« Il tuo buon proposito per questo anno in più di
maturità spero sia smetterla di autoinvitarsi a casa della
gente. »
L’intero tavolo rise del loro bisticciare, ma anche lo
sguardo della mora luccicava di una punta di contentezza al pensiero di
rimanere finalmente un po’ a casa.
« Che facciamo, glielo diciamo? »
I cinque sguardi felici si posarono su Keiichiro, voltato
con aria furba verso il suo protetto, che invece buttò la
testa indietro e
sospirò: « Non sono pronto al fracasso. »
« Che sta succedendo? »
« Spero non dobbiate dirci cose… importanti,
» Zakuro
alzò solo un sopracciglio allusiva, e velatamente minatoria.
Keiichiro si affrettò ad agitare le mani, sorridendo
rassicurante: « Come vi abbiamo accennato qualche settimana
fa, la Fondazione
Shirogane ha ottenuto risultati importanti, e siamo riusciti a creare
una rete
di contatti non indifferente. Il successo negli Stati Uniti si
è fatto sentire
fino a qui, e, be’…. Diciamo che ora vogliamo
rafforzare anche il mercato di
casa. »
« E non omettere la parte in cui hai detto che
dopo
tutto questo tempo ho voglia di rilassarmi, tanto ormai fai tutto tu, »
lo
scimmiottò il biondo.
« E quindi?! »
Ryou sospirò ancora, giocherellando con una goccia
d’acqua caduta sul tavolo solo per prendere tempo prima di
lanciare un’altra
occhiata al moro: « Io non ho ancora detto di sì.
»
« E quindi, »
Keiichiro quasi lo ignorò, divertito
dall’aspettativa delle ragazze quasi
piegate sopra al tavolo, ma al tempo stesso senza volerle stuzzicare
troppo, «
Se il signorino qui presente acconsente, ci calmeremo un attimo per
consolidare
definitivamente il nostro lavoro sul territorio, rimarremo a Tokyo fino
a data
da destinarsi, e il Caffè verrà riaperto.
»
Un gemito di sorpresa si levò dalle cinque, che si
scambiarono occhiate eccitate, Ichigo che batté di nuovo le
mani: « Oh, vi
prego, ditemi che possiamo tornare anche a lavorarci! Il ristorante di
ramen in
cui sto ora è così tedioso…!
»
« Ah, guarda che me la segno, Momomiya. »
Lei fece una linguaccia a Ryou, mentre Keiichiro annuiva
bonario: « Ovviamente, sareste le prime candidate, se lo
voleste. »
« A nostro gradimento quindi, questa volta, non per
forza, » Zakuro lanciò un’altra
occhiatina allusiva agli americani, quello più
giovane che borbottò qualcosa sul lasciarlo stare, poi
incrociò le braccia
mentre si rilassava sulla sedia, « Non è una
copertura per poi annunciarci
qualche sorpresina interplanetaria sgradita, vero? »
« No, è soltanto il bisogno di sentirsi
ricompensato di Keiichiro.
»
Questi continuò ad ignorare il suo protetto, riprendendo:
« Il Caffè è ancora in buone
condizioni, siamo sempre passati a controllarlo
tra un ritorno e l’altro, anche per il laboratorio
sotterraneo che è sempre in
funzione… ma ha bisogno di una rinfrescata, quindi pensiamo
che tra un mesetto,
più o meno, potremmo ripartire. »
« Questo plurale… »
« Oh, sta’ zitto, Shirogane, » Ichigo lo
rimbeccò,
agitandogli la mano davanti al naso come si scaccia una mosca,
« Ma… vi
trasferirete di nuovo lì? »
Lo chef scosse la testa: « Io ho trovato un
appartamentino non troppo lontano dal parco, così
sarà più semplice gestirlo.
Ryou sta affittando un bilocale vicino a dove abiti tu, Zakuro-san.
»
« Shirogane, per tutti i kami, » Minto
sbuffò e scosse la
testa maligna, « Un
bilocale? »
« Sapete quanto mi siete costate e quanto mi costerete
voi coi vostri conti aperti? »
« Non guardare me, al massimo la colpa è di Ichigo
e
Purin. »
« Ehi, io ripagavo
lavorando! »
« Certo, certo. »
« Senti…! »
« Ragazze, » Zakuro le ammonì
dolcemente, già vedendo
come Ryou aveva di nuovo agguantato la bottiglia di vino, «
Attente a non
fargli cambiare idea. »
« Non può cambiare idea, è il mio
compleanno. »
Ryou lanciò un’occhiata veloce verso Ichigo, che
lo stava
guardando con quel suo sorriso così pieno di speranza e
allegria in attesa
della conferma finale, e lui dovette schiarirsi la gola mentre versava
il vino
nel bicchiere: « Non aspettatevi salari aggiustati per
l’inflazione. »
Il tavolo eruppe in una serie di gridolini ed applausi
estasiati, con buona pace degli altri commensali della sala, con tanto
di Purin
che si alzò per andare a stritolargli il collo mentre
blaterava senza sosta.
Ryou, da sopra la matassa di capelli biondi, guardò
soltanto esasperato al suo migliore amico, ma non poté
evitare di sorridere
contento.
§§§
La notizia di un prolungato soggiorno a Tokyo, e di un
ritorno alla vita di un tempo, sembrava aver infuso di nuova energia le
ragazze.
Anche con i lavori di rivitalizzazione del Caffè in
corso, il locale era ritornato ad essere il luogo di incontro preferito
delle
ex Mew Mew, che dopo le lezioni o tra una giornata libera e
l’altra tornavano
ad occupare i tavoli per studiare, chiacchierare, e dare una mano a
Keiichiro a
riportarlo allo splendore originale in vista della festa di riapertura
– perché
ovviamente il moro non aveva esitato ad annunciare che ci sarebbe stata
una
festa coi fiocchi.
Ryou, dal canto suo, andava e veniva più spesso di quanto
gli sarebbe piaciuto ammettere, con la scusa di controllare come
stessero
andando i preparativi della
sua proprietà
e
non certo per la
compagnia, come si premurava di ricordare ogni volta.
Soprattutto quando la suddetta compagnia lo costringeva
gentilmente a sedersi tra tomi di lezioni diverse per supportare gli
sforzi
intellettuali, gli stessi in cui non trovò impegnata una
certa rossa di sua
conoscenza quando, per l’ennesimo pomeriggio,
entrò dalla porta sul retro.
« Non è mai stato il posto per fare pisolini.
»
Ichigo, la testa riversa sui libri di testo, si limitò ad
aprire un occhio e guardarlo da sotto i ciuffi color ciliegia:
« Non è un
pisolino, sto
meditando. »
« Mmmh, » lui le si avvicinò a braccia
incrociate, lo
sguardo divertito, « E su cosa staresti meditando, di grazia?
»
La rossa sbuffò e si sollevò quanto bastava per
poggiare
il mento sulle braccia: « Devo scegliere la
facoltà con cui proseguire. E non
so che fare. »
(**)
L’americano spostò una sedia per accomodarsi
davanti a
lei, studiandola con un’espressione comprensiva: «
Be’, dovresti focalizzarti
principalmente sulle materie che ti piacciono, o su cosa ti piace
studiare e
che vorresti continuare a fare. »
« La fai facile tu, » bofonchiò lei,
giocherellando con
l’angolo di una pagina, « A te è venuto
molto semplice, col cervellone che ti
ritrovi. Per me è… difficile. »
« Ichigo, non sei certo stupida, » lui
sbuffò,
allungandosi in avanti per darle un colpetto sulla fronte, «
Svogliata, quello
è certo. Pigra, non ne parliamo. Ma ci deve pur essere
qualcosa che ti
appassiona. O altrimenti andiamo per esclusione. »
Lei gemette, affossando di nuovo il viso tra le braccia: «
Tutta colpa di mio papà! »
Ryou fece una smorfia, ricordando i pochi incontri con
Shintaro Momomiya – e gli sbraiti che aveva sentito in
sottofondo a molte telefonate
quando la figlia aveva avvisato che avrebbe fatto più tardi
del previsto: « Mi
sembra normale che voglia che tu possa fare il massimo per la tua
carriera,
ginger.
»
Gli occhioni color cioccolata sbucarono curiosi da dietro
il golfino di lana: « Tu come hai fatto a scegliere?
»
Lui sbuffò appena: « Per me è stato un
po’ diverso,
ginger.
E poi sai, con mio papà e i suoi studi…
»
Ichigo piegò la testa da un lato, osservandolo, poi prese
uno dei fazzoletti già arrangiati nel dispenser, lo
appallottolò e glielo tirò
contro: « Invece delle orecchie da gatto, non potevi passarmi
un po’ della tua
testaccia?! »
« Ah, » il biondo rise divertito, raccogliendo il
proiettile da terra per rilanciarglielo sul naso, « Vuoi
dirmi che tutte le
nostre chiacchierate in inglese non sono servite a nulla? »
La ragazza mugolò ancora e tornò a nascondere il
viso per
impedirgli di notare che le sue guance si erano arrossate;
perché sì, era vero,
per quanto pure a lei paresse strano: anche lo scorbutico Shirogane
aveva partecipato
a molte delle varie videochiamate di gruppo che si erano susseguite
negli anni,
com’era successo che a volte si fossero sentiti solamente
loro due. Ichigo
ricordava ancora la disperazione prima degli esami di fine liceo e
dell’ammissione all’università, quando
praticamente gli aveva teso un agguato
in aeroporto per fargli mantenere la promessa di aiutarla; ma
c’erano state
altre volte in cui si erano parlati – o visti, le varie
occasioni in cui lui si
era trovato sul suolo giapponese per più di due settimane
alla volta – soltanto
per voglia di farlo.
« Ichigo, » lo avvertì sfiorarle piano
la frangetta, con
una risata bassa, « Non disperarti, qualcosa ci inventeremo.
»
Lei gli rispose con un borbottio incomprensibile, e nello
stesso momento la porta sul retro del Caffè si
aprì, lasciando sbucare Retasu.
« Buon pomeriggio, Shirogane-san. Ichigo-chan…
stai male?
»
La rossa finalmente si raddrizzò, per non far preoccupare
l'amica, e scosse la testa: « Retasu-chan, meno male che sei
arrivata! Non sai
cosa mi ha raccontato Miwa! »
Non appena Retasu e Ichigo furono rapite da un turbinio
di notizie su gente che lui non conosceva né di cui voleva
preoccuparsi, Ryou
comprese che era arrivato il momento di levare le tende.
Il casco della moto sottobraccio, scese al piano
inferiore per dare soltanto una controllatina rapida ai computer
principali,
scorgendo la figura di Keiichiro in piedi nella dispensa a buttare
giù una
lista di ordini da terminare.
« Come sta andando? » gli chiese, poggiando una
spalla
contro la porta.
Il moro ammiccò contento: « Siamo decisamente
giusti con
i tempi. Un paio di settimane e la riapertura sarà
grandiosa. »
« Magari non
troppo grandiosa,
» puntualizzò lui
con una smorfia preoccupata, ma annuì e si passò
una mano tra la frangia,
alzando un sopracciglio quando notò che l’amico
continuava a fissarlo con un
sorrisetto, « Che c’è? »
« Niente, » Keiichiro scrollò le spalle
e ritornò a
conteggiare con la punta della matita contro la carta, « Sei
di buon umore,
ultimamente. »
Ryou spostò il peso da un piede all’altro, a
disagio: «
Non ricominciare. »
« È solo una constatazione. »
Il biondo gli scoccò un’occhiataccia, poteva
leggere
benissimo oltre il tono fintamente neutrale.
« Non è… cambiato nulla. »
« Non sei più a fare la spola tra qui e
là, tanto per
cominciare. »
Ryou schioccò la lingua infastidito, si torturò
un’altra
volta i capelli, poi fece un passo in più dentro la stanza,
abbassando la voce:
«
Listen, it’s… »
« Non dire
complicato. »
« Ma lo è, » insistette lui, «
Per quanto tu e Zakuro
insistiate a fare comunella,
lo è. E non
so nemmeno se…! E mi sono anche
un po’ rotto di… »
Keiichiro, lievemente preoccupato, lo osservò scuotere la
testa con fare scocciato; fece per replicare, quando un rumoroso
vociare dal
piano di sopra li distrasse entrambi.
« È arrivata Minto, »
commentò piano il biondo, appena
divertito, « Io mi dileguo, prima che ricomincino. Ci
sentiamo dopo. »
Prima che l’amico pasticcere potesse replicare, lui aveva
già risalito le scale, scomparendo silenzioso.
§§§
Quasi mimetizzata nel suo angolino, Zakuro osservò
soddisfatta la considerevole quantità di gente arrivata a
festeggiare la grande
riapertura del Caffè Mew Mew, quel piacevole pomeriggio di
aprile. Anche il
meteo era stato clemente, e Keiichiro era riuscito ad allestire i vari
assaggi
e le bevande in giardino, brulicante di chiacchiere festose e appagati
mugolii
di chi continuava a ingozzarsi senza remore dei differenti prodotti.
Per l’occasione – e per la gioia delle tasche di
Shirogane – avevano assunto dei camerieri in livrea,
così che le ragazze
potessero godersi anch’esse la festa, e la ragazza
più grande le inquadrò
subito, ronzanti attorno al loro pasticcere di fiducia a conversare
allegre.
Lei, invece, preferiva osservare la folla da lì, un
po’
in disparte, per non rischiare di attirare troppo
l’attenzione e deviarla dal
motivo reale dei festeggiamenti, e al contempo per non dover interagire
più di
quanto desiderasse con i soliti curiosi.
E poi sapeva che c’era qualcuno molto poco festaiolo,
proprio come lei.
Alzò appena lo sguardo alla sua sinistra avvertendo
subito la presenza di Ryou, che le porse un altro calice
dell’aperitivo
fruttato: « Nuovi potenziali clienti, che te ne pare?
»
Lui sospirò, scuotendo la testa mentre già
prendeva un
sorso: « Quello che serve a renderlo felice. Ha bisogno di
svagarsi più di
tutti. »
La modella sapeva che il suo sguardo, puntato nella
direzione di quello cobalto di lei, aveva un focus leggermente diverso,
e
abbozzò a un sorriso: « Stanno tutte bene, non
trovi? »
Ryou la guardò di sbieco: « Tu te ne tiri fuori?
»
Lei prese un sorso, sempre con la sua solita aria
imperscrutabile: « Ha fatto bene a tutte, tornare a casa.
Anche a te. »
« So dove vuoi andare a parare, e non ne ho voglia.
»
« Strano, finiamo sempre a parlarne da sei anni a questa
parte. »
Il biondo si passò una mano sul viso, scuotendo la testa:
« Io non sono pronto a riavervi tutti e cinque tra i piedi,
tutti i giorni, tutto
il giorno. »
« Su, su, » Zakuro allungò un braccio
per dargli un paio
di colpetti sulla schiena, « Non sarà tutto il
giorno. Se vuoi, posso dire a
Minto che non ho più bisogno del suo aiuto, così
può tornare al Caffè
full
time. »
L’occhiataccia di veleno che lui le riservò la
costrinse
a nascondere la ridarella dentro al bicchiere.
« Ichigo. »
Lei sobbalzò appena al richiamo di Minto, spostando lo
sguardo dalla coppia di amici dall’altra parte del giardino,
e si voltò verso
la mora che la stava guardando con un sopracciglio alzato:
« Ti ho chiesto se vuoi rimanere a cena. »
« Ah! Certo, volentieri, » osservò il
tavolo davanti a sé
e scelse un
éclair al cioccolato,
« Andiamo insieme direttamente dopo la
festa? »
« Se è un modo indiretto per scroccare un
passaggio,
direi di sì, » la mora le prese il piattino di
mano, strappandole un verso di
dispiacere, « Ma smettila di ingozzarti, o non mangerai
nulla! »
« Minto-chan, non siamo fatti tutti d’aria come te!
Ridammelo! »
« Ragazze, non litigate, che ci guardano…
»
Il timido appello di Retasu fu ignorato, mentre Minto
iniziava a sgusciare tra gli ospiti con agilità, reggendo il
piattino in una
mano e ridacchiando perfida, mentre Ichigo l’inseguiva
cercando di recuperare
il bottino.
« Minto! » sibilò ancora con astio,
« Dai, ho fame, ti
pre- »
Il naso di Ichigo si schiantò dritto contro il torace di
Ryou, che l’afferrò per le spalle e, prima che lei
potesse connettere e
valutare azioni successive all’arrossire, la voltò
di forza e la rispinse con
poca grazia da dove era venuta.
« Mi fate già pentire di aver dato retta a
Keiichiro, »
le borbottò, e lei lo guardò in cagnesco da sopra
la spalla:
« Ha iniziato lei! »
«
Ichigo, I don’t care,
» la rimbrottò, fermandosi
finalmente davanti al tavolo dei dolci da dove Purin e Retasu avevano
osservato
tutto con divertimento, « Basta che non mi facciate fare
figuracce. »
« Come sei antipatico, » la rossa finalmente
recuperò il
suo tesoro perduto da Minto con una linguaccia, poi afferrò
un
macaron
di un pallido colore rosa e glielo passò, « Su,
mangia qualcosa, gli zuccheri
ti faranno bene. »
« Sono stupito che sia rimasto qualcosa, conoscendovi.
»
« La smettete tutti di commentare le mie abitudini
alimentari?! »
Senza degnarli più d’attenzione, Ichigo
afferrò decisa un
mini-bombolone alla crema e lo divorò in un solo morso, lo
zucchero a velo che
le si disegnò intorno alla bocca e un poco del ripiano che
le rimase sul dito.
Lei gongolò soddisfatta e si pulì con
discrezione, non disdegnando di indugiare
un secondo di più con il pollice contro le labbra per godere
dell’ultimo sapore
della crema; si accorse solo all’ultimo, così
presa dai suoi dolcetti, dello
sguardo dell’americano su di sé, e si
accigliò sentendo le guance accalorarsi.
« Che c’è? »
Ryou la fissò un istante di più, poi
voltò la testa e si
rivolse a tutte le ragazze: « Allora, credo sia arrivato il
momento di
consegnarvi tutto il necessario per ricominciare a lavorare qui,
dopodomani. »
« Uuh, sono quasi gelosa, » commentò
Minto sarcastica,
ricevendo un’occhiataccia in cambio.
« Guarda che ci mancherai tantissimo, nee-san, »
replicò
Purin un po’ abbattuta mentre seguivano il biondo verso il
locale, « Non sarà
la stessa cosa, ora che non ci saremo tutte e ci saranno anche altre
ragazze
con noi. »
« Non preoccuparti, Purin, verremo lo stesso a trovarvi
il più possibile, » la rassicurò Zakuro.
« È una minaccia? » borbottò
Shirogane, ricevendo
all’unisono quattro pizzicotti sul braccio e un risolino da
parte di Retasu.
« A proposito delle nuove ragazze, cosa ti sei inventato
per la misteriosa porta del seminterrato chiusa a chiave? »
« Centralina elettrica, caldaia, ripostiglio con vecchie
cose mie e di Keiichiro. Niente che potrebbe sembrare interessante.
»
« A meno che il tuo
fan club non sia
molto
intenzionato a mettere mano ai tuoi vestiti. »
Ryou trucidò Minto con lo sguardo: «
Io
non ho un
fan club. »
« Ma se metà della clientela del locale chiedeva
sempre
del
giovane proprietario, » aggiunse Purin
sghignazzando, « Ora che non abiti
nemmeno più qui, saranno disperate! »
« Spero che le mie
deliziose cameriere
riusciranno
a far passare loro il disappunto. E Aizawa,
by the way,
tu sei l’ultima
che può parlare. »
Mentre la mora borbottava qualcosa di minaccioso in sottofondo,
Ryou estrasse finalmente uno scatolone dallo spogliatoio, che
all’apertura
emanò un meraviglioso profumo di bucato.
« Nuove di zecca, ovviamente, »
commentò, invitandole con
un gesto della mano, e Purin fu la prima a lanciarsi sulle uniformi,
con lo
stesso aspetto di quelle che avevano indossato da adolescenti.
« Ah, mi sei mancata! » esclamò,
portandosela davanti al
corpo, « Possiamo provarle ora? Possiamo, possiamo, possiamo?
»
Anche Ryou rise e annuì, indicando con un cenno del capo
lo spogliatoio: « Siamo qui per questo, in caso non vi vadano
bene. »
Ichigo, Retasu, e Purin, le uniche tre che sarebbero
ritornate a lavorare part-time al Caffè, si defilarono
eccitate dentro lo
stanzino, e l’americano nel frattempo pescò il
pacchettino che era rimasto sul
fondo dello scatolone.
« Vi abbiamo preparato comunque una copia delle chiavi,
»
spiegò alle due ex Mew Mew rimaste, porgendo a ciascuna un
mazzo con tre chiavi
diverse, « Inclusa quella del laboratorio. Per ogni
evenienza. »
Zakuro si accigliò appena, ma annuì e le mise in
borsa,
mentre Minto sospirò drammatica: « Secondo me,
stai un po’ gufando, Shirogane. »
« Sappi che sarai la prima indiziata quando
comincerò a
vedere multipli ordini di scorte di tè. »
« Fossi in te sarei più preoccupato
dell’abitudine di
Ichigo di ingozzarsi per l’ansia prima degli esami.
»
Quando le vide uscire dallo spogliatoio, in una sorta di
strano déjà-vu, Ryou si rese conto che
davvero
non era pronto a riaverle
in giro tutti i giorni, tutto il giorno.
Esalò piano tra i denti, imponendosi un minimo di
autocontrollo, perché erano passati sei anni, ed erano
persone diverse, e non
era possibile che…
« Nii-san, che ne pensi? » Purin gli si
parò davanti
energetica, quasi sbattendogli la crestina sul naso, e lui
sbuffò:
« Perfetta, Purin. Calza a pennello. »
La biondina, soddisfatta, continuò a blaterare allegra
con Retasu, mentre l’attenzione del biondo si
spostò nuovamente su Ichigo, che
stava confabulando davanti allo specchio insieme a Minto su come
acconciare i
capelli, ora portati più lunghi. Non finse nemmeno di
ignorare il rombo del suo
stomaco al rivedere le gambe chiare spuntare da sotto le frappe della
gonna, o alla
sua risata nel tentare di riproporre i suoi due vecchi codini, ma
evitò
testardamente di considerare anche solo la presenza di Zakuro accanto a
sé.
Che era patetico se lo poteva benissimo dire da solo.
« Ho un’idea! »
La più giovane del gruppo si fiondò dentro la
borsa di
Retasu per estrarre la polaroid che si portava sempre dietro, incurante
della
fioca protesta dell’amica circa al macello che vi
provocò, e la mostrò ai
compagni:
« L’occasione richiede una foto! »
« Ha ragione! » Ichigo afferrò Minto per
un braccio e la
trascinò al centro del Caffè, « Purin,
vai a chiamare Keiichiro, magari chiedi
a uno dei camerieri se può aiutarci! »
« Ichigo, sono qua per lavorare… »
borbottò sottovoce
l’americano, mentre la biondina si scapicollava verso il
giardino, e la rossa
lo ignorò mentre posizionava anche le due brune e Retasu
come se fossero dei
bambolotti.
« Oh, su, è solo un favore iper rapido! »
Ryou sbuffò e si lasciò trainare al posto
designato
intanto che Purin e Keiichiro, insieme a un cameriere
dall’aria frastornata ma
gentile, tornavano dentro.
« Pronti, pronti?! »
Lei si lanciò in mezzo a Minto e Retasu, Ichigo che
invece sgusciò tra Zakuro e Ryou mentre Keiichiro prendeva
posto di fianco a
quest’ultimo.
« Un bel sorriso e abbracciamoci! »
« Purin, tu più che altro mi stai spezzando le
costole, »
pigolò sottovoce Retasu, comunque un sorriso a trentadue
denti.
La modella e Ichigo risero sottovoce del mugugnare in
madrelingua di Ryou quando Keiichiro gli avvolse un braccio intorno
alle spalle;
la rossa avvertì leggera la mano del biondo posarsi
sull’incavo della schiena e
sorrise, passando il braccio intorno al suo mentre posava la testa
sulla spalla
di Zakuro.
« Pronti? » il cameriere sorrise e tutti loro si
strinsero appena un po’, ridendo nel flash che
seguì.
Ichigo aveva ovviamente esteso la sua visita a Villa
Aizawa con un pigiama party per due, e giocherellò distratta
con il cellulare
mentre la padrona di casa finiva di struccarsi alla sua toeletta,
riguardando l’immagine
della foto di quel pomeriggio – simbolicamente consegnata a
Keiichiro perché la
incorniciasse in cucina, così come aveva voluto Purin.
Il mezzo sorriso accennato di Ryou era quello che aveva
sempre conosciuto; non era mai stato particolarmente espansivo o
allegro, e lei
poteva contare sulle dita le volte in cui l’aveva davvero
visto sorridere come
si deve o ridere per davvero. Ma – o forse erano solo i dolci
della giornata a
parlare, o il fatto che dopo non essersi visti per quasi un anno
avessero più
tolleranza l’uno dell’altra – le sembrava
che lui fosse cambiato un poco, che
fosse più… non sapeva nemmeno lei come spiegarlo,
visto che l’unico aggettivo
che le veniva in mente era
più Ryou.
E lei proprio non riusciva a togliersi dalla testa lo
sguardo che gli aveva visto negli occhi azzurri che l’avevano
osservata.
« Guarda che tutto questo silenzio mi preoccupa, »
la
punzecchiò Minto, lanciandole
un’occhiata dallo specchio.
« Scusa, » la rossa esalò uno sbuffo
divertito e si
stiracchiò, « Sto esaurendo la scorta di zuccheri
e sono un po’ stanca. »
« Con tutti quelli che hai mangiato, sono quasi stupita,
» l’amica la prese in giro alzandosi e ripiegando
con cura la vestaglia sulla
poltroncina di velluto, « Allora così mi posso
risparmiare la visione di uno
dei tuoi amati film mielosi e investigare su perché continui
a fissare il
cellulare così imbambolata? »
Ichigo s’imbronciò e nascose prontamente il
telefono, un
velo di rossore sulle guance: « Non sto facendo proprio
nulla. Tu piuttosto! »
si difese mentre Minto si stendeva accanto a lei, « Non mi
hai più detto cosa è
successo con quel rampollo che voleva affibbiarti tua mamma. »
« Non è successo niente, infatti non ne sai nulla.
»
« Sì ma, l’hai visto, siete usciti,
com’era, vi siete
baciati?! »
La mora le scoccò un’occhiata scettica:
« Come se ti racconterei
mai certe cose. »
« Non è divertente fare gossip con te. »
« Invece… » Minto distese un sorrisetto
inquietantemente
soddisfatto, allungandosi sopra la rossa e ignorando le sue proteste
per
afferrare di nuovo il cellulare, che aveva vibrato un paio di volte,
« Chi è
che ti scrive a quest’ora! »
« Minto! »
La mora la ignorò e aprì tranquillamente il
telefono, il
ghignetto che si allargò deciso: «
Mi
raccomando non fare tardi dopodomani,
devi dare il buon esempio, Shirogane! Ah, siamo tornati
all’attacco, eh? »
« Non essere sciocca, » Ichigo assunse il colore
dei
propri capelli e riuscì a riappropriarsi del proprio
telefonino, « E poi che
vorresti dire!? »
Minto la guardò ironica, un sopracciglio talmente
sollevato che pareva stare sul punto di andarsene per i fatti propri:
«
Momomiya,
ti prego. »
Lei le fece il verso muta, il naso arricciato,
borbottando mentre si piegava per nascondere l’oggetto della
contesa dentro la
borsa: « Tu fai dei gran viaggi. È solo ancora il
fuso orario, e vuole darmi fastidio
come al solito. »
« Certo, e io sono la regina d’Inghilterra. Dai,
passami
il telecomando, vediamo se troviamo qualcosa d’interessante.
»
Ancora a pancia in sotto a penzoloni dal letto, Ichigo si
distrasse un secondo, mentre veloce come un lampo digitava una risposta.
“Ovvio! Ci sarò :)”
§§§
Ryou, che di solito al mattino soffriva di un potente
caso di pressione bassa e faticava ad aprire le palpebre e muovere un
solo
muscolo per i primi dieci minuti – con buona pace del fatto
che spesso non si
addormentava prima di notte inoltrata – ebbe la sensazione
che quella giornata
sarebbe andata storta quando i suoi occhi si spalancarono ancora prima
del
suono della sveglia e il suo corpo vibrò, già
pronto per incominciare la
routine.
All’inizio, diede la colpa al letto nuovo, al nuovo
appartamento, uno sfasamento in differita rispetto a quando ci si era
davvero
trasferito, oppure a un cambiamento stagionale vista la primavera
inoltrata e i
ciliegi in fiore. Vagabondò borbottando fino alla
macchinetta del caffè, sua
priorità principale sempre e comunque, e solo quando ebbe
una tazza bollente
tra le mani ritornò in camera da letto a prendere il
cellulare.
Quando vide le tre chiamate perse di Keiichiro, sempre
molto più mattiniero di lui, il messaggio che recitava
“
Controlla computer”,
ed – effettivamente – la notifica di
molte
notifiche dai computer
principali del laboratorio, seppe che non era decisamente guarito dalla
totale
mollezza mattutina.
Con un grugnito e un’imprecazione, infilò il
cellulare
tra spalla e orecchio mentre pescava il portatile dalla tracolla e lo
accendeva, telefonando nel frattempo al suo fido collaboratore che
rispose in
meno di due squilli.
«
Hai - »
« Sto accendendo adesso. Da uno a dieci? »
Paradossalmente, udì il moro ridacchiare: «
Guarda.
»
Lui ingollò un altro sorso di caffè rovente con
un sibilo
mentre il sistema del portatile si connetteva a quello del server
primario,
finché una schermata gli riempì il monitor e lui
dovette sbattere le palpebre
per essere sicuro di aver letto bene. Probabilmente, Keiichiro doveva
aver intuito
il suo stupito silenzio, perché sospirò di nuovo,
leggero: «
Te l’avevo
detto. »
«… vediamoci tra mezz’ora al
Caffè. »
« Speravo di non dover più usare questa stanza.
»
Ryou si sfregò gli occhi, già provato dal piccolo
bunker
che era il laboratorio nascosto nel seminterrato del locale.
Keiichiro gli sorrise comprensivo: « I nostri scenari
sono sempre stati peggiori però, non trovi? »
Il biondo grugnì, molto poco convinto, digitando ancora
un paio di tasti in maniera svogliata: « Lo sai che non mi
convinci con i tuoi
tentativi di trovare sempre un lato positivo. »
Il moro ridacchiò e si alzò dalla sua postazione:
« Come
vuoi dare la notizia? »
« Vorrei
non darla, » Ryou
gemette sottovoce e si
arruffò i capelli, riflettendoci un secondo, « Ma
conoscendole, più la tiriamo
per le lunghe, più vorranno la mia testa su un vassoio.
Facciamole venire qui
tutte e basta, abbiamo un’ora prima dell’apertura,
dovrebbe essere sufficiente.
»
« Chiamo io? »
«
Please, I beg you. »
Con una risatina, il pasticcere si avviò al piano di
sopra per iniziare il giro di telefonate.
Forse ormai memori di cosa volesse dire riceve appelli
del genere, soprattutto prima delle dieci del mattino, non ci volle
molto
perché le ragazze si ritrovassero nel locale ancora vuoto,
ognuna con una
gradazione diversa di espressione nella scala tra il preoccupato e
l’arrabbiato.
« Io l’ho sempre detto che c’era qualcosa
sotto, »
borbottò Minto, slacciandosi il cappottino primaverile,
« Avete riaperto da una
settimana e già facciamo le riunioni generali. »
« Magari non è niente di grave, »
tentò di blandirla
Retasu, sistemandosi nervosamente gli occhiali con la punta delle dita.
« Shirogane nii-san non è ancora spuntato,
» ridacchiò
invece Purin, infilandosi nello spogliatoio insieme ad Ichigo,
« È sicuramente
qualcosa di grave. »
Le ragazze
rumoreggiarono ancora qualche istante, mentre Keiichiro serviva
tè e pasticcini
di supporto.
Ryou spuntò dal piano interrato nello stesso momento in
cui Ichigo e Purin uscirono dallo spogliatoio, già pronte
nelle loro divise, e
fu accolto dalla stessa occhiata truce di tutte.
« Allora? » domandò pronta Zakuro, le
braccia conserte e
una sottile ruga tra gli occhi.
Il biondo prese un altro respiro, guardandole di nuovo
tutte in piedi vicino all’entrata della cucina.
« Prima di tutto, vogliamo rassicurarvi che non
c’è
niente di preoccupante, » incominciò Keiichiro,
mettendo le mani avanti e
sorridendo loro con affabilità, « Ma ci sembrava
giusto avvisarvi in ogni caso.
»
« Già non mi piace… »
mormorò Retasu sottovoce, Purin
accanto a lei che annuì convinta.
« D’accordo, le cose stanno così,
» Ryou fece un mezzo passo
avanti ed esalò, « Giusto stamattina –
»
Non fece in tempo a terminare la frase, sotto gli occhi
preoccupati delle ragazze, che il
beep beep beep allarmato
del computer
dal seminterrato li raggiunse come un fulmine, insieme a una voce molto
nota.
« Che piacere rivedervi, bamboline. »
Per qualche istante, gelo totale.
Kisshu, spuntato nel bel mezzo del salone, ghignò
malefico e fluttuò con noncuranza fino a raggiungere le
ragazze – o meglio, a
raggiungere una distanza di circa dieci centimetri dal naso di Ichigo.
« Beh! Che c’è,
non si salutano più gli amici da queste parti? »
«
Cosa faiiii,
nyaaaah! » la rossa, diventata della stessa
tonalità della sua uniforme,
scattò all’indietro con prontezza felina,
« Cosa ci fai tu qui! »
Kisshu,
reggendosi la pancia mentre rotolava per l’aria ridendo della
sua reazione,
finse teatralmente di asciugarsi una lacrima: « Sorpresa.
»
Fu il delirio.
Le altre cinque
ex Mew Mew iniziarono chi a prenderlo a male parole, costringendolo ad
alzarsi
in volo fino al soffitto per sfuggire alla loro presa, chi a sfogarsi
su
Shirogane – che pareva star fumando dalle orecchie
– chi a continuare a
domandare cosa stesse succedendo.
« Ma nemmeno un
buongiorno?
» commentò di nuovo lui, divertito, mentre
galleggiava sopra le loro teste con
aria beffarda, « Dove sono finite le vostre buone maniere.
»
« Scendi che te
ne diamo un assaggio. »
« Uh, che
proposta, passerotto. »
« RAGAZZE! » la
voce di Keiichiro magicamente riuscì a sovrastare quella
degli altri, e si
portò al centro della stanza, « Vi prego,
cerchiamo di spiegare. »
« Sarebbe il
caso, » mugugnò Ichigo a denti stretti, ignorando
ferocemente il ghignetto
soddisfatto del verde.
Lui planò di
nuovo davanti a lei, afferrandole la mano e schioccandoci un bacino
innocente
sopra: « Dai, ammettilo che ti sono mancato. »
Lei, ormai
diventata viola, pigolò di nuovo strozzata e
tentò invano di ritirare il
braccio, quando la figura elegante di Zakuro sopraggiunse minacciosa di
fianco
a lei e Kisshu si allontanò con uno strano verso di gola.
« Okay, okay,
d’accordo, calmiamoci tutti. »
« Possibile che
tu non sappia fare altro che combinare casino? »
Otto teste si
voltarono verso la porta d’ingresso, su cui era appena
apparso Pai, le braccia
incrociate e l’espressione truce.
Il fratello,
dall’alto del soffitto, ridacchiò invece
soddisfatto: « Lo sai che mi piacciono
le entrate trionfali. »
« È un incubo, vi
prego, ditemi che è un incubo. »
« Mew Mew, » Pai
le salutò con un cenno del capo, ignorando il commento
disperato di Minto, poi
rivolse lo stesso gesto ai due uomini, « Shirogane, Akasaka.
»
Il moro ricambiò,
un po’ titubante, invece il biondo gli lanciò
un’occhiata glaciale: « Non
avevate detto che
stavate arrivando? »
Kisshu incrociò
le braccia dietro la testa, sempre a distanza di sicurezza: «
E infatti eccoci
qua! »
Se gli sguardi
avessero potuto uccidere, sarebbe sicuramente stato dilaniato dagli
occhi
azzurri.
«
Obviously. »
Il maggiore degli
Ikisatashi scosse piano la testa, nascondendo un giramento di occhi:
« C’è stata
un’interferenza durante l’invio del messaggio, che
quindi è arrivato molto in
ritardo, » spiegò, « Non ci hanno dotato
di un equipaggiamento entusiasmante,
questa volta. »
« Fermi, fermi,
fermi! » Ichigo fece qualche passo avanti, reggendosi la
testa, « Io non ci sto
capendo più nulla. Voi sapevate di… tutto
ciò? »
Keiichiro la
guardò ed annuì, con aria grave: « Ecco
il motivo per cui vi abbiamo chiesto di
trovarci qui, oggi. Il messaggio a noi è arrivato soltanto
stamattina. »
« Ci dispiace, »
commentò il moro, guardando ancora di sottecchi al fratello,
« Non volevamo
creare troppo fastidio. »
« Credo di
sentirmi male. »
Minto si accasciò
su una sedia melodrammaticamente, per poi scoccare
un’occhiataccia a Ryou: « Io
lo sapevo che non poteva andare tutto liscio! »
« Come se
l’avessi scelto io! »
« Ora calmiamoci,
» la voce fredda di Zakuro, incrinata solo da una nota di
evidente fastidio, li
fece tacere prontamente, la morettina che serrò le labbra
già pronte a
replicare, « E voi abbiate la compiacenza di spiegarvi.
»
Kisshu si
mantenne lontano da eventuali aggressioni fisiche, ben memore delle
potenzialità della modella, appollaiandosi al bancone della
cassa mentre le
ragazze occupavano le sedie vicino a quella di Minto e i due scienziati
rimanevano in piedi vicino loro.
« Fatemi premettere
che non siamo tornati con intenzioni bellicose, »
chiarì subito Pai,
guardandole ad una ad una, « Anzi, portiamo i ringraziamenti
del nostro governo
per la cessione della Mew Aqua, che è riuscita a riportare
il nostro pianeta a
uno stadio di totale abitabilità. Tutta la popolazione ne ha
giovato molto, e
ora Duuar
(***) è prolifica e il
suo popolo pacifico.»
« Sì, dopo averci
fatto il culo a strisce per mesi, però, »
borbottò sottovoce Kisshu, e il
fratello maggiore perseguì ad ignorarlo.
« Le esalazioni
benefiche della Mew Aqua sono penetrate a fondo nel nucleo di Duaar,
rigenerandolo ed espandendosi per tutta la sua superficie. Il suo
potere si è
dimostrato così straordinario che non è stato
necessario utilizzare tutta la
sostanza, per rigenerare il pianeta. Così, siamo stati
incaricati di farvi un
ringraziamento materiale. »
Così dicendo, Pai
estrasse dalla tasca una fialetta colma di liquido brillante,
strappando un
sussulto agli altri presenti.
« Non pensate sia
tutta, » ghignò l’altro alieno,
incrociando le mani dietro la nuca, « Ne
abbiamo tenuto un po’ da parte in caso la situazione si
rifaccia grigia. »
« E questo ci
porta al fulcro della nostra missione, » Pai annuì
grave, rivolgendosi
maggiormente agli altri due ragazzi del gruppo, « Non abbiamo
certezze se il
risultato ottenuto con la MewAqua sia permanente o meno, quanto i suoi
effetti
possano durare. Siamo venuti qui per prelevare campioni del vostro
terreno, nel
tempo, specialmente in punti in cui sappiamo la Mew Aqua sia penetrata,
per
poterli paragonare ai nostri risultati. Così potremmo capire
se gli effetti
sono permanenti, se hanno picchi di funzionalità, e via
dicendo. »
I due scienziati
si scambiarono un’occhiata veloce, poi Keiichiro
annuì: « Ha senso. Anche se
non ci siamo mai accorti che fosse rimasta della MewAqua, a Tokyo.
»
« Altrimenti noi
ci saremmo illuminate! » intervenne allegra Purin, beccandosi
un’occhiataccia
da parte di Minto e un sottile
shhh da Retasu.
« Sono quantità
minime, non tracciabili se non con appositi congegni, »
spiegò Pai, « Non è
tanto la quantità, quanto questa abbia influito e se per
caso ne serva di più.
»
« Avete provato a
ricrearla? »
Il moro annuì,
rivolto a Ryou: « C’è un progetto in
corso su Duuar, ma finora non ha portato
ai risultati sperati. La MewAqua è una sostanza molto
particolare, forse fin
troppo per essere riprodotta in laboratorio. »
« Potrebbe essere
interessante tentare, » Keiichiro si voltò verso
Ryou, il quale però continuò a
scrutare torvo i due nuovi arrivati, con le braccia incrociate.
« Quando parlate
di
nel tempo, cosa intendete? »
Kisshu – che si
era affacciato nel mentre dalla finestrella della cucina per
investigare i vari
odorini meravigliosi che ne uscivano – lo guardò
da sopra la spalla con un
ghigno divertito:
« Per tutto il
tempo che il mio caro fratellone genialoide qui riterrà
opportuno per prelevare
i campioni giusti. Non sei contenta, micetta? »
«
Nyaaah, io
non voglio saperne niente! »
« Non abbiamo un
periodo stabilito, dipenderà dal risultato degli
esperimenti. »
Il biondo sembrò
soppesare le ultime parole, la ruga sulla sua fronte sempre
più profonda.
« Voi che ne
pensate? »
Le cinque ex Mew
Mew si scambiarono qualche occhiate confusa, non pensando che sarebbero
state
interpellate.
« Commenti
tecnici sui vostri esperimenti non credo siamo in grado di farne,
» borbottò
sottovoce Minto, « Io continuo a non credere alle
coincidenze. »
Purin sussultò un
istante e si infilò sotto al tavolo, strappando ad Ichigo
uno strillo quando le
agguantò il bordo della gonna per sollevarlo e studiare il
suo interno coscia.
« Tutto okay! »
esclamò la biondina un po’ ovattata, mentre la
rossa continuava a cercare di
scacciarla e al tempo stesso di non farsi denudare del tutto davanti a
tutti, «
La voglia di nee-chan non c’è! »
« Purin, non
siete delle cartine tornasole, » commentò
Shirogane, ormai privato di qualsiasi
energia.
Zakuro studiò
ancora un po’ i due alieni, poi si appoggiò un
po’ di più allo schienale della
sua sedia: « Come facciamo ad avere una garanzia di
ciò che state dicendo? »
Pai annuì sicuro,
come se si fosse aspettato una domanda del genere da lei: «
Possiamo mettere
tutte le nostre strumentazioni e ricerche a vostra disposizione.
»
« E poi vi
abbiamo avvisato, » cantilenò Kisshu,
ricominciando a fluttuare per la stanza,
« Potevamo benissimo farci i cavoli nostri, ma abbiamo
preferito non scatenare
di nuovo un casino interplanetario arrivando senza bussare. Malfidati.
»
« Be’,
Kisshu-san, non puoi proprio biasimarci… »
ridacchiò appena Retasu,
sistemandosi nervosamente gli occhiali.
« Già! Eri
proprio un diavoletto, una volta! » rincarò
allegra Purin, riemersa dalle gambe
delle ragazze, « Posso venire anche io a vedere
l’astronave? »
« Una cosa per
volta, » s’intromise Keiichiro, « Prima
di tutto, vi ringraziamo per il
preavviso e per la Mew Aqua. Sono certo che potremmo dare inizio a una
fruttuosa collaborazione, se volete. I nostri sistemi sono aggiornati e
abbiamo
una copertura ben oltre Tokyo. A unire gli sforzi si raggiungono
risultati
migliori. »
Ryou schioccò la
lingua infastidito, spostando il peso da un piede all’altro
per domare il
livore, ma dentro di sé riconobbe almeno il tentativo del
suo tutore di poter
avere un minimo di controllo sopra ciò che i due alieni
avevano in mente.
« Sono sicuro che
avrete affrontato un viaggio molto stancante, e il Caffè
deve aprire tra poco,
quindi possiamo proporre di ricominciare le questioni più
tecniche a domani, a
mente più fresca? »
Pai fece un gesto
di consenso con il capo, all’apparenza sollevato di poter
già congedarsi dalla
compagnia umana: « Inizieremo anche noi a settare i nostri
apparecchi, così da
poter cominciare al più presto. »
« Oh, rilassati
un attimo, » Kisshu osò svolazzare appena
più vicino al tavolo delle ragazze, «
Siamo appena arrivati, abbiamo un
sacco di cose da
raccontarci, vero,
micetta? »
Mentre il viso
della rossa s’incendiava e lei spostava la sua sedia come a
cercare protezione
in Retasu, Ryou si schiarì la gola con così tanta
forza che avvertì le corde
vocali lamentarsi:
« Credo sia
meglio stabilire qualche regola, » sentenziò
lugubre, « Vorrei evitarmi di
trovare i servizi segreti tra le scatole perché la gente
corre in giro a
gridare di vedere
qualcuno volare. »
Il viola fulminò
il fratello con lo sguardo per l’ennesima volta, ma quello
persistette nel
fischiettare tranquillo, ben conscio dell’effetto che aveva
sui due: « Non
attireremo l’attenzione. »
« Vi conviene
anche cambiarvi, » ridacchiò Purin, accennando ai
vestiti dei due, gli stessi
di cui si ricordavano ma così diversi
dall’abbigliamento umano, e alle orecchie
a punta ben in vista, « Non siamo in periodo di cosplayer.
»
« Abbiamo pensato
pure a quello, » ghignò l’alieno dai
capelli verdi, « Saremo irresistibili,
scimmietta. »
« Questa sembra
un’invasione meglio pianificata dell’ultima volta,
» grugnì Ryou sottovoce,
guadagnandosi un’occhiataccia da Keiichiro, che di nuovo si
fece avanti.
« Diciamo qui domattina,
alla stessa ora? »
« Non sentire
troppo la mia mancanza, micetta! »
E con un ultimo
bacetto lasciato nell’aria, Kisshu sparì
così com’era apparso, seguito poco
dopo da Pai e dal sentore del suo sottile ringhio esasperato.
Per altri due
minuti, solamente il silenzio riempì la stanza del
Caffè, mentre le ragazze
rilassavano appena le spalle.
« Ma quindi ora
devo anche mettermi a lavorare? » borbottò Ichigo
sottovoce, passandosi le mani
tra i capelli, « Mi sta già scoppiando la testa,
nyaaah!
»
« Ogni scusa è
buona, Momomiya. » le rimbrottò Ryou, continuando
a squadrare l’uscita con aria
torva, come se temesse di vedere ricomparire i due ospiti inattesi.
«
Suuuu,
ammettetelo che un po’ siete contente, » Purin si
stese con quasi tutta la
pancia sul tavolo per attirare l’attenzione delle amiche,
« Ora è davvero come
sei anni fa! Anche se mi chiedo dove sia Taru-Taru…
»
« Ci manca anche
il terzo… » fu il lugubre commento di Shirogane,
che girò sui tacchi scomparire
giù dalle scale, « Vedete di non battere la
fiacca, o davvero ricominceremo ad
attirare l’attenzione se a una settimana
dall’apertura siamo di nuovo in alto
mare. »
Loro si
scambiarono un’occhiata sconsolata con Keiichiro, poi le tre
in divisa da
cameriera si alzarono con lentezza, sperando di poter contrastare la
confusione
concentrandosi sul lavoro.
Zakuro si
concesse un unico sospiro di stizza, alzandosi insieme a loro e
stringendo la
borsa sotto al braccio: « Mi raccomando, occhi aperti adesso.
Dobbiamo molto a
loro, ma alcune cose possono non cambiare. »
Le altre
annuirono, un po’ timorose, e si avviarono per prepararsi
alla giornata.
A fine turno, Ichigo zampettò silenziosa fino al
laboratorio, dove sapeva che Ryou si era rintanato in cerca di
solitudine e
tranquillità vista l’inagibilità della
sua vecchia camera da letto. Come
previsto, la porta del laboratorio era socchiusa, e lei poteva sentire
il
rumore della tastiera che serviva da valvola di sfogo e una fievole
musica di
sottofondo.
« Riprendi anche a farmi gli agguati? » la prese in
giro
stancamente quando la notò sbirciare dalla fessura, incerta
se bussare o meno.
Lei arricciò il naso ed entrò di qualche passo
nella
stanza: « Non ti ho mai fatto agguati. »
Il biondo sbuffò appena divertito e si appoggiò
allo
schienale della sedia per stiracchiarsi, prima di passarsi una mano tra
i
capelli e borbottare qualcosa sottovoce che la rossa non
capì.
« Che ne pensi? »
Le lanciò un’occhiata un po’ rassegnata,
la mano ancora
nella chioma: « Che sinceramente avrei preferito non
rivederli. »
Ichigo fece ancora qualche passo tentennante,
picchiettando con le dita sulla scrivania: « Dai,
alla… fine ci hanno aiutato.
»
« Se sei contenta di rivedere Kisshu, basta dirlo, sai.
»
« Guarda che… ! »Ichigo strinse i pugni
e prese un
respiro profondo per calmarsi prima di esplodergli contro, offesa dalla
sottile
accusa, « Non c’entra proprio niente. Volevo solo
sapere come stavi, e se
volevi parlare. Noi ragazze un po’ ne abbiamo discusso.
»
« Non voglio parlare, Ichigo, » lui
soffiò, ancora
contrariato, poggiando i gomiti sulla scrivania per prendersi la fronte
tra le
mani, il mal di testa che perseguiva a rimbombargli tra le tempie,
« Voglio
solo capire se ci stanno prendendo in giro o meno. »
La rossa cercò di interpretare i dati che vedeva scorrere
sui multipli schermi, rinunciando in un istante e drizzando le spalle,
già
pentitasi del suo tentativo di supporto.
« Okay, » borbottò, e fece per fare
dietrofront, « Ciao,
allora. »
Ryou le afferrò il polso prima che potesse voltarsi,
guardandola da sotto la frangia con un occhio mezzo aperto: «
Sorry, »
mugugnò, senza lasciare la presa.
Ichigo lo guardò storto, ma si avvicinò un
po’ di più: «
Perché le cose difficili le dici sempre in inglese?
»
Lui si lasciò scappare uno sbuffo divertito: «
Because
it’s easier. »
Le sue dita scivolarono dal polso al palmo di lei,
accarezzandole piano il dorso della mano con il pollice.
« Poi chi ti dice che sia difficile chiedere scusa?
»
continuò a prenderla in giro.
« Oh, per favore, » la voce della rossa
uscì più fievole
di quanto avrebbe voluto, « Sei una delle persone
più orgogliose che conosca. »
« Senti chi parla, » Ryou rise e si alzò
per picchiettare
piano l’indice della mano libera contro la sua fronte,
« Questa è una testolina
molto dura. »
Ichigo maledisse la sua propensione ad arrossire e si
sforzò di alzare il mento con fare sicuro: «
Be’, allora… vado a casa. Devo
studiare un po’. »
Il biondo annuì e le diede un buffetto sul naso: «
Sta’
attenta. »
« Che fai, ti preoccupi per me? »
Lui rise appena del suo tentativo di essere baldanzosa: «
Non ho voglia di ricominciare a doverti salvare la coda. »
« Ah,
ah, simpatico, »
rimbrottò lei, « Il giorno
in cui mi ricresce la coda, ti ci strozzo. »
Il colore sulle sue guance si intensificò
all’occhiatina
divertita e allusiva che le lanciò, e Ryou fece per
replicare, la mano ancora
sulla sua, quando un intenso trillare dei computer li fece sobbalzare
entrambi.
«
Damn it, »
l’americano quasi volò sulla
tastiera, esaminando i dati che pulsavano sul monitor, « Ho
cambiato il
settaggio dei valori su quelli indicati da Pai ed effettivamente ci
sono
minuscole tracce di Mew Aqua rimaste. »
Ichigo non tentò nemmeno di sforzare il suo cervello,
incrociando solo le braccia al petto: « Quindi avevano
ragione? »
«
Ragione è un
parolone… »
La rossa non riuscì a evitare di ridere alla sua
espressione corrucciata, conscia di quanto lui detestasse ammettere di
non
essere totalmente nel giusto: « Allora li aiuterete?
»
Ryou si accasciò contro lo schienale della sedia,
arruffandosi i capelli: « Sono più tranquillo a
sapere cosa stiano facendo, che
a saperli qua sulla Terra a scorrazzare liberamente in giro. E
chissà che i
risultati non siano utili anche a noi. »
Lei gli diede appena un colpetto col gomito sulla spalla:
« Stai forse ammettendo che anni di diplomazia di Keiichiro
hanno avuto effetto
anche su di te? »
« Pensavo dovessi andare a studiare, Momomiya. »
Ichigo rise di nuovo, avviandosi verso la porta, poi si
mordicchiò il labbro inferiore: « Se
hai… bisogno, chiama pure. »
Il biondo tentennò un secondo prima di voltarsi verso di
lei e annuire, abbozzandole un mezzo sorriso: «
You
too, ginger. »
§§§
Ryou si chiese quanto a lungo il suo fegato avrebbe
continuato a resistere.
Era stato deciso che, per sfruttare al massimo le
potenzialità del laboratorio del Caffè, i due
Ikisatashi si installassero nel locale,
adoperando le due camere da letto inutilizzate al piano superiore, che
Keiichiro aveva prontamente diviso dal resto della struttura facendo
installare
una porta. In questa maniera, Ryou poteva crogiolarsi
nell’idea di poter tenere
un minimo sott’occhio ciò che stavano combinando,
anche se ciò significava
dover passare la maggior parte del tempo al Caffè e
trovarseli tutti tra i
piedi.
Già avere sempre intorno Ichigo in veste da cameriera gli
riportava alla mente paturnie adolescenziali che erano difficili da
domare; già
trovava faticosamente sopportabile condividere lo stretto spazio vitale
del
seminterrato con Pai e la sua austerità; ciò che
gli mancava era davvero
l’indisponente, intollerabile, sfacciata presenza di quella
testa di broccolo
di Kisshu.
Si domandò se avesse mai incontrato un essere più
irritante di lui. Lui e i suoi ghignetti, le battutine, il suo oziare
per la
maggior parte del tempo facendo più che onore alla cucina
– a gratis,
ovviamente perché certe abitudini Keiichiro sembrava non
perderle –, le
risatine e i sospiri che salivano dalla clientela femminile del
Caffè ogni
volta che si presentava.
Per non parlare poi del suo costante ronzare intorno ad
Ichigo.
Gli schioccò un’occhiataccia, seduto al tavolo a
ingozzarsi di pasticcini, mentre lui riemergeva dal laboratorio per
andare a
rilassarsi a casa.
« Che muso lungo, biondino, » lo
apostrofò irriverente,
cacciandosi l’ennesimo dolcetto in bocca, «
Già sfiancato dal lavoro con Pai? »
« Se tu ti fossi palesato una sola volta in tutta la
settimana, lo sapresti, » gli sibilò gelido
l’americano, desiderando moltissimo
possedere una frazione dei poteri di Kisshu per fulminarlo
all’istante.
« Preferisco il lavoro sul campo, »
ribatté l’altro, per
niente scalfito dall’evidente astio, lanciando
un’eloquente occhiata alla
clientela.
«
For fuck’s sake… »
Ryou fece per dirigersi a passo marziale verso l’uscita,
quando fu fermato dalla voce di Ichigo, che lasciava in quel momento la
cucina.
« Shirogane-kun, aspetta! Mi faresti un favore? »
Gli fece segno di
fermarsi e s’infilò velocemente nello spogliatoio,
uscendone trafelata
trafficando nella sua borsa.
« Mi potresti controllare questi? »
esclamò con il
fiatone, schiaffandogli sotto al naso un plico stropicciato di fogli,
« Sono le
brutte copie di un esame. »
Lui li afferrò, lanciandole un’occhiata scettica:
«
Brutte sicuro, Ichigo. »
« Dai, ero di fretta! Non ho sentito la sveglia e dovevo
correre a lezione, ho fatto il possibile. »
Ryou abbozzò a un sorrisetto, picchiettandogliele sul
naso: « Non cambi mai, eh,
ginger?
»
Dal suo angolino, Kisshu lasciò uscire uno sbuffo
più che
compiaciuto: « Su, biondino, ammettilo, »
ghignò malefico, osservando la rossa
da capo a piedi, « Qualche cambiamento
c’è stato. »
Ichigo arrossì fino alla punta dei capelli, afferrandosi
il bordo della gonna e tirandola verso il basso il più
possibile, e Ryou lo
squadrò talmente male che lei addirittura temette per la sua
vita. L’alieno,
dal canto suo, sembrò più divertito che
preoccupato da quello scambio, e
ritornò a concentrarsi sui dolcetti.
La ragazza si schiarì la voce e si spostò di un
passo
davanti all’americano: « Uhm… allora mi
aiuti? »
Lui nemmeno la guardò, ma l’afferrò
saldo un braccio e la
tirò piano verso l’uscita: «
Sì, ma a casa. »
« Ehi, asp… i vestiti! » Ichigo
cercò di svicolare per recuperare
le sue cose, ancora nell’armadietto dello spogliatoio, ma lui
parve non udirla
e si avviò a passo deciso fuori dal retro, quasi
trascinandola fino alla sua
automobile.
« Shirogane-kun, ti vuoi calmare? » gli
strepitò infine
lei, « Spiegami perché ora ce l’hai con
me! »
« Non ce l’ho con te, »
replicò pronto lui, anche se la
vocina nel suo cervello gli ripeteva che non gli sembrava che a lei
fosse tanto
dispiaciuto quell’odioso commentino.
« Allora non tirarmi come se fossi una bambina
disobbediente. »
Ryou mollò il suo polso solo quando furono davanti alle
portiere, entrando in macchina senza una parola di più.
Ichigo sbuffò innervosita, borbottando sottovoce qualcosa
di incomprensibile mentre si accomodava al sedile del passeggero.
Resistette
solo i primi cinque minuti, prima di ricominciare:
« Guarda che non puoi reagire così male tutte le
volte,
ti verrà un colpo alla lunga. Lo sai che Kisshu
è… fatto un po’ così.
»
« Ora lo difendi pure? »
La rossa titubò un istante, afferrandosi una ciocca di
capelli per controllarsi le punte: « Non posso…
arrabbiarmi troppo con lui, lo
sai… »
Ryou soffocò un’imprecazione al modo in cui lei
fece
cadere la frase, cogliendone appieno il senso velato, concentrandosi
sul
traffico per i minuti successivi.
« A confronto io sono solo il tizio che ti ha costretto a
tutto questo casino. »
Percepì Ichigo girarsi verso di lui, appena sorpresa
dall’ammissione, per fissarlo un istante prima di abbozzare a
un sorriso: «
Credevo che la tua battuta in questi casi fosse che
la Terra
mi ha scelta.
»
«
Tomayto, tomahto. »
(****)
Lei sbuffò divertita, rimanendo in silenzio per la durata
restante del tragitto. Quando si fermarono davanti al palazzo dove
abitava la
ragazza, lei lo guardò da sotto in su: « Sali
davvero per aiutarmi a studiare?
»
L’americano maledisse per l’ennesima volta dentro
di sé
il commento di Kisshu, veritiero come non mai, a vederla in uniforme
con
quell’espressione speranzosa, e sospirò:
«
Ginger, devo - »
« Ti pre
eeeeego! » congiunse le
mani davanti alla
faccia, « Ti offro tutto il caffè che vuoi, lo sai
già che altrimenti mi
distraggo, e ho solo una settimana! »
Ryou alzò gli occhi al cielo, infilandosi nel primo
parcheggio disponibile: « Non sono il tuo babysitter, sai.
»
« Sei il mio
tutor designato. »
« Ah! » lui rise sarcastico, mentre scendevano
dalla
macchina ed entravano nello stabile, « Allora ci sono anni di
conti non
saldati? »
« Oh, per favore, come se ti servisse. »
Ichigo lo precedette lungo le scale, canticchiando
sottovoce con allegria mentre rovistava nella borsa alla ricerca delle
chiavi,
e lui scosse la testa, mezzo divertito.
« Adesso espatrio un’altra volta, così
non mi venite più
a rompere le scatole. »
« Non è divertente, » Ichigo gli
lanciò un’occhiata torva
da sopra la spalla, aprendo la porta del suo appartamento, «
E poi credo che
Akasaka-san e Pai riusciranno facilmente a trovarti anche negli Stati
Uniti. »
« Non se mi nascondo in un eremo sugli Appalachi senza
cellulare né tecnologie varie. »
« Shirogane! » lo sgridò con un broncio
arrabbiato,
lanciando con malagrazia la borsetta in un angolo e agitandogli un dito
davanti
al naso, « Smettila! »
Lui sbuffò irriverente, entrando nella casetta e
poggiando con molta più cura il giubbotto
all’appendiabiti: « Guarda che non ti
servo per essere la leader delle Mew Mew, sai. »
Ichigo esalò pesantemente, un brividino che le corse
lungo la schiena: « Non voglio nemmeno pensarci. E, ripeto,
non fai ridere. E
comunque, » aggiunse dopo un po’, incrociando le
braccia al petto, « Sai
benissimo che non è per quello, Ryou. »
Il suo cuore s’infranse di un millesimo di centimetro a
sentirla usare il suo nome, lì in quella stanza che sapeva
solo di lei, e la
guardò soltanto di traverso: « Ti serve una
guardia del corpo contro Kisshu? »
La rossa emise un semi-miagolio di stizza, scuotendo la
testa mentre si avviava verso la camera da letto: « Hai
lasciato l’umorismo
negli Apitachi, o quello che sono. »
«
Appalachi, » la corresse
ridendo, « Preparo il
caffè, sono ancora scioccato da ciò che sei
riuscita a combinare l’ultima
volta. »
« Ma se la macchinetta me l’hai regalata tu!
»
La sentì berciare dall’altro lato della casa.
Ryou rise sotto i baffi un’altra volta, concentrandosi
nel riempire il filtro della macchinetta americana –
correttamente un suo
regalo di qualche Natale precedente – e osservando
l’appartamentino, così dannatamente
suo, con le stoviglie spaiate, i magneti di
città mai viste sul
frigorifero, le tazze di cinque rosa diversi, macchie di rosa ovunque e
un
leggero casino che poteva vedere proseguire fino alla porta chiusa
della
camera. Il tavolinetto da caffè pieno di riviste, il
portatile nell’angolo del
divano, mezzo sotto a una coperta (rosa), il davanzale pieno di piante
grasse e
cornici di foto con le ragazze, ad accompagnare anche quelle appese ai
muri con
un una fila di lucine colorate sopra, un tappetino da yoga arrotolato
in un
cantuccio che lui sapeva benissimo avesse comprato insieme a Minto e
usato
forse quattro volte.
« Ecco qua! » Ichigo uscì dalla camera
reggendo un
secondo plico di fogli, quaderni e libri tra le braccia, che
appoggiò
pesantemente sul tavolinetto, « Dovrei avere tutto.
»
Il biondo le si avvicinò reggendo due tazze fumanti e
studiò la tenuta che aveva indossato, un paio di leggings e
una felpa di tre
taglie più grandi con sopra scritto
Harvard: «
Vedo che fai buon uso dei
miei regali. »
Lei arrossì vistosamente, accomodandosi sul divano e
tirando le maniche sopra le dita: « Se facessi il contrario
ti lamenteresti. »
« Sono solo contento di averci azzeccato,
ginger.
»
Ichigo fece una smorfia, raccogliendo le gambe al petto e
soffiando sul caffè, l’indice che giocherellava
con il bordo di ceramica.
« Però un po’ sei felice di essere
tornato a casa, no? »
domandò sottovoce dopo un po’, fissando
più il liquido scuro che lui.
« Vuoi dire a parte aver sgobbato per riaprire il locale
in venti giorni, dover sentire i battibecchi tra te e Minto ogni giorno
e i
vostri commentini acidi sulle nuove cameriere, e la nuova invasione
aliena? »
La rossa gli rivolse un’espressione esasperata,
allungando piano un piedino per colpirgli la gamba: «
… e dai, dico sul serio!
»
Ryou sbuffò e fece roteare appena il caffè nella
tazza: «
Ovvio che sono contento, Ichigo. Altrimenti non sarei rimasto.
»
« Scherzi sempre che non ci sopporti, »
borbottò lei poco
convinta, con il broncio di una bambina.
«
Scherzo, ragazzina, esattamente la
parola
giusta, » le rimbrottò divertito, « E
poi lo devi ammettere, ogni tanto sapete
essere pesanti. »
Ichigo storse il naso, poi lo guardò da sotto in su con
un sorrisetto: « Più pesanti di quanto pensassi?
»
Lo vide sgranare appena gli occhi e poi ridere,
avvicinando il viso al suo e picchiettarle la fronte: «
Precisely.
»
La rossa inalò forte, muovendosi con calma per poggiare
la tazza sul tavolinetto, come temendo che un movimento troppo brusco
avrebbe
interrotto quell’istante.
« Mi sei mancato, Ryou, » esalò poi in
un fiato solo,
avvertendo il cuore schizzarle in petto e accenderle il viso sotto allo
sguardo
celeste di lui.
Ryou allungò solo una mano verso la sua guancia,
accarezzandogliela mentre la studiava, facendosi ancora più
vicino così che le
loro fronti potessero toccarsi.
« Ichigo? » mormorò roco dopo un
po’, e la rossa deglutì,
non in grado di connettere una frase completa:
« Mmm? »
Il pollice di lui le sfiorò le labbra e lei udì
il
rimbombo impazzito del suo cuore nelle orecchie: « Non ti
spostare, okay? »
Non fece in tempo a scuotere appena la testa che la bocca
del ragazzo fu sulla sua, strappandole un sospiro quasi di sollievo. Lo
strinse
a sé e si lasciò stringere, lasciandosi andare
sul divano per poterlo avere il
più vicino possibile, e mugolando sottovoce quando le mani
di lui sgusciarono
veloci sulla pelle nuda sotto la felpa. Poi Ryou rallentò,
discendendo con le
labbra sul suo collo, saggiando piano le sue curve da sopra il tessuto,
e con
un respiro affannato sfiorò il naso con il proprio:
« Credevo dovessi aiutarti a non distrarti, » la
prese in
giro sottovoce.
Ichigo rise e intrecciò le dita dietro la sua nuca:
« Non
distrarti tu. »