Una piccola
introduzione che credo di meritarmi. Ho creato questo nick perché mi sono sempre vergognata di usare il mio.
Mi si potrebbe dare della persona
timida. In realtà, penso di averlo fatto perché, mantenendo l’anonimato, il
“disonore” sarebbe stato più sopportabile.
Qualora
avessi perso, ovviamente.
Questa storia esplora un
personaggio che a mio parere è stato crudelmente messo in ombra, cioè Mint Aizawa,
Mina nella versiona italiana.
Per di più, a vantaggio di Ichigo, che io non posso
vedere.
Ergo, la fanfiction è una rivalsa.
La vittoria può unicamente
aggiungere piacere.
Bacio,
L.A.D.L.
Can’t erase, just rewind
Mint accese la sigaretta alla
menta che teneva nella mano destra.
Poi si ricordò che odiava fumare,
e la spense nel bicchiere che le stava di fronte.
Considerò per un secondo la brace
che svaniva nel liquido ormai freddo.
Era quello che l’attirava, nel
vizio del fumo: eri relativamente libera di scegliere di che morte perire.
Lei, ragazzina viziata al di
sopra di ogni cosa, si era ritrovata a combattere mostri chiamati chimeri, per la salvezza della Terra.
E aveva perso la facoltà di poter
morire.
Niente “Game Over, vuoi cominciare una nuova partita?”, in quello che
faceva. Dubitava seriamente di poter ricreare daccapo una nuova umanità per
cercare di proteggerla di nuovo.
- Ti disturbo? –
- Non mi disturbi. – rispose
compunta, accavallando le gambe lisce e troppo magre.
– No, resta. – aggiunse dopo un attimo di pausa, recuperando la sigaretta dal
bicchiere. – Ne hai un’altra? – chiese alla donna che le stava di fronte.
Al diavolo, lei odiava il fumo.
Ma d’altra parte odiava anche
combattere chimeri. Nessun “Game
Over, vuoi cominciare una nuova partita?” nemmeno nel suo corpo. Però sentiva
di esser pronta a correre il rischio.
- Mi odi? –
- Si che
ti odio. –
Game Over. Vuoi cominciare una nuova partita?
Ok. Si. Yes. Oui. Da.
Cazzo, riparti, vita di merda!
- No, scusa Ichi, non ti odio. È
solo che a volte mi fai andare un po’ in corto circuito. – osservò la sua
espressione e quel briciolo di coscienza che le era
rimasta l’obbligò a rassicurare l’altra nuovamente. – Davvero, è tutto a posto.
–
- Ti volevo parlare del nuovo
lavoro. – mormorò la rossa torturandosi un ricciolo, Mint ricordava di averla sempre
vista fare quel gesto. Anche quando aveva ucciso Retasu. Le aveva piantato una
freccia nello stomaco e Ichigo era rimasta lì, a giocare col ricciolo sfatto
della sua acconciatura color rosa cicca. Semplicemente immobile, incapace di
proferire parola, pareva una piccola bambina a cui avevano tolto il controllo
sulla bambola preferita.
Aveva pensato di essere la leader.
Si era scoperta essere la leader derisa e la leader inutile.
Poi aveva perso anche lo status.
Mint non era una bambola, o forse
lo era, ma in ogni qual caso, era una bambola (o una ragazza) decisamente stronza.
E opportunista. Non appena aveva capito di aver perso, aveva fatto un sbuffo.
Mint, aveva sbuffato.
Quel tipo di sbuffo un po’
particolare. Come a voler dire:
Ehi, noi ci abbiamo provato. Siete più forti
voi, temo. Pensate che potrei esservi utile?
O meglio, lo aveva detto. Dopo lo
sbuffo.
I tre alieni si erano guardati a
vicenda, un po’ stralunati, e poi avevano riso, in mancanza di qualche altra
reazione particolarmente indicativa. Mint aveva riso a sua volta e aveva ucciso
Pie.
Un’altra freccia.
Trovate munizioni di riserva. Utilizzarle?
L’atmosfera si era ghiacciata,
come lo sguardo azzurro della Mew Mew.
Lei aveva alzato gli occhi sui
tre – pardon, due – alieni, dicendo: - Stavate ridendo di noi? Di me? –
I tre, - forse, a ben pensarci,
Pie rantolava ancora – erano rimasti senza fiato, fermi,
come se qualcuno avesse messo in pausa
il gioco, e così erano stati, fino a che Mint non aveva definitivamente mandato
al creatore Pie.
Un’altra freccia, Mint.
- Volete giocare? – il suo
sussurro, come il fiato degli dei, che andava a penetrare
il cervello dei nemici inchiodati al suolo da quel occhiata furiosa e glaciale,
tipica di chi conosce il male molto meglio di quanto tu possa mai arrivare a
comprendere.
- Mint… - aveva sussurrato Purin.
- Volete giocare? Ho tante
frecce. –
Una freccia in meno nello stomaco
di Retasu, la freccia che rappresentava tutto ciò a cui aveva sempre pensato,
nelle notti buie, scossa dalla paura, e al diavolo Zakuro,
al diavolo il mondo che dovevano salvare.
“Vuoi salvare il gioco?”
Merda, salva!
Che m’importa se Retasu è morta?
Salva, salva!!
Salva
perchè
non
voglio
morire.
- Noi non giochiamo, stronza. –
- Perfetto, stronzo. Un pezzo per
noi, e uno a voi. –
Chiara, concisa, la leader che
non aveva potuto e voluto essere.
- Non voglio grane, - chiarì Tart, scosso. – Appena sento che state organizzando
qualcosa, io vi ammazzo. –
Purin
chinò il capo, la consapevolezza di aver perso quella battaglia. Che fine aveva
fatto il suo Tart, quello con cui mangiare caramelle
gommose a venti metri sotto terra, intrappolati dalle radici che stavano
sommergendo il Dome?
Dov’era Tart?
- E tu, - soffiò Mint, - non
venire a rompermi i coglioni, quando me ne sarò andata. –
Con buona pace dell’etichetta.
Retasu avrebbe spalancato la
bocca, pensò Ichigo. Retasu aveva la bocca rosa spalancata, si corresse.
- Va bene. –
Salva, salva!
Salvo per salvarmi e uccido per
farlo. Contemporaneamente.
Sono una contraddizione, io.
Ma sono viva. Puttana e assassina, ma viva.
- Il sangue di Retasu è ancora
caldo, Mint. – aveva detto Zakuro, con quei suoi
occhi grigi sempre calmi, come se nessuno mai avesse potuto coglierli in fallo
e svelare così il loro arcano segreto.
- Si raffredderà, suppongo. –
Aveva dato loro le spalle e se ne
era andata. Ichigo aveva chinato gli occhi, sentendo Zakuro
mormorare – Suppongo di si. –
- Suppongo di si. –
- La cenere, Mint-chan.
– Ichigo le indicò la sigaretta ormai ridotta a cenere, caduta sul tavolo. Fra
le sue dita, solo un mozzicone carbonizzato. Nell’aria un vago odore di pelle
bruciata. – Oh, non importa. Domani, si, ecco, domani… andiamo al cimitero.
Verrai? –
Il locale andava popolandosi in
fretta, notò, c’erano camionisti e prostitute piene di grasso debordante,
sdraiate sul bancone.
Il cartello recitava “Caffè Tmm, nuova gestione”.
E che nuova gestione, pensò lei.
Mint Aizawa
beveva il suo the, col delicata ricercatezza. Dove
altri annacquavano il vino col whisky, lei metteva il latte o il limone.
Abitudini tarde a morire.
La ragazza lorichetto
alzò lo sguardo. – Cimitero? Ryan e Kyle? –
Ichigo annuì, serrando gli occhi.
– Sono due anni, domani. Ma sono contenta che non abbiamo
potuto assistere a tutto ciò. –
Mint buttò gli occhi al Cielo, ma nessun aiuto venne.
- Vaffanculo, Ryan.
– gli aveva detto. – Per avermi fatto diventare una Mew Mew, vaffanculo. – poi aveva chiuso la porta del
locale, con delicatezza.
Il tempo di girare l’angolo, ed
era esploso tutto.
Il caffè.
Ryan e Kyle.
Il suo odio feroce, segretamente
celato.
La sua rabbia ceca, per la
ballerina che non aveva potuto essere.
Per lei, quella notte, le fiamme
danzarono al ritmo della morte dolce. Solo per lei.
Un enorme chimero, aveva sussurrato,
sbucato dal nulla.
Aveva fatto uccidere l’uomo che
più odiava dai mostri che più odiava, nella sua fantasia.
L’accoppiata vincente del girone
eliminatorio per la morte.
Vince chi resta.
Il resto è polvere.
Mint aspirò il fumo di un’altra
sigaretta. Si ricordò che odiava il fumo ma non la
spense.
Forse perché amava farsi male.
- Forse verrò. – disse allora,
mascherando con la mano destra uno sbadiglio. Questa si fermò poi sulla
guancia, tranquilla.
- Penso passeremo a vedere anche
Retasu. –
“A vedere Retasu”, un corpo,
Ichigo. A vedere la tomba della Mew d’acqua, meglio.
- L’ho uccisa perché non pensava.
– aveva detto.
- Perché pensava troppo. – Zakuro, vecchia Zakuro, il lupo
stanco che cammina malfermo lungo la via, ma ciononostante non si ferma, anzi,
continua ad avanzare.
Mint Aizawa
aveva sorriso e fine della storia. Non aveva ribattuto.
Anche perché la riposta era così
scontata che pronunciarla non avrebbe avuto senso.
- Stavi dicendo di un nuovo
lavoro. – si riprese.
- Si, un nuovo pianeta da
conquistare. –
- Ricco? –
- Non lo so. –
Mint si artigliò la gota,
togliendo il lieve velo di fondotinta. Piccoli segni rossi apparvero sulla sua
pelle. – Maledizione, Ichigo, - disse, - pensavo di averti spiegato come fare.
–
- Me ne sono dimenticata, scusa.
–
- “Me ne sono dimenticata,
scusa”. – le fece crudelmente il verso, articolando le parole con una
stucchevole vocetta da bambina. Scrollò il capo e chiuse gli occhi scuri,
lasciando il silenzio a parlare per lei.
- Mint… -
- Stai zitta! –
- Mint, dai, ascoltami. – la
supplicò Ichigo, sporgendosi verso di lei.
* Can’t erase * * Just rewind *
La luna splendeva in cielo.
Mint avanzava verso il Caffè non
una certa nochalance, un passo avanti all’altro e la testa ben dritta.
Schiena dritta e testa in alto, mento in fuori.
Qualcuno la urtò sul viottolo,
era sbucato fuori dalla tenebre notturne e la ragazza
non aveva potuto evitarlo.
La voce di Mark
Aoyama si spanse per tutto il cortile, rabbiosa.
- Conigli. –
La ragazza – lorichetto
gli lanciò uno sguardo interrogativo e, non ricevendo alcuna risposta, gli
diede le spalle continuando a camminare, dimentica del ragazzo.
Non spreco tempo con chi mi considera inferiore.
Aprì la porta del Caffè,
spalancandola in un gesto estremamente teatrale, anche se sapeva che
probabilmente nessuno o niente avrebbe mai potuto riferire di tale entrata.
Si sbagliava.
Le fu immediatamente chiaro che Mark, qualche istante prima, non stava
apostrofando i due sul tavolo con l’appellativo di conigli a caso.
Ma non nel senso che erano dei
vili codardi.
Nel senso che, probabilmente, i
due erano molto impegnati a garantire una cospicua riserva di uomini e donne al
pianeta Terra.
Prolifici come conigli, ecco cosa aveva voluto dire.
Non che provasse pietà, no, un
giorno sua madre le aveva detto che a provare pietà
erano solo coloro di cui ne avevano bisogno, ma immediatamente la rabbia
pervase tutto il suo gracile corpo, scuotendolo dalla testa ai piedi.
Loro erano le
Tokyo Mew Mew.
Le coraggiose paladine della
giustizia, si disse, rabbiosa.
Non conigli, no. Avrebbe voluto interrompere il loro amplesso così, nel
bel mezzo spalancare completamente la porta, mandandola ad infrangersi contro
la parete, ed alzare la voce, prepotente com’era solita fare, annunciandosi al
mondo intero – loro due – facendoli morire di spavento.
Sarebbe stato bello, si.
Ma Mint Aizawa
meditava vendetta con la stessa abilità con cui combatteva chimeri e pertanto,
non ritenendosi completamente soddisfatta della prima opzione, si buttò sulla
seconda.
Tossì un paio di volte.
Se non mi sentono giuro che li ribalto, loro e il tavolo.
- C’è nessuno, sono Mint. –
Uno squittio [conigli] annunciò che si, l’avevano
sentita e che no, non avevano intenzione di continuare nella loro attività.
Ichigo apparve sulla porta, e Mint notò che le mancava una calza, quella sinistra ad essere precisi.
- Oh, ciao Mint. Come mai… ehm,
qui? –
- Potrei farti la stessa domanda.
– ribattè pragmatica, osservandola divertita mentre la leader si torceva. Come
un verme attaccato all’amo.
- Stavo facendo un paio di
straordinari, ecco. E Ryan controllava che non
facessi nulla di sbagliato, sai com’è fatto. –
Si, ti controllava le mutande. Un
porco, ecco cosa.
- Certo. –
Non disse nulla di più, lasciando
che il silenzio pesante crollasse sulla sua amica – amica, si
– annientandola, almeno per quella serata.
- Oh, allora, Mint, credo che
andrò. –
Perfetto.
La vendetta è un piatto che va consumato freddo. Ma non è sempre detto
che ci sia un tempo, per apprezzarlo.
Si appoggiò allo stipite della
porta d’ingresso e lì rimase, col viso leggermente inclinato verso le stelle
luminose. Pareva che la brezza d’estate cominciasse a perdere d’intensità, in
quell’agosto particolarmente mite.
Lei non si soffermò su quel
particolare per più di un secondo.
Ryan le
comparve davanti e non la notò subito, gli occhi rivolti verso la parte
sinistra del locale, assorti come se improvvisamente tutto il suo mondo fosse
stato risucchiato da un buco nero.
- Ryan.
– lo chiamò. Il ragazzo si scosse, voltandosi di scatto verso di lei.
Si rilassò. – Mint, sei tu. –
Dopo un secondo però, pensò che
forse avrebbe fatto meglio a rimanere all’erta.
Mint Aizawa
gli faceva paura, quella sera.
I soliti occhi freddi erano
torbidi e peccaminosi. E i capelli lunghi sciolti ondeggiavano tranquilli,
poggiandosi sullo sparato della giacca.
Ma Mint non aveva mai tenuto i
capelli sciolti.
Mint non aveva mai sorriso in
quella maniera così inquietante.
Mint non lo aveva mai baciato.
Però ora, lo stava facendo.
Avrebbe fatto meglio a rimanere
in guardia, si ripeté.
Le labbra della ragazza erano
lucide ed esigenti contro le sue, i denti spietati sulla sua carne, eppure gli
piaceva.
Lei pensava alla sua vendetta,
rendendosi conto di diventare un coniglio, così. Ma voleva farla pagare ad
Ichigo, per un qualche arcano motivo, e voleva dimostrare a tutto il mondo che
lei era Mint Aizawa, e che non guardava in faccia a
nessuno.
Era stanca di fare la
Mew Mew, sempre buona e votata al
martirio.
Gli poggiò una mano alla base del
collo, e fece per ra –
- MINT! –
Una voce la richiamò bruscamente
alla realtà.
- Mint, stai usando il nuovo
simulatore di realtà che ho progettato da poco? Vedere i possibili futuri
potrebbe scatenare in te delle reazioni che andrebbero a modificare il tutto. E
capisci, non è una cosa da niente. –
La ragazza corvina sbattè
violentemente lo schermo del portatile richiudendolo, e si affrettò ad alzarsi
dalla postazione centrale. Meno di un secondo dopo, Ryan
Shirogane aveva messo le testa
dentro il laboratorio.
- Certo che no, Ryan. – rispose modulando la voce. Fece un sorriso cortese
e continuò ad osservare, estasiata, una serie di gingilli praticamente inutili.
– So benissimo di non doverlo fare. –
Il ragazzo la scrutò ansioso per
qualche istante, quindi si voltò dandole le spalle, uscendo dal sotterraneo.
Mint Aizawa
ricadde esausta sulla poltrona viola, buttando la testa all’indietro e
socchiudendo gli occhi.
Così poco.
Era mancato così poco.
Si diede una spinta e la sedia
cominciò a ruotare su se stessa, velocemente. Poi sempre più piano.
Era bello, all’inizio, fare la Mew Mew.
L’ebbrezza di essere superiore, di avere il potere, di essere osannata.
Ma poi è subentrata la noia, e con lei la stanchezza.
Non ne posso più.
Per quanto andremo avanti a combattere, senza mai sapere
quando finirà?
Quanto durerà questa strascicata agonia?
Passerà molto, prima che io sia uccisa insieme alla
mie compagne?
BASTA.
BASTA.
Non posso cancellare il mio passato.
Posso solo riviverlo e annoiarmi ancora di più.
BASTA.
BASTA.
Scusa scusa scusa scusa
scusa scusa scusa scusa scusa…
Scusatemi se farò quello che sto per fare.
Se devo agonizzare lo farò divertendomi.
Risalì le scale con passo lento,
indeciso.
I capelli sciolti ondeggiavano ad
ogni suo movimento.
C’era una freccia nelle sue mani.
Chiuse gli occhi e pensò che voleva agonizzare come una regina.
Voleva agonizzare.
Per non essere costretta a cedere.
Perciò scusatemi se ucciderò voi, per non morire.
Owari.