Capitolo
2 – Una birra fresca
Sylar
scese dalla moto lasciandola ordinatamente nel posteggio. Se si metteva
a
contare i chilometri fatti in giro, “a vanvera”,
neanche ci riusciva.
A volte un giorno è più complicato di un altro,
ma quello passato era proprio
stato uno schifo totale.
“Dio
se ho sete, se ci fosse una birra, bella fresca.”
Arrivato
davanti all’appartamento usò il suo mazzo di
chiavi per entrare e si diresse in
cucina. Dopo che il tormento dei ricordi passati si era a poco a poco
smorzato
aveva continuato a pensare a Claire, e ancora lo stava facendo: come
l’aveva
vista, come l’aveva “sentita”:
“Sylar”, disse con una smorfia, “A quanto
pare
si è dimenticata il mio nome.”
E
mentre chiudeva il frigo e apriva il tappo della tanto desiderata birra
fresca,
arrivò la botta, vicino all’osso occipitale
e lo spedì a sbattere contro
l’anta di acciaio del frigo, spaccandogli il naso.
Poi
più niente.
“Ma
porca miseria, Gabriel”, Peter mollò di botto la
mazza che aveva in mano
e cercò di mettere l’amico in posizione sdraiata.
“Peter,
cosa succede?”
“Niente
Emma, torna a dormire.”
Naturalmente
Emma sentendo il trambusto era corsa in cucina:
“Ma
è Gabriel, Peter ma cosa gli hai fatto? Mio Dio quanto
sangue, è pallido,
davvero tanto pallido, ma respira?
Non
sarà ...”
“Emma
stai tranquilla, adesso si rimette.”
Sempre
se non gli ho beccato il punto giusto
“Adesso
lo tiro su, verso il divano.”
Cavolo
se pesi amico!
“Ti
aiuto” si offrì la ragazza.
“No,
non fare sforzi, non va bene.”
“Dai
Peter, lo so cosa posso fare”, e continuando a rimproverare
il marito per quel
che aveva fatto, lo aiutò a mettere il malcapitato sul
divano.
E
rimasero lì a guardarlo.
“Ghiaccio?”
chiese Emma.
“Eh!,
mi sa che ormai non gli servirà poi a molto. Ce la
farà da solo... credo” e con
due dita gli raddrizzò il naso rotto e storto.
Che
cazzo! Ma quante birre mi sono fatto per avere un mal di testa del
genere?
Aspetta
un attimo, la birra non mi fa più effetto da un bel
po’!
Aprì
gli occhi e scoprì che anche la vista era andata, ci vedeva
male, tipo come
quando doveva usare gli occhiali: era tutto offuscato.
Tentò di alzarsi, ma una mano lo spinse giù.
“Sta
fermo, tra un po’ ti passa, hai preso una bella
botta!”
“Ho
preso? Sono caduto?” Aveva riconosciuto la voce di Peter.
“Più
o meno.”
“Cosa
vuol dire più o meno?”
“E
dai Gabriel. Sono le quattro del mattino, entri scassinando la porta
d’ingresso! Cosa avrei dovuto fare? Potevi essere chiunque:
un ladro, un
maniaco. Ti ho atterrato con la mia mazza!” disse infine
tutto gongolante.
Sylar
riuscì a mettere a fuoco la mazza che gli veniva sventolata
davanti: si andava
un po’ meglio.
“Ho
usato le chiavi, non ho scassinato.”
“Le
chiavi? Quali chiavi?”
“Quelle
dell’appartamento” e si tirò su a sedere.
“Giuda
... che male! Ce le ho le chiavi Peter, vivevo anch’io qui
una volta, non ti
ricordi? Hai preso una botta in
testa anche tu?
“Ah
Già, è vero, ma cosa saranno . . . quattro anni
che non vieni più qui. E poi
sono mesi che non ti fai più sentire!”
“Ma
cosa centra? Avevi detto: Vieni quando vuoi, la porta
è sempre aperta per
te!” disse guardando il suo quasi fratello in faccia. E in
quel momento si
accorse di Emma, prima riusciva a vedere solo una figura indistinta,
ora la
vista gli era tornata quasi del tutto e vide che effettivamente i mesi
trascorsi avevano, come dire, lasciato il segno.
“Ciao
Emma, a quanto pare mi devo congratulare.”
Lei
sorrise e lui si stupì, come sempre, delle emozioni positive
che emanava tutte
le volte che gli stava vicino: era il suo salvatore e lo sarebbe stato
per
sempre.
“Già”,
si mise una mano sulla pancia “volevamo che lo sapessi ma non
riuscivamo a
rintracciarti.”
“Di
quanti mesi sei?”
“Sei,
e va tutto bene” e senza preavviso gli prese una mano e
gliela appoggiò sulla
pancia.
Sylar
da prima si irrigidì, gli sembrava un gesto così
poco adatto a uno come lui ma
poi sentì il bambino scalciare, e gli mancò il
fiato.
“E’
speciale, è come noi, ne sento già il
potere” disse assorto.
“Visto
Peter, ha riconosciuto subito il suo padrino!”
“Emma
...”
“E
dai, con Claire non ha mai fatto così.”
Sylar
guardò interrogativamente Peter.
“Io
vorrei che fosse Claire la madrina, anche perché ci tiene
TANTO anche lei” e
caricò la frase guardando verso la moglie.
“E
io, invece, voglio che sia tu il padrino” disse Emma di
ricambio guardando con
occhi pieni di speranza Gabriel “se non fosse per te, io non
sarei neanche
qui.”
“Senti
non ti sentire costretto” iniziò Peter per
alleggerire la richiesta “anch’io lo
vorrei, ma so che non vuoi pressioni e”
“O.k.”
fu la risposta e mise giù le gambe dal divano.
Padrino,
io? Se sta bene a loro avere per padrino del proprio figlio un serial
killer io
non mi faccio problemi
Emma
e Peter si scambiarono un’occhiata un po’
perplessa: era stato più facile del
previsto.
Claire
ci rimarrà male, ma le parlerà Emma, tra donne si
intendo meglio.
E
per Peter la questione era risolta.
Sylar
tese la mano e si alzò aiutato dall’altro ragazzo,
lo abbracciò e fece le
congratulazioni a entrambi.
“O.k.
avete già scelto il nome?
“Nathan
se è maschio, Gabrielle se è femmina”
disse Emma sempre con un dolce sorriso.
“Ottimo”,
Sylar si guardò intorno “C’è
niente da mangiare? Perché se no mi sa che mi
tocca morire sul serio stavolta.”
Dopo
mezz’ora stavano tutti e tre al tavolo in cucina: Peter e
Gabriel con una buona
tazza di caffè e Emma con una camomilla.
“Oggi
sono andato al cimitero” disse di punto in bianco.
“Lo
immaginavo, sono due anni giusto?”
“Si.”
“Mi
dispiace Gabriel”, disse il ragazzo, Emma allungò
semplicemente una mano e
l’appoggiò sul suo braccio, ma tutto il calore che
riuscì a trasmettergli
valeva più di mille parole.
La
guardò negli occhi: perché non si era innamorata
di lui invece che di Peter? In
fin dei conti era il suo salvatore, sarebbe potuto andare benissimo
così e, magari,
lui si sarebbe potuto innamorare di lei, era la
“damigella”, quella in pericolo
ed indifesa, quella da salvare.
Di
colpo gli tornò in mente l’immagine di Claire come
l’aveva vista in cimitero.
Strinse
la mano di Emma, disse “Grazie, sto bene” a Peter,
poi:
“Ho
visto Claire, era lì.”
Peter
si irrigidì subito: “Strano aveva detto che non ci
sarebbe andata, mi ero
offerto di accompagnarla” e prese la sua tazza e la
portò al lavello.
“Ha
bisogno di aiuto Peter” continuò.
“Non
mi pare proprio, abbiamo cenato insieme la settimana scorsa, stava
bene” e
mentre continuava a lavare la tazza guardò la moglie come
per cercare conferma.
Emma abbassò gli occhi.
“Sta
cedendo Peter, è tirata come una corda di violino, ha
bisogno di aiuto.”
Sbattendo
la tazza sul lavello il ragazzo si voltò:
“Non
del tuo!” disse alzando la voce.
“Peter
io sento cosa prova, so cosa prova” e prese in mano la tazza
che aveva davanti
solo per tenere fra le mani qualcosa. “Voglio
aiutarla.”
“No”
“Posso
farlo Peter”
“No”
“Lo
sai che posso farlo”
“Ho
detto di no!”
Sylar
sorrise e strinse la tazza.
“Dillo,
avanti Peter, dillo.” Emma si alzò e
andò verso il marito “Ti sta solo
provocando, non dargli retta”
“Dai
Peter, lo sento cosa provi, sei deluso, sei arrabbiato, dai dimmelo,
avanti,
dimmi il perché non vuoi che
l’aiuti”
Peter
trattenne il fiato, contò fino a cinque e poi
urlò:
“Perché,
cazzo, è colpa tua! Perché hai rovinato
tutto” e si avvicinò a Sylar
mentre Emma tentava di fermarlo.
“E’
colpa tua se tutto è andato a puttane, le hai tolto
l’unica cosa che contava
davvero per lei, l’hai spazzata via e non le hai
neanche lasciato dei
resti su cui piangere. Quella tomba è vuota lo sai vero
Sylar! E adesso che ti
rode la coscienza vuoi fare il buon samaritano, adesso che lei si
è trovata un
suo modo di sopravvivere, vuoi di nuovo mandare tutto per aria per
aiutarla?”
Peter
era quasi senza fiato.
Me
lo ha urlato in faccia, finalmente!
In
fin dei conti se gli era rimasto lontano dopo quel che era successo
c’era un
motivo. Eppure, se già sapeva, perché sentirselo
dire faceva così male?
“Smettetela
di fare gli idioti. Stiamo parlando di cose serie” disse Emma
“Peter urlare a
squarcia gola non gli farà più male di quello che
le tue parole gli hanno già
fatto.”
Peter
guardò la moglie: era arrabbiata. Quello stronzo di Sylar
riusciva sempre a
tirare fuori il peggio di lui.
Si
sedette sulla sedia.
“Se
vuoi dirmi che ti scusi, che non le pensavi davvero le cose che hai
detto,
lascia perdere. Mi faresti solo incazzare di più”,
finalmente era riuscito a
lasciare la presa sulla tazza.
“Claire
non sta bene”, disse Emma tenendo le mani sulle spalle del
marito.
“Perché
tu?”, chiese lui stavolta con voce rassegnata. “E
non dirmi perché sei empatico
perché ti spacco la faccia con queste mani, Gabriel
Gray.”
Gabriel
guardò Peter negli occhi: quell’uomo che era stato
un suo nemico, che aveva
creduto un fratello e che ora era il suo unico amico;
quell’uomo che lo odiava
eppure lo amava come un fratello al tempo stesso. Poteva raccontargli
tutto?.
“Perché
è mancato tanto così" e strinse indice e pollice
quasi a toccarsi,
“tanto così”, ripeté con
rabbia stringendo i denti, “che io e Claire ci
mettessimo insieme e se credi che fosse perché
c’era Noah ti sbagli di grosso:
c’era qualcosa tra di noi ed era serio.”
Come
faccio a parlare del passato se fa male solo pensarci.
Lui,
uno sfigato, uno psicopatico, un serial killer senza
possibilità di redenzione,
aveva creduto di trovare il suo piccolo pezzo di paradiso qui, sulla
terra, con
il suo bambino e la sua mamma: ci aveva sperato, ci aveva creduto.
E
ho perso tutto.
Ecco il secondo capitolo, volevo
solo precisare una
cosa: Emma ci sente e parla senza problemi, consideratelo un regalino
di nozze
di Sylar!
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