Beyond the door

di Milla Chan
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Ha freddo e non c’è nessuno a scaldarlo.
Trema e non c’è nessuno a dirgli di stare tranquillo.
Fa fatica a respirare e non c’è nessuno ad aiutarlo.
 
Si è messo a fissare il soffitto già da un po’, con il volto pallido e le guance salate, stringendosi più forte in una coperta di lana che non serve assolutamente a niente.
 
L’espressione rigida, pietrificata, non è delusa, non è arrabbiata, è solo distaccata, distante, assente.
 
Non importa, non importa davvero a nessuno?
 
Non può fare altro che stare accucciato tra i cuscini impolverati su una poltrona troppo vecchia e rotta, avvolto da un pesante silenzio che, all’inizio, era così rassicurante, sembrava così piacevole vivere nella calma; mentre ora non fa altro che urlargli nelle orecchie che è solo, e avrebbe continuato ad esserlo, accompagnato da un’ansia opprimente che lo fa soccombere mentre le emozioni si scontrano dolorosamente, si sciolgono, trovano uno sbocco e si riversano senza pietà su di lui.
 
Un rumore.
 
È il vento,lo sa fin troppo bene, ma non ci vuole credere.
Lui ci prova.
Prova a trascinarsi verso la porta, vedere se, magari…
Magari qualcuno lo sta aspettando là dietro e ha solo paura di bussare, forse qualcuno è lì fuori per lui, qualcuno che forse adesso lo stringerà forte e gli dirà che lo ama, e che non lo lascerà mai più solo, che è quella persona che ha sempre desiderato.
 
Perché è così, vero?
 
Lo pensa intensamente mentre appoggia, stanco, l’orecchio sulla porta, e chiude gli occhi, sperando veramente in un qualunque altro rumore.
Fa una smorfia, rendendosi conto di che patetica scena sia quella.
Ed è ancora più raccapricciante per lui realizzare che, tuttavia, gli farebbe piacere se ci fosse qualcuno a vederla.
 
Si lascia scivolare piano, fino ad accasciarsi sul pavimento gelido e pieno di polvere, osservando di sfuggita un ragno mentre corre a nascondersi, la sua tela sulla maniglia disturbata dal movimento dell’aria.
 
La apro, non la apro?
 
No, non la apre, non ne è in grado.
 
Tiene solamente la guancia contro la superficie ruvida del legno, e vede di nuovo tutto appannato e tremolante mentre si sfrega le braccia con le mani; un gesto consolatorio, o forse per riscaldarsi, magari per entrambe le cose.
 
Deglutisce e indietreggia, strisciando, con la coperta sulle spalle, lo sguardo intenso fisso quel crudele pezzo di legno, una via che lo collegherebbe con l’esterno, con il mondo che, santo cielo, chissà se esiste ancora.
 
C’è qualcuno?
 
Dovresti smetterla di avere tanta paura di una risposta negativa, Islanda.
 
Alzati da lì e apri quella dannata porta, ti prego.





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