Notturno
op. 01 -
Veneziano
-È finita,
Feliciano. Fattene una ragione-.
La giovane nazione
lacerata sollevò lo sguardo, incrociando
gli occhi freddi ed impassibili di Roderich: la potenza austriaca
squadrò a sua
volta quel ragazzetto pallido e tremante, il quale, da ore, stava
appollaiato
cocciutamente su uno dei moli di Venezia, simile ad uno dei tanti
gabbiani
grigi, che sorvolavano mesti la città in fiamme.
Fra
i rotti nuguli
dell’occidente
Il
raggio perdesi del
sol morente,
e
mesto sibila per
l’aria bruna
l’ultimo
gemito della
laguna.
Il volto di Feliciano era
rigato di lacrime, tirato dalla
fame e dalla stanchezza: alle sue spalle svolazzava malinconica la
cappa in cui
l’aveva avvolto un ufficiale quando, la mattina, lo aveva
trovato aggirarsi,
barcollante e smarrito, per le strette stradine della Repubblica Veneta.
-La resa è
stata firmata. Venezia è nuovamente sotto il mio
dominio- aggiunse laconico Austria, arricciando il naso per
l’odore acuto di
alghe che permeava il canale.
Feliciano
sollevò una mano al petto, sfiorandolo laddove gli
uomini possiedono un cuore: non aveva avuto bisogno delle parole della
nazione
per sapere che la città, la sua città, fosse
perduta. Il dolore che lo aveva
trafitto all’improvviso, strappandogli un gemito, la notte
precedente non
poteva che essere il memento della penna affilata con cui gli italiani,
il suo
popolo, avevano firmato, ancora una volta, la resa.
-Devo venire con te,
Austria?- chiese il ragazzo, facendo
vagare lo sguardo sulle onde grigie del mare.
Roderich lo
guardò di traverso, corrugando le sopracciglia.
-Lo sai, Feliciano. Mi
spetti di diritto, fintantoché io
abbia Venezia- disse pacato.
Il capo del giovane si
piegò di lato, descrivendo un cenno:
-Lovino e San Pietro rimarranno, vero?-
Roderich non rispose,
stringendosi nel cappotto militare che
teneva abbottonato sino al collo:
-Trovati domani mattina al
porto. Partiamo con le campane di
mezzogiorno. Non dimenticartene-.
Feliciano si
voltò di scatto, ma, tutto ciò che la nebbia,
di cui era ammantato il molo, gli restituì di Austria, fu il
ticchettio
smorzato degli stivali sul legno incrostato di sale.
La nazione si prese il
volto tra le mani, la fronte ardente
come quella dei veneziani vinti, nei giorni precedenti, dalla malaria
che aveva
soffocato lentamente la repubblica.
Un grido, perso per i
calli altrimenti silenziosi e deserti,
arrivò alle sue orecchie. Lentamente, come un malato ormai
giunto alla fine
della sua feroce lotta contro l’epidemia, si alzò,
chiudendo gli occhi in una
smorfia di dolore.
Venezia!
L’ultima ora
è venuta:
illustre
martire, tu
sei perduta…
il
morbo infuria, il
pan ti manca,
sul
ponte sventola
bandiera bianca.
La fredda brezza della
sera veneziana gli lambì il volto,
disperdendo, nel buio del molo, una lacrima che sparì con un
ultimo, umile
scintillio.
È
fosco l’aere, il
cielo è muto,
ed
io sul tacito veron
seduto,
in
solitaria
malinconia
ti
guardo e lagrimo,
Venezia mia.
Feliciano
sospirò, spalancando gradualmente gli occhi: due
fiamme ambrate e febbricitanti abbracciarono il mesto paesaggio della
laguna,
sorridendo tristemente tra le ombre misteriose dei ponti veneziani.
Il ragazzo
accarezzò delicatamente il legno del molo con la
punta delle dita, senza risolversi a voltare le spalle al mare per
raggiungere
Austria.
Una delle mani del ragazzo
salì alle labbra screpolate,
raccogliendo un bacio leggero, che soffiò verso le piatte
acque della laguna.
Ramingo
ed esule in
suol straniero,
vivrai,
Venezia, nel
mio pensiero;
vivrai
nel tempio qui
del mio cuore,
come
l’immagine del primo
amore.
Ma
il vento sibila, ma
l’ombra è scura,
ma
tutta in tenebre è
la natura:
le
corde stridono, la
voce manca…
sul
ponte sventola
bandiera bianca!
Angolo dell’autore
Salve
a tutti i
lettori. In primo luogo, nel caso siate giunti fin qui, leggendo
l’intero
racconto, non posso che rallegrarmene: pur cercando di correggermi,
tendo,
infatti, puntualmente a delineare storie piuttosto malinconiche, che,
mi rendo
conto, non sono di facile lettura; spero, in ogni caso, che il racconto
possa
risultarvi gradito. Grazie per l’attenzione! :)
Arianna F. alias
Scribak
P.S.
Per quello che riguarda la circostanza
in cui viene ambientato il racconto, occorre riferirsi al moto
rivoluzionario
avvenuto presso Venezia tra il 1848 ed il 1849 contro
l’occupazione austriaca,
o, più precisamente, al giorno in cui viene siglato
l’armistizio tra i due
eserciti, a discapito del primo (2 agosto 1849); data la mia scarsa
esperienza
in merito ai racconti a sfondo storico, mi auguro di non aver commesso
troppe
sviste o errori di ambito. Secondariamente, i brani interposti nel
testo del
racconto sono estratti (seppur disposti in un ordine diverso
dall’originale)
dall’opera “Ultima notte a Venezia”(A.
Fucinato, autore contemporaneo rispetto
all’episodio storico trattato): spero che possiate apprezzare
il collegamento
tra quest’ultima ed i pensieri ed azioni di Feliciano. Il
titolo, infine, si
riferisce, in modo decisamente evidente, al secondo nome di Feliciano
(ossia
Veneziano, appunto), il quale, ritengo, costituisce una delle allusioni
più
manifeste dell’affetto tanto stretto e familiare che lega il
giovane alla sua
città. A presto!
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