Capitolo 1
CAPITOLO 1
28 gennaio, h
17.00
Ufficio di
House
“Bisogna farle una risonanza
magnetica, adesso!”
“La macchina è occupata, ed è
prenotata per le prossime tre ore dal Dr. Kryke.” Cameron aveva il tono pacato e
rassegnato di chi sa dove andrà a parare questa discussione.
“Io ho bisogno adesso di quella
macchina! La mia è un’urgenza vera, le sue no!”
“Questione di punti di vista…”
Chase commentò a bassa voce, ma non abbastanza da non essere udito. Lo sguardo
di House si posò pochi istanti su di lui, abbastanza per fargli capire di aver
fatto un errore, l’ennesimo dell’ultimo periodo, tutti errori che il suo capo
gli avrebbe fatto pagare. “Cameron, prendi la paziente e portala a fare la
risonanza…” “Ma…” “…e portati Chase, Quell’accento inglese oggi mi è
intollerabile, lontano da me!” “Australiano…” Errore numero due della giornata.
“Inglese o australiano…l’importante è…zitto!”. Stava per replicare qualcosa ma
la mano di Cameron si appoggiò sul suo braccio e capì che era meglio lasciare
perdere. Si voltò e seguì la collega.
“Foreman tu…” House si voltò
verso il neurologo. “State esagerando” replicò lui, interrompendo House.
Sospirò. “Vai a casa della donna.”. Foreman scosse la testa e usci dall’ufficio
di House.
Lui rimase qualche secondo a
fissare la porta, soprappensiero. Poi alzo la cornetta e chiamò Wilson,
“Pronto”
“Vai dalla Cuddy”
“Perchè?”
“Dille che deve ordinare a Kryke
di stare a cuccia mentre i miei fanno la risonanza alla mia paziente.”
“Kryke ti odia, non t farà mai un
favore.”
“Ecco perché sarà la Cuddy a
tenerlo a bada”
“Ma perché non vai tu a parlare
con lei?!”
“…”
“House?”
“Devo dare da mangiare a
Steve”
e riattaccò.
Wilson posò la cornetta. Questa
non ci voleva. Doveva pensare in fredda ad una scusa per non andare da lei.
Gliene venne in mente una che gli sembrava ottima e richiamò subito House.
Dopo due squilli fu salutato dal
“Si che ci vai invece” di House.
“Ma come facevi a sapere
che…”
“Che non vuoi avvicinarti
all’ufficio della Cuddy?”
“No…che ho avuto un’emergenza,
devo cercare un chirurgo per un’operazione urg…”
“bla bla bla…non prendermi in
giro”
“urgente”
“ma smettila.” Wilson non poteva
vederlo, ma House aveva un sorrisino perfido…si stava divertendo a torturare
l’amico.
Wilson d’altra parte era
visibilmente scosso. Decise per una soluzione che non era da lui, ma fu l’unica
che gli venne in mente al momento. Riattaccò.
House rimase qualche secondo
perplesso a fissare la cornetta. Aveva messo in difficoltà il suo amico diverse
volte, e di solito il siparietto si concludeva con Wilson che confessava le
reali motivazioni di qualche suo comportamento insolito che tentava invano di
nascondere ad House, lui lo prendeva in giro per un po’, l’altro si fingeva
offeso, e il giorno dopo era tutto come prima.
La cornetta riattaccata così
brutalmente fu un segnale di stop per House.
Richiamò l’amico.
“House, ho da fare, occupati tu
dei tuoi pazienti”
“Si, vado io dalla Cuddy”
Wilson però lo sapeva, la tregua
al placcaggio non sarebbe durata a lungo.
House si avviò verso l’ufficio
della Cuddy, ma incontrò Cameron nel corridoio. “Chase sta facendo la risonanza”
“E Kryke?”
“Gli ho chiesto un favore, con
gentilezza, e mi ha permesso di far passare avanti la paziente.”
“Semmai glielo avrai promesso un
favore…” insinuò passando oltre la dottoressa.
Cameron incassò la battuta
sorridendo, ormai riconosceva una forma di affetto nel continuo tormentarla di
House.
“Vado a casa, fatemi sapere se
trovate qualcosa!” le urlò ormai lontano da lei.
28 gennaio, h
21.00
Casa di
House
Il telefono di House squillò; era
Foreman.
“Ho trovato una cosa”
“Dove? Cosa?” gli rispose una
voce assonnata.
“House, sono Foreman, mi hai
mandato a casa della signorina Pivet, la paziente semiparalizzata, e ho trovato
una cosa interessante”
“Mmm…”
“Ma mi stai ascoltando?”
“No! Ti richiamo io.”
E riattaccò.
Foreman era abituato agli sbalzi
d’umore di House, ma ultimamente il Plaisboro sembrava una gabbia di matti. Il
telefonino squillò dopo pochi secondi.
“Pronto”
“Cos’hai trovato?”
“Placenta.”
“Placenta?”
“Si, qualcuno ha partorito da non
più di 48 ore in questa casa…”
“Non la paziente, le abbiamo
fatto tutti i controlli giusto?
“Si, l’ha visitata Chase. Se ne
sarebbe accorto se…”
“Ok, ok. Ma ci sono una donna e
un neonato in circolazione che potrebbero avere bisogno d’aiuto, e la nostra
paziente sa qualcosa.”
“Sono a 3 ore di auto
dall’ospedale e…”
“Chiama Cameron”
“Chase è di turno”
“Chiama Cameron e dille che ci
vediamo nel mio ufficio tra un’ora”
“Chase è di turno”
“Ti si è incantato il disco?!
Richiama se trovi altro d’interessante, come un cadavere di neonato o roba
simile.”
E riattaccò.
La versione suscettibile del suo
già suscettibile capo era decisamente odiosa.
“E’ un ottimo medico, è un ottimo
medico…” questa filastrocca ripetuta tra sé e sé era un ottimo calmante per
Foreman.
28 gennaio, h
22.30
Ufficio di House
“Sei in ritardo” House era
appoggiato alla parete del suo ufficio, con le luci spente.
“Lo so, ho fatto prima che
potevo. Ma c’è Chase di turno perché mi hai fatto chiamare?” Cameron era
visibilmente scocciata. “e…ma perché è tutto buio?” e si avvicinò
all’interruttore.
“No!” House la bloccò col suo
bastone.
“Che succede? Ancora
emicrania?”
“No. Vieni più vicina.”
La scocciatura lasciò spazio alla
sorpresa e un po’ di timore. Il cuore incominciò a battere più veloce, e il
ricordo di sensazioni forti che si credevano dimenticate si affacciò alla mente
di Cameron. Ma durò solo un’istante.
Si avvicinò di qualche passo e
appena fu abbastanza vicina House la prese per un braccio e la tirò vicino a
lui, facendo segno di stare in silenzio. Niente dichiarazioni d’amore o baci
mozzafiato, House voleva qualcuno che giocasse a nascondino insieme a lui. Ma a
lei andava bene così, giusto? Ormai le era passata… A volte non ne era così
sicura, ma il dubbio durava sempre poco.
“Cosa stiamo facendo?” chiese
sussurrando.
“Sta arrivando Chase”
“E’ lui che conta?”
House la guardò con espressione
perplessa, evidentemente non aveva capito il suo accenno a un gioco da bambini
forse ormai dimenticato.
Chase entrò in ufficio accendendo
la luce. “Perchè state al buio?” chiese sorpreso.
Cameron stava per rispondere ma
fu interrotta da House: “Ehm…così!” disse fingendosi imbarazzato, e si diresse
in fretta verso la lavagna.
Cameron subì in silenzio
l’occhiataccia di Chase e un’idea sulle intenzioni di House cominciò a farsi
largo nella sua testa.
Bastardo manipolatore.
“Foreman ha trovato una cosa
insolita a casa della Pivet: placenta.” Esordì House.
“Placenta?! Umana?” chiese
Cameron.
“Non credo che Foreman abbia
interrotto la mia serata divanobirratv per il parto di una gattino. Lui ci tiene
a me, e al suo lavoro…”
“Ho visitato io la paziente, non
ha avuto gravidanze, né tanto meno un parto in casa poche ore fa!” disse Chase
irritato.
“Come sei sulla difensiva! Non
sto dicendo che è stata la Pivet a partorire. Ma qualcun altro si, e a casa sua.
Dobbiamo scoprire chi e perché non è andata in ospedale; e soprattutto, che fine
ha fatto.”
“Potrebbe avere qualcosa a che
fare con la malattia della nostra paziente?” chiese Cameron.
“Scopriamolo subito. Chase,
inizia tu. Vai a parlare con la donna.”
Chase uscì dall’ufficio.
“E io cosa sono venuta a
fare?”
“Tu sei la mia attaccante di
riserva. Se Chase commette fallo, entri tu che hai un gioco più morbido e
risolvi la partita.”
“…”
“Si lo so che non capisci le
metafore sportive! Se la donna vuole parlare, ce la caviamo in pochi minuti con
Chase. Se oppone resistenza, vai a seminare un po’ di solidarietà femminile e
torni al tempo del raccolto con le risposte. Nel frattempo però un neonato
potrebbe morire. Quindi provo prima con Chase.”
L’odioso, perfido altruismo di
House…
29 gennaio, h
8.00
Ufficio di
House
Foreman arrivò puntuale come
sempre (o quasi) e trovò House che dormiva sdraiato sul pavimento. Lo fissò
finchè non aprì gli occhi, sentendosi osservato.
“Spione depravato!” esclamò, e si
alzò in piedi.
“Ho portato la placenta in
laboratorio. Non ho trovato altre tracce di un parto. Non c’è sangue né niente.
Nella casa sembra viva solo lei.”
“Non credo. Ci dev’essere
un’altra donna. Quella che ha partorito. Se vedi vestiti da uomo nell’armadio di
una donna sola, o si traveste o va a letto con Wilson…”
Foreman accennò un sorriso e finì
la sua frase “…ma se c’è un’altra donna non ci sono molti indizi che lo
indicano. Lo so.”
“Potresti aver notato un
guardaroba molto fornito…” tentò House.
“No. Pochi vestiti, un solo letto
singolo. Niente spazzolino, il suo è qui in ospedale. Vive sola.”
House si fermò a riflettere
qualche secondo.
“Dove sono Cameron e Chase?”
chiese Foreman.
“Cameron è a casa, le ho lasciato
mezza giornata libera, è rimasta fino alle 4 di mattina a tentare di scucire
qualche informazione alla paziente. Chase è in giro.”
“Perché non hai provato a
torturare tu la paziente? Di solito è una cosa che ti piace fare”
“Fatto. Ho finito un’ora fa.
Niente da fare, sostiene di essere figlia unica da quando è morta la sorella 5
anni fa, niente amiche gravide o cose simili. L’unica persona che entrava in
casa sua era la donna delle pulizie. Ma ha 60 anni e non ha più le chiavi di
casa. Quindi è da escludere che abbia affittato il bilocale della signorina
Pivet come sala da parto con cucinotto a qualche nipote in dolce attesa.”
“Quindi?”chiese Foreman.
“Che domande! Ha mentito!
Dobbiamo scoprire da dove viene quella placenta…” e uscì dall’ufficio lasciando
Foreman pensieroso a fissare la solita lavagna.
Dopo pochi minuti arrivo
Chase.
“Ehi, già in giro per l’ospedale!
Non lo vuoi un caffè?” chiese Foreman al collega.
“Ne ho già bevuti cinque di caffè
per stare in piedi tutta la notte”
“Ma non è rimasta Cameron a
parlare con la paziente?”
“Si ma…sono rimasto anch’io. Ho
preferito, potevano avere bisogno di me.”
“E allora perché House non ha
dato anche a te la mezza giornata libera?”
“Perché rimanere è stata una mia
scelta…e poi figurati se quel bastardo mi fa un favore del genere. Solo Cameron
ha certi privilegi.”
“Aspetta aspetta…” disse Foreman
avvicinandosi al collega “mi spieghi cosa sta succedendo?”
“Niente che non succeda già da
mesi…”
“No. Da un paio di settimane tu e
House vi punzecchiate più del solito, ma stranamente sembra non essere lui a
portare avanti questo gioco malato. Sei tu, ti accanisci su di lui, e ne subisci
le ovvie conseguenze…”
“Non sopporto più la sua
arroganza”
“Chase” disse Foreman guardandolo
negli occhi “qualunque problema tu abbia risolvilo in fretta, perché non credo
House abbia un limite in quello che ti può far passare qui dentro.”
Entrò House.
“Oh eccoti qui! Puoi passare una
giornata fuori dall’ospedale!” disse dando una pacca sulla spalla a Chase.
“Cioè?”
“Cioè vai a farti un giro nel
quartiere della signorina Pivet, a cercare notizie di una donna che fino a un
paio di giorni era incinta e ora non lo è più!”
“Ma cosa te ne frega di questa
donna, sempre che esista?!” urlò Chase.
House si bloccò e lo fissò per
qualche secondo. “Non ti scaldare” disse con voce pacata “Foreman,vai con
lui.”
I due si avviarono fuori
dall’ufficio, ma arrivati vicino all’uscita dell’ospedale, Chase cambiò
strada.
“Dove vai?” chiese Foreman.
“Dalla Cuddy”
“Ma cosa vuoi fare? Lascia
perdere, Chase.”
“Continua pure a fare il
cagnolino di House, io mi sono rotto i coglioni.”
Chase entrò dalla Cuddy e gli
disse quello che gli era stato ordinato di fare. “Io sono un medico, devo
lavorare con i pazienti! Non devo andare in giro a fare l’investigatore!”
La Cuddy lo osservò perplessa,
spostò lo sguardo su Foreman che alzò le spalle come per dire “non ci capisco
niente neanch’io”
“Va bene Robert” disse con
tranquillità la Cuddy “non andare, non è un tuo dovere.”
Chase era imbestialito, e nessuno
capiva a pieno perché. House non era peggio del solito, era cambiato qualcosa in
lui allora. Uscì dall’ufficio mugugnando un grazie e sparì nei corridoi.
“Ma che sta succedendo?” chiese
la Cuddy a Foreman.
“Bella domanda!” rispose e si
avviò verso la porta.
“Chiamami se queste stramberie
durano troppo a lungo, conosco bene House, magari riesco a capire cosa sta
combinando.”
“Credo dipenda anche da Chase
stavolta” rispose, e uscì.
29 gennaio, h
9.30
Ufficio di Wilson
Wilson entrò nel suo ufficio, si
chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò chiudendo gli occhi.
Quando gli riaprì trovò un House
divertito che lo fissava con un mezzo sorrisino, roteando il bastone.
“Che stai combinando Wilson?”
“Cosa vuoi dire?” ribattè lui
fingendo indifferenza. Girò attorno alla scrivania dov’era appoggiato House e si
sedette. House non si girò e dandogli le spalle disse, quasi stesse parlando con
se stesso: “E’ successo qualcosa in ospedale…non fai più le tue gite di piacere
in giro per i corridoi ad osservare il sedere delle infermiere.” continuava a
roteare il bastone “Arrivi sempre un po’ in ritardo, vai via un po’ prima, e ti
porti addirittura da mangiare da casa.” si girò lentamente “inizi e finisci le
tue visite in studio, non offri neanche il caffè ai tuoi pazienti come ami tanto
fare…” appoggiò le mani alla scrivania e fisso l’amico. “Cosa stai combinando
Wilson?”
“Sei paranoico” disse lui
distogliendo lo sguardo “e forse fai anche bene, ma stai dirigendo la tua
paranoia dalla parte sbagliata!”
“Cosa vuoi dire?” chiese House
leggermente spiazzato.
“Uno dei tuoi sta dando i
numeri”
“Chase?”
“Si, l’ho sentito parlare con
un’infermiera. Si lamentava di non so che ordine che gli avevi dato e che lui
non ha svolto.”
House alzò gli occhi al cielo,
poi tornò a guardare Wilson.
“Chase non è comunque un mio
problema, so perfettamente quello che gli passa per la testa. Sei tu che mi
nascondi qualcosa…”
“Pensala come vuoi, ma vai a
riflettere su quello che sto tramando alle tue spalle da un’altra parte. Ho un
appuntamento con un paziente.” Disse Wilson alzandosi e indicando ad House la
porta.
“Mi stai cacciando?!”
“Si. Ho un paziente.”
“Ma io sono un amico, sono più
importante!”
“In questo momento sei solo un
bastardo. Ci vediamo dopo.”
“Pranzi con me?”
“Va bene” rispose Wilson
sospirando
“Frego il pranzo a Kryke e vengo
qui, così non devi uscire e non rischi di prenderti tutte quelle brutte malattie
contagiose che girano negli ospedali!”
Wilson sorrise di risposta
all’amico e lo accompagnò alla porta.
Sapeva che il pranzo sarebbe
stato il terzo round, e House l’avrebbe avuta vinta.
House tornò nel suo ufficio, si
mise davanti alla lavagna, e incominciò a giocare col suo yoyo.
Donna.
26 anni.
Impiegata statale.
Single.
Vive in un bilocale tenuto con
tanta cura, in un quartiere ordinato e pulito.
E’ arrivata in ospedale per un
tremore che continuava da quasi cinque ore ormai, e si era esteso dalla mano
destra fino a prenderle tutto il braccio. Nell’arco di 12 ore si era esteso a
tutta la metà destra del corpo, anche i muscoli del viso avevano incominciato a
contrarsi in modo incontrollato. Spasmi muscolari, tremore, convulsioni…il caso
era arrivato a lui perché tutto questo si presentava in continua sequenza su
tutta la metà destra della paziente. E non c’era modo di calmarle. Si potevano
bloccare le convulsioni con farmaci contro l’epilessia, ma dopo pochi secondi si
ricominciava: spasmi. Fermavi quelli ma qualche forma di contrazione continuava.
Ed erano dolorose.
Quando ormai stavano pensando di
mandare la paziente in coma farmacologico, per permetterle almeno di riposare
mentre loro cercavano una soluzione, il tremore era scomparso.
Pochi minuti in cui la signorina
Pivet quasi gridava al miracolo e poi il crollo.
Paralisi.
Le contrazioni avevano lasciato
il posto a una calma piatta.
Gli esami avevano evidenziato
solo un’anomalia nel flusso sanguigno cerebrale, un dato troppo generale per
portare a qualche ipotesi probabile.
E poi quella placenta. Cosa
poteva significare?
Chase aveva ragione, sembrava non
esserci nessun collegamento con la paziente. E non era vero che voleva trovare
la donna che aveva partorito solo per poter aiutare lei e il bambino. Il motivo
reale è che sentiva che c’era qualche legame con la malattia della Pivet, anche
se non aveva idea del quale. Ma era il suo istinto a parlare, e lui si fidava
ciecamente del suo istinto.
Sentì un rumore e si voltò. Era
Cameron.
“Tu ti fidi del mio istinto?” le
chiese a bruciapelo.
“Si…bhe…certo.”
“Allora convinci Chase ad aiutare
Foreman a cercare quella donna. Sono sicuro che sai come fare.”
“Pensi che vada in giro a
dispensare favori sessuali a tutti per farti ottenere quello che vuoi?!” chiese
lei fingendo di essere indignata. In realtà era divertita, aveva imparato a
giocare con House.
“Si! A proposito, ho bisogno che
la Cuddy mi paghi tutti gli spostamenti che sto facendo fare ai tuoi colleghi
negli ultimi giorni…”
“Vai al diavolo!” disse lei
ridendo.
In quel momento passò Chase.
Cameron uscì dall’ufficio e raggiunse il collega.
“C’è bisogno che tu vada a dare
una mano a Foreman, nel quartiere dove vive la paziente.” tentò lei.
“Sei il braccio destro di House
adesso?” Chase era sulla difensiva anche con lei.
“Sapere qualcosa su quel parto
potrebbe aiutarci a scoprire cos’ha Margie che non va”
“Usi il nome di battesimo…molto
commuovente!”
“Chase quella donna sta morendo.
E soffre. Se trovare quell’altra donna può darle una speranza, devi
provare!”
“Ma chi sei tu per dirmi cosa
devo fare?!” il tono di voce di Chase si alzò fin quasi ad urlare, e sguardi
perplessi del personale dell’ospedale si posarono su di loro. “Certo, vado
subito! Così tu puoi restare indisturbata a scambiarti battutine idiote con
House!”
Si allontanò lasciando Cameron da
sola in corridoio, a fissare il pavimento imbarazzata.
Quando alzò lo sguardo si accorse
che House aveva assistito alla scena e la guardava divertito.
“Manipolatore bastardo” pensò, e
continuò per la sua strada.
29 gennaio, h
14.00
Ufficio di Wilson
Bussarono. Wilson andò ad
aprire.
Era House, e aveva tra le mani un
cestino da campeggio.
“Non ci speravo più…” disse
Wilason in realtà pensando “Ma cos’hai lì?”
“Scusa il ritardo, ma proprio
oggi era il compleanno di non so che infermiera, e tutti quegli idioti hanno
lasciato a casa il pranzo per farselo offrire da lei! Ho dovuto rubare il pranzo
di un’intera famigliola in visita alla nonnina morente!”
“Ma…”
“Ho dovuto aspettare che morisse!
Ha tirato le cuoia mezz’ora fa. E’ passata la fame a tutta la famiglia, e io gli
ho voluto evitare la triste visione dei loro panini preparati con tanto amore
che ammuffivano in questo grazioso cestino. Bello vero?” chiese mettendolo sotto
il naso di Wilson, che lo guardò disgustato.
House posò il castino sulla
scrivania di Wilson, e incominciò a tirare fuori il suo contenuto.
Improvvisamente si voltò e guardò
il suo amico negli occhi.
“E’ la Cuddy.”
“Smettila House!” James si tradì
non riuscendo a reggere lo sguardo dell’amico.
“Bingo!” esclamò, addentando un
panino.
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