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PageBreeze
Capitolo
due
La prigione,
per la cui postazione era stata scelta l’isola di Alcatraz, era una vera e
propria fortezza invalicabile, intorno alla quale erano appostate tantissime
guardie armate.
Si diceva che
fosse dotata dei sistemi di sicurezza più
all’avanguardia.
E lo
dimostrava il fatto che nessuno dei suoi pericolosi detenuti fosse
scappato.
Freezer era
tenuto in una cella le cui mura erano fatte di un nuovo materiale
indistruttibile.
Più volte
l’alieno aveva tentato di distruggere le pareti, ma invano. Le scariche di
energia che lanciava venivano riflesse come uno specchio e presto l’ex dittatore
aveva capito che se avesse continuato si sarebbe ammazzato con le sue stesse
mani.
Gli altri
detenuti si trovavano in altre celle, altrettanto resistenti, ma non erano
isolati come Freezer, bensì erano nella stessa sezione del carcere e a volte si
parlavano.
Solo il
principe Vegeta non aveva aperto bocca con nessuno da quando era stato portato
in prigione.
Le voci più
strane giravano sul suo mutismo: c’era chi diceva che stesse caricando la sua
aura di energia per scatenare la sua potenza e distruggere l’intero pianeta,
altri che fosse rimasto talmente traumatizzato dal fatto di essere stato
sconfitto che aveva perso l’uso della parola e forse anche la ragione, altri che
stesse pregando un qualche dio in attesa di essere
giustiziato.
Inoltre, da
quando era stata emessa la sentenza aveva smesso di
mangiare.
Non che di
solito gli dessero del cibo vero: solo sostanze a basso contenuto energetico,
giusto l’essenziale per tenerlo in vita.
Non aveva più
l’aspetto inquietante di un tempo, non spaventava più nessuno
ormai.
Era un nemico
sconfitto.
Peggio, un
semplice fuorilegge che presto sarebbe finito sulla
forca.
Il viaggio
era durato ben ventidue ore e Bulma era esausta, affamata e sudata, ma si fermò
all’hotel solo per farsi una veloce doccia e chiese di essere portata subito al
carcere di massima sicurezza.
Si decise a
mangiare qualcosa solo una volta arrivata là: chiese alle guardie se potevano
procurarle un panino e molto, molto caffé.
Quel posto le
metteva i brividi: attraversando i corridoi non si udiva altro rumore che quello
dei suoi tacchi.
Ai suoi lati
sfilavano una serie di piccole porte: minuscole celle oltre le quali erano
rinchiusi i peggiori criminali della Galassia.
Il silenzio
venne spezzato quando un detenuto, oltre la porta della sua cella,
esclamò:
«Una donna!
C’è una donna qui fuori!»
Tutti i
detenuti si esibirono allora in una serie di fischi, urli ed esclamazioni molto
volgari che fecero arrossire e pentire Bulma di aver indossato i
tacchi.
«Non li
ascolti signorina» le disse la guardia che la stava accompagnando. «Sono solo
degli animali.»
La ragazza
venne condotta all’interno di un ascensore, che l’avrebbe portata ai pieni
inferiori, posizionati addirittura sotto il livello del mare.
Attraversarono altri corridoi, e quando passarono davanti ad una porta
controllata da ben quattro guardie Bulma chiese cosa ci fosse
oltre.
«Il male in
persona, signorina» rispose la guardia abbassando la voce, quasi temendo di
essere sentito dal più pericoloso dei detenuti,
Freezer.
«Siamo
arrivati» disse poco dopo.
A Bulma venne
in mente “Il silenzio degli innocenti”: quella sezione del carcere era uguale a
quella del film: uno stanzone lungo e buio, privo di finestre, e una serie di
celle.
«L’ultima è
quella di Vegeta» le disse la guardia. «Naturalmente, non può entrare, per
motivi di sicurezza.»
«Certo, non
ci penserei nemmeno ad entrare!» esclamò la giovane
giornalista.
Era un po’
spaventata da quello che stava per fare e dalla persona che stava per
incontrare, ma quello era un sacrificio che era disposta a fare, in cambio della
gloria e del successo.
«Le pareti
della cella sono trasparenti» continuò la guardia. «Abbiamo messo un tavolino lì
di fronte così vi potrete parlare in tutta tranquillità… sempre che lui apra
bocca.»
«Che tipo è?»
si informò Bulma.
«Un tipo
difficile» rispose la guardia facendo spallucce. «All’inizio ha fatto
resistenza, ma poi stranamente è diventato tranquillo e silenzioso. E non ha mai
tentato di fuggire, al contrario di tutti gli altri suoi compagni. Alcuni non
hanno ancora rinunciato, non hanno capito che da qui non usciranno mai! Prego,
andiamo avanti.»
La precedette
lungo il corridoio e ancora una volta sentì un commento volgare partire da una
delle celle, quella di Napa.
Gli altri la
guardarono di sbieco ma non dissero nulla.
«Li abbiamo
riempiti di tranquillanti» spiegò la guardia. «Quando hanno saputo la condanna
hanno iniziato ad agitarsi, tranne Vegeta
ovviamente.»
«Hanno paura
di morire?»
«No, da quel
che affermano. Ma io credo che dietro quel velo di sfrontatezza se la stiano
facendo sotto dalla paura. Non si aspettavano di fare la fine dei topi,
credevano tutti di morire in combattimento e con onore» commentò ironicamente
prima di fermarsi. «Eccoci qua.»
Bulma spostò
lo sguardo verso l’interno della cella davanti a sé e trattenne il fiato per la
sorpresa: quello era Vegeta?! Era solo un ragazzo della sua
età!
Il Sayan era
appeso ad una sbarra posta tra le due pareti della cella e stava facendo dei
sollevamenti.
Si era
accorto della presenza di qualcuno ma non ci badò minimamente e continuò i suoi
esercizi.
Bulma notò
che il suo torso nudo, ricoperto da svariate cicatrici, era muscoloso e tonico
ma molto asciutto: il ragazzo stava dimagrendo e lo si vedeva anche dai
pantaloni della tuta, che scendevano oltre le
anche.
Anche il viso
era scavato e portava i segni della stanchezza.
Bulma
ricacciò indietro quel sentimento di compassione che si stava impossessando di
lei.
“Ricordati
che è un criminale” pensò.
«Ehi
principe» disse la guardia. «Hai visite. Vedi di non essere sgarbato. Signorina
vuole che la lasci sola?»
La ragazza ci
pensò un attimo su.
«Sì, credo
sia meglio così. Ah, senta, e il mio panino dov’è?» chiese un po’
imbarazzata.
«Adesso
arriva. Intanto lei può iniziare; glielo porterò
io.»
E la lasciò
sola con il detenuto, che non l’aveva filata nemmeno di
striscio.
Almeno, era
quello che pensava lei.
Vegeta stava
analizzando attentamente la ragazza, naturalmente senza darlo a vedere, come era
stato addestrato a fare: studiare il nemico senza farglielo
capire.
Ma quella non
era una nemica.
Bassetta,
dalle forme morbide e con strani capelli azzurri, come i suoi occhi che lo
guardavano stupiti e allo stesso tempo incuriositi.
Il Sayan non
aveva la minima intenzione di rivolgerle la parola ma voleva sapere chi era.
Non era mai
successo che qualcuno oltre alle guardie o ai poliziotti andasse da
lui.
Finalmente
lei si decise a presentarsi:
«Mi chiamo
Bulma Briefs…» disse con voce incerta. «Sono una giornalista e vorrei farle…
farti qualche domanda…»
Lui non diede
alcun segno di interessamento ma in realtà stava ascoltando con
interesse.
«Anzi, a dire
la verità vorrei farti più di qualche domanda; mi hanno chiesto di scrivere la
tua biografia, quindi dovresti parlarmi della tua
vita…»
Vegeta alzò
un sopracciglio, continuando però a fare sollevamenti e senza guardare la
ragazza in faccia.
Un libro
sulla sua vita?
Era
completamente fuori di testa?
Perché
avrebbe dovuto parlare con un’estranea della sua vita, vita che stava per
concludersi, per di più?
Quella era la
cosa più ridicola che avesse mai sentito!
Mollò la
presa dalla sbarra e saltò a terra; si distese sulla sua branda portando le
braccia sotto la testa e chiuse gli occhi.
Bulma sbuffò
risentita.
Quel Sayan
non aveva la minima intenzione di collaborare,
vero?
“Sarà un
lavoro difficile.”
In quel
momento arrivò la guardia di prima, con due panini e una tazza di
caffè.
«Come va?»
chiese.
«Per ora
male» rispose Bulma. «Grazie mille.»
La ragazza
addentò affamata uno dei due panini e si sedette sulla sedia posta vicino alla
cella, meditando su quale tattica potesse usare per far parlare il
Sayan.
“Ci sono! I
Sayan sono un pozzo senza fondo, basta prenderli per la
gola!”
«Posso dare
un panino anche a lui?» chiese alla guardia.
«Guardi che
non siamo mica allo zoo!»
«Lo so, è che
lo vedo tanto magro, immagino che quello che gli date non sia sufficiente per un
Sayan!»
«Va bene, lo
depositi dentro cassetta per il cibo; se lo vuole se lo
prende.»
Bulma si
avvicinò alla parete trasparente e depositò il panino sorridendo al Sayan che,
incuriosito, aveva sollevato leggermente le palpebre per vedere cosa stava
succedendo.
“Sciocca! Mi
ha proprio preso per un animale!”
Ma il suo
stomaco la pensava diversamente.
Il suo
sciopero della fame non gli stava facendo granché bene e la vista di quel panino
aumentava le fitte allo stomaco.
Ma decise di
resistere: accettare quell’offerta significava darle una speranza, e lui non
intendeva dargliene.
Non aveva
intenzione di parlare con lei.
Terminato il
suo spuntino, Bulma tentò di nuovo:
«Allora, non
ti va proprio di parlare con me? Sarebbe molto importante… magari verrebbe fuori
qualcosa che potrebbe mutare la tua pena…»
“Doppiamente
sciocca!» pensò sdegnato Vegeta. “Crede di
comprarmi!”
Bulma
sospirò.
«Beh, io
resto qui un po’, così se dovessi cambiare idea…»
“Illusa!”
Passò
un’ora.
Ogni tanto
Bulma aveva cercato di fargli qualche domanda, ma era come parlare al muro, non
otteneva alcuna risposta.
“Va bene
allora, tenterò per altre vie!” si decise infine e, dopo aver lanciato al Sayan
un sorrisino di sfida, si allontanò.
Poco dopo,
qando si fu assicurato che la donna se ne fosse andata, Vegeta prese il panino e
lo inghiottì con ingordigia.
Quel
pomeriggio Bulma ritornò sventolando un permesso del giudice: ora poteva parlare
anche con gli altri detenuti.
Decise di
iniziare dal più giovane, Radish.
«Chi sei,
donna?» la attaccò non appena la vide.
«Sono una
giornalista, mi chiamo Bulma Briefs. Volevo chiederti cosa sai del principe
Vegeta.»
«Era il mio
comandante, che altro vuoi sapere?» sbottò lui.
«Per esempio,
che fine hanno fatto i suoi genitori, se ha fratelli, sorelle, altri parenti, a
quanti anni ha iniziato a lavorare per Freezer, se è
sposato…»
«Calma,
calma, donna. Tu vuoi sapere troppo. Io so qualcosa, ma tu devi farmi un
favore.»
«Vedrò quello
che posso fare. Che cosa vuoi?»
«Voglio che
recapiti un messaggio a mio fratello, Kaarot. Devi dirgli solo questo: che aveva
ragione e che mi dispiace.»
Strana
richiesta, quella, e strano messaggio, ma Bulma aveva capito che aveva un grande
significato; avrebbe mantenuto la sua promessa.
Radish decise
che si poteva fidare di quella Terrestre e iniziò a
parlare:
«Il padre di
Vegeta, che portava il suo stesso nome, è morto quando lui aveva sei anni. E’
stato ucciso da Freezer.»
«Santo
Cielo!» esclamò Bulma. «Ma allora perché è rimasto con
lui?»
«Ci è stato
obbligato, ovviamente. Freezer l’ha cresciuto come una macchina da guerra. Se tu
cresci una tigre come un animaletto domestico, lui diventa docile. Viceversa…»
disse, lasciando in sospeso il suo ragionamento, troppo ovvio per essere
terminato. «Non ti so dire molto dell’infanzia di Vegeta, anch’io ero molto
giovane e troppo impegnato per farmi gli affari del principe. So solo che era
fortissimo sin dalla tenera età, e quando ho iniziato a combattere nella sua
squadra, all’età di diciannove anni, lui ne aveva quindici ed
era…»
Bulma attese
che il Sayan proseguisse, ma non fu così.
«Era cosa?»
gli chiese allora.
«Non come
dovrebbero essere tutti i Sayan, dediti al combattimento e appassionati alla
lotta: la sua vera passione era uccidere, sterminare, confrontarsi con nemici
sempre più forti per poi farli a pezzi lentamente e dolorosamente. Una volta
l’ho visto obbligare un suo avversario, in punto di morte, a dire che lui era il
più potente guerriero dell’Universo. Dovevi vedere come lo guardava, con una
luce negli occhi carica di odio, quasi satanica. “Dillo” continuava a ripetergli
tenendolo per i capelli. E’ stata quella volta che ho capito che in Vegeta c’era
qualcosa che non andava.»
Quel racconto
aveva fatto venire i brividi a Bulma.
«Quindi
secondo te lui è… pazzo?» azzardò.
Radish
indietreggiò di colpo e la guardò come se avesse detto una bestemmia, ad occhi
spalancati.
«No!»
esclamò. «Non penserei mai una cosa del genere del mio principe! No, lui è a
posto con la testa, ma è come se ci fosse qualcosa dentro di lui che… è stato
spezzato. Non so come spiegarlo, ma è questa l’impressione che mi ha sempre
dato. Noi Sayan non siamo tipi da moine e sentimentalismi, siamo cattivi, come
dite voi Terrestri, ma conosciamo anche noi l’affetto di una famiglia, anche se
stentereste a crederlo. Ecco, Vegeta invece no: a lui è stato tolto tutto, ed è
rimasto solo l’odio. Dubito perfino che abbia paura di
morire.»
continua...
NdLeftye:
ringraziamenti a CamyllaSsj5, Vegeta83, Mascia, Marikan;
tigre: eh...
purtroppo li ho sbattuti tutti in prigione, la legge è uguale per
tutti!
Marco1989:
finora Vegeta non ha reagito tanto bene, l'idea dell'intervista non gli va a
genio per niente, soprattutto dal momento che sta per essere
giustiziato...
315: come
avrai notato, alcune delle riflessioni scritte nel precedente capitolo sono
riprese dal nostro piccolo dibattito sul forum (durante il quale sei stata
illuminante per me! ^_^): è in quel periodo che mi è venuta in mente l'idea per
questa fanfic. E come vedi non trascuro Un sayan a Parigi! ^_^
Ghan_HOPE326:
è un onore ricevere una tua recensione! Sai, mi ha fatto riflettere quello che
hai detto, a tal punto che ho modificato alcuni eventi (soprattutto il finale)
della fanfiction! Lo so, Freezer messo in gabbia è poco credibile, l'ho pensato
dal primo momento, ma era assolutamente necessario e spero che anche gli altri
lettori chiuderanno un occhio. Quello che voglio fare è incentrare la
storia sulla psicologia e la vita di Vegeta, prima, e poi sui vari dibattiti
riguardo la pena di morte. A dire la verità questa storia non è del tutto
di mia invenzione: la trama è tratta (più o meno) da un film che ho visto
qualche anno fa (ma di cui non ricordo il titolo), con Russel Crow e Kate
Winslet. Se qualcuno di voi riesce a trovarmi il titolo del film gli sarei molto
riconoscente!