LADIES
AND GENTLEMEN,
benvenuti alla mia nuova fiction.
Lo
so di avervi già
rotto le scatole pochi giorni fa con la mia altra fiction “Nothing To
Me”, ma mi
è preso il trip per questa coppia e non sono riuscita a fermarmi.
Avvertenze:
-
Il Joker di cui parlo
è quello di Heath
Ledger, ossia quello psicotico, affascinante,
meraviglioso,
carismatico, attraente, INSTABILE CARATTERIALMENTE E SENTIMENTALMENTE,
completamente folle e privo di un senso logico, la cui
maschera è frutto di sano MAKE UP (?) e le cui cicatrici sono di
origine sconosciuta.
-
La fiction si situa in
un momento in cui la loro relazione è già abbastanza sviluppata,
idealmente
vivono insieme, per intenderci.
Spero che vi piaccia
tantissimissimissimo (?!)
Sarei
lieta di ricevere
vostre opinioni. Grazie.
ND
Someone
To Come Home To
[
And I give it all away
Just
to have somewhere
To
go to
Give
it all away
To
have someone
To
come home to ]
Linkin
Park – My December
Harley
aprì
faticosamente gli occhi nell’oscurità della notte, svegliata da
improvvisi
brividi di freddo. Si raggomitolò su se stessa, cercando di stringersi
meglio
nelle coperte abbondanti e invernali, non ottenendo però alcun
conforto. Si
girò allora verso l’altra parte del letto e allungò frettolosamente una
mano,
nel tentativo di afferrare quella del Joker o di immergerla fra i suoi
capelli
o di accarezzare la sua schiena per riscaldarsi, ma non trovò nulla. Il cuore cominciò subito a
batterle furiosamente nel petto e si ritrovò ad osservare la sveglia
sul
comodino, che segnava le cinque del mattino.
Improvvisamente,
ripresasi dal torpore e dalla confusione del risveglio, ricordò.
Il
Joker attendeva quel
giorno ormai da settimane: aveva progettato un colpo straordinario,
studiandolo
fin nei minimi dettagli e piazzando una moltitudine di ordigni in tutta
la
città. Se c’era una cosa che il Joker amava davvero fare, quella era
progettare
e costruire bombe: Harley lo aveva ammirato per mesi interi intrecciare
fili e fabbricare
cariche esplosive con quelle sue dita grandi e ruvide, all’occorrenza
lievi e
delicate, amanti del calcolo e della precisione. Ed
ora, era arrivato il momento della verità: il piano includeva
l’esplosione
simultanea di una buona parte di Gotham City, al fine di attirare e
confondere
le forze dell’ordine scatenando il panico generale, così da poter agire
indisturbato
nella parte opposta della città e far saltare in aria il Palazzo di
Giustizia, estrema
roccaforte di quel barlume di legalità ed onestà che ancora resisteva
in quel
luogo.
Harley
lo aveva visto
per innumerevoli giorni chinato su quelle carte, intento a scrivere
annotazioni
e appunti su una mappa consunta, sulla quale aveva segnato
meticolosamente la
posizione di ogni ordigno e del corrispettivo detonatore. Il progetto
era
infallibile, di per sé, ma ogni criminale a Gotham sapeva perfettamente
che l’avversario
contro cui si era costretti a misurarsi non era affatto un amante della
violenza, del terrore, ma soprattutto delle sconfitte. Il rischio di
venire catturati
e sconfitti da Batman era concreto e palpabile per tutti, compreso il
Joker.
-
Pasticcino, sei
sveglio? – esordì Harley, volgendo lo sguardo alla porta socchiusa
della
camera, dalla quale si poteva scorgere un barlume di luce proveniente
dalla
cucina. – Pasticcino? –
Non
ricevendo alcuna
risposta, si alzò lentamente e dopo aver indossato una vestaglia scura
uscì
dalla stanza, e non appena ebbe varcato lo stipite lo
vide: in piedi, di fronte alla finestra spalancata, le mani
aperte sul davanzale. Harley non poté impedirsi di pensare quanto fosse
bello,
a piedi nudi, con addosso solo un paio di pantaloni scuri e morbidi a
fasciargli i fianchi magri e stretti, la schiena costellata di
cicatrici dalle
origini molteplici, sfiorata appena dai capelli castani e inanellati
lievemente
mossi dal vento.
Il
Joker guardava fuori,
pensieroso, fumando l’ennesima sigaretta di quella notte interminabile,
carica
di attesa e aspettativa. Non aveva alcun bisogno di dormire: si sentiva
carico
e pronto, bramoso di provare il momento in cui avrebbe visto il Palazzo
di
Giustizia esplodere per un semplice tocco delle sue dita, in cui
sarebbe impazzito
di piacere nel vedere la città nel caos, in cui avrebbe riso, padrone
di tutto.
Aveva programmato l’inizio del piano alle otto del mattino, di modo che
la
città fosse perfettamente sveglia e frenetica, pronta ad apprendere la
lezione
che lui aveva intenzione di impartirle.
-
Sei qui, allora! – la voce
di Harley interruppe i suoi pensieri, allegra e soave – Ero
preoccupata, mi
sono svegliata, non eri nel letto vicino a me e non hai neppure
risposto quando
ti ho chiamato.
-
Torna a dormire,
Harley. – mormorò il Joker senza neppure girarsi, infastidito, per
nulla
intenzionato ad intraprendere una conversazione con lei.
-
Non ho più sonno,
pasticcino. Credo che starò qui con te. – bisbigliò lei, intimorita. Lo
conosceva abbastanza per affermare che quello fosse decisamente il
momento meno
adatto per discutere con lui: quando usava quel tono perentorio e
deciso non c’era
niente che potesse fargli cambiare
idea. Ma non aveva comunque alcuna
intenzione di ritornare a letto, da sola, ben sapendo che non sarebbe
più
riuscita ad addormentarsi. Del resto mancavano solo tre misere ore.
-
Vuoi farmi arrabbiare,
Harley? Non ti rendi conto che in questo momento non ho nessuna voglia
di
averti fra i piedi? Lasciami solo.
Verrò a chiamarti io più tardi. – disse, girandosi di scatto, la voce
mutata in
un sibilo tagliente e sbrigativo.
Harley
lo fissò, era
ormai avvezza a sentirsi rivolgere parole dure e cattive anche senza
una reale
motivazione, ma quello che davvero la colpì fu osservare il suo volto
completamente
struccato.
La
donna percorse con
uno sguardo di rara dolcezza i suoi lineamenti duri, indugiando con una
leggera
timidezza sui suoi occhi scuri e cupi, che la fissavano, ombrosi e
profondi.
Nonostante fossero ormai molti mesi che condivideva l’esistenza con
lui, a
volte era ancora in grado di imbarazzarsi semplicemente guardandolo,
sentendosi
patetica ed evitando quindi di farglielo intendere, non desiderando
essere
schernita gratuitamente. Quando però incontrò le cicatrici agli angoli
della sua
bocca, nude, spesse, rigonfie,
incredibilmente evidenti senza il trucco che di solito le ricopriva
parzialmente, le vennero le lacrime agli occhi e non seppe spiegarsi il
perché:
probabilmente perché erano rari i momenti in cui il Joker si mostrava
per
quello che era, e solamente davanti a lei. Ogni volta Harley non
riusciva a
smettere di guardarle, assumendo un’espressione triste e dispiaciuta,
evitando
di incrociare i suoi occhi.
-
Che diavolo hai da
guardare? Ti faccio schifo forse? –
urlò lui, esasperato dalla sua presenza. Sentiva dove lo sguardo di
Harley si
era posato, ed era particolarmente sensibile a riguardo: nonostante
sapesse
perfettamente che quella donna lo amava incondizionatamente
indipendentemente
dai segni che portava impressi nella carne, l’istinto a volte lo
portava ancora
a pensare che lei fosse come tutte le altre persone che aveva
incontrato nella
sua vita. Odiava essere struccato
ed
odiava essere stato visto così, e anche se in passato era già successo,
ogni
volta si sentiva scoperto e in imbarazzo: detestava profondamente
quella
sensazione di nudità, che lo portava ad essere immediatamente
nervoso.
-
Sei bellissimo,
pasticcino. Come puoi pensare una cosa del genere? Sei meraviglioso
anche
quando non sei truccato. – sorrise lei, intuendo il suo disagio
interiore,
avvicinandosi velocemente a lui e portandogli le braccia al collo,
avvolgendolo
in un abbraccio tenero e caloroso.
Il
Joker non ricambiò la
stretta, limitandosi a chinare lievemente la testa sulla spalla di lei,
ma si placò.
*
-
Vuoi del caffè? – gli chiese
Harley, sciogliendo lentamente l’abbraccio e continuando a guardarlo
negli
occhi profondi e malinconici. – Se ti fa piacere, posso fartene un po’.
Il
Joker annuì
lievemente, ritornando a girarsi verso la finestra ancora aperta e
sentendo i
passi della donna allontanarsi progressivamente. Mancava poco tempo e
cominciava a sentirsi leggermente in tensione.
Aprì
l’armadio e si
cambiò i pantaloni, scegliendone un paio viola scuro a righe molto più
aderenti, per poi passare alla camicia, rigorosamente azzurra, al
gilet, come al
solito verde, e alla giacca elegante, anch’essa viola. Avrebbe poi
indossato la
cravatta e le scarpe al momento di uscire. Da un ulteriore cassetto
prese l’occorrente
per il suo abituale trucco da clown, spray color oliva per i capelli,
cerone
bianco per il viso, tintura nera per gli occhi e rossa per le labbra e
appoggiò
gli oggetti sulla mensola sottostante lo specchio nella sua stanza. Si
sedette
di fronte ad esso, impaziente.
-
Eccoti il caffè. Non
ci ho messo molto zucchero perché ogni giorno ne metti quantità diverse
e quindi
te l’ho portato, così ne aggiungi quanto ne vuoi. Va bene? – bisbigliò
Harley,
appoggiando la tazza ricolma sulla mensola, fra i trucchi.
-
Bene. – ringhiò lui,
spazientito da tutte quelle parole inutili e irritanti, sempre più teso.
-
Stai bene, pasticcino?
Mi sembri strano.. sei sempre piuttosto scontroso con me, ma oggi molto
più del
solito.. – mormorò, preoccupata – Sei nervoso?
-
Io – non – sono –
nervoso! – urlò il Joker, improvvisamente isterico, mentre con una
manata
repentina e fulminea rovesciava tutto il contenuto del ripiano a terra.
La
tazza si ruppe in un fragore improvviso, spargendo ceramica e caffè
dappertutto, mentre il resto degli oggetti semplicemente cadde in un
susseguirsi di tonfi sordi.
-
Mi dispiace di averti
infastidito, non lo farò più. Scusami.
– sussurrò Harley dopo un lunghissimo silenzio nel quale entrambi non
avevano
fatto altro che fissare il liquido marrone spandersi sul parquet e i
cocci chiari
emergere da quel lago scuro e profumato. Si chinò per raccoglierli,
quando il
Joker le afferrò inaspettatamente un braccio portandola a sedere sulle
sue
gambe e la baciò con tenerezza e passione, inabissando le proprie mani
fra i
suoi capelli e stringendosi a lei nel modo più affettuoso e pregnante
che
conosceva.
*
-
Posso truccarti io? – mormorò contro
la pelle morbida del suo
collo, mentre teneva fra le dita uno dei suoi boccoli scuri e leggeri,
immediatamente irrequieta per l’importanza della richiesta. Le orecchie
di
Harley erano così tese nel tentare di percepire anche il minimo suono
che
poteva sentire il battito del proprio cuore attraversarle ritmicamente.
-
Sì. – disse lui,
fingendo distrazione e disinteressamento.
Harley
spruzzò sulle
proprie mani una parte del contenuto della bomboletta, per poi andare
alle sue
spalle e cominciare a spargerne il colore olivastro sui capelli,
pettinandoli
con le dita, intridendoli di quel liquido dall’odore acre che sarebbe
servito a
mutarne l’apparenza; con tutta la delicatezza di cui era capace li
accarezzava,
li strofinava, li frizionava, stando sempre attenta a non fargli male e
a non
rovinare la loro consueta natura mossa e disordinata. Quando fu il
momento di
occuparsi dei ciuffi che gli ricadevano sul volto, lo scontrarsi con i
suoi
occhi attenti ed enigmatici la emozionò: lui seguiva con lo sguardo
ogni suo
movimento, ed era assolutamente incomprensibile che cosa si nascondesse
dietro
di esso. Poteva essere indifferenza, come lui continuava ad ostentare,
oppure
interesse e riconoscenza.
Dopo
essersele lavate, le
mani di Harley tremavano lievemente nel delineare con le dita la riga
della sua
capigliatura, ormai interamente olivastra.
-
Chiudi gli occhi – disse
piano, immergendo le dita nel vasetto del cerone bianco, sussultando
appena per
la consistenza plastica e fredda del prodotto. Lui obbedì, sobbalzando
quando
lei cominciò a massaggiargli dolcemente il viso, cominciando dalla
fronte
ampia, passando poi alle guance morbide e appena sbarbate, ai bordi
degli
occhi, alle orecchie, al naso dritto e al contorno della bocca.
Il
Joker, rilassato,
godeva pienamente di quelle carezze: il calore e l’amore delle mani di
Harley,
l’attenzione e la cura con le quali lo toccava, erano per lui evidenti
e causa
di emozioni piacevoli. Gradiva profondamente quelle dita che lo
coloravano,
rendendolo finalmente se stesso, con una comprensione e tenerezza fuori
dal
comune; non glielo avrebbe mai confessato, ma avrebbe voluto stare
così, ad
occhi chiusi, ad apprezzare le premure che lei era in grado di dargli,
per
molto, moltissimo tempo.
Non
si accorse nemmeno
che Harley aveva finito da tempo di stendere il cerone bianco ed era
passata
alla tinta nera del contorno occhi, massaggiandogli le palpebre così
delicatamente da non infastidirlo, facendo ben attenzione che il colore
non gli
finisse fra le ciglia.
-
Ora puoi aprirli. – lo
informò Harley, con un sorriso smagliante, soddisfatta del proprio
lavoro,
muovendosi distrattamente alla ricerca di un pennello.
-
E’ qui, Harley. – disse
lui a voce bassa, porgendoglielo, e non
appena lei lo afferrò chiuse per un attimo la propria mano intorno a
quella
della donna, in una sorta di goffa carezza, trapassando le sue iridi
chiare e
marine con il suo sguardo scuro e magnetico, nuovamente concentrato su
di lei.
Harley
intinse il
pennello nella boccetta dal colore denso e scarlatto, proprio quella
tonalità
che associava a lui, al suo carattere passionale, ai suoi istinti
sfrenati, al
suo modo di baciarla e di fare l’amore con lei. Amava quel particolare
rosso
intenso, il solo vederlo la emozionava e accresceva ancora di più la
sua tensione
e la sua commozione: bagnò ancora quelle setole chiare, per essere
certa di
avere abbastanza tintura, e poi, tremando leggermente, si avvicinò al
suo volto.
-
Apri la bocca,
pasticcino. – bisbigliò, con un lieve sorriso, notando le sue labbra
strette e
serrate l’una contro l’altra. Non si era nemmeno accorto di averle
chiuse con
decisione e veemenza, il cuore travolto da una moltitudine di emozioni
impetuose e violente; le schiuse lentamente, abbandonando il capo
all’indietro
e socchiudendo le palpebre nere e bistrate.
Il
Joker tremò di
piacere, sentendo i brividi arrampicarsi progressivamente sulla propria
schiena, quando percepì il pennello umido posarsi sulle sue labbra
asciutte, dipingergli
la bocca, attraversare le cicatrici sporgenti e fermarsi sulle guance.
Rimase
immobile per qualche attimo, poi osservò l’espressione raggiante di
Harley, che
lo guardava estasiata, gli occhi lucidi di turbamento, e finalmente si
guardò
allo specchio.
*
Era
tornato se stesso.
Sospirò di sollievo nel rimirare la propria immagine ancora una volta:
Harley
aveva fatto decisamente un ottimo lavoro. La premiò con uno sguardo
affettuoso
e rivolse l’attenzione al proprio orologio da polso, che segnava ormai
le sette
e mezza. Doveva uscire immediatamente per recarsi nella parte opposta
della
città, o avrebbe vanificato tutto il progetto faticosamente costruito.
Si
infilò la cravatta,
effettuandone il nodo con pochi movimenti automatici e abituali e poi
le scarpe
nere, allacciandole.
Alzò
distrattamente lo
sguardo e vide Harley, immobile sullo stipite della porta.
-
Che cosa vuoi, Harley?
– sbuffò, prendendo velocemente le proprie armi dai cassetti e dagli
armadi,
infilandosi un coltello nelle calze e un altro nella cintola dei
pantaloni,
arricchendo poi la propria giacca del consueto corredo di bombe a mano.
Il
necessario per l’operazione era custodito in un deposito a metà
tragitto,
quindi non avrebbe dovuto portarsi nient’altro. Mentre rimescolava il
contenuto
del guardaroba, alla ricerca di un fiore finto da appuntare alla
propria
camicia, si rese conto che Harley non aveva affatto risposto alla sua
domanda e
che probabilmente era ancora alle sue spalle.
Allora
si girò, e rimase
colpito nel notare che il delicato viso di Harley era coperto dalle
lacrime che
scorrevano abbondanti dai suoi occhi grandi e marini.
-
Perché piangi? Cosa c’è?
– mormorò, irritato, improvvisamente a disagio.
-
Sono preoccupata per te.
- biascicò, non
riuscendo più a
trattenere i singhiozzi, coprendosi il viso bagnato e sconvolto con le
mani – Ho
paura.
-
Smettila, Harley. Lo
sai che non sopporto questi inutili sentimentalismi. – ribatté
freddamente,
passandole accanto velocemente, ma lei gli afferrò una mano,
costringendolo a
fermarsi accanto a lei.
-
Voglio venire anche
io. Sarei più tranquilla e potrei sempre esserti utile. – propose con
la voce
rotta dal pianto, intrecciando le proprie dita alle sue, guardandolo
speranzosa
negli occhi cupi e determinati.
-
No. Non se ne parla
nemmeno. Tu rimani qui. – disse
il Joker,
irremovibile. Al pensiero di lei, ancora inesperta, che vagava
distrattamente in
mezzo all’infinità di ordigni e detonatori sparsi per Gotham si sentiva
impazzire dal nervosismo. Si allontanò bruscamente, e afferrando la
mappa con
il progetto, fece per uscire.
-
Non.. non ti permetterò
di andartene così! Io vengo con te.. Non ti lascio mai da solo quando
hai
bisogno d’aiuto.. – sussurrò Harley, tremante dalla testa ai piedi,
mettendosi
fra lui e la porta d’ingresso e afferrandogli nuovamente i polsi – Ti
amo, lo
sai?
-
Lo so. – disse lui,
con un’inconsueta dolcezza nella voce – Lo so, Harley.
-
E allora perché non
vuoi che io venga con te? – insisté lei, gli occhi azzurri spalancati
per la
paura e piantati in quelli del Joker, solo apparentemente calmi.
-
Proprio per questo. –
rispose il Joker in un soffio, catturandole le labbra in un bacio
affettuoso,
nel quale si abbandonò, liberandosi i polsi e abbracciandola, tentando
di
ripulire il proprio cuore da oscure inquietudini e tetre probabilità.
Nell’ultimo
periodo aveva notato che Harley era diventata molto ansiosa,
specialmente poco
prima di uno dei loro colpi, e forse cominciava a capirne il motivo.
-
E.. e se.. e se non
torni, pasticcino? Ho bisogno di te. – pianse ancora, stringendolo
ancora più
forte di prima.
-
Tornerò per cena, Harley.
– disse imperioso, scansandosi. La convinzione nella sua voce era
palpabile,
non dava adito ad alcun genere di dubbio o perplessità: avrebbe sfidato
le
probabilità, avrebbe sfidato Batman, Gotham City, la polizia, la legge,
chiunque, qualsiasi cosa, ma avrebbe vinto. Avrebbe raso al suolo una
parte di
quella città che odiava e che era diventata il bersaglio dei suoi
divertimenti
più crudeli, e poi sarebbe ritornato da vincente, con il sorriso sulle
labbra
ampie e dipinte.
-
Ti aspetterò. Ti amo. –
affermò lei, dopo essersi asciugata coraggiosamente le lacrime, mentre
lui si
appuntava il fiore sulla camicia aprendo la porta d’ingresso. Alle sue
parole,
si girò improvvisamente e la premiò con uno dei suoi rari e smaglianti
sorrisi,
accarezzandola con uno sguardo caldo e fiero.
-
Lo so. Tornerò da te,
tortina. - le parole del Joker riecheggiarono a lungo nella tromba
delle scale,
mentre scendeva rapidamente gli scalini.
Aveva
qualcuno da cui ritornare.
E
questa gli sembrava la migliore delle motivazioni per vincere che
avesse mai
avuto.
*
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