Uno scricchiolìo.
Andromeda si voltò di scatto, ansiosa, spostando con la mano
quei due o tre ciuffi corvini di capelli che si erano avventurati sul
suo viso a causa del brusco movimento. Rimase allora immobile per
qualche istante, in attesa di un eventuale secondo suono.
Silenzio.
Le pupille dilatate dall'oscurità si mossero rapide da una
parte all'altra dell'occhio, indagando attentamente nel buio.
Silenzio, nuovamente.
Sospirò sollevata, forte di una falsa sicurezza donatagli
dall'assenza di ulteriori scricchiolii sospetti. Quello che poteva
sembrare un gesto eccessivo in risposta ad un rumore più che
banale era dovuto soprattutto all'ambiente cupo e misterioso dal quale
tale suono proveniva, ovvero la vecchia libreria del nonno della
ragazza, Theodore. Ma la sua non era una visita di cortesia,
considerando poi che il parente era deceduto ormai da tempo... e che
comunque lei non sarebbe andata a trovarlo neppure da vivo. L'unico
motivo per cui si trovava in quel luogo dimenticato dal tempo era
perché finalmente aveva raggiunto la maggiore
età, e poteva finalmente coronare il suo sogno di vivere in
una casa propria, lontana dalla famiglia, libera di avere i suoi spazi
e le sue distanze dal mondo.
La candida mano della ragazza reggeva tremolante una torcia nera opaca,
quasi scarica, la quale generava una flebile scia luccicante, che
andava ad irraggiare cataste di libri abbandonati da anni
nell'apparente libreria. Le suole di gomma di un vecchio paio di scarpe
da ginnastica aderivano perfettamente al parquet, che ogni tanto
cigolava per via dell'umidità che si disperdeva nell'aria.
Con curiosità si avvicinò ad un tavolino su cui
erano posati diversi libri, ricoperti da uno spesso strato di polvere,
a prova del lungo esilio subito in silenzio dai protagonisti dei vari
volumi.
La ragazza si chinò e raccolse uno dei tomi più
piccoli, soffiandovi sopra per poterne vedere almeno la copertina, la
quale riportava a grandi lettere una scritta giallognola su sfondo
verde neutro: "L'arte
della scienza".
Aggrottando le ciglia, un ghigno infastidito sfuggì dalle
labbra sottili di lei, che rieccheggiò flebile nella stanza
buia.
-"Ahhh, nonno. Eri proprio pazzo, eh? Ossessionato da tutte queste
cose..."- Puntò la torcia con enfasi verso il soffitto,
ridacchiando divertita - "La scienza!"-
Lasciò ricadere il libro in modo disordinato fra gli altri
fratelli sul tavolo, facendone scivolare un paio dalla loro posizione
originale, e allontanò le braccia dal corpo, volgendo i
palmi verso l'alto e riprendendo a parlare da sola, con non molto
coinvolgimento -"La conoscenza di tutto ciò che ci
circonda."-
Tornò nuovamente ad illuminare la zona circostante, un
sorrisetto torvo stampato in viso a testimoniare il suo svagarsi senza
troppi pensieri. Si avvicinò ad una scrivania poco distante
dal tavolo, sulla quale erano posti ulteriori libri, cartelle, penne e
diverse candele, il tutto ricoperto dal solito strato grigio di
polvere. Prese con indifferenza un altro libro fra le mani, continuando
a schernire il defunto nonno, piuttosto divertita. Non provava per lui
particolare odio o astio, semplicemente non lo sopportava, come non
sopportava ogni persona che tentava d'invadere il suo spazio
personale... E quello spazio era piuttosto larghetto.
-"Tuttavia questo non è bastato a non farti crepare."
Buttò l'oggetto nuovamente sulla scrivania, con la stessa
indifferenza con la quale l'aveva raccolto, provocando un tonfo deciso
ma non eccessivamente rumoroso, sollevando comunque una discreta
quantità di polvere dal mobile, avvolgendo in uno strato
stile nebbia il piccolo e tenero panda raffigurato sulla felpa bianca e
nera che indossava.
Al tonfo seguì un secondo scricchiolio, ma la ragazza lo
ignorò, presa ad osservare il nuovo bersaglio puntato dalla
sua torcia: Un armadio o forse un ripostiglio, bianco avorio, consumato
dalle tarme e dagli anni. Ma più interessante era il
lucchetto arrugginito color oro che teneva serrata l'anta, guardiano di
chissà quale segreto nascondesse al suo interno. Ma il
lucchetto era interessante perché forse la ragazza ne aveva
la chiave.
La mente di lei tornò indietro con gli anni, senza pensarci
più di tanto, ricordando quando il nonno le mandò
per posta quel girocollo dall'aspetto antico, sullo steam punk, formato
da un collarino di tela azzurro, al cui centro era posizionato un
quadrante color oro senza lancette, con ai lati due ali dello stesso
colore... E appesa poco più sotto la famosa quanto
misteriosa chiave. L'unicità e la bizzarria del regalo
ancora la lasciavano perplessa, ma aveva imparato ad accettare i regali
senza farsi troppi perché.
Estrasse quindi dalla tasca la chiave, ora separata dal vistoso
accessorio, e la passò fra le mani un paio di volte,
esitante. Non aveva idea di cosa la chiave potesse aprire,
né di cosa potesse nascondersi dall'altra parte della
serratura. Per quanto ne sapeva poteva portare ad un qualche tesoro
d'inestimabile valore. Non era mai stata una ragazza eccessivamente
avida, non cercava più di quanto non le fosse necessario per
sopravvivere... Ma l'idea di un quantitativo non indifferente di denaro
non le faceva certo così schifo.
Scosse la testa, ridacchiando infastidita pensando a quanto fosse
sciocca a fantasticare su tesori e favole improbabili.
Prese successivamente con la mancina l'arrugginito lucchetto e, decisa
a svelare ogni mistero a riguardo il prima possibile,
avvicinò la chiave alla serratura.
La infilò... O almeno tentò di farlo, con un
leggero nervosismo che cresceva man mano la verità si faceva
strada nella sua mente: Non era la giusta chiave per aprire il
lucchetto. E tutto questo la infastidiva decisamente tanto, soprattutto
perché ora oltre ad una chiave che non sapeva cosa aprisse
aveva anche un lucchetto di cui non aveva idea di come sbloccare.
Rimise la chiave nella tasca, ora conscia che stava solo sprecando il
suo tempo in uno dei soliti giochetti idioti di suo nonno, che anche da
defunto oramai da tempo sembrava volersi divertire con i suoi contorti
enigmi. Ma non era a conoscenza del fatto che la nipote avesse un modo
tutto suo di risolvere quei dannati quesiti che la perseguitavano
ovunque in quella casa. E applicando con fierezza tale metodo Andromeda
serrò fra le dita il lucchetto, strattonandolo seccata con
forza, provocando un sonoro 'crack' di vittoria. Un pezzo di legno
seguì il triste destino del lucchetto, staccandosi dalla
porta dell'armadietto, facendo così finire la ragazza a
terra, sbigottita.
-"Ahn."
La torcia rotolò lontana sotto un tavolo, fra le ragnatele
abbandonate persino dai ragni che in passato le abitavano. Ma la
ragazza ridacchiò soddisfatta, volgendo lo sguardo
all'armadietto oramai socchiuso e inerme.
Si alzò dolorante da terra, facendo peso sulle ginocchia,
avvicinandosi una volta in piedi alla porta biancastra, lentamente e
incuriosita. Con una delicatezza ben diversa da quella utilizzata prima
prese l'estremità della porta socchiusa con le dita,
avvicinandola a sé, mentre un cigolio triste
rimbalzò nella stanza, come se l'armadietto si stesse
lamentando con la ragazza che impudemente lo stava violando.
Spalancò gli occhi, incredula. Rimase per qualche istante a
fissare il contenuto dell'armadio, dandosi un piccolo pizzicotto sulla
mano giusto per controllare se fosse ancora nel mondo reale e non in
quello dei sogni. Ma il leggero dolore provocatosi confermava il
trattarsi di una incredibile, assurda realtà.
-"Nonno.." - Deglutì, basita. - "Sapevo che eri pazzo.. Ma
costruire un Robot. Oh. No." - Sogghignò soddisfatta,
portandosi le mani ai fianchi.
Cominciava ad essere interessante. Cominciava ad essere tutto
così fottutamente interessante.
Deglutì un'ultima volta e, esitando, si chiese se fosse
giusto toccarlo, aprirlo e aggeggiargi senza ritegno, come un bambino
con il suo primo giocattolo, ansioso di scoprire come funziona, di
vederlo fatto a pezzi smembrandone ogni parte. Ed erano queste
praticamente le sue prime ed uniche intenzioni a riguardo.
Voleva prenderlo, toccarlo, aprirlo, vedere come e se funzionava.
Voleva trovare i progetti. Voleva saperne di più, anzi...
Voleva saperne tutto.
-"Sei.. una meraviglia."
Si portò la mano destra sul viso, sfiorandosi le labbra,
sbigottita.
-"Sei proprio una meraviglia."
Assomigliava ad uno di quei robot che popolavano le vecchie serie tv
fantascientifiche, solo che questo era poco fanta ma parecchio
scientifico, questo glielo si poteva concedere. Aveva un corpo
metallico a pera color rame, con diverse appendici meccaniche: una che
pareva un cannochiale sul fronte di quella che doveva essere la sua
testa, due cosi simili a cornina sempre sulla suddetta testa, per poi
proseguire con un arnese che decisamente si doveva trattare di uno
sturalavandini, appaiato con un frustino da cucina a formare le braccia
della cosa. Infine, sulla parte bassa del robot, quella a forma di
fronte di nave, erano disposti in file verticali ordinate dei bozzi
sempre color ottone, come per completare l'accozzaglia di
assurdità che rappresentavano quello strano quanto
inquietante robot.
Avvicinò esitante la mancina al robot, ritraendola diverse
volte, ancora non decisa a toccarlo, forse spaventata. Serrò
le labbra, la sua mano tentò ancora di avvicinarsi
all'oggetto dei desideri della ragazza, solo per essere ritratta
nuovamente in un misto fra rassegnazione e timore. Restò
dunque a fissarlo immobile, per una manciata di secondi.
Aggrottò poi le ciglia, finalmente decisa a darsi una mossa
concludendo che nulla sarebbe potuto andare storto, era solo un folle
sogno fatto di ferraglia e dalla forma improponibile.
Poggiò il palmo su di lui, tastandone la consistenza,
trattenendo il fiato ancora non completamente convinta della sua
decisione. E, come se il robot volesse farla pentire a riguardo, Un
flebile bagliore provenì da sotto la sua mano, facendola
sussultare prima di essere riportata al sicuro il più vicino
possibile al suo corpo. Dal robot provenì uno sfrigolio,
come di carna lasciata cuocere nell'olio in padella, cosa che fece
chiedere alla ragazza se quel coso non fosse in realtà solo
una grossa ed appariscente friggitrice.
Ma le friggitrici, per quanto appariscenti ed ingombranti possano
essere, non mantengono l'impronta di una mano vivida sulla loro
superfice, facendola brillare quasi fosse cosparsa di lucciole di
campagna.
E le friggitrici non hanno lunghe unità oculari mobili sulla
parte superiore del corpo. O almeno, non ancora. Ma di questo si
parlerà in luoghi e tempi più adatti.
L'"occhio" della cosa si accese lentamente, avvampando in una fredda
tonalità di azzurro.
La ragazza indietreggiò di un passo, sconvolta. Si chiese se
quello non potesse essere semplicemente uno scherzo di cattivo gusto
preparato da suo nonno, o se era il momento di cominciare a pentirsi
delle proprie azioni. Ma decise che era ancora presto per giungere a
conclusioni, limitandosi a trovare un riparo sicuro dietro la scrivania
dove poter osservare il susseguirsi degli eventi.
L'automa cominciò poi a muovere gli apparenti arti
superiori, emettendo diversi rumori metallici scomposti. Suoni che ti
aspetteresti di sentire da una macchina, dai vari "vwwww" ai
più classici "bzzz".
Con la protuberanza oculare ocalizzò infine il volto
sconvolto della ragazza, zommando su di lei.
Una voce metallica, fredda e gracchiante eccheggiò dentro di
lui.
-"Restauro."
Lei indietreggiò ancora, finendo a sbattere contro una pila
di libri, facendoli cadere per terra in modo scomposto.
E ancora, quella voce.
-"Restaaauro. Restaaaaaaaaaaauro."
La ragazza aggrottò le sopracciglia e, non sapendo cosa
aspettarsi, si morse semplicemente il labbro inferiore come faceva
sempre nei momenti in cui lo stress si faceva insostenibile,
prendendosi poi il polso della mancina con la mano destra, serrando la
presa con decisione. Un po' come quando ci si tiene saldi a qualcosa
prima di infliggersi del dolore incredibilmente assurdo. Nel di lei
caso, come stringeva la presa della vasca del bagno prima di tirare con
forza la striscia della ceretta. Ma in quel momento forse era
più per sfogare parte dello stress attraverso la morsa delle
dita attorno al sottile polso che, innocente, subiva passivo il suo
destino da antistress.
-"Restaaaaaaaaaaaaaaaaaauro."
La ragazza si lasciò sfuggire una smorfia infastidita,
seccata e, rivolgendosi al robot, si guardò intorno,
cercando una via d'uscita dalla stanza.
-"Chi sei?"
-"Restaaaaaaaaaauro."
La voce del robot si fece più forte, più
metallica di quanto già non fosse. Il chè
portò il tutto ad essere più sgradevole che
pauroso.
-"Chi sei?!"
-"RESTAAAAAURO."
-"Dimmi subito chi sei, o ti disattivo!"
La ragazza puntò l'indice destro verso il robot, urlando. Il
polso della mano opposta ringraziò in silenzio di esser
stato liberato.
La voce acuta dell'umana rieccheggiò insieme ai movimenti
metallici della cosa nella stanza, arrivando fino al piano superiore.
Finalmente, silenzio.
Il robot zoomò ancora su di lei, analizzandone
apparentemente i dati.
Cominciò poi a parlare, scandendo una ad una le parole con
quella sua voce stridula, non avendo apparentemente altro modo per
comunicare.
-"I. Dati. Analizzati. Riferiscono. Che. Tu. Non. Hai. La. Conoscenza.
Per. Disattivarmi."
La ragazza si portò la mancina sul fianco, stizzita.
-"Ah sì, eh?"
Si guardò poi impaurita intorno, cercando di mantenere la
calma, in cerca di un'oggetto qualsiasi da scagliare contro al robot.
Dalla paura avrebbe scagliato contro persino suo nonno, maledetto il
giorno in cui si dette apparentemente alla robotica.
-"Sììì."
La risposta pungente della cosa la seccava intensamente.
-"Analizzami meglio, brutto ammasso di ferraglia."
Abbassò lo sguardo verso la scrivania dietro la quale era
riparata, buttando a terra tutti gli oggetti ancora posti su di essa e,
afferrandola, tentò di sollevarla, senza successo.
Si voltò nuovamente verso il robot, terrorizzata.
-"Non. Serve. Analizzarti. Nuovamente." - Il robot mosse lentamente il
lungo tubo a cui era attaccato l'occhio azzurro - "I. Dati.
Riferiscono. Che. Sei. Una. Creatura. Debole."
Respirando affannosamente, lei si chiese se era arrivato il caso di
buttare a terra il suo orgoglio da dura, sputarci sopra senza ritegno e
scappare a gambe levate.
E la sua coscienza la stava implorando di farlo, di fuggire.
Ma sapeva benissimo che non l'avrebbe mai fatto, e per questo in parte
si odiava. Il suo orgoglio sarebbe stata la sua morte.
-"Debole? Io?" - Sghignazzò - "Tutti quegli anni rinchiuso
qui ti hanno dato al cervello. Sempre che tu ne abbia uno."
Nuovamente, lo sguardò si posò sulla scrivania.
Si fermò un attimo a scrutarla, per vedere se poteva trarne
profitto.
Sul suo volto si formò allora un sorrisetto divertito.
Salì velocemente su di essa e senza pensarci due volte
saltò con forza, atterrando il più pesantemente
possibile, colpendo con forza il centro della scrivania.
Questa si ruppe in due, metà del lavoro effettuato nel tempo
dalle tarme, e alla ragazza non restò che cadere a terra fra
le scheggie e vari pezzi di legno.
-"Bene!" - Facendosi forza sulle ginocchia, si sollevò
faticosamente, non ancora del tutto ripresa dalla caduta, staccando una
gamba della scrivania - "Scannerizzami adesso, robottino."
Scagliò poi l'agognato trofeo di rovere contro il robot,
decisa a fare di tutto per uscirne a testa alta.
Ci fu un rumore, uno di quelli che ti capita di sentire dalle pistole
laser dei vecchi film di fantascienza. Al rumore seguì poi
una scintilla, e anch'essa poteva benissimo essere uscita da qualche
produzione cinematografica dei tempi che furono.
Dopodiché, solo cenere.
Andromeda spalancò gli occhi, sconvolta.
Il "robottino" aveva appena incenerito il pezzo di legno, sparando
dall'arto a forma di frustino da cucina una specie di luce violacea.
-"B-beh.." - La ragazza portò entrambe le mani al petto,
tremante - "Forse è meglio se non lo fai."
Il robot cominciò ad avanzare lentamente verso di lei,
impassibile.
-"N-no, fermo, che fai!" - Lei portò le mani avanti, come
per chiedere di fermarsi - "F-fermati, dove vai?"
Il robot si fermò per un'istante, osservandola.
-"Non. Sto. Andando. Via. Sto. Per. Sterminarti."
La ragazza fece tre passi indietro, sgomenta.
-"Ah, beh, mi sembra ovvio. Ma dimmi, robottino" - Cercò di
giustificarsi, annaspando fra le sue stesse parole - "Perché
vuoi sterminarmi? Hai un motivo preciso? Cosa ti ho fatto?"
Cercando di prendere tempo, la ragazza voltò la testa verso
destra, dove riconobbe la porta da cui era entrata.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Bisogno. Di. Motivi. Per. Sterminare."
Lei voltò nuovamente la testa verso il robot, che si
avvicinava vertiginosamente.
-"O-oh, quindi ti chiami Dalek?" - Disse, indietreggiando ancora.
-"Errato. Il. Mio. Nome. E'. Dalek. Caan."
-"D-Dalek Caan! E' un nome carinissimo, complimenti."
La ragazza continuò a mentire spudoratamente, addolcendo il
tono della voce senza però riuscire a nasconderne il
tremolio.
-"I. Dalek. Non. Hanno. Il. Concetto. Di. Bellezza."
-".. Si vede."
-"STERMINARE."
Continuò ancora ad indietreggiare, aumentando
però la velocità, mentre cercava senza successo
di giustificarsi col robot. Apparentemente nessuno lo aveva informato
riguardo il lungo monologo che bisogna tenere prima di uccidere senza
pietà la propria vittima. Sempre nel caso che questa non si
sia suicidata prima a causa del suddetto monologo.
-"Aspetta, aspetta, aspetta! Prima di morire c'è un'ultimo
desiderio che vorrei e-esprimere.."
-"STERMINARE."
-"Vedo che non te ne importa! Sei proprio senza cuore!"
-"I. Dalek. Non. Hanno. Cose. Come. Il. Cuore. STERMINARE."
-"Siamo in due, allora."
La ragazza si buttò a terra, riuscendo per un pelo ad
evitare la violastra luce inceneritoria lanciata dal Dalek un secondo
prima, sgattaiolando via approfittando dell'oscurità per
mimetizzarsi.
-"STERMINARE. STERMINARE. STERMINAREE!"
Il Dalek la seguiva minaccioso, con la sua calma da Dalek,
emettendò i soliti cigolii metallici. Se c'era una cosa che
i Dalek sapevano fare bene era sterminare, e sapendo di essere i
migliori a riguardo non si prendevano mai più fretta del
dovuto. Si godevano la gioia del momento. Anche se in realtà
non potevano provare nè gioia nè tantomeno
godimento. Ma a loro bastava sterminare, ed erano felici
così. Nessuno si era mai lamentato a riguardo, nessuno
"vivo", e loro certo non si facevano troppi problemi. In
realtà qualcuno di vivo c'era, ma questa è tutta
un'altra storia.
Oh, e se non si era ancora notato, la seconda cosa che adoravano di
più dopo sterminare era l'urlarlo a squarciagola con le loro
irritanti vocine metalliche.
Anche se in realtà ai Dalek sfuggeva pure il concetto di
"adorazione".
-"STERMINAAARE!"
Strisciando sotto i numerosi tavolini, fra la polvere e le ragnatele,
la ragazza borbottava, seccata.
-"Dio, lo faccio saltare in aria."
-"STERMINAAAAAAAAARE!"
-"VUOI STARE ZITTO?!"
-"STERMINAAAAAAAAAAAAAAAAARE!"
-"Cristo."
La ragazza si alzò poi di scatto, sbilanciandosi in avanti,
correndo verso la porta che dava sull'uscita, lasciandosi dietro una
scia violacea che inceneriva ogni oggetto che sfiorava. Nello scappare
si dovette trattenere dal lanciare oggetti di varia natura verso
l'obbrobrio metallico, giusto per cercare di zittirlo.
-"STERMINAAAAAAAAAARE!"
Arrivò dunque alla porta, e fortuna volle che fosse chiusa.
Si affrettò quindi a cercare La chiave, non fosse mai che un
piccolo e insulso oggetto di ferro dovesse segnare il suo destino.
Tasche degli shorts.
Niente.
Girocollo.
Niente.
Si tastò il petto e i fianchi, disperata.
Niente di niente.
-"STERMINAAAARE!"
Il robot era oramai a pochi passi da lei.
Sospirò, sfinita.
Il cuore che pulsava, i respiri affannosi, l'adrenalina che le
percorreva il corpo.
Si voltò dunque verso il Dalek, sorridendo seccata,
sconfitta, pronta alla fine.
-"STERMINAAAAAARE!"
Si portò il ciuffo nero che le ricadeva sulla fronte intrisa
di sudore freddo all'indietro, sbilanciandosi in avanti.
-"Falla finita."
-"STERMINAAARE!"
-"Se vuoi uccidermi, fallo e basta."
-"STERMINAAAAARE!"
-"Cristo, devi essere così noioso anche quando mi uccidi?!
UCCIDIMI E BASTA!"
L'urlo della ragazza rieccheggiò nuovamente nella stanza,
facendo bloccare il robot a pochi passi da lei, che si zittì.
-"Bene. Procedi pure."
Sbattè quindi la testa sulla porta, buttando fuori l'aria
dai polmoni, serrando gli occhi, pronta alla fine.
C'erano tante cose che avrebbe voluto fare.
Le sarebbe piaciuto viaggiare, vedere il mondo.
Le sarebbe piaciuto scoprire chi avesse ucciso i suoi genitori, fare il
culo a quei bastardi - Così diceva.
Ma non c'era più niente da fare. Sarebbe stata incenerita da
uno stupido robot inventato da quel folle di suo nonno, da sola, al
buio, spaventata.
Si abbandonò all'idea della morte, al silenzio, al buio.
Non doveva essere poi così male.
Avrebbe ritrovato i vecchi amici, i genitori.. e avrebbe sgridato suo
nonno, per averla fatta morire in quel modo insulso.
E la lapide sarebbe stata la parte migliore di tutte: "Qui giace Andromeda, incenerita
da una friggitrice incazzata". Sì, non sarebbe
stato male dopotutto. Ma qualcuno non era d'accordo con tutto
ciò. E si dia il caso che quel qualcuno fosse l'uomo
menzionato poco prima. L'unico uomo che non va nominato di fronte ad un
Dalek, a meno che non lo si voglia fare arrabbiare. Cioè,
più del solito.
Improvvisamente, un suono quasi impercettibile provenì da
dietro la porta.
Un suono strano, come un fischio. Un fischio che si ripete, che si
aggancia all'ultima nota più alta, senza mai fermarsi.
Secco, anch'esso metallico.
Andromeda lo udì appena, persa fra i suoi pensieri di morte,
ma il rumore che udì subito dopo quello attirò
nettamente la sua attenzione. Il suono della serratura della porta che
si apriva alle sue spalle.
Miracolo?
Spalancò gli occhi, ritrovandosi di fronte il Dalek, pronto
a sparare.
-"Mi spiace bello." - Ridacchiò divertita - "Oggi non
è il giorno adatto per morire."
Si voltò poi di scatto verso la maniglia, aggrappandosi ad
essa e girandola velocemente, aprendo furiosamente la porta, pronta a
scappare.
Superò il varco, sorridendo maliziosa.
Ce l'aveva fatta ancora una volta.
..O no?
Perché andò a sbattere contro un qualcosa, che a
primo impatto sembrava un muro, ma era troppo morbido per esserlo, ed
emetteva un odore gradevole, un calore rassicurante. Si
sentì poi stringere, da qualcosa che probabilmente avrebbe
definito braccia.
Lunghe braccia.
Braccia?
Era un petto quello a cui era appoggiata quindi?
Alzò terrorizzata lo sguardo, riuscendo ad intravedere
nell'oscurita qualcosa che sembrava un papillon.
Un papillon? scherziamo?
Il cuore cominciò a pulsarle velocemente, la paura di
un'altro probabile pericolo la stava terrorizzando.
Si sentì accarezzare la testa, udendo una flebile risatina
maschile, molto serena e tranquilla. Quasi divertita nella sua
sicurezza. E dalle stesse labbra che avevano scaturito quella risata
un'unica, potente parola venne rivolta alla ragazza sconvolta e un poco
confusa, se le era permesso.
-"Corri."
~
Compagno di parole figoso che scrive bene (?): Black_Cat
I soci (?) vi augurano una buona lettura, speriamo che la fic sia di
vostro gradimento!
Vi aspettiamo al prossimo capitolo,
non mancate! (:
_S h i v e r & Black_Cat .
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