Salve.
Vado
direttamente al punto per non perdere tempo: questa boiata è
ambientata
post-tutto, è una sciocchezza suddivisa in quattro brevi
parti collegate ma non
strettamente consecutive – c’è uno
scarto temporale non precisato che divide
ogni volta la successiva dalla precedente.
Mi
sto spiegando come le capre. Vi lascio piuttosto alla lettura,
eventuali spiegazioni verranno. (Segnalo inoltre un'eccessiva componente di fluffosità, perdono.)
Something
old, something new, something borrowed, something blue
Some
time in the future
Something
old
“Cas,
pensi che esista qualcosa come gli Uruk-hai?”
Alla
sua domanda scherzosa Castiel sposta uno sguardo appena tinto di
vaghissimo e
bonario rimprovero dallo schermo, in cui Aragorn e la sua brigata
prendono
allegramente a mazzate l’armata di Saruman, e lo posa su di
lui con la
profondità di sempre.
“Lo
escludo completamente, Dean,” risponde sicuro.
Lui
si trattiene dal mettersi a ridere perché non ha capito che
non parlava sul
serio, come al solito. A lungo andare, Castiel sembra iniziare a
trovare
spiacevole la sua abitudine di sghignazzare del suo scarso senso
dell’umorismo
e della sua assoluta incapacità di cogliere le referenze.
“Peccato,”
commenta prima di tracannare una sorsata di birra. “Ma come
puoi esserne
certo?” lo provoca con fare pedante.
Castiel
aggrotta leggermente la fronte. Osserva di nuovo per un secondo lo
schermo e
torna a guardare lui.
“Questi
personaggi sono frutto della fantasia umana e il loro mondo non esiste
in
nessun luogo della galassia,” snocciola compito, la voce
bassa e calma. “In
secondo luogo, non ne ho mai visti.”
Dean
sbuffa allungando le gambe davanti al divano.
“Solo
perché non li hai visti tu…”
“Dalla
creazione,” puntualizza Castiel appoggiandosi le mani in
grembo.
Dean
gli getta un’occhiata divertita, di sbieco.
L’angelo è seduto dritto contro i
guanciali, la schiena ben eretta e le gambe ordinatamente ripiegate
verso
terra. C’è sempre quella cosa che frulla nel suo
stomaco, quando osserva
Castiel e le sue mille piccole consuetudini che conosce tanto bene, il
suo
miscuglio di compitezza e innocenza da bambino con la scopa nel culo.
Ma questa
volta non sorride come al solito, annuisce lievemente.
“Sembra
un bel po’ di tempo,” mormora vago.
Castiel,
che si era rimesso a guardare con noncuranza il film, torna a
osservarlo
assorto.
“Non
saprei. Suppongo che debba dipendere dai punti di vista.”
Dean
sbuffa, sgranando gli occhi.
“Punti
di vista?” ripete scettico. “Vuol dire esistere
da… Sempre. È comunque un bel
po’ di tempo,” e mentre lo dice, gli viene in mente
che non ci ha mai pensato
veramente.
“Sì,
lo è.”
Ha
sempre trattato Castiel come un suo pari o come uno sciroccato
superpotente secondo
le occasioni, ma non si è mai soffermato realmente sul fatto
che sia un essere
che è sempre esistito e che ha visto scorrere milioni di
anni di storia. Forse
perché è un concetto al di là della
portata di un’intelligenza umana, forse
perché è Cas, forse perché
è ancora difficile concepire che un essere umano
come milioni di altri possa avere particolare rilevanza agli occhi di
qualcuno
che ha osservato l’intera storia
dell’umanità.
Forse
perché è doloroso pensare quanto a lungo un
Dean Winchester qualunque resterà
nei pensieri di una creatura eterna, quando non sarà
più lì. Per quanto tempo
Castiel si ricorderà dell’omino che ha strappato
via dall’Inferno, dopo che il
suo lavoro o la vecchiaia l’avranno portato via? Quante volte
visiterà il suo
paradiso – sempre che lui finisca per averne uno, cosa di cui
dubita - per
salutarlo, prima che lo scorrere del tempo e gli eventi del mondo gli
facciano
dimenticare il piccolo uomo che ha protetto e aiutato? Per quanto si
ricorderà
delle loro risate, dei loro Natali, dei battibecchi, degli sbuffi di
Sam quando
li vede parlottare per conto loro, quando dimenticherà la
conversazione che sta
avendo luogo, le volte che l’ha visto piangere, le reciproche
delusioni, i
Leviathan, sentirsi dire di essere la sua famiglia?
Forse,
tra un secolo o due, qualcuno dei suoi fratelli gli chiederà
della mancata
Apocalisse e lui ricorderà che l’ha sventata
insieme a quei due esseri umani,
quello alto che era stato creato per Lucifer e quell’altro
che faceva sempre il
contrario di cosa lui gli diceva e che è stato qualcosa come
un suo amico.
Cercherà di rammentare il suo nome ma non gli
verrà in mente, mentre si
occuperà della salvezza di qualcun altro o delle questioni
interne in Paradiso.
“A
cosa stai pensando, Dean?”
Nel
sentirsi rivolgere quella domanda attenta scrolla le spalle, con
noncuranza.
“Niente,
guarda il film,” risponde bevendo un altro po’ di
birra.
Castiel
torna a osservare lo schermo con la mansuetudine del guerriero sopito,
lasciandosi
scorrere davanti qualche immagine della battaglia di Helm. Gli uruk-hai
hanno
aperto il varco nella fortezza con una violenta esplosione e penetrano
all’interno.
“Potrò
anche essere vecchio,” riprende, senza spostare lo sguardo,
“ma ho una buona
memoria, Dean.”
Lui
sussulta e lo osserva imbarazzato, prima di aggrottare la fronte.
“Come
sai che stavo…?” borbotta.
Castiel
lo guarda di nuovo con un’espressione grave che è
quasi di ovvietà.
“Tu
pensi sempre di non meritare niente,” commenta piano.
“Nonostante ti sia stato
dimostrato più volte il contrario,” precisa con
tono quasi tediato, e gli
appoggia la mano sulla spalla con la sua goffa sicurezza. “Mi
ricorderò. Quando
sarai andato al di là ti verrò a trovare ogni
volta che avrò il tempo, oppure
sarai tu a chiamarmi. E sono ragionevolmente certo che il tuo paradiso
somiglierà all’interno di una gigantesca
automobile e ci saranno un gran numero
di donne discinte.”
Dean
soffoca una risata tra le labbra, senza distogliere lo sguardo.
“Non
ne sono sicuro, Cas.”
“Penso
di avere formulato una buona ipotesi,” osserva Castiel.
“Perché no?”
Perché
ci sarai tu,
è il pensiero spontaneo di Dean, sarai
bloccato lì e non te ne potrai più andare
svolazzando, come fai di solito.
E
non sa bene come, Castiel non gli può propriamente leggere
nel pensiero, ma
forse i suoi occhi lo stanno dicendo chiaro e tondo, forse è solo
troppo intenso, ma l'angelo
lo capisce. Dean lo sa dal modo in cui distoglie lo sguardo con la
fronte
aggrottata.
“Questo
non è molto corretto,” gli fa notare, pacato.
Lui
si schiarisce la voce e si ritrae per sistemarsi meglio sul divano,
ampliando
la distanza tra loro con uno slancio d’imbarazzo. Non ha idea
di cosa stia
succedendo da quando i Leviathan se ne sono andati, da quando Castiel
è tornato
Castiel e ha preso a trascorrere lì sempre più
tempo, tanto che ormai più che
un duo di Winchester sembrano uno strano trio. Non è tornato
stabilmente in
Paradiso, Dean non sa nemmeno bene quale sia la sua posizione: non
gliel’ha
chiesto e Castiel non ne ha parlato. Sta lì ed è
sempre più vicino.
“Pensi,”
mormora tanto per interrompere quello scomodo silenzio, “che
il paradiso di Sam
sarà nei paraggi?”
Castiel
piega la testa di lato, prendendo qualche secondo prima di rispondere.
“Suppongo
che la risposta che vorresti sentire sia sì,”
replica con tono neutro, “ma non
sono in possesso degli elementi per dartela. Non lo so.”
“Cas,
sai cosa? Sei veramente un vecchio rompiscatole,” protesta
Dean agitandogli
contro la bottiglia. “E smettila di fissarmi,”
intima con enfasi.
Castiel
lo scruta ancora per un paio di secondi, prima di voltarsi di nuovo
verso il
televisore, perfettamente inespressivo. Dean ne osserva il profilo per
qualche
secondo, reprime un sorriso e si riallarga sul divano, avvicinandosi di
nuovo
un po’. Soltanto un po’. Così poco che
potrebbe quasi sembrare un caso che il
suo ginocchio piegato si sia andato a incuneare appena sotto
l’avambraccio di
Castiel, quando lui glielo posa sopra.
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