Titolo:
Lie to me
Summary:
Sherlock
si passò le mani sugli occhi e si appoggiò al muro.
Sarebbe stato meglio
se gli avesse davvero dato un pugno.
Pairing:
SherlocK/John
Rating:
PG
Words:
1112
Disclaimers:
Non miei e “blablablabla!
Lascia stare! Abbiamo detto queste cose centinaia di volte!”
Notes:
Seguito di The
Most Exhausting.
Per la Sherlothon dello SFI sul prompt #8 (“La sua moralità
non è migliorata. Adesso, agli altri suoi vizi aggiunge anche
le bugie”) TEAM CANON!
Lie
to me
“Truth
is a word that's lost its meaning.
[…]
So lie to me […]
Make
me think that at the end of the day
some
great reward will be coming my way.”
(Depeche
Mode)
Sherlock si passò
le mani sugli occhi e si appoggiò al muro.
Sarebbe stato meglio se
gli avesse davvero dato un pugno. (1)
Si staccò dal
muro e salì le scale fino alla porta di John, risoluto.
Fu tentato di aprirla
ed entrare senza bussare, però poi pensò che in fondo
non era una buona idea.
«John.»
chiamò allora.
Silenzio.
«John.»
Ancora silenzio.
Sospirò.
Appoggiò il braccio alla porta e la fronte sul braccio. Perché
doveva essere tutto così difficile?
«John. Potresti
aprire questa porta? Per favore.»
Sempre silenzio.
Sherlock si raddrizzò
e strinse le labbra. «L'avrai voluto tu.» mormorò.
E cominciò a
bussare. John poteva anche essere un testardo, ma lui lo batteva
senz'altro, e di parecchie incollature, per giunta. Bussò
ininterrottamente per quasi dieci minuti. Si stupì della
resistenza di entrambi, a dirla tutta. Bussò finché
John aprì la porta con aria stanca e lo guardò.
«Cosa vuoi,
Sherlock?»
Lui chiuse per un
momento gli occhi e sospirò ancora. Che cosa voleva?
«Non lo so...»
ammise.
Probabilmente niente.
John scosse la testa e
tentò di richiudere la porta ma la mano di Sherlock fu più
veloce a bloccarla.
«Non stai facendo
le valige, vero?» chiese prima di poterselo impedire.
Lui lo guardò
come se fosse impazzito. «Certo che no. Dove potrei mai
andare?»
Dalla piattola, per
esempio.
«Da Sarah, per
esempio.»
«Non dire
sciocchezze.»
Sherlock si prese un
attimo per prodigarsi in un mezzo sorriso sollevato, senza smettere
di fissarlo. Non se ne stava andando, era lì, e ci sarebbe
stato sempre. Ci credeva come non mai in quel momento. Era lì,
era suo.
«Fammi entrare.»
disse a mezza voce, come se si vergognasse del suo bisogno di lui.
Tremendo, disumano bisogno di lui.
John scosse la testa.
«No.»
«Perché?»
«Perché
sono stanco, Sherlock! Sono esausto!»
Sherlock si mise a
osservarlo. Era stanco, davvero. Gli occhi spenti, socchiusi, oltre
le palpebre pesanti, erano fin troppo eloquenti.
«Mi odi.»
diagnosticò.
«Lo preferirei di
gran lunga, credimi.» sibilò John «Ma ci vorrebbe
troppa fatica. Molta più di quella che mi serve per starti
vicino.»
Sherlock scosse la
testa. Gli si era bloccato un sapore amaro alla bocca dello stomaco.
«Perché
fai così? Sai che non posso mentirti. Non a te. E a dirla
tutta non voglio nemmeno!» disse.
John lo trapassò
con uno sguardo gelido. «Impara a farlo, allora.»
Lasciò andare la
porta e Sherlock ne approfittò per entrare. Il suo coinquilino
sospirò pesantemente quando la sentì chiudersi. Vide le
sue spalle abbassarsi distintamente e la testa fare un cenno di
diniego. Si stava arrendendo.
«Dimmi perché
dovrei mentirti.»
John non si voltò.
Alzò la testa in alto, come se stesse parlando con qualche
entità superiore. «Ne ho bisogno, Sherlock! Sono un
essere umano, e ho bisogno di speranza! Ho bisogno di aggrapparmi a
qualcosa! Ho bisogno di avere un conforto, una rete su cui cadere!»
«Non esiste una
rete, John! Perché cullarsi nell'illusione che ci sia quando
sappiamo entrambi che non è così?»
Cominciò a
dubitare delle sue capacità intellettive: gli sembrava
abbastanza chiara come esposizione, eppure continuava a non capire il
punto. Perché? Perché mentire, agli altri e a se
stessi, quando la realtà è così chiara?
«Perché è
l'illusione di averla che porta le persone ad andare avanti,
Sherlock!»
Avevano alzato la voce,
come avevano fatto prima. John si era girato a guardarlo in viso, sul
quale Sherlock vedeva solo rabbia e frustrazione. Nessuna traccia
della stanchezza fisica. Lui abbassò il capo sospirando,
sconfitto, e parlò con tono più calmo. Si era pentito
di aver urlato, probabilmente. Aveva anche lo sguardo più
dolce. Ora riusciva a vedere il suo John.
«Il fatto è
che tu non credi in niente. Nell'esattezza della scienza, forse, e
sicuramente in te stesso, quel tanto che ti basta per far sentire il
resto del mondo una merda secca. Io invece credo in molte cose,
Sherlock. Credo che la vita vada sempre in modi diversi da come
l'abbiamo programmata. Credo che se mangio una fetta in più di
pane tostato con la marmellata a colazione poi la giornata andrà
meglio. Credo che incontrarti e vivere qui con te sia stata la cosa
migliore che mi sia mai capitata. E non è facile, non è
facile per niente! Tu non rendi le cose facili, mai. Eppure io sono
felice. E lo so che tu non riesci a capire quello che sto dicendo
perché fa tutto parte del mondo di noialtri comuni mortali che
hanno bisogno anche delle bugie inutili per sopravvivere. Perché
noi sopravviviamo, Sherlock. In questo credo. Ed è esattamente
pensare di sopravvivere che ci permette di sopravvivere. Anche
se in questo momento mi risulta tremendamente difficile, perché
tutta questa realtà è soffocante.» (2)
Puntò i propri
occhi nei suoi, e Sherlock provò uno strano senso di vuoto
all'altezza dell'ombelico. Le viscere gli fecero male, ed ebbe la
certezza che il suo corpo stesse mettendo in atto una rivoluzione nel
momento in cui John gli si avvicinò e gli prese il volto tra
le mani.
«Lo so che ti
sembra stupido. Lo so. Ma io ne ho bisogno. Ho bisogno di
convincermi che sopravviverò. Ho bisogno che tu me lo dica,
anche se non ci credi. Potrei credere a qualsiasi cosa se me la
dicessi tu.»
Aveva di nuovo smesso
di respirare. Era la seconda volta a distanza di pochi, miseri
minuti.
«Se vuoi le
bugie, allora te le darò. Ti dirò tutte le bugie che
vuoi.»
John tirò le
labbra in un sorriso debole, chiuse gli occhi e appoggiò la
fronte contro il suo mento.
«Mentimi, ma
fallo con sincerità.» sussurrò. (3)
Sherlock gli mise le
mani tra i capelli. La sua moralità non era migliorata.
Adesso, ai suoi vizi aggiungeva anche le bugie. La verità è
che non faceva molta differenza.
«Ascoltami bene.
Io e te usciremo da questa situazione. Non sentiremo mai più
parlare di Moriarty. Tu non hai nulla da temere, e, quando sarà
finita questa storia, non avrai mai più nulla da
temere.»
John annuì come
se stesse immaginando la scena. «Dimmi che non hai nulla da
temere nemmeno tu.»
«Non ho nulla da
temere nemmeno io.»
«Dimmi che non ti
farà del male.»
«Non mi farà
del male. Non può. Ci sei tu a proteggermi.»
John strizzò gli
occhi, per scacciare questa scena.
«E se io non
potessi farlo?»
«Ne dubito.»
«Hai così
fiducia in me?»
«Potrei non
averne?»
John esalò una
mezza risata. Sherlock sentì le sue dita tentare di
aggrapparsi quanto più possibile al suo viso. Lasciò i
suoi capelli e gli prese le mani.
«Io credo in te.»
John gliele strinse
forte, in modo convulso. Aveva il respiro affannoso. Aveva bisogno
di lui.
«Non stai
mentendo.»
«Non so mentire
così bene.»
John aprì gli
occhi.
«Andrà
tutto bene.»
«Andrà
tutto bene.»
Perfino Sherlock ne
aveva la certezza. Come aveva la certezza che anche lui stava
sopravvivendo. Ed era pensare di sopravvivere, che glielo consentiva.
Era pensare di avere John che gli permetteva di sopravvivere.
Lui sospirò. «Lo
so che sono solo bugie, ma è bello sentirle.» mormorò
poi. (4)
Non ne aveva mai dette
di più sincere.
Notes, again:
Dopo soltanto 15
mesi, ecco il seguito! Perdono!
Titolo e citazione da
Lie to me dei Depeche Mode ♥
Citazioni: (1) finale
di The Most Exhausting; (2) Izzie. Perché ultimamente
Grey's Anatomy mi uccide più del solito; (3) Lie to
me; (4) The Crying Game di Neil Jordan, uno dei miei film
preferiti.
Soliti dovuti
ringraziamenti a Sonia. ♥
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