Cinque anni dopo
Titolo: Cinque anni dopo
Fandom:
CSI: NY
Personaggio
Principale: Donald "Don" Flack Junior
Rating:
Verde
Sei In Time:
Maggio 2011
Note:
One-shot; What-If? - perché, come sempre, Jess non è morta. Avete
notato come nelle mie storie lei sopravviva sempre?
Questa shot è stata
scritta giusto un anno fa e postata solo sul mio LJ per celebrare la conferma
della Stagione otto. Quest'anno, la CBS ha deciso che ci meritiamo un'altra
stagione e quindi...
Ah, la storia non vuole
essere niente di troppo impegnativo.
Cinque anni
dopo
Di
solito, il sentimento predominante era la rabbia. Ti alzavi e ti preparavi per
il tuo turno, cercando di non pensarci. Ma, in un angolo nascosto della tua
mente, un angolo che non sapevi nemmeno di avere - e che non ti creava
alcun problema durante gli altri trecentossessantaquattro giorni dell'anno - sentivi la
rabbia crescere pian piano, in modo costante. Tempo di arrivare in Centrale, e già i
colleghi ti lanciavano occhiate strane (ma di nascosto. Ovviamente). E quelli
della scientifica cercavano di ignorare quanto ti stava accadendo, perché loro
sapevano - e sanno - quanto poco ti piace ricordare quel maledetto giorno. Ma la
rabbia, lenta, continuava a salire, a diffondersi nel tuo corpo, come un veleno
letale. Eri più duro durante gli interrogatori, eri meno divertente nelle
tue solite battute. Eri come distaccato. Poi, a fine turno (non ti fermavi mai,
quel giorno, più del necessario) andavi a casa e, con metodo, ti
ubriacavi, e, pieno di ira, mandavi a quel paese quel dannato demente che
aveva pensato fosse una buona idea mettere alla prova la città.
Pensavi a quel giorno. Non che ricordassi
molto, solo immagini vaghe e confuse, la voce di Mac, la mano di Mac, qualcuno
che batteva contro i muri, facendo un rumore sordo che ti rimbombava in testa
ed un dolore strisciante ed inenarrabile sotto la pelle, in un punto
non definito all'altezza dell'ombelico. Come se il tuo stomaco fosse diventato un
cratere dopo un'esplosione violenta. E non per fare una battuta.
Non l'avevi mai cofessato a nessuno, tantomeno alla psicologo del dipartimento che
ti aveva seguito dopo la dimissione dall'ospedale, ma, mentre te ne stavi
sdraiato ed inerte, con la tua vita a scorrere tra le dita di Taylor, avevi desiderato che tua
madre si materializzasse lì, Volevo la mamma, la mia mamma, come un
qualunque bambino piccolo e spaventato. Io, che dico sempre di farcela da solo.
Il pensiero ti imbarazzava continuamente, come se fosse qualcosa di
sbagliato. Era ammettere di avere avuto davvero paura, era ammettere di
ricordare qualcosa di tangibile e preciso. E se lo avessero scoperto,
sicuramente avrebbero voluto sapere quanto altro ricordavi.
Lessing. Grazie a lui,
erano seguite settimane in cui anche il solo pensiero di alzarsi era
sconvolgente. Ti eri svegliato in ospedale e, meraviglioso, tua madre era
lì, con il viso come incartocciato e gli occhi arrossati. Il sorriso che ti
aveva fatto era stato come il sole e ti aveva fatto sentire meglio e peggio allo
stesso tempo. Ma non era la prima volta che ti risvegliavi, solo che non te lo
ricordavi. Te lo aveva raccontato Mac e sapevi che non poteva essere altro
che la verità Il giorno dopo l'esplosione, avevi aperto gli occhi e lui era
lì. E Stella era fuori dalla porta a sorridere, parlando al telefono con
Danny. C'era anche il dottore e, a sentire la ricostruzione fatta, avevi persino
parlato. Ti ricordavi a spanne quello che era successo e lo avevi detto
prima di piombare, di nuovo, nel buio causato da shock, panico, dolore e
medicinali.
Non era stato
facile. Muoversi, mettersi a sedere, alzarsi su ginocchia tremanti e
camminare. Ogni singolo passo verso la guarigione sembrava impossibile da fare.
Nascondevi la paura di non farcela e combattevi con determinazione per
tornare ad essere chi eri, il duro detective della omicidi, figlio di
cotanto padre, che difficilmente si tirava indietro o faticava a raggiungere un
obiettivo. In quei giorni di maggio combattevi anche contro te stesso, contro la
tua parte fragile, spinto dalla tua incrollabile forza di volontà, la stessa
forza di volontà che ti portava a non arrenderti ed a voler vedere solo la via
d'uscita. La stessa forza di volontà che ti aveva spinto a fidarti di Moran e di
Truby. Ma avevi lottato. Ed eri tornato.
Ma non eri lo stesso
uomo, non potevi esserlo. Mesi dopo continuavi a sentire il dolore della
cicatrice, specie dopo giornate particolarmente intense. Senza accorgertene,
quando assumevi la posizione di difesa, la mano sinistra andava a proteggere
istintivamente il fianco sinistro. Ti sentivi come una sorta di eroe greco col
suo bel punto debole da nascondere. Il problema era che molti sapevano
dov'era. Non i sospettati, loro no, ma i colleghi ne erano al corrente. Li
vedevi come ti fissavano, prendevi nota del modo in cui il Sergente
sembrava controllare il tuo peso per capire se c'era qualcosa che non andava.
Non volevi cedere e non sei ceduto. Non eri lo stesso, ma forse potevi essere
qualcuno di più forte. E ci hai creduto fino al primo anniversario, quando la
rabbia ha cominciato ad accecarti non appena aperti gli occhi.
Durante le sedute terapeutiche il dottor Hymes ti
aveva suggerito di andare a trovare Lessing in carcere o di scrivergli una
lettera per chiudere la questione; ma tu non eri - e non sei
- tipo da lettere e non ti andava di andare a trovare l'uomo che aveva
così drammaticamente cambiato la tua vita. Come Superman, avevi paura che lui
fosse la tua kriptonite, l'ostacolo oltre cui non saresti potuto andare. Quindi
nessuno sapeva e doveva sapere della tua rabbia. Tanto più che durava solo un
misero giorno.
Ma quest'anno qualcosa è cambiato. La
sera precedente, verso mezzanotte, rientrato dal tuo turno avevi trovato Jess sveglia ad aspettarti.
Sapevi che era reduce da un doppio turno, quindi eri sorpreso di vederla lì,
seduta a gambe incrociate sul letto, a fissarti con quei suoi enormi occhi.
"Non dormi?"
"Sono contenta che sia
qui"
Poi si era alzata e ti aveva afferrato trascinandoti sul letto, senza darti la
possibilità di spogliarti e prepararti per la notte, e si era sdraiata
accanto a te, cercando di stringerti il più possibile. Dopo pohi minuti il suo
respiro regolare ti aveva fatto capire che si era addormentata. E tu, con un
mezzo sorriso sul volto, eri rimasto a letto senza poterti muovere. Ti stavi
domandando come fare per toglierti almeno le scarpe senza svegliarla quando ti
eri, a tua volta, addormentato. La mattina lei se ne era già andata, lasciandoti
una tazza di caffè sul tavolo ed una ciambella alla vaniglia. Ti eri alzato, un
po' scombussolato per la notte appena passata e poi, dopo aver fatto colazione,
ti eri preparato. Mentre ti allacciavi le scarpe avevi realizzato che non eri
arrabbiato. Ma grato.
E quindi, eccoti qui,
nel giorno che odi di più, di fronte all'ingresso del carcere. Perché Lessing lo
deve sapere che non sei più lo stesso uomo, ma sei un uomo migliore. Lessing
deve sapere che, grazie a lui, una giovane detective è stata trasferita nel tuo
distretto per star dietro ai tuoi casi mentre guarivi. Lessing deve sapere che
dall'esplosione è nato qualcosa di buono, perché tu e Jess, insieme, siete la
cosa migliore al mondo, perché il suo gesto, apparentemente senza significato,
fatto proprio allo scoccare di quel maledetto giorno, ha cambiato il tuo modo
di vedere il maggio di cinque anni addietro. Lei è contenta che sei vivo. Ed,
improvvisamente, lo sei anche tu, fino in fondo, fino al cuore.
E Lessing lo deve
sapere.
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