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“Dicono che ci sia un regno oltre le nuvole, il regno dei nostri avi, della nostra stirpe.
Pare che l’abbiano sigillato secoli e secoli fa, in seguito a una guerra con gli umani.
Poi il passaggio è stato aperto di nuovo, ma solo per richiamare gli altri rimasti indietro.”
“E noi? Perché noi siamo ancora qui?
Ci hanno dimenticati? Non ci volevano?”
“…Un giorno ti ci porterò, troverò il modo.
E non saremo più soli.”
Nei
suoi quasi trent’anni di vita, mai più gli era capitato di
trovarsi di fronte a una scena così dolce, così triste.
Era ancora un bambino quando
la guerra imperversava ancora attorno a Varadiél, capitale di un
impero in rovina. Una guerra inutile e senza scopo, come quelle che
l’avevano preceduta, come quelle che sarebbero venute. Era nato
durante il conflitto, e non conosceva né comprendeva altre
realtà.
Eppure, un giorno la guerra
finì. E di quell’ultimo giorno, più che la gioia e
l’euforia di una nuova vita, di un nuovo mondo, gli rimase
impressa solo la disperazione e l’agonia di quella creatura
così fiera, così potente e orgogliosa.
Sotto lo sguardo incredulo e
atterrito della popolazione e dei soldati superstiti, sotto
l’ultima cinta muraria rimasta intatta, lì giacevano i
corpi degli ultimi due draghi rimasti al mondo. Uno di essi era riverso
su un fianco, stremato dalla lotta per la difesa della sua
città.
Era stanco, così stanco…
L’altro rimaneva
accucciato accanto a lui, ascoltando mesto il rantolo sofferente che
accompagnava ogni suo respiro, sempre più faticoso, sempre
più lento.
“Un giorno verrò a prenderti.”
E poi il silenzio.
Il compagno lo smosse, sollevò una sua ala con il muso, solo per vederla ricadere inerte.
Per lunghi attimi rimase
immobile a guardarlo, prima di allargare le ali argentee e ricoprirlo
con esse, chinando il muso sul suo corpo.
Era rimasto solo.
E lui, ancora bambino, pianse
per loro, pianse per coloro che non erano sopravvissuti e per chi era
rimasto solo. E pianse per sé stesso, perché non poteva
fare nulla. Sapeva solamente osservare, solamente versare le proprie
lacrime per quella creatura devastata da un dolore che non aveva mai
visto, un dolore silenzioso e lacerante, che sapeva di solitudine e
incredulità.
Il drago rimase immobile per
giorni, mentre il cadavere dell’altro si cristallizzava. E lui
tornava ogni volta, credendo di alleviare il suo senso di abbandono.
Dopo la decima alba di immobilità, la sua vita cambiò.
All’improvviso, il drago
si sollevò sulle possenti zampe posteriori, sgranchendo le ali e
distendendole in tutta la loro ampiezza, e spalancò le fauci,
urlando al cielo la sua furia. Un misto di rabbia e dolore che fece
tremare la terra, terrorizzando l’intera vallata, rimbombando
feroce nel torace, invadendo l’anima.
Sempre ruggendo, il drago
piombò sulle zampe anteriori, frustando l’aria con la coda
e dimenando le ali come impazzito.
L’urlo andò scemando.
Il bambino, stordito dalla
voce della creatura, pensò che forse si stava calmando, ma pian
piano si rendeva conto che un timbro diverso si stava gradualmente
sovrapponendo allo sfogo. Il drago cambiava forma: le dimensioni si
riducevano sempre più, le scaglie scomparivano, riassorbite
dalla pelle, le ali si ritiravano, così come la coda. La cresta
pungente si trasformò in morbide ciocche e gli artigli si
ridussero fino a diventare innocui. Candida pelle aveva sostituito la
coriacea corazzatura del drago, e ora era una voce femminile a levarsi
al cielo, fino a morirle in gola.
Davanti a lui era comparsa una
donna, rannicchiata su se stessa, la testa fra le mani, coperte
da lunghi capelli ambrati. Non aveva abiti, non aveva lacrime.
Lui prese coraggio e le si avvicinò, posandole il mantello sdrucito sulle spalle.
Occhi di ghiaccio si fissarono nei suoi.
“Resterò io con te.”
Ray fece scorrere lo sguardo
sugli invitati, senza soffermarsi su nessuno, ma analizzandoli tutti.
La nobiltà era sopravvissuta. La nobiltà sopravviveva
sempre.
Erano peggio delle erbacce… difficili da sradicare.
Spostò la sua
attenzione oltre le coppie danzanti che occupavano il centro del
salone, vagando senza una precisa ragione in mezzo a quegli altezzosi
lord e le loro vanitose dame che esponevano orgogliose i loro gioielli,
perdendosi in chiacchiere frivole sulle ultime mode di corte.
Incontrò il gruppo di
cortigiane e nobili di alto rango che attorniavano in modo casuale il
giovane sovrano e il suo interlocutore, qualcuno di molto, molto
importante. E altrettanto poco interessante.
E poi c’era lei.
In vent’anni, lei non
era cambiata affatto. Sempre gli stessi capelli color castano dai caldi
riflessi ambrati, sempre gli stessi occhi gelidi del colore del cielo.
Immutabile. Vuota.
Niente
cambiava in lei, né il suo aspetto né la sua espressione.
Come una bambola di vetro, osservava il mondo passarle davanti, mentre
la storia si srotolava ai suoi piedi senza che ciò la toccasse
minimamente.
Tutto le scivolava addosso senza fare la minima presa.
Non aveva più riassunto il suo vero aspetto.
Come aveva promesso, era
rimasto al suo fianco, osservando il sonno in cui era piombata, senza
sapere come salvarla. Non era più un bambino, ma cosa era
cambiato? Di nuovo, si sentiva inutile.
E quindi ecco che si limitava a proteggerla, come sua guardia personale, senza poterle però stare accanto.
Il suo posto era accanto a una
parete, fuori da una stanza, a capo della scorta a cavallo, al tavolo
dei nobili di basso rango. Gli unici degni di stare al fianco della
divinità di Varadiél, l’ultimo drago, appartenevano
alla famiglia reale.
E così, Ray continuava a osservare da lontano, ancora una volta.
Verso sera, una raffica di
vento scosse i vetri di una delle grandi finestre del salone, facendo
sobbalzare gli invitati che vi si trovavano accanto, senza però
allarmarli troppo.
In seguito di furono altri
tremiti, sempre più forti, sempre più furiosi,
finché il frastuono delle vibrazioni non soverchiarono la musica
degli orchestranti. Furono chiamati dei soldati e dei maghi, per paura
di un attacco nemico, e tutti si allontanarono dalle finestre,
terrorizzati da quell’improvvisa violenza di un vento che si era
sempre dimostrato mite a Varadiél.
Un ultimo colpo
frantumò i vetri in mille frammenti che invasero il salone,
graffiando e strappando abiti, venendo trasportati fino al soffitto e
poi dritti verso il re. Ma non era lui che volevano.
Raggiunsero lei,
senza però sfiorarla, vorticando attorno al suo corpo in una
brezza resasi lieve, come un sospiro, una carezza. Il vento si
immergeva fra i suoi capelli intrecciati, smuoveva il suo candido
abito, un sussurro solleticarle l’udito, mentre frammenti lucenti
danzavano attorno la sua figura.
Poi qualcosa cambiò.
Ray vide i suoi occhi risplendere nuovamente di luce, vedere di nuovo.
I vetri ricaddero a terra.
Lei cominciò a correre
verso la grande terrazza che costituiva una continuazione del salone,
liberandosi dei pesanti gioielli e dei fermagli di pietre preziose,
accompagnata dal vento.
Corse fino al parapetto, sul quale si riversò per guardare al di sotto.
- Aspetta!
Si voltò a guardare Ray, fermo a pochi passi da lei.
- Cosa vuoi fare?
Continuò a osservarlo
per diversi istanti con un’espressione incerta sul bel viso, per
poi mutare in una smorfia che per un attimo si sovrappose
all’immagine di lei china sul compagno. Poi si voltò e
là, in piedi sulla balaustra, c’era lui, con il suo portamento fiero, i capelli del color del grano e la mano tesa nella sua direzione.
- È venuto a prendermi. – disse con voce rotta.
Salì senza
difficoltà sul parapetto, e quando si girò ad affrontare
Ray, non c’era più traccia né della bambola vuota,
né della disperazione di quella prima volta in cui si erano
incontrati.
- Ho vissuto a lungo, anche troppo. Lasciami andare.
La schiena dritta, lo sguardo fermo, il sorriso sicuro incorniciato dai capelli fluenti, liberi.
- Mi spiace solo di non poterti restituire le lacrime che hai pianto per me.
Non rispose. Non c’erano parole che potesse pronunciare senza trovarle inadatte o sciocche.
Così portò la mano destra al petto e chinò la testa, in segno di saluto e rispetto.
Il drago piegò le
labbra in un sorriso più dolce e s’inchinò a sua
volta, prima di compiere un passo nel vuoto e scomparire alla vista tra
le urla e i sussulti delle varie persone che nel frattempo erano
accorse.
Ma dal basso salì una
corrente ascensionale, prima flebile, poi sempre più potente. E
tra lo stupore di tutti, due enormi figure alate sfrecciarono verso il
cielo, lasciando dietro di sé una scia di luce.
Ray rialzò la testa. Il vento era morto.
Continuarono a volare, forzando le poderose ali per ottenere più potenza.
Volarono più in alto di quanto non avessero mai fatto.
Volarono oltre le nuvole, volarono oltre le stelle.
Poi il cielo si aprì.
“Siamo a casa.”
Salve a tutti, grazie per aver letto questa storia imperfetta!=)
Si è classificata quarta al contest [Original Scene 2] Il Sonno e... l'Inchino, indetto sul forum degli Original Concorsi e valutato da Harriet.
Bisognava inserire nella storia due scene, una riguardante
l'azione del sonno (riposo, eterno, o anche il momento del risveglio,
ecc...) e una un inchino.
In questa storia sono presenti due volte entrambe le scene, all'inizio,
con il sonno eterno di uno dei due draghi e l'inchino dell'altro sul
cadavere del compagno, e alla fine, con il risveglio dal "sonno del
cuore" di Lei e l'inchino di congedo di Ray e, di nuovo, Lei.
Come già scritto nell'introduzione, questa storia è
ambientata nello stesso universo di una long attualmente in corso, The Heir of the Dragons, ma totalmente slegata riguardo a personaggi e assetto temporale... anzi, direi che è enormemente successiva XD
Non credo di aver altro da dire, per cui... grazie di nuovo di esser
passati e lasciatemi pure un vostro commentino, mi fareste molto, ma
molto felice!=D
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