I want so much to
open your eyes
(Cause
I need you to look into mine)
Rosemarie la guarda
– passa ore a guardarla – e pensare a Claudine come
a una donna è come pensare che il Sole sorga ad ovest e la
neve cada d’estate. Innaturale, semplicemente.
È
qualcosa nel suo portamento, nella schiena dritta, nella testa alta.
Potrebbe definirla rigida,
ma non sarebbe la parola giusta.
È
nel modo in cui monta a cavallo e galoppa con la destrezza di un
fantino professionista, concentrata e senza pensieri al medesimo tempo.
È nei suoi gesti e nelle sue parole, da giovane gentiluomo
perfino quando è irruenta o maleducata – e lo
è spesso con Rosemarie, e se da un lato talvolta perfino lei
stessa ammetta di meritarlo, dall’altro continua a domandarsi
se Claudine capirà
mai davvero.
È
nello sguardo di quei limpidi occhi marroni, quasi rossi nella luce
giusta, che scrutano e analizzano tutto e tutti, intelligenti e
impassibili, e non vedono mai le cose più evidenti.
È come se Claudine non li aprisse mai veramente.
Non
li apre nemmeno per guardare Maura, la nuova domestica con il volto da
bambina e i ricci d’ebano. Ma d’altronde neanche
Maura la guarda, nemmeno quando giocano nella neve e la sua risata
squillante risuona nelle orecchie di Rosemarie trafiggendole come mille
aghi.
Eppure,
Rosemarie spera ancora che Claudine posi il suo sguardo penetrante su
di lei e la guardi, perché solo nei suoi occhi riuscirebbe
finalmente a vedere il suo riflesso, puro e nitido:
l’immagine di un giovane uomo dai capelli d’oro e
gli occhi ardenti di fuoco allo specchio.
E
forse, allora, negli occhi di Claudine Rosemarie potrebbe vedere la
donna di quell’uomo quasi perfetto.
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