Mitrono
fragolottina's time
c'era una volta una giovane donna
che, persa in un romanzo a dir poco sublime ambientato in un futuro
imprecisato ed alternativo, voleva scrivere una grande saga con
ambientanzione cyber-punk - ma solo ambientazione -, un figo della
situazione pazzesco, una cheerleader bionda ma bassa ed un po' di
Veggenti random, perchè alla sopraccitata giovane donna
piacciono da morire...
dalle sue riflessioni è uscito fuori il Mitronio - si è
sentita molto figa per avergli dato un nome - ed una città
industriale, poco città e molto industria, Synt.
fu così che fece la conoscenza di Zach Douquette e decise di voler scrivere quello che aveva da raccontare...
0.
Atom
Day
L’esplosione
della centrale nucleare Vermont Yankee, situata a Vernon nella contea
di Windham, non fu più devastante di quella della centrale
nucleare di Chernobyl, in Ucraina, nel 1986, o più
contaminante della fusione dei tre noccioli dei reattori di Fukushima
nel 2011.
Sembra strano, quindi, che proprio quel disastro segni una
svolta nella storia dell’umanità.
Se non la devastazione o la propagazione radioattiva, quale
fattore fece la differenza?
Soltanto una donna, Selma Griffith, che non si sarebbe
scomodata più di tanto se suo figlio, Daniel Griffith, non
fosse stato in visita da un suo compagno di università
proprio nel Vernon. Fu l’amore per lui che la
portò a telefonare ad ogni ente governativo, del quale
riuscisse a trovare il numero, ripetendo sempre la stessa frase:
“Sono Selma Griffith, sono una Veggente, la Vermont Yankee
sta per esplodere”.
Si dice, che quando infine il disastro si
verificò, lei fosse proprio al telefono con l’Ente
Protezione Ambientale.
Quella telefonata venne resa pubblica, lei arrestata.
Venne interrogata mille e mille volte, non cambiò mai la sua
versione: sapeva perché aveva visto, aveva visto
perché era nata con quel dono. Travolta
dall’attenzione mediatica, non realizzò che quello
che voleva la ADP, la divisione dell’FBI appositamente creata
per gestire quel nuovo problema, non era soltanto stabilire la
verità delle sue ammissioni, ma sapere se di persone come
lei, “con il dono”, ce ne fossero altre.
La risposta che Selma Griffith diede fu semplice:
sì.
1.
Asta
“Tutto
questo non sta succedendo a me” mi ripetei ancora. Chiusi gli
occhi ed inspirai. Cercai di lasciare fuori le voci, le grida di
pianto, la mano che teneva il mio braccio per guidarmi e non lasciarmi
scappare. Aprii gli occhi ed espirai, dovevo mantenere la calma
necessaria a continuare ad illudermi: le mie capacità visive
mi stavano ingannando, quello che stavo attraversando non era un
corridoio tra due file di celle in vetro identiche. Io non potevo
essere ad un’Asta.
C’era un ragazzo che mi piaceva a scuola, un giocatore di
pallacanestro, due giorni prima avevamo pranzato insieme: il giorno
dopo saremmo dovuti uscire.
La mia migliore amica di allora, Taylor, avrebbe suonato in un locale
con il suo gruppo, i “Dancing Rabbits”, quel
sabato: le avevo promesso di esserci perché era la cantante
ed aveva bisogno di una faccia amica tra il pubblico, sulla quale
concentrarsi per non andare in panico.
Quel pomeriggio mi sarei dovuta esibire all’apertura della
partita di basket come sostituta cheerleader di una ragazza titolare
ammalata. Aspettavo un’occasione del genere dalla primo
giorno di liceo, quando per la prima volta avevo visto delle ragazze
con la divisa viola ed oro ed i pompon tra le mani.
Quindi, tutto quello non poteva accadere proprio a me.
Mi spinsero dentro una stanzetta con le pareti trasparenti,
larga circa due metri quadrati ed alta tre, e chiusero la porta alle
mie spalle. Non per intrappolarmi, no signore, l’ADP ti prelevava. Ogni sei
mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello Stato, di età
compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un
test. Un semplice questionario a scelta multipla. Le domande potevano
essere di cultura generale, di materie particolari, nel mio
c’era stato perfino un quiz che aveva richiesto la scelta tra
tre fiori. Non c’era modo di sapere chi lo avrebbe superato e
chi no. Non c’era una risposta giusta ed una sbagliata.
C’eri soltanto tu.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale
dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo
normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo;
il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od
ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un
Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test
clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una
cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa
del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la
caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante.
Ed era davvero ridicolo, insomma io ero una normale
diciassettenne, non credevo di avere particolari abilità,
non avevo modo di crederlo. Ero una cheerleader e neppure tanto brava,
visto che ero una riserva. Di norma i potenziali Veglianti si erano
distinti negli sport o in qualche materia scolastica, cervelloni o
fusti, non cheerleader con problemi con l’algebra.
Ad ogni modo, se eri una potenziale Vegliante, se eri me, ti
prelevavano da casa dopo le lezioni e, dopo aver fatto firmare un
consenso informato ai tuoi genitori, ti portavano a New York con un
treno esclusivo, controllata a vista da delle guardie. Ti guidavano in
un fabbricato grande quasi quanto la mia città e ti
chiudevano in una stanzetta di due metri per tre, in attesa che il
Responsabile di una squadra di Veglianti facesse la sua offerta e ti
comprasse. Non sapevo cosa accadesse ai potenziali Veglianti che non
venivano scelti, ma immaginavo che lo avrei scoperto presto.
Restai ferma a guardare le pareti di quello che sembrava
plexiglass, anche se sospettavo fosse di un materiale molto
più resistente. Qualche anno prima la scuola ci aveva
portati a visitare l’acquario, immaginavo che i pesci si
fossero sentiti proprio come me in quel momento. C’era
soltanto una sedia all’interno, una sedia ed una busta di
carta. La presi in mano per scrutarne il contenuto: cibo, un panino ed
una bottiglietta d’acqua. Mi sedetti e ne presi un sorso, non
avevo davvero sete, ma era un gesto così normale da
allontanarmi dai pensieri terribili che quella situazione non poteva
far altro che portare.
Ogni volta che moriva un Vegliante, a scuola si osservava un
minuto di silenzio per commemorarne la morte: quante volte mi ero
alzata in piedi ed ero rimasta a capo chino in religioso silenzio per
un minuto? Dieci? Venti?
C’erano altri due ragazzi accanto a me, ognuno
dentro la loro privata scatola trasparente. A destra c’era
una femmina dai lineamenti ispanici che continuava a singhiozzare
disperata, tremando. La guardai e mi trovai a pensare che da qualche
parte nel mio cuore avevo voglia di piangere. Fin da quando la guardia
aveva suonato alla nostra porta. Era come un formicolio dietro alla
nuca, a metà tra il panico e la paura, ma avevo promesso a
mia madre di non farlo. Aveva pianto lei, le mie lacrime insieme alle
sue, mentre aveva continuato a ripetermi di essere forte,
“piccola, ma agguerrita”, mi aveva incoraggiata con
un sorriso umido. Mio padre nell’altra stanza discuteva i
dettagli con i poliziotti che erano venuti a prendermi, pallido come
non lo avevo mai visto.
«Dille di stare zitta!»
Mi voltai bruscamente a sinistra per osservare il ragazzo che
aveva parlato, aveva l’aria corrucciata e lo sguardo fiero,
quasi minaccioso, accentuato dai capelli cortissimi.
«Sono ore che va avanti così, inizia ad
essere stancante.»
A differenza di me e dell’altra, lui stava in
piedi, rigido e rigoroso come un soldatino di piombo.
«Dovrebbe essere orgogliosa di essere stata
scelta.»
Sapevo che ce ne erano di fanatici come lui, gruppi di
ragazzi troppo aggressivi: ignoravano i test ed andavano in giro ad
intimidire anche i potenziali Veggenti, come se fosse una colpa nascere
con un gene diverso. Il governo, ovviamente, non autorizzava certe
rappresaglie, ma non le condannava neppure. Ma io credevo che ci fosse
una bella differenza tra chi non aveva mai conosciuto la propria
situazione ed accettava di buon grado la cura, e chi la rifiutava
cercando di sabotare le produzioni di Mitronio o aderendo alla loro
più orrenda legge: “un bambino vostro per ognuno
nostro”.
«Deve essere orgogliosa di avere la
possibilità di spazzare via quei manipolatori.»
Era questo il motivo di tanto astio, di quella guerra: se
conoscevi il futuro, se potevi vedere ogni conseguenza di ogni azione,
chi garantiva che tu non potessi anche sfruttare sette miliardi di
persone in tuo favore? Il motivo che aveva portato il
settantatré per cento della popolazione americana a votare
sì alla soluzione proposta dall’ADP, era stata
proprio la paura di un eventuale strumentalizzazione del proprio
“dono”: se conoscevi il futuro, sapevi anche come
cambiarlo.
Bisognava anche considerare che la campagna propagandistica
dell’ADP era stata a dir poco convincente: affliggere davanti
al Ground Zero un manifesto con l’immagine delle due Twins
Tower, inevitabilmente nella traiettoria di un aereo, e completare il
tutto con due frasi come “E se qualcuno avesse
saputo?” e di seguito come una condanna “E se Al
Qaeda avesse saputo?”, non poteva non garantire i risultati
sperati. Nemmeno se il sindaco di New York si dissociava dalla
strumentalizzazione politica di una tragedia. Nemmeno se non
c’erano prove che i terroristi fossero Veggenti: i Veggenti
esistevano, la loro esistenza creava un dubbio, il dubbio era stato
sufficiente a condannarli.
«Mio fratello non ha mai fatto male ad una
mosca!» gli gridò la ragazza tra le lacrime. Io la
fissai ad occhi sgranati comprendendo, infine, la sua disperazione:
come poteva combattere una guerra, quando suo fratello era dalla parte
opposta del campo di battaglia?
Il tipo alla mia destra colpì la parete di
plexiglass che avevamo in comune con ferocia facendomi sussultare, mi
trovai a sperare che fossero davvero molto resistenti. «Se
non si è fatto curare lo ucciderò.»
Lei singhiozzò più forte.
Sospirando girai la mia sedia in modo da dare le spalle a Mr.
Tatto e concentrarmi esclusivamente sulla ragazza. Era molto bella,
aveva i capelli scuri raccolti in una coda in cima alla testa e la
pelle color miele – una vera invidia per chi come me
è rinchiuso in un corpicino pallido – occhi enormi
e castani, scintillanti anche se affogati nelle lacrime.
«Non dargli ascolto.» cercai di
rassicurarla, anche se non ebbi coraggio di dire niente di
più convincente.
Lei tirò su con il naso e si tamponò
gli occhi con un fazzoletto stropicciato. «So che ha
sbagliato, anche se è mio fratello. Ma dovrebbero almeno
concedermi un esonero.»
Non risposi, continuavo a guardarla ed a chiedermi se
effettivamente l’ADP avesse così bisogno di lei.
Mi lanciai un’occhiata intorno. Non vedevo altro che file e
file di celle come quella dove eravamo noi. Vegliare era pericoloso, i
Veggenti attivi non avevano rimorsi di coscienza
nell’uccidere, ma ogni anno erano migliaia i ragazzi che
venivano mandati alle Aste da tutto lo Stato.
«Come ti chiami?» le domandai.
C’erano delle grate in alto, servivano per il sistema di
aereazione, ma ci permettevano anche di parlare.
Alzò gli occhi per osservarmi curiosa.
«Amanda, Amy, tu?»
Appoggiai il palmo aperto contro la parete che ci divideva.
«Io sono Becky.»
«Piacere di conoscerti.» fece un piccolo
sorriso mentre congiungeva la sua mano con la mia.
«Non
è che non si volesse curare.» confessò
dopo un po’. Era passata circa un’ora e mezza da
quando ero entrata lì dentro, starmene rannicchiata sulla
sedia a parlare mi aveva aiutata a non pensare ai Responsabili ed ai
Veglianti nelle loro giacche verde petrolio – verde Mitronio
– che ci sfilavano davanti, studiandoci ed andando oltre.
Ero più sollevata, ero arrivata alla conclusione
che nessun poteva volermi. Ero piccola, gracile, riserva cheerleader,
che se ne facevano? Davanti a me, troppo lontana perché
potessi fare qualcosa di più che guardarla, c’era
una ragazza alta più di due metri.
Amy era più a rischio, anche se non le dissi
niente: era alta e mi aveva rivelato di far parte della squadra di
atletica leggera della sua scuola. Anche lei aveva problemi con
l’algebra, ma nessuno pretendeva la perfezione.
«Allora, perché è
scappato?» domandai curiosa e decisa a mantenere quel clima
leggermente più sereno. Mi si era anche sciolto lo stomaco e
stavo addentando il mio panino, avrei avuto bisogno di andare in bagno,
ma non vedevo molte possibilità a parte resistere.
Come me, Amy si rannicchiò sulla sedia
stringendosi le ginocchia al petto ed avvolgendole con le braccia.
«Mi ha detto che il Mitronio l’avrebbe
ucciso.»
Mio padre mi aveva spiegato, quando avevo iniziato a fare
domande, che il loro “dono” era connesso alle
capacità cognitive. Una parte di cervello che di norma le
persone non usavano, nei loro casi era attiva e funzionante. Quindi la
cura interveniva sulle cellule neurologiche: il rischio di morte
celebrale era reale.
«L’hanno scoperto con il test?»
chiesi ancora. Non mi sembrava di aver mai conosciuto un vero Veggente,
in realtà nemmeno un Vegliante. Li avevo visti, venivano una
volta al mese a pattugliare nella mia città. Erano
lì per vigilare sulla sicurezza dei cittadini, per impedire
che quel bambino – per uno dei loro – non fossi tu,
ma mia madre mi aveva anche insegnato a star loro lontana. Un cucciolo
di lupo, anche se allevato come un cane, un giorno o l’altro
potrebbe rivoltarsi e azzannarti la mano con cui lo nutri.
Scosse la testa, poi scrollò le spalle.
«Da che ricordo io, Nick ha sempre visto. Probabilmente da
quando è nato, solo che prima non sapeva dirlo.»
fece un mezzo sorriso.
Non la guardai, mentre concludevo: «Non
l’avete denunciato.»
L’ADP l’aveva sempre definito un “impegno
sociale”, ma nessuna madre poteva essere così
spietata da consegnare alle autorità il proprio bambino.
Chiedermi se l’averla scelta e portata lì fosse
una punizione per il loro mancato “impegno
sociale”, era naturale.
«Come avremmo potuto?» domandò
lei fissandomi.
«Siete una famiglia di traditori!»
gridò l’altro ragazzo, che evidentemente aveva
ascoltato i nostri discorsi per fornirci un suo punto di vista
assolutamente non richiesto. «Meritate di morire tutti! Se
fossi a capo dell’ADP io…»
«Non sei a capo dell’ADP.» gli
ricordai interrompendolo, mentre gli scoccavo un’occhiata
arrabbiata. Mi sembrava quasi di vederlo, un ragazzino che magari aveva
già tanti problemi con la cura di Mitronio e tutto il resto,
venire importunato, infastidito, tormentato da lui e dai suoi
vaneggiamenti di sterminio.
Se io fossi stata a capo dell’ADP, avrei fatto in
modo che certa gente non diventasse mai Vegliante. Avrei istituito un
gruppo che sorvegliasse anche i potenziali Veggenti volenterosi di
adattarsi alla legge e che li proteggesse da gente come lui.
«Solo una traditrice può fraternizzare
con un’altra traditrice.»
Amy sollevò il capo infastidita. «Anche
tu avresti scelto un fratello. Lo rifarei mille volte.» e so
che era vero.
Lui fece una smorfia disgustata. «Sentirti chiamare
“fratello” uno sporco bastardo come lui mi
dà il voltastomaco.» scosse la testa.
«Se fossi già un Vegliante ed avessi una pistola,
ti sparerei.»
Io ridacchiai. «Solo un vigliacco vorrebbe
diventare un Vegliante per avere una pistola ed affrontare una
ragazza.» commentai divertita, perfino ad Amy
scappò una risatina. Ero andata a scuola in un liceo
pubblico ed ero davvero molto bassa, ero sopravvissuta imparando a
rispondere a tono ad ogni battutina. «E comunque, non sei
ancora un Vegliante. Nessuno ti vuole.» conclusi e sperai che
nessuno lo scegliesse.
Rosso di rabbia ed umiliato, diede un pugno al muro che ci
divideva, per poi scrollare la mano dolorante e scatenare
un’altra risata tra me e la mia fresca di conoscenza amica.
«Le donne non dovrebbero essere potenziali Veglianti con
tutti i vostri sentimentalismi.»
«Mm… non sono
d’accordo.»
Tutti e tre ci voltammo verso un donna davanti alla mia
cella, doveva aver assistito alla scena.
Era sulla trentina ed aveva lo sguardo alto e sprezzante di chi era
orgoglioso di essere l’unico padrone di sé stesso.
Aveva i capelli neri tagliati in un caschetto asimmetrico, il lato
sinistro le sfiorava il lobo dell’orecchio, quello destro
arrivava qualche centimetro sotto la mascella; le labbra erano tinte
con un rossetto cremisi, mentre gli occhi, neri quasi quanto i capelli,
erano contornati da una precisissima – ed assolutamente
invidiabile – riga di eye-liner a sottolinearne la forma
allungata.
Ma il dettaglio più importante era il suo cappotto
verde dei Veglianti con un stella argentata all’altezza del
petto: non era soltanto un soldato, era una Responsabile.
Il ragazzo, rendendosi conto di aver commesso una terribile
gaffe, si raddrizzò sull’attenti per cercare di
impressionarla. «Chiedo perdono, signora. Ovviamente non era
a lei che mi riferivo.» si scusò e ci
lanciò un’occhiataccia.
Sollevai gli occhi al cielo, ma evitai ulteriori commenti.
La Responsabile si spostò davanti alla cella di
Amy – proprio come avevo temuto – e
controllò il suo tablet, dove sapevo che c’era la
descrizione di ognuno di noi. «Amanda Martinez, diciassette
anni, seconda classificata alle olimpiadi studentesche di
quest’anno in salto in alto. Hai ragione, Zachy, sembra un
elemento promettente.» deglutii, preoccupata per lei.
Solo in quel momento però mi accorsi che non era
sola, ma accompagnata da un ragazzo un po’ più
grande di me. Un ragazzo bellissimo. Aveva gli occhi verdi, enormi, con
ciglia così folte da fare l’invidia di molte
donne, fu la prima cosa che vidi perché stavano fissando i
miei. Con il cuore che batteva, catturai ogni altro dettaglio del suo
viso, dagli zigomi alti, al naso deciso su una bocca morbida, quasi
troppo per un uomo. Come la linea della mascella precisa, ma non troppo
dura.
«Non lei.» la corresse.
Il corpo era perfetto come quello di tutti i Veglianti,
garantito da un’invidiabile predisposizione fisica e
salvaguardato da un esercizio rigoroso e costante. Non era troppo
muscoloso però, chiunque avesse calibrato
l’intensità del suo allenamento non aveva voluto
appesantire troppo il suo fisico.
Indossava la giacca verde, ma senza nessuna stella.
«Lei.»
disse e mi indicò con un cenno del capo.
Il cuore mi sprofondò nel terrore: non poteva
davvero volermi.
La Responsabile tornò di fronte a me e
piegò di lato la testa studiandomi, io rimasi ammutolita ed
immobile. Trattenni il fiato, mentre aspettavo che qualcuno dicesse che
era uno scherzo, o un errore. «Non mi sembra gran
ché…» commentò lei, prima di
consultare di nuovo il suo tablet. «Rebecca Farrel,
diciassette anni, riserva delle cheerleader.»
Il ragazzo bellissimo distolse gli occhi dai miei.
«E poi?» domandò.
«E poi niente, dolcezza.»
«Non importa, voglio lei.»
ribadì, si mordicchiò il labbro inferiore
distrattamente, i suoi denti erano bianchissimi.
«Puoi alzarti, cara?» mi
domandò la Responsabile ed io obbedii. Mi tirai su in piedi,
ma rimasi vicina alla sedia perché mi tremavano le
ginocchia. «Dimmi un po’,
Zachy…» cominciò, mentre incrociava le
braccia sul petto e gli lanciava un’occhiata di sbieco.
«Non è che hai problemi di autostima e ti serve
qualcuno che faccia il tifo, vero?» gli domandò
sarcastica.
Lui ignorò il suo commento ironico e si
avvicinò al mio plexiglass. Ci appoggiò una mano
sopra, come a volermi toccare attraverso la parete. Per alcuni secondi
rimase in silenzio, i suoi occhi incatenati ai miei, poi il suo palmo
scivolò via, lasciando soltanto l’alone della sua
impronta, e si avvicinò a quella che ormai supponevo essere
la sua
Responsabile. «Ti fidi di me, vero?»
La donna sospirò e scosse la testa. «La
mia fiducia in te mi porterà sul lastrico prima ed
all’inferno poi.» toccò qualcosa sul suo
tablet. «Vediamo se almeno il prezzo è
abbordabile.» acconsentì con poco entusiasmo.
«Volete davvero prendere lei?» chiese
sbalordito il fanatico della cella accanto. «Ma se
è solo una bambina.»
Il Vegliante Zachy lo osservò come se si fosse
appena accorto della sua esistenza, più precisamente come io
avrei guardato della spazzatura particolarmente puzzolente, e si
strinse nelle spalle. «Beh, di tipi come te se ne trovano ad
ogni Asta.»
«E di tipe come lei a frotte dietro ad ogni
giocatore di football.» ribatté.
«Ehi!» sbottai irritata. Non mi erano mai
piaciuti i giocatori di football… preferivo quelli di
pallacanestro, ma questo non lo dissi.
«Si è detta d’accordo con
quell’altra sua amichetta che non ha denunciato il fratello
Veggente.» ci accusò.
Stavo per ribattere qualcosa, ma la Responsabile
alzò una mano, facendomi cenno di tacere, e si
avvicinò a lui. «Il tuo nome.» disse.
Non era una domanda, era un ordine, una pretesa.
«Jonathan Kindley, signora.» rispose lui
pronto e recuperò la sua posizione da soldatino. Patetico.
Gli si fermò davanti e prese a studiarlo con gli occhi
fissi, enormi. Se avesse guardato me con quegli occhi, avrei iniziato a
tremare come un topolino spaventato. «Da Responsabile a
civile, perché è questo che sei, ti do un solo,
preciso ordine: smettila di parlare senza essere interrogato.»
«Ma…» provò.
«Shh!» intimò lei.
«Cosa ho detto?» gli chiese.
Finalmente tacque.
«Tornando a noi…»
iniziò guardandomi. «Costi una fortuna, mia
cara.»
«Davvero?» chiesi, davvero troppo stupita
per continuare a stare zitta. Di norma il prezzo iniziale, deciso
dall’ADP, era proporzionale al valore, non avevo mai creduto
di avere effettivo valore come Vegliante.
Lei si appoggiò le dita sulla labbra, pensierosa.
«È necessario chiedersi
perché.»
«Faresti meglio a chiederti se ci sono altri
potenziali acquirenti, Jean.»
Anche se ero chiusa nella mia cella e quindi al sicuro, mi trovai a
fare un passo indietro. L’uomo che aveva parlato era
esattamente il tipo di Responsabile al quale ero abituata. Nessun
taglio di capelli stravagante, nessun trucco impeccabile: grande,
muscoloso, minaccioso. Nei suoi occhi si leggeva la spavalderia di chi
non aveva mai chiesto niente, ma aveva afferrato tutto quello che aveva
voluto a mani nude, senza curarsi di chi fosse stato calpestato nel
farlo. Era anziano, sembrava avere l’età di mio
padre, cinquant’anni circa, ma avrebbe potuto averne di
più. Era scortato da due Veglianti che sarebbero andati
sicuramente d’accordo con il tipo fanatico. Niente a che
vedere con la Responsabile Jean e Zachy, che sembravano fratello e
sorella a spasso insieme: nel loro gruppo si vedeva fin troppo bene chi
era a comandare.
Afferrò un braccio del ragazzo bellissimo, quasi
gli appartenesse, e lo allungò studiandone la linea, prima
di dargli una pacca sulla schiena e sul torace. Lo trattava come se
fosse un animale ad una fiera di bestiame. Lessi nei suoi occhi verdi
la voglia di scrollarselo di dosso, colpirlo magari, ma nello sguardo
serio e fisso della sua Responsabile c’era un ordine
all’immobilità che non aveva bisogno di parole per
essere esplicato.
«Zach Douquette…» lui
deglutì. «È il tuo caposquadra ora che
Josh è venuto a mancare.» annuì, ma non
spostò neanche per un secondo lo sguardo da quello del suo
Vegliante. «Davvero, un ottimo elemento, mi congratulo con la
tua scelta.»
Lei chinò il capo in un gentile cenno di
ringraziamento. «Merito vostro e del vostro addestramento,
signore.»
«Troppo modesta, mia cara.»
lasciò stare Zach e guardò me. Io deglutii,
mentre pregavo in silenzio che, se proprio qualcuno dovesse portarmi a
casa, non fosse lui. «Sei interessata alla ragazzina,
Jean?» le domandò. «Non vedo niente
degno di nota in lei.» continuò senza darle il
tempo di rispondere.
«I Veggenti ci sta dando un bel po’ da
fare.» ammise con un sorriso. «Il mio stratega mi
ha suggerito un’idea rischiosa, ma intrigante.»
Per un attimo, il tempo di un battito di ciglia, tra Zach e
la sua Responsabile passò uno sguardo d’intesa.
«Spero che non sia un piano così segreto
da non poterne mettere al corrente il tuo vecchio
responsabile.»
«Certo che no.» sorrise ancora, ma era un
sorriso tirato, nervoso, che non impediva ai suoi occhi di rimanere
guardinghi. «Una trappola.» mi indicò.
«Un’esca.»
Sussultai sgranando gli occhi senza fiato.
Perfino lui sollevò le sopracciglia stupito, ma
poi annuì compiaciuto. «Il tuo stratega
è andato a sfogliare i rapporti del passato.»
sembrava quasi onorato.
«Il sacrificio di quei bambini è servito
allo scopo: ho ucciso io stessa uno dei Veggenti più
sfuggenti di San Francisco.»
Ero carne da macello. Mi coprii la bocca con la mano, mentre
il ragazzo bellissimo continuava a fissarmi. Avrei voluto urlargli
addosso “perché io tra miliardi di
persone?”. Mi morsi le labbra per impedirmi di mostrare
quanta voglia di piangere avessi. Perché io? Ero sicura che
i miei occhi glielo stessero chiedendo, perché ne sembrava
quasi dispiaciuto.
La Responsabile Jean gli accarezzò la schiena
orgogliosa. «Zach non sarà da meno.»
Grazie al mio sacrificio avrebbe ucciso un Veggente
pericoloso, sarebbe stato onorato, sarebbe diventato un eroe, contento?
«Non ne dubito.»
«E voi?» gli domandò lui,
senza guardarlo. «Avete posato gli occhi su qualche elemento
interessante?»
Accadde tutto troppo in fretta perché io riuscissi
ad afferrare ogni dinamica. Mi accorsi che uno dei Veglianti
dell’uomo minaccioso fece un passo avanti e tirò
indietro il pugno per colpire Zach. Ma ero in ritardo perché
Jean aveva già preso provvedimenti, mettendosi tra i due. Il
pugno si fermò ad un soffio dalla sua faccia, ma lei non
batté ciglio. Capii perché un momento dopo: a
differenza di quel Vegliante, il suo di pugno aveva raggiunto eccome il
suo stomaco, costringendolo a barcollare all’indietro.
«Quando io facevo parte della vostra squadra, non
avrei mai osato alzare il pugno su un Responsabile.»
sibilò fredda.
L’uomo rise di gusto. «Oh, Jean, sei uno
dei miei più grandi successi. Senza ombra di
dubbio.»
Io ero ancora a bocca aperta, ci si aspettava che fossi
più o meno al loro livello. Anzi no, in fondo ero solo carne
da macello.
«Scusa il mio ragazzo, è un
po’ troppo protettivo nei miei confronti, anche se il tuo
è senz’altro un po’ sfacciato.»
Zach gli lanciò un’occhiataccia che la
Responsabile spense con uno sguardo infuocato dal disappunto.
«Ad ogni modo, ha rischiato di colpirti ed un tale
affronto non rimarrà impunito.» scosse la testa,
poi guardò le celle accanto alle mie, sia quella di Amy che
quella del fanatico. «Credo, che io mi porterò a
casa questi due.»
Guardai la mia nuova amica impallidire e mi vergognai del
moto di sollievo che mi crebbe in petto, anche se la mia situazione non
era molto rosea: lei se ne sarebbe andata con quell’uomo
spaventoso, io sarei stata usata come esca.
«Una scelta accurata, signore.»
commentò lei con un sospiro.
Io sarei stata usata come esca. Rabbrividii e mi strinsi le
braccia addosso per impedirmi di tremare.
«Vuoi punire Lucas tu stessa?»
Il ragazzo che aveva tentato di aggredirla poco prima
deglutì, rigido con gli occhi bassi ed il capo chino, era
incredibile perché era un ragazzo alto, dall’aria
minacciosa, forte, ma aveva così paura, proprio come me.
Lei sospirò, deglutì ed infine scosse la testa.
«Ho piena fiducia nel vostro giudizio.» e non ne
sembrava affatto contenta.
«D’accordo.»
Il suo secondo Vegliante incastrò il tablet prima davanti
alla cella del fanatico, poi a quella di Amy, che mi lanciò
un’occhiata disperata non appena sentì la propria
porta aprirsi. Avrei voluto dirle qualcosa di confortante, ma non ci
riuscii. Come lei d’altronde non seppe dire niente di
rincuorante a me.
Il Responsabile minaccioso si allontanò mentre sventolava
una mano verso Jean. «Buona fortuna con il tuo
Veggente.» i due tipi tenevano stretti sia Amy che Jonathan
Kindley, ma lei si sforzò comunque di voltarsi e guardare
verso di me. La salutai con un cenno della mano ed un sorriso poco
convincente, mentre una lacrima mi rotolava sulla guancia.
«Grazie, signore.» rispose piano la
Responsabile.
Non appena lui non fu più a portata di orecchi, si
girò verso Zach, gli afferrò il viso con la mano
e lo strattonò con forza verso il basso, per portarlo
all’altezza dei suoi occhi. Lo fissò minacciosa.
«In sua presenza devi stare zitto.»
scandì piano, ma con autorità. «Quante
volte devo dirtelo?»
«Ma…» cercò di
difendersi, senza però tentare di liberarsi.
La donna gli schiaffeggiò al guancia,
interrompendolo. «Zitto.» e lui tacque. Jean
tornò a guardare me, prima di incastrare il suo tablet allo
schermo accanto e premerci il palmo aperto. «Prendiamo la
ragazzina e ce andiamo.»
Quando la porta della mia celletta si aprì, segno che il
pagamento era stato effettuato e che io appartenevo ufficialmente alla
Responsabile, stavo singhiozzando. Non riuscivo più a
ripetermi che quello non stesse succedendo a me: era me che avevano
preso; era me che avrebbero portato con loro; era me che avrebbero
usato come esca.
Non avrei mai più visto quel ragazzo che mi piaceva e con il
quale avevo contato di uscire il giorno dopo.
Non avrei ascoltato Taylor cantare “Venus” davanti
ad un vero pubblico, non sarei stata il viso amico che avrebbe in mezzo
al pubblico.
Non mi sarei esibita mai come ragazza pompon.
sempre la giovane donna di poco fa
non è sicura di essere in grado di scrivere una roba del genere,
perchè di norma pubblica e scribacchia storielline molto
più semplici... quindi ogni incoraggiamento è gradito!
se poi non vi piace, che vi dico? evidentemente non sono pronta ancora!
un bacione a tutti quelli che arriveranno fin qua giù perchè è lungo lungo!
a presto!
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