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{You
Have My Heart
Frank voleva solo guidare. Premere il piede
sull'acceleratore e continuare ad andare avanti, lungo quella strada
lunga e semi-deserta che sembrava non voler finire mai. Vari cartelli
verdi sfrecciarono intorno alla sua auto, cartelli sui quali erano
scritti nomi di città che Frank conosceva, altri di cui non
sapeva assolutamente niente. C'erano così tanti posti dove
andare, quindi perché tornare indietro? Frank Iero voleva
solamente guidare.
Premere il piede
sull'acceleratore, guardare la strada, cercare di ignorare quel
maledettissimo vuoto che aleggiava nel suo cuore. Un vuoto che faceva
male, che bruciava e non poteva essere colmato. Un vuoto assurdo e
improvviso, apparso quasi dal nulla dopo quella stupida notizia. Frank
sospirò, e la strada cominciò a diventare
sfocata. Non riusciva più a leggere i cartelli: c'era
qualcosa che glielo impediva. Qualcosa di bollente e poi gelato,
qualcosa di liquido che prese a scorrere sulle sue guance. Frank Iero
sospirò, si asciugò le lacrime, strinse i denti. Voleva solo guidare
verso un posto che non conosceva. Scomparire nel nulla,
almeno per un po'. Dimenticare, se era possibile.
*
Venticinque
chiamate senza risposta. Frank fissò
lo schermo brillante del suo telefono, in silenzio. Era in piedi,
davanti alla porta del bagno di uno squallido motel sperduto nel bel
mezzo del nulla. Aveva fatto i salti mortali per trovare uno
schifosissimo motel con una stanza. E aveva guidato. Un sacco. Almeno
per dieci ore di fila, a giudicare dal cielo scuro che brillava fuori
dalla finestra. Era stanco, spossato,
il suo viso era appiccicoso e faceva male. E il vuoto c'era, anche se
aveva pianto ad intervalli regolari per quasi tutto il viaggio. Quello
schifosissimo vuoto assurdo, e tutto provocato da due semplici parole,
due parole schifose, orrende, immonde. Due parole. Come potevano due
semplici parole svuotarti completamente? Frank
sospirò. Lasciò cadere il telefonino sopra il
comodino accanto al letto e andò in bagno.
Cominciò a spogliarsi e si infilò subito sotto la
doccia. Cercò di lavare via tutto il sudore accumulato in
quella giornata, si lavò bene il viso e sospirò,
rimanendo sotto l'acqua bollente per diversi minuti. Quando uscì,
infilò l'unico pigiama che aveva frettolosamente infilato
dentro il suo borsone da viaggio e sospirò, accasciandosi
sul letto. Si raggomitolò su se stesso e spense la luce,
osservando la luce lunare che progressivamente cominciava ad invadere
la stanza dalla finestra aperta. Due parole. Due parole
avevano fatto implodere il suo universo, la sua anima, il suo cuore.
Due parole a cui non avrebbe voluto pensare, ma che invece si
ripetevano continuamente nella sua mente da ore intere. -
Ci sposiamo - Non era niente di che,
no? Quel genere di frase che milioni e milioni di innamorati ripetevano
ogni santo giorno. C'erano milioni di coppie in quel fottuto universo,
e milioni di coppie stavano per dire "ci sposiamo", oppure lo avevano
già detto. Perché loro,
però? Perché lui? Frank chiuse gli occhi
e sospirò, nascondendosi sotto il lenzuolo. Chiuse gli occhi e
pensò solo che tutto questo facesse veramente schifo.
*
Alla fine aveva deciso
semplicemente di andare da suo padre. Non c'era voluto molto
per decidere: non aveva intenzione di dormire in un altro motel, e
neanche di tornare a casa da sua madre. Per quanto la amasse, quella
donna era capace di irritarlo in maniera assurda. Quindi, la scelta di
andare a casa di suo padre era stata quasi obbligata, in un certo
senso. Raggiunse l'uscio di
quel maledetto appartamento e sospirò, prima di bussare.
Bussò tre volte, per poi rimanere lì ad
aspettare. Quando suo padre venne
ad aprire, lo squadrò per diversi istanti in silenzio.
Doveva avere proprio un aspetto del cazzo per farlo preoccupare: in
genere non si accorgeva neanche dei giorni che passavano, sempre
così perso nel suo mondo per accorgersi di quello reale. Frank Iero II
guardò per diversi istanti il figlio, per poi sospirare. - Hai intenzione di
fermarti per molto, vero? - gli domandò, dopo alcuni attimi.
Frank
scrollò le spalle ed abbassò lo sguardo. - Quello che basta
per... dimenticare
- mormorò, tenendo gli occhi puntati contro lo zerbino. Frank Iero II
sospirò di nuovo, prima di spostarsi per far passare il
figlio. Nonostante fosse sempre
perso nel suo mondo, Frankie era pur sempre suo figlio. E aveva capito
che stava male, che aveva bisogno di lui. E il minimo che poteva fare,
era offrirgli casa sua. Frank entrò
in quella casa e si chiuse la porta alle spalle. Doveva solo dimenticare
almeno sette anni della sua vita.
*
Passarono un paio di
giorni, che poi divennero settimane. Due, per la precisione. La
compagnia del padre rendeva tutto più semplice: suonavano
insieme, cantavano, parlavano di musica, e tutto era più
leggero, più tranquillo. Frank sapeva esattamente che cosa
serviva a suo figlio, e l'altro gliene era grato, veramente grato. Era una mattina di fine
novembre quando il campanello di casa Iero cominciò a
squillare ininterrottamente nelle orecchie di Frankie. Suo padre era
uscito con un paio di suoi vecchi amici, e lui era rimasto in casa a
suonare la sua vecchia chitarra acustica. Non aveva toccato Pansy da
quando era arrivato lì: nonostante amasse quella chitarra
più della sua stessa vita, prenderla in mano e suonarla
richiamava troppi ricordi. Frank
sbuffò, lasciando scivolare le dita sulle corde della
vecchia acustica. Alzò lo sguardo sull'orologio a parete
davanti a lui, e constatò che stava suonando da almeno due
ore senza interruzione. Non che la cosa lo stupisse, ovviamente: un
mese prima suonare per meno di tre ore senza pause sarebbe stato un
affronto alla sua anima di chitarrista. Socchiuse gli occhi e
scosse la testa, cercando di cancellare i ricordi che premevano per
invadere la sua mente, e intanto il campanello suonò
nuovamente. - Cazzo, arrivo -
borbottò, lasciando la chitarra del padre sul divano dov'era
seduto. Inforcò le pantofole e ciabattò verso la
porta d'entrata, proprio mentre lo sconosciuto bussava nuovamente. - E che cazzo, sto
arrivan... - affermò, per poi aprire la porta. Quando vide chi era la
persona che stava bussando alla porta da due ore, fu tentato da
sbattergliela in faccia. Gerard se ne stava
lì, immobile, a fissarlo in silenzio. Sembravano passati
secoli, millenni, eppure Frankie era sempre identico a come lo aveva
lasciato. Aveva solo gli occhi più spenti. - Frankie... -
biascicò con voce strozzata. Frank lo
guardò qualche minuto ancora, prima di afferrare la porta e
cercare di chiuderla con tutte le sue forze. Gerard sapeva che lo
avrebbe fatto, quindi infilò il piede nella fessura che
venne a crearsi tra porta e stipite. Il dolore fu lancinante, ma scelse
di non pensarci. - Frank, dobbiamo
parlare - - Non c'è niente di cui
parlare - Gerard lo
guardò per alcuni istanti. Frankie sembrava veramente sul
punto di scoppiare in lacrime, e in quel momento avrebbe dato ogni cosa
al mondo per poterlo abbracciare, per dirgli che era tutto okay. - Sei sparito dalla
circolazione, non rispondi alle chiamate, ai messaggi, tua madre non
aveva idea di dov'eri... hai idea di quanto ci siamo preoccupati? - - Tu molto poco,
immagino - ringhiò l'altro. - Che intendi dire?
Dannazione, vuoi aprire questa porta? - - Che intendo dire? -
esclamò lui, scoppiando subito dopo in una risata sarcastica
e fredda, maledettamente fredda - Secondo
te? Dai, prova ad usare quel tuo stramaledettissimo
cervello, Way.
Sono sicuro che puoi arrivarci da solo - Way. Lo aveva
chiamato per cognome. Non lo aveva mai fatto prima. Gerard
spalancò la bocca, sgranò gli occhi. Lo aveva
veramente chiamato per cognome? Frankie non chiamava nessuno per
cognome. Per lo meno, non il Frankie che conosceva lui. - Ti riferisci a
Lindsey, vero? - pigolò lui, oltre la porta - Al... matrimonio - Frankie
sprofondò. Dischiuse appena le labbra e lo
guardò. Era tutto vero, tutto schifosamente vero. Scappare
in quella casa che sapeva di passato e bei ricordi non era servito a
nulla: il vuoto era più grande. Gerard stava per sposarsi
veramente. E non con
lui. - Vattene -
ringhiò Frankie, cercando di non cedere. Non doveva
piangere, non serviva a niente. - I-Io... Frank, io
non... non potevo... - biascicò l'altro - Qualsiasi cosa sia,
non mi interessa. Vai da Lindsey, lasciami vivere. Farai un favore ad
entrambi - - N-Non posso! Frankie,
io... io devo... dirti una cosa - - Che cosa? Sei stato
costretto? Ti hanno minacciato? Altrimenti non si spiega, Gerard, non
si spiega davvero! - ringhiò l'altro. Stava camminando sul
ciglio del burrone, e presto sarebbe crollato, lo sapeva, ma poteva
ancora resistere. - E' che... se lo
aspettavano tutti. Io... dovevo
farlo, Frankie. - - Balle. E' questo
che ti racconti per dormire tranquillo? Be', non funziona,
perché sono stronzate - - Frankie... - - Mi hai riempito di
bugie, Gee - sospirò lui, sconfitto. Non era neanche
arrabbiato. Non era niente, semplicemente niente. - Erano tutte bugie.
Abbi almeno il coraggio di ammetterlo adesso - - Non erano bugie,
Frankie! Non lo erano! - - E allora dimostralo,
cazzo! - tuonò l'altro - Sai com'è, per
dimostrare di amare una persona non bisogna sposarne un'altra, non
credi? - Gee
ammutolì. - Io... - - Vattene, Gee.
Davvero, vattene. Ne ho abbastanza delle tue bugie - Gerard Way
sospirò e tolse il piede, permettendo a Frank di chiudere la
porta. Guardò l'uscio chiuso per diversi istanti, in
silenzio. Non meritava uno come
Frankie. Non lo aveva mai meritato.
*
Mancavano dieci minuti.
Dieci minuti ed l'avrebbe sposata. Gerard si
guardò allo specchio. Fasciato in quello smoking nero non si
riconosceva quasi. Sembrava quasi una persona normale. Cercò
di aggiustarsi la cravatta già perfetta, in un vano
tentativo di trovare qualcosa da fare per ammazzare il tempo. Stava per sposare
Linsdey. Stava per sposarla davvero. - Io l'ho sempre detto
che siete due coglioni - esclamò una voce, dietro di lui. Gee
sobbalzò, voltandosi di scatto verso la porta. - Mikey, vuoi farmi
morire proprio oggi? - Mikey lo
fissò per alcuni istanti in silenzio, per poi scuotere la
testa. - Lo sai che non
è questo quello che vuoi, vero? - Gerard
sgranò appena gli occhi e lo guardò in silenzio.
Si mordicchiò il labbro in silenzio, abbassando lo sguardo. No, non era quello che
voleva. In realtà voleva Frankie, il sorriso di Frankie, la
voce di Frankie, la sua risata. Voleva stringerlo tra le braccia
così forte da mozzargli il respiro, passare ore a guardarlo
suonare, essere avvolto dalle sue braccia per tutta la notte e anche
oltre, baciarlo e vivere con lui ogni stupidissimo giorno. Aveva bisogno di Frank,
ma non poteva tirarsi indietro. - E' troppo tardi -
mormorò, guardandosi allo specchio. - Non è mai
troppo tardi per cose del genere - - F-Frank mi odia. Lo
sai che mi ha chiamato per cognome? - - Lo sai che ti ama da
morire ed è per questo che se n'è andato? - Mikey
scosse la testa, alzando gli occhi al cielo - Dio, voi due siete
così complicati! - - Anche se... fosse
vero - affermò l'altro - Non posso abbandonare Lindsey. Non ora - - Tu non la ami, Gee.
Vuoi mettertelo in testa sì o no? Non la ami, è
semplice - - Ti sbagli, io la amo
- - Ma molto meno
rispetto a Frankie. Dimmi che non ho ragione! - Gerard si
voltò verso Mikey e lo guardò per un po'.
Guardò quei suoi maledettissimi occhi e capì che
aveva ragione. Amava di più Frankie. Lui amava Frankie in
mille modi diversi: amava quel suo sorriso da bambino, i suoi capelli,
quel suo scatenarsi sul palco, la sua chitarra. Amava le sue labbra e i
suoi occhi, amava quella sua stupidissima risata buffa che lo riempiva
completamente. Di cosa non lo aveva ben capito, ma era una bella
sensazione. Frankie lo riempiva. Ed
aveva bisogno di lui. Molto più che di Lindsey. Molto
più di qualsiasi altra cosa. - I-Io... - Mikey scosse la testa e
affondò la mano nella tasca dello smoking blu scuro che
indossava quel giorno. Tirò fuori un mazzo di chiavi, per
poi lanciarle al fratello, che le afferrò al volo. - Muovi il culo. Ci
penso io a spiegare - Gerard
guardò le chiavi, per poi spostare il suo sguardo sul
fratello minore. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non c'era tempo:
doveva andare da Frankie, subito. Dirgli che lo amava più di
ogni altra cosa. - Grazie, Mikey -
mormorò. - Non farmene pentire e
muoviti! - lo riprese lui, sorridendo suo malgrado. Gerard, prima di
fiondarsi fuori dalla porta, afferrò un blocco da disegno
che poco prima aveva lanciato sul divano. Poi si lanciò
contro la porta. Doveva andare da
Frankie. Era l'unica cosa che voleva.
*
Quando vide gli occhi
verdi di Gerard, sentì un colpo al cuore. Il vuoto era
grande e forte, bruciava, gli toglieva il respiro, il sonno, la voglia
di vivere. Era così grande che lo aveva preso totalmente, e
rivedere quel maledetto bugiardo di Gee aggravava solo la situazione. Questa volta non
cercò di chiudere la porta: Gerard era lì,
vestito di tutto punto, con un blocco per disegni in mano e le dita
ancora sporche di grafite. - Frank -
mormorò, guardandolo. Frankie fece per
chiudere la porta, ma Gerard lo fermò. - Frank, ti prego. Devo
parlarti. Non c'è bisogno che mi ascolti, e neanche che tu
dica niente: devo solo parlare con te. Ti prego - Frank Iero
guardò Gerard Way in silenzio. Lo fissò, si
cibò del suo viso, della sua espressione, del colore dei
suoi occhi, della muta richiesta urlata da questi ultimi.
Sentì il cuore battere in modi quasi doloroso, dentro il
petto. Faceva male, Gee
faceva male. E tutto quel dolore veniva solo da due parole ed una
verità: lui
lo amava. E non poteva farne a meno, perché Gee
per lui era un po' come l'aria mentre cantava: finché c'era
andava tutto alla grande, ma quando cominciava a mancare si sentiva
strozzato, non riusciva ad andare avanti. E c'era quel dolore, posto a
metà tra il cuore e lo stomaco, quel dolore tremendo che non
se ne andava più. Almeno finché non riprendeva
aria. Ma Frank non voleva
riempirsi di Gerard, perché aveva visto quali erano i
risultati. - I-Io... io non ti
merito, Frankie. Non ti ho mai meritato, e lo so, l'ho sempre saputo.
Però... però nonostante tutto tu ci sei sempre
stato. Eri lì, cazzo, sei sempre stato lì, sempre
pronto a darmi un sorriso, una pacca sulla spalla, a farmi sentire
amato. Nessuno mi aveva mai amato come hai fatto tu, Frankie. E io non
ho mai amato nessuno quanto ho amato te. Lo so che non sono niente, non
lo sono mai stato, e stare con te è stata la cosa migliore
che abbia mai scelto di fare. - prese un grosso respiro, e
continuò - Io
ti amo, Frank. Ti amo perché con te mi sento
diverso, mi sento migliore. Come se potessi fare tutto, almeno per non
deludere te. E se potessi, te lo giuro, se potessi mi strapperei il
cuore dal petto e te lo darei su un piatto d'argento, perché
è tuo,
Frank. E' tutto tuo. Non di Linsdey, non di altri: solo tuo. Ma non
posso farlo, quindi... quindi tieni - Strappò la
prima pagina del suo blocco da disegno e la consegnò al
ragazzo, che sbirciò il contenuto di quest'ultima. Era un
cuore, ma non uno di quello romantici degli innamorati: quello era un
cuore vero. Le arterie, il sangue a terra, il rosso pulsante e
criptico... era veramente un cuore, disegnato su carta. Il rosso
sembrava brillare sul nero della pagina. E sopra il cuore c'era scritto
semplicemente "Gerard's
Heart". - E' tutto
ciò che posso darti. Non è molto, ma il mio cuore
tu l'hai sempre avuto. Sono un cazzone, lo so, e mi dispiace, ma... - - Gee? - lo
chiamò lui, osservando quel maledettissimo disegno. - S-Sì? - - Chiudi quella cazzo
di bocca - E lo baciò.
Premette le sue labbra su quelle di Gerard con un tale impeto che il
più grande dovette arretrare di qualche passo. Strinse il
corpo di Gee a sé, accarezzandogli il palato con la lingua,
e seppe che non c'era niente di più giusto. Quando si divisero,
ovvero diversi minuti dopo, Frank abbozzò un sorriso
leggero, la fronte ancora a contatto con quella di Gerard. - Anche tu hai il mio
cuore, scemo. E non dire mai più che non vali niente. Sei il mio tutto - E lo baciò
ancora, e con più forza di prima. Ora aveva il cuore di
Gerard. E non aveva bisogno di
nient'altro al mondo per essere completamente, orrendamente,
schifosamente felice.
_Cris Corner
No, okay... no.
Ho appena scritto una Frerard.
Cioè, IO. HO. SCRITTO. UNA. FRERARD.
Non ci posso credere.
Certo, è oscenamente banale e stupida, e il discorso di Gee
non ha né capo né coda, sarò fortunata
se avrò una visualizzazzione... però è
la mia prima Frerard, gente! LA MIA PRIMA FRERARD sjdhbdjfbgsdhjbgdf.
Oookay, scusate lo sclero, ma ancora non posso crederci!
I hope you like it!
xoxo, _Cris