Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.
John non sa che ore sono. In Afghanistan teneva sempre l'orologio
di Harry nel taschino della divisa, sincronizzato sul fuso orario di
Londra. Si ripeteva spesso che se avesse continuato a tenerlo
lì, guardandolo quando lo riteneva necessario, sarebbe tornato a
casa. E l'ha fatto, John è tornato, eppure l'abitudine di sapere
sempre che ore sono è rimasta. Ha pensato che non se ne
sarebbe
mai più liberato, almeno finché non ha conosciuto
Sherlock. Con lui, tenere conto dell'ora, è assolutamente
impossibile perché non ha un orario e non gli interessa
minimamente averne uno. E John non sa che ore sono. C'è molta
luce,
ma non crede
sia mattina. Probabilmente è primo pomeriggio, ma non se ne
fa un problema, considerando che hanno finito d'indagare
sull'ultimo caso alle cinque di questa mattina. Si alza, lento,
perché
la testa gli sta scoppiando. Ogni minimo suono è come una
randellata e cerca di non fare più rumore del dovuto. C'è
molto silenzio, troppo perché non gli risulti strano. Scende le
scale piano, aggrappandosi alla parete mentre si strofino gli occhi con
il palmo della mano. Non sente Sherlock trafficare in cucina per cui le
alternative sono due: la prima è che sia collassato sul divano,
la seconda è che sia uscito. Quando inizia a pensare che la
seconda ipotesi sia più probabile della prima, due voci distinte
giungono alle sue orecchie come se avessero urlato. Un calcio in piena
faccia gli avrebbe fatto meno male, e in uno sprazzo di lucidità
cerca di ricordare dove ha sistemato le pastiglie contro l'emicrania,
dopo che Sherlock ha avuto la brillante idea di occupare l'armadietto
dei medicinali con le dita in salamoia dell'ultimo cadavere giunto
all'obitorio del Bart's.
- Buongiorno, John.
John inarca le sopracciglia. Non ha bisogno di alzare gli occhi per sapere
chi gli ha appena rivolto la parola perché conosce quella voce troppo bene per sbagliarsi. Sente una risata di scherno
ruggirgli in gola, ma la ricaccia giù all'altezza dello stomaco
perché la situazione che si trova davanti è
paradossale: nel
suo salotto - seduto nella
sua poltrona - c'è Mycroft, il fratello schizofrenico del suo coinquilino.
- Buongiorno a lei, Mycroft. A cosa dobbiamo l'
onere di questa visita inaspettata?
Lui si morde il labbro inferiore, squadrando John da capo a piedi,
indeciso se scatenargli contro l'Interpool o alzarsi e ficcargli
l'ombrello su per il cu-
- John, prepara il té. Mio fratello non è capace e io sono troppo impegnato per alzarmi.
I suoi occhi si spostano da Holmes senior a Holmes junior nel giro di
pochi secondi. Effettivamente, Sherlock è impegnato, questo
è vero. A fissare suo fratello, per un motivo a John
completamente oscuro. Ma con il cervello menomato dalla mancanza di
sonno, il medico non si sforza nemmeno di provare a capire.
- Per l'amor di Dio, Sherlock! Almeno chiudi la vestaglia!
John si massaggia il naso a occhi chiusi, ricevendo in cambio uno
sbuffo scocciato da parte di Sherlock. L'emicrania inizia a diventare
più
pressante, e preferisce rintanarsi in cucina, imbarazzato da morire,
per evitare che il suo cervello scoppi in maniera definitiva. Prima di
nascondersi in mezzo ai fornelli, riesce comunque a intravedere
gli angoli della bocca di Mycroft piegarsi verso l'alto. Per un
secondo, l'idea di tirargli il bollitore in fronte lo sfiora come un
soffio di vento leggero e maledettamente tentatore, ma John è
curioso,
troppo curioso
per procurare una commozione cerebrale a Mycroft prima che si decida a
parlare. John non è intelligente come i fratelli Holmes, lo sa,
lo capisce. Ma è un tipo sveglio, ed è un ex soldato. E
annusa, quando nell'aria c'è qualcosa di grosso.
- Allora, fratello. Vediamo di chiarire perché sei piombato in casa mia così dopo puoi andartene.
Sherlock ha le mani allacciate sotto il mento e gli occhi fissi su
Mycroft.
Perfettamente immobile, come sempre quando cerca di scoprire qualcosa.
Mycroft giocherella nervosamente con il suo ombrello, trasmettendo
quello stesso nervosismo a John, che sente bruciare le mani dalla
voglia di piegarlo fino a dargli la forma di un amo da pesca.
- Fammi indovinare. Problemi con gli Affari Interni? Affari
Esteri? - Sherlock inclina appena il capo, guardando suo fratello
congestionarsi sulla poltrona - No, è qualcosa di peggio.
Si lecca le labbra, come un gatto che ha appena avvistato un topo
particolarmente grosso. John ha ancora in mano le tazzine prese dal
ripiano superiore cinque minuti prima.
- CIA? FBI?
Mycroft si muove, a disagio, e Sherlock spalanca gli occhi azzurri
colto da un'illuminazione. A John sembra quasi di
vedere l'adrenalina
scorrergli nelle vene e pompare sangue più veloce
del normale. Non lo ammetterà mai, ma guardarlo in questo stato
è inebriante persino per lui.
- Interessante. Che cosa può essere successo di così
grave da chiedere l'intervento dell'Impero Britannico da parte del
Governo Federale degli Stati Uniti?
Mycroft simula una tosse inesistente e quella risata è sempre
lì lì che fa il solletico nella gola di John. Il fischio del bollitore
lo distrae, per fortuna, ricordandogli che se non vuole farlo esplodere dovrebbe spegnere il
fuoco, ma in questo momento potrebbe tornare Moriarty dalla tomba e
gliene ne importerebbe meno di zero. Se l'FBI ha chiesto aiuto a
Mycroft - e Mycroft l'ha chiesto a suo fratello - c'è qualcosa
di molto più grande di quanto si aspettasse.
-
Se è
grave o meno vorrei che me lo dicessi tu, dopo aver esaminato i casi.
John versa l'acqua bollente nelle tazze da tè, cercando nello
stesso momento di guardare entrambi i presenti alla discussione.
Sherlock schiocca la lingua, e John sa che Mycroft sarà la
prossima vittima delle sue brillanti deduzioni.
For God's sake.
- Mycroft, tu sottovaluti la mia intelligenza. Da quando sono tornato
non mi hai mai coinvolto nei tuoi "problemi internazionali" per cercare
di tenermi lontano dai guai, devi aver convinto Lestrade a fare
altrettanto perché mi sottopone solo casi di scarsa rilevanza
che potrebbe risolvere persino Anderson con quel mezzo neurone che si
ritrova. Ma se sei venuto a cercarmi, e per giunta di persona, vuol
dire che la situazione è più critica di quanto tu stia
cercando di darmi a bere. Risparmia tempo e srotola la lingua,
fratello, o dovrai spiegare ai
gattini
dell'FBI perché il loro aiuto ha disdetto l'appuntamento che tu
hai fissato per lui. E, John, ora puoi chiudere la bocca.
John arrossisce, borbottando qualche parola incomprensibile e concentrando tutta la sua attenzione sulle tazze da tè.
Interessanti, sono sicuramente interessanti questi disegni particolari sul manico.
Si umetta le labbra, sinceramente colpito come la prima volta che si
sono incontrati - e come tutte le volte che sono seguite - e Sherlock
ha capito dopo dieci secondi che era un medico militare di ritorno
dell'Afghanistan. Sente il cuore battergli forte nel petto,
perché da quando il suo migliore amico è tornato a casa,
questa è la prima volta. La prima volta che sente come tutto sia
tornato alla normalità per davvero. Stenta ancora a crederci.
Per quanto si possa definire normale la vita con Sherlock Holmes, ovviamente.
- Senti, Sherlock - Mycroft sospira, massaggiandosi le palpebre
con una mano - hai ragione. Avrei preferito non coinvolgerti per niente
in questa storia. Ma non so di chi altro fidarmi, perché la
situazione è davvero delicata e io non ho idea di come venirne
fuori. Ho un fucile puntato alla schiena da ogni organizzazione per cui
ho lavorato. Non è una situazione facile. Ho bisogno del tuo
aiuto e mi devi dire se posso stare tranquillo affidando tutto nelle
tue mani.
John poggia le tazze da tè sul tavolino, aprofittando della
pausa di Mycroft. Non avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che
prima o poi avrebbe abbassato la guardia e chiesto aiuto in maniera
così diretta. Ma da vicino - e da medico - quasi si
spaventa nel constatare il suo stato fisico, rimanendone impressionato
molto più delle sue parole. Iridi arrossate, occhiaie visibili e
violacee. Decisamente più pallido del solito. Non sa con quale
forza d'animo - né con quale coraggio, a dirla tutta - ma lascia
stare le tazze da tè per qualche secondo, chinandosi in avanti e
prendendo il polso del maggiore degli Holmes fra due dita. Due paia
d'occhi lo fissano stupiti, ma John li ignora entrambi.
Battito accelerato. Allunga
l'altra mano verso la fronte dell'uomo e socchiude gli occhi, sentendo
il corpo dell'altro irrigidirsi a un contatto a cui non è
abituato.
Fronte fredda ma sudata.
John si alza in piedi, dirigendosi velocemente in cucina, prende un
bicchiere con dell'acqua a temperatura ambiente, poi torna da Mycroft,
versandoci dello zucchero.
- Mycroft, bevi tutto d'un sorso per favore. Stai avendo un calo di
pressione. Non dormi da almeno tre giorni e mangi decisamente troppo
poco per la tua costituzione, fammi il favore di non collassare sul
pavimento perché sarebbe davvero problematico dare delle
spiegazioni convincenti al resto del Governo e persuaderli che nessuno di noi due ha attentato alla tua vita.
Sherlock non dice nulla, ha ancora le mani sotto al mento e si limita a
fissare suo fratello intensamente. Ma John lo sa - lo sa anche se
Sherlock non lo dirà mai - che quella reazione da parte di
Mycroft l'ha profondamente turbato, impotente e indifeso come un
bambino, davanti alla natura umana e fragile di suo fratello, sempre
così sicuro di sé e della sua intelligenza
.
Per questo Sherlock sta in silenzio e per questo non insiste a fare
altre domande. Sta aspettando e aspetterà tutto il tempo
necessario a suo fratello per riprendersi, ma anche questo, con ogni
probabilità possibile, lo terrà per sé fino alla
tomba.
- Siamo passati dal lei al tu, dottor Watson?
Mycroft accenna a un sorriso, un po' più tirato delle altre
volte, e John si ritrova a sedere nel bracciolo della poltrona di
Sherlock, assicurandosi che il Governo Britannico si riprenda
abbastanza da tornare ad avere un colorito quantomeno decente.
- Se ti da fastidio, no.
Mycroft non dice niente. John lo prende come una specie di assenso e
sta in silenzio. Sherlock stringe più forte le mani, tanto da
far sbiancare le nocche, e John se ne accorge ma non dice niente
neanche questa volta. Mycroft sospira. Un sospiro profondo, ad occhi
chiusi. E quando li riapre, è il solito Impero Britannico. John
si sente quasi sollevato, e Sherlock smette di torturare le sue dita
per una frazione di secondo.
- Verrà a prenderci un aereo privato. - Mormora Mycroft.
Sherlock lo squadra da capo a piedi.
- Destinazione?
- Quantico.
John inarca appena le sopracciglia.
- In Virginia? Dobbiamo spostarci di così tanto?
Mycroft schiocca appena la lingua.
- Se non vuoi venire puoi sempre rimanere qui a badare alla casa, come ogni buona moglie.
John storce il naso, maledicendosi per non aver messo una dose considerevole di morfina al posto dello zucchero.
- Vedo che ti riprendi in fretta, Mycroft. Peccato, mi piaceva vederti
moribondo, ti rende più umano. - Replica il medico,
piccato.
- Se John non viene puoi dimenticarti di me, fratello - Sherlock
lo trapassa con un'occhiata, visibilmente seccato - E ora
smettila di perdere tempo facendomi dire cose ovvie. A chi
dobbiamo dare la caccia?
Probabilmente è solo una sua sensazione, ma l'aria nella stanza
sembra essersi fatta incredibilmente più fredda e John sente un
brivido scorrergli lungo la schiena. Impercettibilmente si rannicchia
di più verso Sherlock, e per una frazione di secondo sente gli
occhi del Detective sulla pelle. Ha paura, John, ha paura che
s'immischino di nuovo in qualcosa di troppo grosso per loro. E questo
lo rende inquieto, perché lo shock per la finta morte del suo
migliore amico gli ha lasciato una cicatrice profonda nell'anima. Ed
è difficile -
per Dio, se lo è - riabituarsi all'idea che Sherlock potrebbe correre
di nuovo un rischio simile. E che lui potrebbe
di nuovo
essere impotente. Il suo pensiero vola alla pistola che tiene nel
cassetto al piano di sopra. E John fa una promessa a se stesso,
distruggendo in un secondo tutti i principi morali che si è
prefissato da quando è entrato all'esercito: questa volta
sparerà per uccidere, a chiunque oserà anche solo pensare
di fare del male al suo migliore amico. E, che Dio lo assista, non
avrà alcuna paura di finire in galera se servirà a
proteggerlo. Mycroft prende un profondo respiro. Poi parla.
- Hai mai sentito parlare dei Killer di River Creek?
Ps. I'm a Serial Addicted
Salve, mi chiamo Jess e sono tornata. *Ciao Jess*
Questa probabilmente è la fanfiction più difficile che io
abbia mai scritto. Non mi sono mai cimentata con un Crossover (fatto
bene, quando ero più giovane ci ho provato e... non voglio
ricordarlo neanche). Di solito evito di infilarmi in qualcosa che non
conosco, ma questa volta non sono davvero riuscita a trattenermi. Il
Crossover in questione è fra Sherlock - ovviamente - e Criminal
Minds, altra serie che io amo tantissimo. Considerando che gli
argomenti trattati sono molto simili, ho pensato che potesse uscirne
fuori qualcosa di carino - o quanto meno godibile - così
semplicemente ci ho provato. Non ho la benché minima idea di
quanto potrà durare, anche se non la tirerò troppo per le
lunghe, perché potrei perdermi e fare un disastro, che
renderebbe ogni mio sforzo per rendere questa storiella quanto meno
buona,
inutile. La citazione iniziale è presa da uno degli episodi di
Criminal Minds (così come lo saranno tutte le altre, nei
prossimi capitoli) e la colonna sonora che mi ha accompagnata durante
gran parte della stesura è
Set fire to the rain - Adele,
una canzone a dir poco fantastica di cui mi sono profondamente
innamorata. In un certo senso si potrebbe dire che c'azzecca, in
qualche modo *Johnlock* ma per ora preferisco concentrarmi su altri
particolari della storia, ma non escludo qualche piccola parte
slashosa. Che altro dire?
Questa storia è un
tributo.
Un tributo al Gruppo di Sherlocked di cui faccio parte e che mi fanno
passare la giornata in maniera a dir poco fantastica (e che mi hanno
ispirata per scrivere questa
cosa,
per cui sentitevi responsabili u.u), un tributo a me che ultimamente
sono davvero giù di tono ma che scrivendo trovo sempre la forza
di andare avanti e un tributo a Sir Arthur Conan Doyle, che oggi
sarebbe stato il suo compleanno e ci tenevo davvero a postare questa
prima parte
oggi.
Perché, per aver creato un personaggio così straordinario
come Sherlock Holmes, un piccolo tributo ogni tanto ci vuole.
Spero solo non si rivolti nella tomba troppo a lungo. Quindi, ricordo
che i personaggi non sono miei ma di Sir Doyle, e questa rivisitazione in
chiave moderna appartiene a Moffiss (e i personaggi di Criminal
Mind ai rispettivi creatori, ovviamente) *prega verso nord* vi auguro
una buona lettura e ci si sente presto, aspetto i pomodori u_u
Jess