one shot su spain
Il RIFLESSO DEL DIAVOLO
Anno Domini 1519
[1]Siamo
venuti per servire Dio e il Re e anche per diventare ricchi
-Lovinito mi amor!
-Togliti, idiota. Non starmi così appiccicato.
Perdente, Antonio.
-Esto es
España?
Una frase
sputata con rabbia e
ironia sardonica nella penombra della stanza silenziosa. Antonio si
mosse tra le coltri del soffice letto a baldacchino, si girò
sullo stomaco afferrandosi ad un cuscino rosso e socchiudendo gli occhi
intravide una lama di sole tiepido attraverso i tendaggi pesanti che
ricoprivano le finestre.
Guardò con gli occhi ancora socchiusi la pendola alla sua
destra segnare appena le sei del mattino.
Si sentiva irrequieto, aveva come l' impressione che l' aria puzzasse
di vecchio e di muffa.
Di sangue rappreso e di alcool che bruciava sulle ferite.
Sfregò tra loro i polpastrelli delle mani. Erano mani ruvide
e
dure, sotto le unghie era rimasto il residuo della terra lavorata nei
giorni precedenti.
Antonio spostò le coperte di lato, sostò qualche
minuto
seduto sul bordo del letto, ancora intontito per il sonno, poi
finalmente si alzò e scostò leggermente le tende,
aprì la grande vetrata che si affacciava sui campi spagnoli
permettendo così all' aria frizzante del mattino di
penetrare
all' interno della stanza procurandogli un brivido leggero sulla pelle.
Passò al grande specchio ovale indugiando un momento ad
osservare la propria figura e tolse la vestaglia che copriva
parzialmente il suo riflesso inclinando le labbra in un sorriso. A
volte era proprio disordinato.
-España
Sentendo
chiamare il suo nome
spalancò appena gli occhi verdi facendo un passo all'
indietro.
Un ragazzo estremamente simile a lui gli sorrideva dall' altro lato
dello specchio.
Che fosse impazzito?
-¿Qué demonios...? ( = che diavolo...?)
-¿ Demonios?-
il
ragazzo di fronte a lui sorrise assottigliando gli occhi, smeraldo uno,
rossastro l' altro- no, non diavolo, Antonio. Tu. Yo soy tù.
( = io sono te)
Antonio
strinse la vestaglia
che teneva nella mano sinistra, un moto di terrore gli attanagliava lo
stomaco. Forse stava sognando, forse era pazzo. Eppure non si sentiva
tale e questo se possibile gli faceva ancora più paura.
Lui gli somigliava. Oh, se gli somigliava.
"Sono io... eppure non sono io, quello", si disse.
I capelli di Antonio erano ancora corti anche se aveva pensato di farli
crescere un poco, quelli del suo riflesso erano proprio come i suoi,
ribelli ma più lunghi, parzialmente coperti da una fascia
rossa
sulla fronte da cui fuggivano dispettose alcune ciocche e legati in una
coda sottile che si adagiava discreta sulla spalla destra. Parevano
brillare di un colore innaturale che ammaliava lo sguardo con un
riflesso rossastro che si mescolava ai fili castani. Gli occhi
e
le labbra erano qualcosa di spaventoso.
I primi erano lame di follia che tendevano a socchiudersi come se il
suo strano sè stesso si sentisse un gatto che gioca col topo
ormai inerme, le labbra invece si piegavano, sottili, in un sorriso
enigmatico e potente che Antonio pensava nascondesse denti acuminati
che l' avrebbero divorato.
Era riccamente vestito con gli abiti più pregiati del tempo,
un
orecchino pendeva dal lobo sinistro, portava una camicia di cotone
molto ampia attraverso cui si intravedevano collane d' oro e una croce
cristiana che spiccava sulla pelle olivastra del collo, la lunga giacca
rossa variamente decorata abbandonata pigramente sulle spalle, i
pantaloni scuri avvolti in vita da una fusciacca rossa e un cinturone.
Antonio prima di arrivare agli stivali intravide spada, coltello e
pistola.
Il suo alter ego allo specchio si mise una mano guantata sul fianco, l'
altra, scoperta mostrava anelli e bracciali.
Chi era costui? Non poteva essere lui, quel tizio non poteva
affermarlo. Lui non vestiva a quel modo.
Sembrava...
-Ammirami pure, Antonio- gli disse il ragazzo- ammira il frutto della
gloria imperitura del Reino.
Il corsaro, o almeno Spagna ebbe quell' impressione, allungò
la
mano ingioiellata verso lo specchio. Quella mano uscì fuori
toccandogli la guancia accaldata, poi l' intera figura
oltrepassò lo specchio, con la gamba destra e infine tutto
il
corpo e se lo ritrovò davanti tanto da sembrare vero.
Lo guardò serio l' altro, toccandogli leggero il viso:- Io
sono
il futuro. Sono la nazione che risorgerà potente dalle tue
ceneri. Ricco, amato e odiato, temuto. Tu sei un nulla- gli
afferrò la mano sporca di terra guardandola con un sorriso e
toccando i calli duri- sei solo un contadinotto- lo fissò
ancora, lo guardò improvvisamente irato e urlò-
E' questa
la gloria che cerchi per la grande Spagna?! Este?!- lo fissò
qualche secondo accigliato, si calmò e sorrise di nuovo,
placido
e soddisfatto. Antonio lo guardava, confuso. Si sentiva schiacciato da
quella presenza- queste mani si riempiranno di sangue straniero, le tue
unghie saranno incrostate di sangue rappresso, forse anche del tuo, non
più di terra. Le tue orecchie sentiranno le urla di gioia
del
popolo che ti acclama e di quelle terrorizzate dei nemici. Correrai i
mari e sarai padrone di un regno su cui non tramonta mai il sole.-
Dicendo così lo guardava fisso e sorrideva. Folle. Si
allontanò oltrepassandolo, camminando a grandi falcate per
la
stanza senza però perdere d' occhio le sue reazioni. Lo
guardava
costantemente di sbieco.
Antonio si voltò, afferrò la grande alabarda
appesa sul
muro pronto a fronteggiarlo. Gli dava le spalle, l' altro, osservando
la finestra:- Ho sempre amato quell' arma- affermò
sospirando
beato.
-Chi diavolo sei?!
Si girò appena:- Te l' ho detto... sono te. Sono te,
Antonio.
Sono la nazione che nascerà dalle membra di uno smidollato
contadino quale sei tu- si bloccò un momento, pensieroso- in
effetti... sono te e non lo sono. Sono il futuro, sono il concentrato
delle ambizioni di questa terra, sono lo spietato guerriero che
sopprimi a stento. Il mondo sta cambiando e tra poco questa mia persona
prenderà il sopravvento sul tuo buon cuore. Devi solo
lasciare
che ciò avvenga.-
Lovino come ogni mattina entrò rumorosamente nella stanza di
Spagna, deciso più che mai a saltargli addosso e reclamare
la
sua colazione. Il bastardo dormiva ancora a pancia all' aria. Il
bimbetto ghignò e prese la rincorsa per ritrovarsi col naso
sul
cuscino. Borbottò qualche parola incomprensibile nella sua
lingua, quel bastardo si era spostato rotolando di lato. Si ritrovarono
viso contro viso e in quel momento Italia Romano sentì il
cuore
perdergli un battito per una sensazione malevola e niente affatto
rassicurante che gli smuoveva le viscere. Antonio aprì gli
occhi
con calma mostrandone uno smeraldino e l' altro vermiglio.
-C...che hai?- pigolò il ragazzino allarmato.
España guardava silenzioso l' oceano solcato dalle navi di
Cortes, aveva lo sguardo perso ora nei flutti, ora verso l' orizzonte,
la posa fiera e le mani incrociate marzialmente dietro la schiena.
Guardava l' oceano placido e non poteva non dirsi turbato all' idea di
annegare nell' oblio di quei flutti. No, la nazione che rappresentava
non sarebbe mai caduta in un qualsiasi dimenticatoio, non si sarebbe
fatta inghiottire da alcuno stolto avversario. Che tutti, oceano
compreso, tremassero al suo passaggio.
L' orizzonte, nella cui lontananza scorgeva i lembi delle terre lontane
sarebbe stato il futuro del Reino. Impero è una parola
potente,
mistica e sacra, ammantata di un alone di mistero e potenza senza
eguali.
-Impero- sussurrò e sorrise come il cacciatore che si
avvicina alla preda.
-Antonio- Cortes gli fu accanto assumendo la medesima posizione e
guardando un punto in lontananza (quel lembo di terra), l' altro da
parte sua si girò a guardarlo :- Non Antonio, è
un nome
che ho dimenticato. Javier. Suona meglio non pensi?
L' uomo aggrottò le sopracciglia:- Come credi,
España
-preferì risolverla così, era troppo abituato
all' altro
nome e non voleva certo contrariare la Nazione, già partiva
da
ribelle. Il condottiero notò la benda che teneva
sull'
occhio sinistro lasciandone scoperto uno vermiglio. Non aveva gli occhi
verdi? Non ricordava che Antonio si fosse procurato una così
grave ferita in battaglia. -Mi sembri cambiato España- fece
notare.
La nazione al suo fianco sospirò godendosi l' aria salata
del
mare:- Sono sempre io Cortés, sempre io- rispose con un
accenno
di rammarico.
-Si raccontano prodigi sulle tue imprese. Matamori, qualcuno ti
chiamava così mentre combattevi gli infedeli. Come il santo.
-Credi che un santo si macchi le mani di sangue?
-Chissà... chissà.
-Sembri diverso- ripetè Cortés- anche se a dire
il vero
non mi riguarda. Non mi interessa a volere essere onesti. Prima certi
sentimenti ti offuscavano la mente. Mi hanno detto che piangevi come
una donnetta dopo le battaglie.
Spagna rise ilare gettando il capo all' indietro:- Sarà
stato il senso di colpa, Cortés!
Il condottierò lo guardò severo:- Ti preferisco
così. Con gli scrupoli non si va da nessuna parte.
[2]"La
grande città […] è costruita sulla
laguna salata e
dista, in qualunque punto, due leghe dalla riva. Vi si può
accedere da quattro parti attraverso strade ben costruite, della
larghezza di due lance.
È grande come Siviglia o Cordoba. […] La piazza
più grande è due volte quella della
città di
Salamanca, interamente circondata di portici. Dove, ogni girono, tra
compratori e venditori, ci saranno più di sessantamila
persone"
Iniziarono
a chiamarli
conquistadores, quegli spagnoli di cui si favoleggiava in patria.
Rimasero stupiti di fronte allo splendore di Tenochtitlán.
La
città degli indigeni sorgeva su un' isola immersa in un
lago,
era immensa come Parigi o come Napoli, aveva strade, canali, ponti che
collegavano i luoghi su cui sorgeva, precisa e ordinata. Persino un
acquedotto. Spagna non poteva credere a ciò che vedeva. Quei
pagani... non potevano tanto!
La
Nazione osservava Cortés aggirarli, blandirli e tessere
inganni. Gli stolti li acclamavano come dei.
Spagna fu accolto con tutti gli onori. All' interno della residenza del
nono tatloani*
Montezuma, questi a un certo punto gli si avvicinò a capo
chino
indicando la ragazza che accompagnava tenendole saldamente un braccio.
L' europeo aggrottò appena le sopracciglia interrogandosi
sulle
intenzioni di quel tizio. Montezuma indicò ancora una volta
la
giovane e disse "Coatlicue", congedandosi subito dopo.
Si trovarono uno di fronte all' altra. Il giovane uomo la squadrava con
aria superba, indiscreto. La donna era piccola di statura, aveva i
capelli neri, gli occhi altrettanto, le labbra carnose e la pelle
olivastra. A vederla sembrava indifesa, fragile. Sciocca. Antonio
-Javier- sorrise beffardo. Era vestita di bianco,intravedeva la pelle,
osservava colpito i tesori preziosi che la abbellivano. Collane,
bracciali. Li voleva.
Passò un dito sulla sua collana, perso nell' ammirarla.
Era bella lei, la donna. Ma poco importava. Non era lì per
quello, il sesso poteva attendere per il momento.
-Quetzalcoatl- pronunciò alla fine lei.
-Di che parli?- domandò irritato, non capendo.
-Quetzalcoatl- ripetè inchinandosi profondamente.
-Cortés!- Spagna chiamò il comandante che si
affrettò a farglisi vicino assieme ad un altro uomo.
-Sto trattando- puntualizzò il conquistador.
-Cosa vuoi che mi importi?- iniziava a essere irritato, sempre di
più. Non capiva una sillaba di ciò che dicevano
quegli
sciocchi.- che diamine sta dicendo? Non fa altro che ripetere
Quetzqualcosa.
L' uomo accanto a Cortés intervenne al posto del
comandante:- E' il dio serpente piumato.
Antonio rise:- Non mi pare di avere piume da qualche parte!
La ragazza dal canto suo guardava timorosa i tre uomini.
Si girò verso di lei:- Imparerai lo spagnolo. Non sei umana,
no?
-Non è...- domandò l' uomo che era con
Cortés.
-No. Se non mi inganno... e non lo faccio, questa donna deve essere di
certo la rappresentante di questi creduloni. O qualcosa del genere.
Gli aztechi li credevano dei -o qualcosa di molto simile- la loro
stessa rappresentante, che chiamavano Coatlicue, aveva scambiato
Antonio per Quetzalcoatl, il dio che aveva creato il mondo e gli
uomini, nato da Est e andato via nella stessa direzione e di cui
attendevano la nuova venuta.
Cortés avrebbe giocato questa ulteriore informazione a
proprio vantaggio, loro del resto erano venuti da est.
Spagna e la sua controparte si capivano solo sotto le lenzuola. La
pelle di Coatlicue era calda e sottile sotto le sue mani, le sue grida
erano di un piacere doloroso per le cose che non aveva mai provato
prima. Era vergine e a quel pensiero il ragazzo ghignò e il
suo
ghigno si allargò ancor di più sciogliendosi in
una
risata quando aveva scoperto che portava il nome di una dea vergine.
Strano a dirsi visto che non se la cavava affatto male.
Coatlicue da parte sua temeva gli uomini venuti dal mare. I segni
dicevano che essi fossero dei, ma la sua intelligenza la metteva in
guardia dai loro occhi avidi, in special modo dall' uomo cui era stata
costretta a donare il proprio corpo. Non avrebbe mai voluto, aveva
promesso di onorare per tutta la sua vita il nome della vergine madre
del dio Serpente ma Montezuma sperava di compiacerlo in quel modo e di
renderselo favorevole, lui e gli altri.
Pensava anche che gli dei avessero un aspetto diverso, che si
nutrissero solo del cuore degli uomini, invece loro gli assomigliavano
e mangiavano il loro stesso cibo. Avevano persino proibito i sacrifici
agli dei.
Spagna issò l' alabarda verso l' alto fendendo l' aria con
un
sibilo prima di abbatterla con un colpo secco su un soldato indigeno.
Era da giorni che continuavano così ma potevano dirsi
avvantaggiati dalle armi da fuoco e dai cavalli, sconosciuti fino a
poco tempo prima agli indigeni. La nazione prese la pistola dalla
cintura e sparò alcuni colpi in aria, poi verso alcuni
aztechi.
Qualcuno fuggiva terrorizzato, altri cercavano di assalirlo nel
tentativo di prenderlo vivo e farne sacrifici per i loro falsi dei. Da
sotto le mura i conquistadores potevano vedere con orrore i corpi dei
loro compagni presi prigionieri e accatastati sulle piramidi come
sacrifici, ora senza vita.
Era un orrore.
Qualcosa per un momento dentro di lui vacillò.
-Antonio- sibilò con rabbia dando una gomitata a un uomo che
lo attaccava- taci. Taci!- urlò.
Si guardò intorno e si tolse la benda nera che gli copriva
l'
occhio. Erano rossi, erano entrambi rossi. Antonio finalmente era
morto. Morto! Contemplò il cielo fuligginoso sulla sua
testa, la
città data alle fiamme che bruciava, gli spari dei fucili
spagnoli che lo rassicuravano, i corpi distesi a migliaia sulla terra
secca. Camminò su quel pavimento di cadaveri, col cuore
palpitante di un istinto pazzo e selvaggio. Doveva trovarla, doveva
trovare Tenochtitlan, la ragazza col nome di dea. E ucciderla.
Nelle narici gli entrava l' odore delle case e dei corpi bruciati, del
sangue, suo, dei suoi compagni, degli indigeni, come se fosse stato
all' interno di un mattataoio.
Ora erano giunti alla fine di quella fase. Dalla morte di quella
città sarebbe nata una nuova era per lui.
La trovò che si guardava intorno, guardinga e accigliata, in
mano un' arma affilata ma rude che gli faceva venire voglia di ridere.
Sbuffò un poco, non si trattenne. Gorgogliò una
risata
che gli nasceva dalle viscere e risaliva su per la gola raschiando le
corde vocali, cupa, nasale, un po' roca.
Tenochtitlàn si voltò all' improvviso,
terrorizzata.
-Lo sapevo che non dovevao fidarmi di te- affermò in uno
spagnolo un po' incerto.
Il ragazzo alzò il mento soddisfatto:- Già, per
questo ti
sei fatta sbattere come una puttana.- tacque un secondo, prima di
aggiungere- E parli la mia lingua.
Ebbe come l' impressione che Coatlicue ringhiò prima di
avventarsi su di lui. Javier si spostò di lato assestandole
una
gomitata sulla schiena, le allontanò l' arma con un piede.
Tenochtitlan in quel momento pianse in silenzio, alle spalle di quell'
uomo vedeva la sua gente morire, la città bruciare. Era
tutto
finito. Quegli dei avevano solo portato il dolore e il fetore della
morte. Lo maledisse nella propria lingua materna, gli augurò
ogni male e ogni sofferenza, gli augurò di non potere mai
trovare la luce e di essere in eterno tormentato dal peso dei suoi
peccati.
-Ninguna paz... Ahoga en
vuestos pecados y en el infierno de su dios!**-
berciò con un filo di voce affinchè comprendesse
le sue parole.
-**No tiengo miedo.
E' una condanna che accetto para
España.
Disse così, prima di abbattere l' alabarda sulla donna che
lo
aveva maledetto per sempre. L' aveva ferita per renderla innocua, ma
era viva. Per il momento.
Lo sapeva, Antonio dentro di lui lo sapeva che per colpa di quell'
insensata sete guerriera la sua anima si sarebbe dannata per la vita.
Spagna sospirò, una pioggia insistente iniziò a
bagnargli
il volto, alzò il capo rivolto al cielo, la croce d' ora
brillava indegna sulla sua pelle. Sentì la pioggia
invadergli
gli occhi, li richiuse e li riaprì in uno scatto. Uno verde
e
uno rosso.
-Antonio... non ti arrendi?
Anno domini 1521
Le navi
provenienti dall' America
attraccarono nei porti più importanti della Spagna cariche
di
preziosi e di ogni bene, conosciuto e non. Quando la nazione mise piede
sul suolo nativo gli sembrò di respirare finalmente un' aria
diversa, più pulita per certi versi di quella con cui era
venuto
a contatto negli anni precedenti. Visitò i reali del paese
porgendo i suoi omaggi, facendosi festeggiare e acclamare e informarli
della situazione.
Poche settimane dopo si trasferiva nuovamente nella sua tenuta poco
distante da Madrid. Quel corpo non bastava a contenere due anime
così diverse. Uno non basta affatto. Lottavano a vicenda,
continuamente, emergevano e si imponevano l' una sull' altra.
Sostò nel giardino della tenuta in mezzo agli inservienti
che
erano venuti ad accoglierlo, diede disposizione alle guardie che lo
seguivano. Notò un ciuffo fare capolino dietro le gonne di
una
cameriera. Italia Romano mostrò il visino titubante
passandolo
dal volto -ancora strano a detta sua- di quel bastardo di Spagna a
quello di alcune persone macilente che la nazione si portava dietro. Il
bambino spalancò gli occhi e inorridì. Chi
diavolo erano?
Erano uomini e donne feriti, pieni di lividi, legati a catene pesanti,
curvi e rassegnati.
Spagna gli si avvicinò e la cameriera si spostò
velocemente privando il piccolo italiano della sua protezione.
-Ce-ce...ce ne hai messo per tornare!- balbettò Lovino
guardandosi i piedi.
-Poco- precisò il più grande- sono stato via
decisamente poco tempo.
Di solito Antonio quando lo vedeva, specie se di ritorno dopo un lungo
viaggio, si abbassava alla sua altezza, questa volta no, lo sovrastava
imponente con quegli occhiacci di diverso colore.
Il piccolo sporse lateralmente la testa notando una donna minuta,
conciata peggio degli altri, scheletrica, con un cappio che sembrava
pesare quintali. Aveva delle bende intorno allo stomaco e una mano
completamente fasciata -ammesso che l' avesse ancora-
Romano ne ebbe una pietà infinita, avrebbe voluto donarle la
pace, estirpare il dolore. Ma come si faceva? Tremò
e
iniziò a singhiozzare.
-Chi sono?- chiese
-Gli sconfitti- fu la pacata risposta
-Io sono...
-Uno sconfitto, Italia Romano.
Spagna lo superò lasciandolo a piangere e a sfogarsi sotto
gli
occhi imbarazzati di servitori e cameriere. Sentiva il cuore farsi
piccolo piccolo, stritolato da un pugno di ferro, come se qualcosa gli
stesse succhiando la vita.
Antonio era un bastardo. Gli aveva mentito.
Gli diceva che gli voleva bene.
Non era vero.
Gli diceva che lo avrebbe protetto.
Non era vero.
Che lo avrebbe trattato bene.
Bugiardo.
Bugiardo.
E bugiardo.
Non credeva che fosse cattivo. Che facesse questo.
Sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi di lui. L' aveva capito subito
che era egoista.
Il bimbo si alzò e gli corse dietro fin dentro casa, gli
arrivò alle spalle e iniziò a colpirlo alle gambe
con
calci e pugni gridando quanto fosse bastardo e quanto lo odiasse.
Spagna si girò scocciato e lo afferrò per la
collottola
portandolo all' altezza del proprio viso. Il bambino continuava a
scalciare e a dimenarsi. A un certo punto gli sputò in
faccia.
-Non hai paura- costatò pulendosi il viso con la mano libera.
Romano si calmò all' improvviso, se ne era scordato. Certo
che
gli faceva paura. Era più alto, era più forte. E
ora che
ci pensava... era diverso.
Antonio appoggiò delicatamente il bambino a terra e si
chiuse
nelle sue stanze. Si mise a letto. Il mattino dopo quando si
alzò si guardò allo specchio.
C' erano i suoi occhi verdi, c' era un riflesso identico che lo
guardava.
...
E c' erano ancora le mani sporche si sangue.
Un' era tramontava e lui non era più due ma uno.
Esisteva Antonio, solo Antonio. Antonio e il suo sorriso gentile,
Antonio e la sua ambizione. Facevano entrambi parte di lui,
armoniosamente, senza lotte, senza che fossero divisi.
Era nata la nuova España.
Si fece un bagno e si cambiò. Doveva chiedere scusa a Lovino
e parlare con i regnanti della politica futura.
Per il pentimento c' era ancora tempo.
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**Nessuna pace... annegherai nei tuoi peccati e nell' inferno del tuo
Dio.
**Non ho paura [...] Per la Spagna.
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HARU DICE:
Questa ff è stata
un parto o_o, spero di non aver scritto scemenze ma mi andava di
descrive il lato "oscuro" di Spagna, un Antonio che prevede un futuro
pentimento ma che è più impegnato a vedere il
presente.
Javier potete vederlo come l' alter ego di Antonio oppure come la parte
scura, quella più ambiziosa e guerriera, quella che non si
fa
scrupoli e che emerge lentamente, prima rinnegando la "parte buona" e
poi fondendosi alla fine con essa. Bho... fate un po' voi XD
Io ho il cervello in pappa.
Il punto di vista che prevale ovviamente è quello di Spagna
conquistador, quindi ovviamente questo non vuol dire che io condivida
ciò che dice. Meglio precisare.
Ultima cosa, io non capisco una pippa di spagnolo quindi spero che il
traduttore non mi abbia fatto scrivere scemenze.
NOTE:
*Tatloani: è il capo massimo della società azteca.
[1]: Frase tratta da Historia verdadera de la conquista de la Nueva
Espana
[2]: Tratta da "La
conquista del Messico"
Per
quanto riguarda la parte in cui si dice che gli dei mangiano
il cuore degli uomini, so che gli aztechi facevano sacrifici
alle
divinità e da qualche parte mi è sembrato di
leggere che
pensavano che le divinità si nutrissero del sangue del cuore
umano ma non ne sono certa onestamente.
(MOLTO, MA MOLTO) SINTETICAMENTE GLI AVVENIMENTI:
Il
contesto di questa ff è ovviamente la conquista dell' impero
Azteco da parte degli spagnoli di Cortès inizialmente non
appoggiata dal governatore spagnolo di Cuba e in ogni caso l' appoggio
ufficiale alla spedizione è piuttosto controverso. Secondo
la
tradizione Azteca il dio Quetzalcoatl
sarebbe dovuto tornare proprio in quegli anni, quindi gli spagnoli, che
tra l' altro possedevano oggetti mai visti dagli Aztechi, furono
scambiati per dei o comunque loro emissari. Cortés
giocò
molto su questo fatto servendosi di una notevole pressione psicologica.
Alla fine si arrivò alla guerra aperta tra aztechi e
conquistadores, la capitale dell' impero fu espugnata nel 1521. Nel
1525 le ultime sacche di resistenza venivano definitivamente domate.
DISCLAIMER:
Hetalia e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono
degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di
lucro.
L' immagine che ho messo ovviamente non è mia nemmeno.
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