Titolo
Titolo: The House
Fandom: Merlin/Supernatural AU
Personaggi/Pairing: Merlin, Arthur Pendragon (Merthur ♥), Gwen, Morgana, Percival, Lancelot, Gwaine. Guest star: Sam e Dean Winchester, Castiel (Destiel ♥)
Rating: Pg (?)
Beta: Stateira e Samek mi hanno tirato le orecchie per gli erroretti sparsi.
Word: 3570 (fiumidiparole)
Genere: commedia (?), avventura.
Warning: slash accennato (accennatissimo), AU, leggerissimo crossover.
Summary: Merlin lavora in una tavola calda per pagarsi l’università. Una mattina Arthur, suo migliore amico e ragazzo per cui ha una cotta secolare, gli propone una caccia ai fantasmi per quella sera.
Note: scritta per l’ottava e ultima settimana della Cow-T (che abbiamo vinto noi Cavalieri �/ ♥) per la Missione 2 – prompt: Fandom!AU, ma, ahimè, non sono riuscita a completarla in tempo. Ma la storia mi piaceva comunque, quindi ve la ciucciate lo stesso, che io non spreco il mio genio >___> *le arriva La Colt dietro la testa*
Uhm, buona lettura!
NOTICINA EXTRA: questa di seguito è prevalentemente una Merthur (Merlin/Arthur) con lieve accenno Destiel. E solo perché dovevo evitare di sfociare nel vero crossover. Ma prima o poi mi rifarò, vedrete u_u
DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Merlin, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Dean *sigh*
Lavorare in
una tavola calda era divertente, nonostante la stanchezza delle tante ore
passate in piedi dietro il bancone, o nel retro a ordinare e catalogare le
consegne arrivate la mattina, ma gli permetteva anche di conoscere sempre
persone nuove e di stringere amicizia con gli avventori: c’era il libero
professionista, che passava a prendere un caffè nero al volo la mattina presto,
e il liceale che si fermava dopo le lezioni con gli amici per un hamburger e una
porzione di patatine.
A Merlin
piaceva davvero il suo lavoro e questo faceva sì che non fosse un onere da
portare con fatica, ma piuttosto un modo come un altro per mantenere le
relazioni interpersonali nonostante l’università. Era, in effetti, a causa di
quest’ultima se, finito il liceo, aveva cercato un lavoro. Era riuscito ad
entrare alla Facoltà di Medicina dell’Università locale grazie a una borsa di
studio, ma era costosa – c’erano i libri e i trasporti – perché potesse
permettersi di frequentarla.
Essendo in
famiglia solo lui e sua madre – che faceva l’infermiera al liceo – Merlin aveva
saputo fin dall’inizio che avrebbe dovuto essere autosufficiente anche a livello
economico, se voleva inseguire il suo sogno.
Così, quando
Gwen gli aveva proposto di lavorare nella tavola calda di suo padre lui aveva
acconsentito all’istante.
-Cosa vi
porto?- domandò con un sorriso cordiale ai due giovani al bancone. Uno dei due,
quello più basso, lesse la lavagnetta delle specialità appesa alle sue spalle e
poi ordinò:
-Vediamo,
frittelle e un caffè nero.- Aveva una voce roca ma molto gradevole e un paio di
occhi verdi davvero stupefacenti sopra una distesa di lentiggini.
-Lo stesso
anche per me,- aggiunse l’altro, con un sorriso gentile. Condividevano lo stesso
paio d’occhi chiari, ma su quest’ultimo si caricavano di una dolcezza maggiore,
probabilmente anche grazie ai tratti del viso più gentili.
Parenti,
ipotizzò Merlin, allungandosi a passare l’ordine a Tom. Cugini, continuò,
notando la somiglianza labile ma presente, Forse addirittura fratelli.
-Le frittelle
arrivano subito,- li avvisò, passandogli poi due tazze, -E qui ci sono i caffè.
Il campanello
del locale lo richiamò con il suo trillo, facendolo voltare verso i nuovi
clienti. Il sorriso cordiale si ridimensionò e si lasciò andare a uno sbuffò
quando incrociò un paio di occhi azzurri.
-Ma guarda,
assumono anche gli Idioti, adesso!- si meravigliò il nuovo arrivato. Merlin
osservò il giovane accomodarsi al bancone, proprio di fronte a lui, e
sorridergli malandrino.
-E gli Asini
sanno parlare!- ribatté inarcando un sopracciglio, facendo imbronciare il
suddetto Asino.
-Sanno anche
picchiare, se è per questo,- lo minacciò e Merlin rise, alzando le mani in resa.
Si poggiò poi sul bancone e lo guardò divertito.
-Di’ un po’,
tu non dovresti essere a studiare per gli esami di metà semestre?- lo interrogò,
facendogli fare una smorfia scocciata.
Arthur era il
suo migliore amico dal liceo. Più precisamente da quando si erano incontrati
al terzo anno. Merlin si era appena trasferito in città ed era diretto alla
classe di chimica quando aveva voltato l’angolo si era scontrato con un muro.
Era scivolato, rovinando sul pavimento e portandosi dietro il suddetto muro,
che poi aveva scoperto essere Arthur Pendragon, quarterback della squadra di
football e ragazzo immagine del liceo.
Avevano
iniziato così, urlandosi addosso di essere un Idiota che non sa neanche
camminare e un Asino che non guarda dove mette i suoi stupidi piedi
enormi. Le cose erano peggiorate quando avevano scoperto di essere stati
accoppiati nel progetto di chimica – la cui aula, aveva poi scoperto, era nella
direzione opposta a quella presa da lui. Arthur glielo aveva rinfacciato per
tutta la durata del progetto. E talvolta lo faceva tutt’ora.
Ma nell’arco
delle settimane seguenti era scattato qualcosa e Merlin aveva rivalutato la sua
sfortuna. Arthur poteva comportarsi come un pallone gonfiato, di tanto in
tanto – spesso, ad essere sinceri – ma era molto intelligente e, nonostante
tutto, una persona piacevole. C’erano volte in cui Merlin aveva sentito – e
continuava a sentire, a distanza di anni –il desiderio di ucciderlo, ma il più
delle volte riusciva a conviverci pacificamente. Probabilmente era dovuto anche
alla sua cotta, ma Merlin cercava di pensarci il meno possibile.
Ritrovarsi
innamorato di un ragazzo come Arthur Pendragon non era esattamente una cosa da
sperare o da riuscire ad evitare. Dopotutto era stato la punta di diamante del
liceo, bravo negli studi come nello sport, Re del Ballo di Fine Anno e futuro
promettente avvocato.
Come già
detto, era difficile – quasi impossibile – non rimanere abbagliati dal suo
carisma, per non parlare della bellezza.
-Al diavolo
quella roba, sono qui per farti una proposta!- sogghignò il succitato bel
giovane. Merlin inarcò un sopracciglio e l’altro si tese sul bancone,
continuando: -Stanotte, Madison Road. Io, te e... gli altri.
-Madison
Road?- ripeté, processando l’informazione e arrivando all’unica conclusione
possibile. -La Casa?- domandò con uno sbuffo divertito, -Non sei troppo
grande per credere ai fantasmi?
-E dai, non
fare il guastafeste!- lo rimbrottò l’amico, allungandosi a mollargli uno
schiaffo dietro la nuca. -Lo vogliamo fare tutti!
-Tutti
chi?-
-Lancelot,
Gwaine, Percy... Tutti!
Merlin
sostenne il suo sguardo, scettico, ma quando vide lo scintillio eccitato negli
occhi blu dell’amico, chiuse i suoi e scosse la testa con un sospiro sconsolato.
-E va bene,-
acconsentì.
Arthur
sorrise, mollandogli una poderosa pacca sulla spalla, e lui cercò di non perdere
l’equilibrio e – soprattutto – di non pensare a quanto il locale fosse diventato
improvvisamente luminoso.
Per sua
fortuna il campanello di Tom squillò, richiamandolo e impedendogli di fare
qualcosa di molto stupido come arrossire – e dichiararsi. Afferrò i
piatti di frittelle e li depositò di fronte gli unici due clienti al bancone
oltre Arthur – ma Arthur non era un vero cliente – e sorrise cordiale.
-Buon
appetito,- augurò, guadagnandosi un cenno gentile dal più giovane. L’altro
invece semplicemente lo fissò, e per lungo tempo. Al punto che lui
cominciò a sentirsi a disagio e chiedersi se ci fosse qualcosa che non andava
nel suo viso – le orecchie? Ma i capelli gliele coprivano, no? E poi, quel tizio
sembrava più interessato ai suoi occhi.
-Uhm,- si
schiarì la voce, scambiandosi un’occhiata con l’amico lì vicino, che osservava
la scena corrucciato. -Posso fare qualcosa per te?- domandò sforzandosi, questa
volta, di sorridere. Ma il ragazzo non sembrò sentirlo, perso in chissà quali
pensieri. Fu il fratello ad accorgersi della cosa e a richiamarlo con un sibilo
e una gomitata nelle costole, facendolo trasalire.
-No, grazie
mille,- rispose al posto del più grande. -Hai... degli occhi molto belli, te
l’hanno mai detto?- aggiunse dopo un attimo, scoccando al fratello uno sguardo
divertito.
-Ehm... no.
Uhm, grazie,- balbettò Merlin, guardandosi per un attimo attorno spaesato.
-Adesso però devo tornare... sai, a lavoro, quindi...- non terminò la frase e
sparì nelle cucine, sentendo gli occhi di Arthur bucargli la nuca e la voce roca
dell’altro ragazzo brontolare:
-I suoi
sono più espressivi.
***
Medison Road
era, probabilmente, la strada più conosciuta della città, e tutto a causa – o
per merito – di quella casa.
Era una tenuta
padronale risalente a prima della Guerra di secessione, trasformata poi, durante
gli anni ’30, in un albergo di lusso, fiore all’occhiello della comunità. Un
tempo circondata di campi rigogliosi, era ormai solo un’eco fatiscente di una
società lontana, serrata tra magazzini e palazzi imponenti, ma continuando,
tuttavia, a conservare il suo fascino senza tempo.
Nel corso
degli anni era stata soprannominata La Casa dai giovani del luogo,
dopo il numero impressionante di strane morti di cui era stata teatro –
culminate nello sterminio dell’albergo – e che avevano fatto desistere
nuovi acquirenti dal comprarla, destinandola allo stato di degrado in cui ormai
versava.
Troneggiava,
imponente e placida, sulla strada deserta, silenziosa nella notte senza luna.
Merlin sospettava che non fosse un caso. Se conosceva bene Arthur – e lo
conosceva come le sue tasche – aveva scelto consapevolmente quella notte.
Perché? Fondamentalmente perché era un idiota.
-Dicono che ci
siano morte cinquanta persone lì dentro e che, se ascolti bene, senti ancora le
loro urla disperate,- sussurrò Gwen, gli occhi fissi sulla struttura di fronte a
loro.
Calò un
pesante silenzio sul gruppo, rotto solo dal canto nostalgico di un gufo.
-A me non
sembra nulla di speciale,- dichiarò Percy, rovinando l’atmosfera. Probabilmente
per la prima volta da quando lo conosceva, Merlin fu d’accordo con lui.
Arthur però,
la pensava diversamente e sottolineò il concetto con uno schiaffo sulla nuca del
giovane miscredente, facendo fiorire le sue proteste.
Merlin
sospirò, deviando lo sguardo da loro al resto della comitiva, ancora intento ad
osservare la casa. Il tutti di Arthur si era poi limitato ai soliti, con
l’aggiunta di Morgana, figlioccia della famiglia Pendragon.
-Sembra
viva, vero?- sospirò proprio lei stringendosi le braccia al petto per
combattere l’improvvisa inquietudine.
-Vuoi che ti
protegga un vero uomo?- ammiccò Gwaine, facendosi più vicino a lei. La ragazza
inarcò un sopracciglio, divertita.
-Adesso sì che
mi sento sicura!- ironizzò, facendo ridacchiare tutti e brontolare offeso il
giovane intraprendente. Lei si voltò, incontrando gli occhi di Merlin, e lo
raggiunse in pochi passi.
-Che ne dici,
andiamo prima noi?-
Lui sorrise,
accettando il braccio offerto. -Ci sto,- asserì, attraversando poi la strada con
lei e dirigendosi a passo spedito verso la tanto temuta dimora degli orrori.
Una volta sui
suoi primi scricchiolanti scalini, l’aria attorno a loro sembrò cambiare,
appesantirsi.
Dovette
forzare appena la porta d’ingresso perché questa si spalancasse davanti a loro
con un cigolio sinistro. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo. Decisamente
scenico, non c’era che dire, pensarono con apprensione.
-Uhm,- si
schiarì la gola Merlin, inoltrandosi nell’ingresso buio e vinto dalla polvere.
Un attimo dopo sussultò quando una mano calò sulla sua spalla, trattenendolo.
-Fermo dove
sei,- gli intimò Arthur, superandolo, seguito da Gwaine e Percy. -Imbranato come
sei, finiresti per beccare qualche asse marcia e fare un bel volo giù,-
continuò, facendosi luce con una torcia elettrica.
Lancelot
comparve accanto a lui e gli rivolse un sorrisetto di complicità. -Almeno se
succede ad Arthur nessuno se ne lamenterà,- sussurrò, passandogli una pila
elettrica e facendolo ridere, mentre il silenzio surreale vigente nella casa
permetteva al giovane Pendragon di sentirli e inondare i loro visi con la luce
artificiale.
-Divertente.
Davvero molto divertente,- ironizzò, scoccando un’occhiataccia a tutti loro.
-Forza, andiamo avanti,- li spronò, dirigendosi verso lo scalone principale,
ricoperto ancora da un lungo tappeto di velluto rosso che, nella luce gialla,
dava l’impressione di essere un fiume di sangue. Inquietante, se ci si
soffermava a pensare allo stermino.
Camminarono
per i lunghi, silenziosi corridoi, trattenendo il respiro a ogni innaturale
scricchiolio attorno a loro.
Per un attimo
Merlin ebbe l’impressione che qualcosa passasse davanti la luce che investiva
una delle porte socchiuse e sussultò.
-Tutto bene?-
si interessò Arthur a cui non era sfuggito il suo trasalimento.
-Sì,- rispose
subito lui, sorridendogli quando fece due passi e gli si sistemò accanto, -Mi
sono solo autosuggestionato.
L’altro
ragazzo arricciò appena le labbra e un attimo dopo riprese a ispezionare il
luogo.
-Peccato non
ci sia il tipo di stamattina, avresti potuto farti abbracciare da lui,- lo prese
in giro. Merlin ringraziò il buio che nascose il rossore salitogli alle guancie
e brontolò un -Non so di che diavolo stai parlando, cretino,- ringraziando che
nessun altro li avesse sentiti.
-Allora, dove
solo questi fantasmi?- domandò Gwaine quando entrarono in quello che, una volta,
doveva essere il salottino per gli ospiti. Era abbastanza ampio, con un lungo
bancone da bar sulla parete di destra; a occhio poteva accogliere almeno una
cinquantina di persone – e, in effetti, secondo la leggenda era proprio
lì che erano stati ritrovati i corpi, una distesa di cadaveri riversi su
divanetti e tavolini da tè.
Arthur avanzò
con passo sicuro, previo poi fare uno scatto indietro quando un’asse scricchiolò
più del dovuto. Tutta la struttura era in legno ed era priva di manutenzione da
decenni – in effetti, Merlin si chiese com’era possibile che fosse ancora in
piedi – e ogni passo poteva essere ultimo.
-Dicono che
tutto cominci a mezzanotte,- intervenne Lancelot dopo qualche istante. Gwen,
accanto a lui, si illuminò l’orologio al polso. -Sono le undici e mezza,- chiarì
con un sospiro.
-Allora non ci
resta che accomodarci,- dichiarò Arthur raggiungendo il bar e saltando a sedersi
sul bancone.
Gli altri si
scambiarono uno sguardo, per quanto la scarsa illuminazione lo consentisse, e si
accomodarono a loro volta come poterono – chi a terra, chi seguendo l’esempio
del capo.
Non rimaneva
che aspettare.
***
Nel buio
completo della stanza, Merlin sentì un sospiro, poi un tonfo.
Un attimo dopo
tutte le torce elettriche si accesero, puntandosi verso l’origine del rumore.
-Scusate,-
biascicò Percival, a pochi metri da lui, proteggendosi gli occhi dalla luce
improvvisa, -Mi era caduto il telefonino.
Ci fu uno
sbuffo generale e le luci tornarono a spegnersi una dopo l’altra. L’ultima fu
quella di Gwen, dopo aver controllato per la quinta – o quindicesima – volta
l’orario.
-E’ quasi
l’una, ormai.
-Forse è il
giorno libero?- schernì Merlin. Non finì neanche la frase che il suono attutito
di passi riempì l’aria, caricandola di aspettativa.
-Eccoli,-
disse Arthur.
-Da quando i
fantasmi camminano?- domandò – giustamente, secondo Merlin – Morgana, ma
l’altro ragazzo la zittì quasi subito, rimettendosi in piedi il più
silenziosamente possibile, seguito dagli altri.
-Quindi, cosa?
Un cameriere impazzito ha fatto strage di tutti?- riecheggiò una voce roca,
seguita dalla comparsa di un cono obliquo di luce, e Merlin aggrottò le
sopracciglia per quanto quella gli suonasse familiare.
-Uhm, no,-
disse un’altra luce -Da quello che ho potuto capire, credo che si tratti
di Benjamin Worton, il primo proprietario. Non è ben chiaro, ma sembra che fu
massacrato dai nordisti con la moglie e le due figlie. Anche se, più che alla
teoria dello spirito vendicativo, credo che sia stato proprio lui ad ucciderle e
poi si sia tolto la vita per non cadere nelle mani nemiche.
-Nordisti?
Aspetta, stiamo parlando della Guerra di secessione?-Al mugolio di conferma ci
fu un fischio, -Non dev’essere rimasto molto di questo bastardo.
-Già.
-Fantastico!
Okay, quindi, cosa, stiamo cercando un feticcio?
-In realtà no,
non credo. Non c’erano notizie su una sua cremazione, quindi, ipoteticamente...
La voce si
interruppe all’improvviso mentre una specie di fischio prolungato gli si
sovrapponeva e Merlin tese l’orecchio, trattenendo il fiato. Sentì un soffio
freddo solleticargli la nuca e sgomitò all’indietro, reprimendo un brivido.
-Sta fermo!-
sibilò in avvertimento.
-Con chi ce
l’hai? Ci siamo solo noi qui,- gli arrivò la voce di Arthur direttamente
nell’orecchio. Merlin s’irrigidì quando sentì, di nuovo, quello spifferò
gelargli la pelle e si voltò lentamente, incontrando un riverbero di occhi. Solo
che non c’era nessuna luce che potesse farli rispecchiare.
-Merlin!- urlò
Arthur, tirandolo giù un attimo prima che un colpo di fucile rimbombasse nella
stanza e la illuminasse quasi a giorno. Ci furono delle urla – Gwen... Percy?
– poi una voce decisa tuonò:
-Chi diavolo
c’è?
Seguì un
silenzio terrorizzato e Merlin fu certo che il battito furioso del suo cuore
fosse udibile da chiunque. E se non chiunque, da Arthur sicuramente sì,
soprattutto per la forza con cui se lo stringeva al petto.
-Sto bene,-
mormorò contro la sua scapola – o almeno credeva fosse quella – prima di
riuscire a vincere la sua presa salda e allontanarsi.
-Chi c’è?-
chiese di nuovo la voce, questa volta accompagnata dall’agitarsi del cono di
luce, che un attimo dopo li investì, accecandoli.
-Abbassa
quella cosa!- sbottò Arthur, armeggiando per accendere la sua e puntarla, mentre
Merlin accanto faceva lo stesso. Tutto gli fu più chiaro quando illuminarono i
visi dei due fratelli che aveva servito quella stessa mattina.
-Cos’era? Cosa
diavolo era quello?- intervenne la voce spaventata – eppure ferma – di Gwaine.
-Uhm,-
temporeggiò il più giovane dei due, quello con gli occhi da cucciolo -Quello...
-Era un
fantasma, okay? Adesso fuori di qui!- sbottò l’altro, ricominciando a seguire il
bip di quel coso tra le sue mani. Il fratello minore lo trattenne
per una spalla.
-Dean,
aspetta... Non credi che forse dovremmo portarli fuori noi? E se lo
incontrassero di nuovo?
Quello che si
chiamava Dean sospirò. -Sì, sì, ho capito,- smozzicò, prima di alzare la voce,
-Okay, sentito la crocerossina con me? Torniamo giù!
-Fermi tutti!-
ordinò invece Arthur, avanzando verso i due, -Chi diavolo siete voi e perché mai
dovremmo seguirvi?
-Arthur...- lo
chiamò Merlin cercando di trattenerlo per la maglia, ma quello strattonò la
presa, ignorandolo.
-Dean. Sam,-
fece le presentazioni il giovane indicando prima se stesso e poi l’altro
ragazzo, -E siamo quelli che salveranno il tuo culo imberbe stanotte!- scoccò
un’occhiataccia al fratello e poi si voltò, dirigendosi verso l’entrata -E
adesso andiamo.
Sam sospirò e
sorrise loro in scuse, facendogli poi cenno di precederli, cosicché lui
chiudesse la fila, come retroguardia. Ma nessuno sembrava muoversi, o anche solo
volerlo fare – probabilmente ancora troppo scossi dagli ultimi avvenimenti –
così fu Merlin a chiudere gli occhi e avanzare di un primo passo, spezzando
quell’irreale immobilità.
Quando lo
superò, afferrò la mano di Arthur e se lo tirò dietro, sentendolo brontolare. Ma
non lo lasciò andare e questo fece nascere un sorriso appena accennato – e
totalmente fuori luogo – sul suo viso.
Stavano
ripercorrendo la strada fatta ore prima, fermandosi ogni volta che il bip
cambiava e Dean imbracciava il fucile.
-Che cos’è?-
aveva chiesto dopo un po’ Merlin, vinto dalla curiosità. Dean si era voltato
appena a guardarlo prima di ricominciare a ispezionare.
-Un
aggeggio,- rispose e dal fondo della fila si sentì l’altro ragazzo ridere.
-Proprio una
bella spiegazione, Dean.
-Preferisci
che lo chiami come i tuoi amichetti? C.E.M.?
L’altro rise
ancora e poi intervenne, anticipando la loro domanda. -Campo elettromagnetico,-
spiegò -I fantasmi ne hanno uno e con quello li rintracciamo.
-E poi gli
sparate,- arguì Morgana -Da quando i fantasmi su uccidono a colpi d’arma da
fuoco?
-Da quando li
carichi di cartucce di sale, dolcezza,- rispose prontamente Dean. Un istante
dopo si voltò e puntò il dito contro Merlin, già pronto a porre la nuova
domanda.
-Non una
parola di più!
Lui richiuse
la bocca e stirò le labbra in pentimento. -Scusa,- bofonchiò. Sam sospirò e
Merlin seppe che stava scuotendo la testa con rassegnazione.
-Sai, Dean?
Solo perché sei... nervoso, non puoi prendertela con il resto del mondo.
Merlin non ne
fu certo, ma ebbe l’impressione che Dean rimbrottasse qualcosa su stupidi
mocciosi che non si preoccupano di far sapere se le loro stupide chiappe
angeliche sono ancora intere.
Quando
arrivarono nell’ingresso, sembrò passata un’eternità. Avevano quasi raggiunto la
porta quando Dean aveva sibilato un -Merda!- stizzito e aveva caricato il colpo
in canna. -Sam! Portali fuori di qui, subito!
-Coraggio,
andiamo,- li aveva sospinti l’altro, sfoderando una pistola e continuando a
tenere sotto tiro il nulla. L’attimo dopo c’era stato un urlo disumano
provenire dalle viscere della casa – o almeno quella fu l’impressione che ebbe
Merlin – e Dean aveva fatto fuoco una, due, tre volte, per poi seguirli
verso l’esterno, verso la salvezza.
-Dio! Quanto
odio questi bastardi figli di puttana!- gemette, ricaricando il fucile a canne
mozze. Una cartuccia gli scappò di mano quando Gwen urlò, indicando la casa.
-È lui! È il
fantasma!
-Perché non
stiamo scappando?- aveva chiesto Merlin dopo un attimo di esitazione,
occhieggiando Sam. Sospettava che se l’avesse posta a Dean lo avrebbe guardato
nuovamente male. Non credeva di stargli molto simpatico, nonostante quello che
credesse Arthur.
-Non ce n’è
bisogno, i fantasmi sono legati a un luogo, di solito quello della loro morte, e
non possono abbandonarlo. Finché nessuno entra nella casa lui non può fare
niente.
-Sì, beh,
peccato che di idioti che adorano farsi fare a fettine se ne trovano
sempre,- ironizzò Dean, caricando un nuovo colpo. -Adesso andatevene e
lasciateci fare il nostro lavoro, eh!
-Aspetta,- lo
frenò Arthur, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Dean – Merlin cominciava
a credere che non sapesse fare nient’altro – ma la sostenne.
-Vi ho sentiti
prima,- disse, alzando lo sguardo verso la vetrata della Sala. -Se state
cercando i resti di Worton dovete andare al cimitero cittadino. C’è una
lapide commemorativa molto grande in suo onore, è impossibile che non la
riconosciate.
Per la prima
volta da quando era cominciata quella storia Dean ammiccò sorpreso, voltandosi
poi verso il fratello che sorrise e scrollò le spalle.
-Non ho
controllato,- si scusò -Di solito non è mai così facile.
***
Se n’erano
andati ancora allibiti e increduli. Avevano visto i due Acchiappa fantasmi
salire sulla loro auto e li avevano salutati, indicandogli la direzione per il
cimitero.
Dopodiché si
erano diretti verso il centro della cittadina, biascicando ancora, di tanto in
tanto, sugli ultimi avvenimenti.
Alla fine si
erano ritrovati alla tavola calda della famiglia di Gwen, la quale li aveva
invitati a entrare a bere un caffè e riscaldarsi le ossa, nonostante fosse una
notte particolarmente tiepida.
Era stato
mentre sorbiva il suo, seduto accanto alla vetrata principale, che Merlin aveva
dato uno sguardo fuori e si era raggelato.
-Cosa c’è?- lo
aveva interrogato all’istante Arthur, ancora con i sensi in allerta.
-Mi era
sembrato di vedere...- si era interrotto, ammiccando confuso. Ali, aveva
concluso nella sua mente, guardando un giovane uomo in trench beige raggiungere
l’auto di Sam e Dean, ferma dall’altro lato della strada. -Niente. Devo essere
davvero stanco,- aveva concluso con un sorriso.
Arthur l’aveva
osservato per un lungo momento.
-Domani ne
riparliamo,- aveva decretato. -Magari davanti a un caffè,- aveva aggiunto un
attimo dopo, incastrandogli i piedi tra i propri. Merlin lo aveva guardato
sorpreso, specchiandosi nel suo sguardo deciso e limpido, e aveva sentito gli
zigomi scaldarsi per l’imbarazzo.
-Magari, sì,-
aveva concordato, nascondendo un sorriso dietro la propria tazza.
Dopotutto,
forse, da quella folle notte sarebbe nato qualcosa di altrettanto folle.
Fine.
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