CAPITOLO
9
Il
cielo plumbeo e pesante convinse Estel ad affrettarsi, nonostante fosse
il suo
giorno libero, nel riportare a casa quei pochi fiori freschi che spesso
comprava per la sua affittuaria.
Nonostante
le nuvole scure gravassero sulla città togliendole quel poco
di dignità che riaffiorava
insieme alla luce del sole, la ragazza non poté che
rivolgere loro un sorriso
distratto. Era ancora confusa per la piega inaspettata che stava
prendendo la
sua vita.
Fino
a poco tempo prima non avrebbe mai creduto di poter provare ancora per
qualcuno
quei teneri sentimenti che, di tanto in tanto, si affacciavano al suo
cuore
mentre era in compagnia di Sully. All’improvviso avere
accanto qualcuno non le
ricordava solo ciò che aveva perduto, non la costringeva ad
affrontare i
sentimenti che erano per anni rimasti in sospeso dove nessuno prima di
Zell era
stato.
Victor
era stato così gentile con lei, l’aveva
corteggiata tanto spietatamente che si
meritava la verità, meritava l’amore che ancora
June poteva dare.
Nelle
strade deserte rimbombava appena l’eco dei sandali della
ragazza che premevano
sui sampietrini dissestati in più punti, quasi il silenzio
avesse inghiottito
anche le persone oltre che la luce.
Solo
due persone restavano abbracciate accanto alla grande fontana spenta
della
piazza, e, per un attimo, l’immagine le ricordò
quanto desiderasse vedere
Sully.
Distolse
velocemente lo sguardo avvicinandosi, quasi non volesse spiare, ma
ciò che
infine colse con la coda dell’occhio, passando ai margini
della piazza
circolare, la colpì così forte da immobilizzarla.
-
Diavolo, Kate! Non essere gelosa. –
-
Provamelo allora. Provami che quell’orfanella non conta
niente. –
Le
dita persero la stretta sul cestino pieno di dalie ed orchidee, quando
realizzò
che le braccia che stringevano l’affascinante donna bionda in
tailleur nero,
erano le stesse in cui aveva dormito fino a poche ore prima.
Il
cervello della ragazza si rifiutò di lavorare per un tempo
che parve infinito,
tentando sicuramente di ingannarla, perché non poteva essere
lo stesso Victor a
cui aveva appena pensato di confessare il suo amore, quello che stava
premendo
avidamente le labbra su quelle della sconosciuta.
Prima
di poter vedere o sentire altro la coscienza di Estel si
svegliò bruscamente,
ordinandole vigliaccamente di scappare, di non lasciare che la ferita
si
approfondisse. Corse nella direzione opposta con quanto fiato aveva in
corpo,
pensando che la distanza potesse allontanare la delusione della fiducia
tradita, la solitudine di sentimenti che, adesso, sembravano ridicoli.
Si
fermò
solo quando, arrivata alla porta, si lasciò andare
leggermente contro lo
stipite in legno. Come poteva essere stata tanto stupida? Lo sapeva, lo
aveva
sempre saputo. Se c’era qualcuno da biasimare, sapeva di
dover essere la prima.
Tutte
quelle avances, i sorrisi, gli sguardi erano stati solo un gioco, e lei
c’era
cascata in pieno. La cosa peggiore, oltre la rabbia, oltre la
frustrazione, era
che lui non avrebbe mai saputo quanto l’avesse ferita.
Probabilmente il suo
cuore spezzato non sarebbe mai contato nulla.
Improvvisamente
si sentì di nuovo sola, più sola di quanto non
fosse mai stata. Eppure,
accostata allo stipite del portone di legno verniciato, June non
riuscì a
piangere. Non c’erano lacrime per quel vuoto che tornava come
una marea, più
potente di quando se n’era andato. Vi guardò
dentro e capì che, probabilmente,
era ciò che meritava, era ciò che le era sempre
spettato.
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Purtroppo
il capitolo non è completo, ma ultimamente non ho avuto un
attimo di respiro. Quindi mi scuso in anticipo per le poche righe e
ringrazio sempre tutti i lettori!
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