Tarocchi
I tarocchi li faccio di notte, nel
locale fumoso, su un tavolaccio di legno. Mi nascondo in un angolo buio, mentre
bevono birra e cocktail a raffica. Stasera piove fuori e, intanto, guardo la schiena
delle persone, uno dietro l'altro, che si alzano dopo il consulto, senza che mi
abbiano pagato, perché la disperazione non ha prezzo e un sorriso nemmeno. Due
volte a settimana non mi vesto da zingara, ma tiro fuori i miei tarocchi dallo
loro sacchetta di velluto, anche se non ho nulla della strega, tolti i miei
occhi. Sono lì, in disparte, i miei jeans da studentessa, una pinza tra i
capelli per cercare di non farmeli cadere sul viso e siedo in un angolo, il
viso nascosto da un ciuffo e gli occhi celati dalle lenti troppo spesse degli
occhiali. Davanti a me loro, i miei tarocchi, il sorriso che si disperde, gli
occhi che cercano i miei, ansiosi, e che si distolgono, perché c'è qualcosa di
strano negli occhi di una ragazza che sa leggere il futuro e il passato. I miei
tarocchi son vecchi, sono rovinati, dai consulti, dall'amore, dall'odio, dalla
vita che si sussegue.
Le mie amiche servono ai tavoli e ci
esce sempre un analcolico gratis per me, vorticano veloci, simili a corolle che
si aprono, le gonne che frusciano sulle gambe lunghe, gli occhi sottolineati
dalla matita nera. Occhi scuri che convincono a prendere ancora una birra, a
bere ancora, a rimanere, perché la notte è lunga e pare non finire mai e,
allora, tanto vale passarla con lì, con il sorriso di una bella donna, anche se
non potrai mai possederla, perché è l'unico conforto e l'ultimo porto di un
marinaio che ha perso la stella polare.
Anto beve un porto e ascolta qualche altro habitué, qualcuno si fa una canna, altri
mangiano un panino con la cotoletta e il pomodoro, un panino da gita fuori
porta, di quelli che fanno le mamme per i pranzi al sacco di Pasquetta,
qualcosa che quasi fa tenerezza. Maria mi
passa veloce un succo di ananas, che non dovrò pagare, tra un consulto e
l'altro, mentre capisco quanto brulichi un piccolo locale di vita altrui e mi
apro agli altri. Giulia parla con Checco, Sara mi cerca con lo sguardo, che
nessuno mi disturbi, e Marco mi si sistema alla destra, simile a un angelo
custode. Cade un bicchiere, si sparge la birra, la coca cola macchia un
vestito, una coppia litiga non curandosi degli altri, scoppia una rissa
immediatamente sedata, qualcuno ride, qualcuno finge che vada tutto bene,
qualcuno se ne sta andando e qualcuno sta tornando.
Leggo le carte, ma osservo piccoli
frammenti di vita, sogni angosciosi e ricordi felici. La notte scivola via,
come le note trasmesse senza interruzione, un video rock dietro l'altro, mentre
l'aria è sempre più densa di fumo. La testa si libera dallo stress per gli
esami, le gambe mi fanno male per l'ennesimo passo di danza, prima di andare.
Mentre faccio un consulto spesso ho ancora i capelli umidi della doccia fatta
di corsa nello spogliatoio.
Qualche scettico mi chiede del passato
e rispondo che Jodorowsky legge solo il passato e
vedo frammenti di bellezza che è scomparsa, di malattie dagli strani decorsi e
leggo, leggo quello che non dovrei sapere. Per un istante c'è comunione tra me
e queste persone, mi raccontano i loro affari, come a un confessore che non
giudica, ma assolve. "Ti voleva bene, ti pensa, non c'è niente da fare. E'
finita", le parole salgono spontanee alla labbra, come il caffè in una
caffettiera. Un ragazzo mi chiede il numero, ribatto che può trovarmi lì, che
faccio consulti.
E, ancora, di nuovo, le piccole gioie
della vita, gli immensi dolori che non consentono sfogo, sfoglio le carte come
i petali di una margherita, il "Mi ama o non mi ama" della bionda
dagli occhi in cui regna solo follia, volti che scordo, volti che ricordo,
sorrisi e lacrime, bello e brutto, il signore che soffre di depressione piange
in un angolo e un cane si appoggia alle sue ginocchia, una Torre, un Re, un
Imperatore e una Temperanza rovesciata. La pioggia si sente dentro, sconfigge
il rivestimento interno in legno, che dovrebbe insonorizzare e anche la musica che non finisce. Occhi e
schiene che si allontanano, freddo, caldo, comprensione, lucidità, malattia,
scetticismo e disperazione.
La disperazione che ti chiede di un
bambino malato lascia il passo al sorriso di un'amante felice, ti ricordi solo
dell'orecchino della bruna che ti chiede della fidanzata, e giri, e mescoli, e smazzi e ti perdi, in un turbinio di trionfi e sconfitte,
che si disperdono tanto simili a polvere.
Entri nel locale, mentre leggo
l'ennesima carta al viso disperato di un amore infelice. Mi fissi, penetrante,
gli occhi fin troppo belli, nel loro color di bosco. Non lo so chi sei, ma ti
seguirei se mi chiedessi di farlo, mentre leggo le carte per un'altra. Ti metti
in fila, noto la maglia estiva sugli addominali fin troppo definiti, non sembri
far parte dei derelitti che mi capitano di solito. Hai i capelli umidi, troppo
lunghi intorno al viso, la mascella ombrata di barba e lo sguardo troppo
intelligente per credere davvero che legga altro dalla persona che mi si siede
davanti.
TI guardo affascinata, mi distraggo
quasi nel leggere l'ennesimo consulto, mi sorridi e basta. Giro le carte, giro
le carte, le volto.
Mi chiedi un consulto e sorridi e non
so che dire. Le leggo e sento un brivido, so che ci sarò io in quelle carte,
nel ruolo del buffone o di quello che tu deciderai di fare di me.
Ed esci, mentre io mi ributto
nell'umanità delirante, la donna che sa che li leggo gratuitamente che mi offre
una consumazione che rifiuto, l'amica che mi chiede di aspettarla per tornare a
casa, la chiusura che si avvicina e la notte è ancora lunga, l'alba lontana,
mentre la tua schiena lascia il passo a un anziano signore che ha perso il
lavoro.