Titolo:
Tourniquet
Summary:
John
guardò la pillola bianca posizionata nell'esatto centro del
suo palmo.
Pairing:
Sherlock/John
Rating:
PG13
Words:
1056
Disclaimers:
Non miei e “blablablabla!
Lascia stare! Abbiamo detto queste cose centinaia di volte!”
Notes:
Per
la Sherlothon dello SFI sul prompt #3
(http://i602.photobucket.com/albums/tt102/Belcus/Sherlock%20Holmes/musg-01.jpg)
Team Canon!
Tourniquet
“E'
così che rimani vivo.
Quando
soffri tanto
da
non riuscire a respirare,
è
così che sopravvivi.”
(Grey's
Anatomy)
Ho provato ad
ammazzare il dolore. Ma ne ho solo portato dell'altro.
«Si chiamano
painkillers, John.» disse Ella, porgendogli un tubetto
arancione «Ti aiuteranno a dormire.»
John lo prese in mano e
lo guardò in silenzio, rigirandolo.
«Io non voglio
dormire.»
«Non può
essere peggio di quando sei sveglio.»
John fece un mezzo
sorriso. «Lo dici tu.»
Sto versando rimorso
e tradimento color cremisi.
John guardò la
pillola bianca posizionata nell'esatto centro del suo palmo. Aveva un
sopracciglio alzato, diffidente. Si chiese se gli avrebbe potuto dare
un sonno senza incubi, o anche una veglia senza incubi. O qualsiasi
cosa che non contenesse fottuti incubi. Alzò le spalle,
pensando che peggio di così non poteva ragionevolmente andare,
e inghiottì la pillola.
Dici che sono troppo
perso per essere salvato?
«Non hai niente
che possa salvarmi dall'asma?»
«A parte darti
l'inalatore, non posso aiutarti. Lo sai meglio di me come si cura
l'asma.»
«Sul serio? Non
hanno fatto qualche pillola anche per questo?»
«Il tuo asma è
psicosomatico, John. Te l'ho già detto, e in ogni caso te lo
sai già diagnosticato da solo.»
«Sì,
perché sono tanto brillante, non è vero?»
Ti
ricordi di me? Perso per così tanto tempo.
Ce l'aveva ancora
davanti agli occhi, Sherlock.
Stava cercando qualcosa
nel baule dove di solito metteva cose sui casi archiviati, con la
frenesia che gli era nota ormai da tempo. Non se ne meravigliò.
«Che cerchi?»
chiese continuando a leggere il giornale.
«Niente!»
rispose lui.
Questo lo meravigliò.
Alzò gli occhi dalla carta stampata e lo guardò.
«Come niente? Che
stai combinando?»
«Intendevo dire
niente a cui tu ti debba interessare! Mi stai facendo perdere tempo!»
«Se è così
urgente posso aiutarti. Dimmi com'è fatto questo qualcosa.»
Sherlock si voltò
finalmente a guardarlo, sbuffando. «E' una specie di scatolina
di legno, e l'ultima volta l'avevo messa qui dentro!»
«Una scatolina? A
che ti serve?»
«Esperimenti,
John! Aiutami senza fare troppe domande!»
Fu il turno di John di
sbuffare. Si alzò e si mise a cercare lì intorno, in
silenzio. Andò in cucina a frugare tra le varie cianfrusaglie
sperimentali sul tavolo, cercando di ignorare le più
disgustose. Trovò un contenitore di plastica piuttosto
maleodorante e decise, senza neanche aprirlo, di metterlo in frigo.
Aprì la porta, posandolo sul ripiano, ma prima di richiuderlo
si fermò. Davanti a lui c'era una scatolina di legno,
probabilmente quella che cercava Sherlock. Sospirando rassegnato, la
tirò fuori.
«Sherlock, credo
di averla trovata!» disse ad alta voce.
«Ne sei
assolutamente certo?»
«Credo di sì,
che ne so?»
Mosso da pura curiosità
la aprì. Rimase un secondo a fissarne il contenuto, mentre un
John Watson fotografato ricambiava lo sguardo. Posò la
scatolina sul tavolo e lo svuotò dalle foto. Erano davvero
poche, giusto qualcuna, e avevano tutte come soggetto John,
sembravano scattate in sequenza. Sembrava stesse annusando qualcosa e
aveva delle facce buffe. Solo in una stava sorridendo, ma non era in
posa. Sembrava fosse stata fatta per caso.
«Dov'erano?»
John alzò lo
sguardo. Sherlock stava con la schiena appoggiata al tavolo e aveva
un'aria imbarazzata.
«Nel frigo.»
rispose «Ma cosa sono?»
«Sono fotografie,
John. Dovresti saperlo.»
«Lo so che sono
fotografie, ma cosa ci faccio io in queste fotografie e quando sono
state scattate?»
«Stavamo
risolvendo gli indovinelli di Moriarty, questo era il caso della
presentatrice televisiva uccisa dal cameriere. Ti ricordi?»
«Il maggiordomo è
sempre il colpevole. Sì, mi ricordo. Ma come ci sono finite
qui?»
Sherlock strinse le
labbra, prendendosi un momento prima di rispondere. Alzò gli
occhi al cielo e sospirò. «Ho trovato qualche tempo dopo
la macchina fotografica e ho pensato di svilupparle, giusto per
sapere se fossero venute o meno, e quelli sono i risultati.»
John sorrise,
cominciando a capire. «E le hai conservate, nonostante non
avessero alcuna utilità?»
Sherlock guardò
altrove, stizzito. «Esatto.»
«Hai conservato
le mie foto?»
«John, quante
volte dovrò confermartelo?»
Lo fissò per
qualche secondo, inspiegabilmente felice. Lanciò un'altra
occhiata alle foto, prima di porgergliele.
«A che ti
servono?» chiese, sapendo già di non ottenere risposta.
«Esperimenti che
non ti riguardano!» disse Sherlock, strappandogliele di mano e
uscendo imperioso dalla cucina.
Appunto.
Sarai dall'altra
parte?
Nel suo personale baule
dei ricordi, John vedeva Sherlock tenere in mano quelle poche foto e
osservarle sorridendo o ridendo sommessamente, al buio, avendo come
unica fonte di luce quella che veniva dalla finestra. Sorrideva anche
lui, nascosto dietro lo stipite della porta.
O ti dimenticherai
di me?
Affanno. Affanno.
Affanno.
Era caduto dalla
poltrona e arrancò ansante fino al tavolino. Tremando si
aggrappò alla sedia e trovò l'inalatore quasi subito.
Vuoto. Inspirare, espirare. La realtà l'aveva colpito
in mezzo agli occhi. Inspirare, espirare. Avrebbe dovuto provare a
sparire. Inspirare, espirare. Ma c'è un solo modo per scappare
da qui. Inspirare. Espirare.
Una volta calmatosi, si
alzò e si diresse a passo sicuro verso il bagno. Aprì
il mobile delle medicine e prese il tubetto che stava adocchiando da
giorni. Si guardò allo specchio.
Gliel'avevano detto.
Ripetutamente.
Tutto quello di cui
hai bisogno è l'amore,
gli avevano detto.
Aprì il tubetto.
Il tappo fece un rumore troppo buffo, inadatto alla situazione.
Tutto quello di cui
hai bisogno è l'amore.
Che stronzata. (1)
Sto morendo.
Pregando.
Ripensò agli
incubi che le pillole gli davano. Non sapeva quali fossero i
peggiori, se quelli che faceva normalmente, o le vere e proprie
visioni date dalle medicine che dovevano aiutarlo a dormire – a
detta di Ella - e che invece lo facevano svegliare di botto, urlando.
Painkillers. Ironia
della sorte.
Non
che fossero poi molto diversi, in fondo. Le basi erano le stesse.
«Vaffanculo.»
Svuotò
il barattolo nel palmo della mano, prese fiato squadrandole, e
cominciò a ingoiarne una a una.
Sto sanguinando.
Urlando.
«John, non puoi
stare su quel pavimento in eterno!» esclamò Harry,
frustrata.
Lui non batté
ciglio, né disse niente. Non diede segno neanche di aver
notato la sua presenza.
«Ma ti rendi
conto di quello che hai fatto, almeno?»
Non le aveva chiesto
lui di venire a salvarlo. John non capiva perché si agitasse
tanto.
«Di' qualcosa,
almeno!»
Le mie ferite
bramano la tomba.
La mia anima brama
la liberazione.
«Sherlock, dove
siamo?»
«Sulla
Metropolitana dei Morti.» (2)
Il
mio laccio emostatico.
John
aprì gli occhi. Allungò la mano tremante verso il
nulla.
Non vedeva niente. Solo
il buio, e seppe di essere morto.
Sorrise. Un sorriso
tremulo, ma sincero. Come non ne faceva da mesi.
Sentì una mano
che gli toccava il viso, gli spalancava gli occhi, la bocca.
Sentì che
un'altra mano gli stava infilando qualcosa in bocca mentre quella che
prima lo stava tastando gli stava alzando il viso.
John ricominciò
a respirare. Era l'inalatore.
Poi cominciò a
vedere meglio, e mise a fuoco la sagoma preoccupata di sua sorella.
La guardò con
disprezzo, realizzando di non essere morto.
Non l'aveva mai odiata
tanto in vita sua. (2)
Notes, again:
Salve. La Sherlothon è
ormai agli sgoccioli, se non proprio conclusa. E' stato bello.
Stressante ma bello. Citazioni: (1) autocit. da Horror vacui;(2)
autocit. again da Lovesong; quelle in corsivo sono dalla
canzone degli Evenescence che dà il titolo alla storia; quella
iniziale dalla 6xO1 di GA.
Milioni di grazie a
Sonia. ♥
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