Achluophobia
"La
felicità la si può trovare anche negli attimi più
tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce."
~Albus Silente, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, regia di Alfonso Cuarón
Quando era ancora un
bambino, piccolo ed impressionabile, talvolta Luffy si intrufolava nel
suo letto e gli si raggomitolava contro, tronfio nella sua convinzione
di non averlo svegliato.
Ma Luffy non era
nemmeno lontanamente così discreto e silenzioso come credeva di
essere, così Ace sapeva sempre con diversi secondi di anticipo
quando il suo fratellino sarebbe venuto a dormire con lui.
Nel silenzio della
notte lo sentiva tirare indietro le coperte e balzare sul pavimento,
facendo cigolare le assi di legno consunto. Lo udiva attraversare il
corridoio a passi sicuri e solo un po' affrettati, fino a giungere
davanti alla camera di Ace ed aprire la porta di qualche centimetro. Lo
poteva immaginare mentre infilava la testolina all'interno, tentando di
capire se la massa informe sotto le lenzuola fosse sveglia o meno, per
poi muovere cautamente qualche passo nella stanza. E poi le coperte
venivano sollevate e un esile corpicino si faceva strada nel suo letto
fino ad accoccolarsi contro di lui, sollevato di non essersi fatto
scoprire.
Ace lasciava che si
crogiolasse nel suo autocompiacimento per un po', poi semplicemente
fingeva di essersi appena svegliato e gli pungolava una guancia con un
dito.
Incredibile che dopo
così tante volte Luffy non avesse ancora capito che quella di
Ace era tutta una messinscena. O forse non era poi così strano,
considerando che Luffy era e restava pur sempre il suo fratellino
idiota.
«Cosa ci fai qui?», chiese Ace, leggermente irritato.
Il bambino mise il
broncio. «Non volevo che ti sentissi solo», disse, con
l'aria di uno che stava facendo un grande favore al proprio fratello
maggiore troppo stupido per capirlo.
Ace sollevò un sopracciglio. «Non mentire».
Luffy si limitò ad aumentare l'intensità del proprio broncio, esclamando, «Non sto mentendo!».
«Non urlare, o sveglierai Dadan. È questo che vuoi?».
Il piccolo scosse il capo con fervore, tappandosi la bocca con entrambe le mani.
Ace sospirò.
«Se non mi dici perché sei qui, ti rispedisco in camera
tua a calci», minacciò. «E domani dico al nonno che
ti comporti da femminuccia, capito?», aggiunse per sicurezza.
I grandi occhioni
scuri si allargarono ancora di più e Luffy annuì con
forza. Sotto lo sguardo divertito del maggiore, il bambino si morse il
labbro inferiore, abbassando gli occhi con aria colpevole.
«Ho paura del buio», mormorò velocemente, in un sussurro appena udibile.
Ace non fu sorpreso,
perché quella non era la prima volta che il suo fratellino
cercava rifugio nel suo letto. Luffy era una delle persone più
coraggiose che conoscesse, ma restava pur sempre un bambino e a volte
si lasciava spaventare da un nonnulla.
«Perché?», chiese allora, abbracciandolo.
«Perché mi fa paura», disse Luffy, tirando su col naso.
Ace lo
allontanò bruscamente da sé e lo fissò negli
occhi, stizzito. «Lu, seriamente. La risposta alla domanda
"Perchè hai paura del buio?" non può essere
"Perchè mi fa paura"», tentò di spiegare, ma
abbandonò il suo lodevole proposito non appena incontrò
lo sguardo totalmente perso del fratello.
Sospirando, Ace chiuse gli occhi e tirò il piccolo più vicino a sé, cercando di prendere nuovamente sonno.
Luffy rimase fermo per
un totale di cinque, gloriosi secondi, dopodiché cominciò
a muoversi per trovare una posizione più comoda e ad avvicinare
i piedini gelati a quelli tiepidi del fratello, scalciando e dando ad
Ace un assaggio dei suoi capelli.
Ace spalancò gli occhi, sputacchiando e allontanando nuovamente il bambino da sé.
«Luffy, questa
storia deve finire», ordinò, deciso. Voleva bene al suo
fratellino, un bene inimmaginabile, ma a volte il marmocchio era
davvero insopportabile.
«Perché
non accendi una luce nella tua camera?», chiese allora, tentando
di trovare una soluzione al problema.
«Ci ho provato,
ma Dadan mi ha sgridato! Dice che così la bolletta si alza
troppo», spiegò l'altro con aria saputa, anche se era
evidente che non aveva idea di che cosa stesse parlando.
«D'accordo,
allora come la mettiamo con i temporali? I fulmini illuminano il cielo,
quindi non dovresti averne paura, eppure ogni volta vieni 'a farmi
compagnia'. Mh, allora, cosa mi dici?», chiese Ace con aria di
sfida.
Luffy mise il broncio.
«I temporali sono pericolosi, sai? Lo dice sempre anche
Makino!», ribatté, sulla difensiva.
Ace sbuffò divertito. «Marmocchio...».
~*~
Stranamente, dopo che Ace
ebbe mangiato il Frutto del Diavolo, il primo pensiero che gli
attraversò la mente fu che, una volta rincontrato il suo
fratellino, gli avrebbe mostrato come le sue fiamme riuscivano senza
difficoltà a rischiarare la notte scura, ad illuminare senza
sforzo tutto ciò che le circondava, brillando incessantemente e
salendo su, su, sempre più in alto, fino a toccare il cielo nero
e a rischiararlo con l'aiuto delle stelle.
Il fuoco metteva in
fuga il buio, lo allontanava, lo dissipava e lo confinava agli angoli
della luce creata dalle fiamme, e per una volta era l'oscurità
ad avere paura e a fuggire.
Ace non temeva il
buio, non l'aveva mai temuto, e in tutta sincerità non capiva
perché Luffy ne fosse spaventato, ma la consapevolezza di essere
ormai in grado scacciare l'oscurità in qualsiasi momento gli
faceva dormire sonni più tranquilli.
~*~
Poi aveva incontrato
l'oscurità stessa, un'oscurità che inghiottiva qualsiasi
cosa e non risparmiava niente. Inglobava case, persone, luce, gioia,
speranza, sogni, per poi risputarli, tramutati in macerie, cadaveri,
tristezza, disperazione, paura...
Inghiottì anche
il suo potere. Quelle fiamme che lo avevano sempre protetto non c'erano
più, la loro brillantezza accecante si era spenta, così
come il loro confortante calore, ed Ace aveva perso.
Non era riuscito a sconfiggere il buio e il buio aveva sconfitto lui.
~*~
Da quel momento in poi, l'oscurità aveva un nome — Yami
Yami no Mi — e un possessore — Marshall D. Teach, Barbanera.
~*~
Dicono che la paura del
buio è in realtà la paura dell'ignoto, di ciò che
si cela, che si aggira, che sta in agguato nell'ombra.
Forse era vero,
perché nella completa oscurità della sua cella di Impel
Down Ace credeva di percepire movimenti, sussurri, bisbigli... O forse
stava solo impazzendo.
Rimanere a fissare il buio totale per ore non poteva essere una buona cosa, una parte del suo cervello gli fece notare.
Ma il buio era il suo
unico compagno, lì dentro. Forse se le stava solo immaginando,
tutte quelle sagome che si muovevano tra le ombre, e forse quelle
figure dai contorni indefiniti non gli stavano davvero parlando, ma
tanto lui non aveva niente di meglio da fare, e l'oscurità era
l'unica cosa che gli tenesse compagnia.
~*~
Poi all'improvviso, dopo
giorni, mesi o forse ore passate all'interno di quell'inferno che la
Marina aveva il coraggio di chiamare prigione, Ace si rese conto che
l'oscurità non era sua amica. Il buio era il motivo per cui lui
si trovava lì in quel momento, incatenato ad un muro, il corpo
martoriato e la mente che gli giocava brutti scherzi.
Il buio era ciò che l'aveva sottomesso, che gli aveva inflitto una sconfitta che bruciava più del fuoco stesso.
E con quella
realizzazione, Ace cominciò a raggomitolarsi su se stesso, a
chinare il capo, a tentare inutilmente di sottrarsi all'incessante
avanzata del buio.
~*~
Durante la guerra di Marineford, l'oscurità acquistò un nuovo significato per Ace.
Una parte di lui era
scelleratamente felice, felice che ci fossero così tante persone
che gli volevano bene, ma quelle stesse persone stavano rischiando le
loro vite a causa sua, e tutto perché lui non era stato in grado
di combattere e sconfiggere l'oscurità.
Il buio aveva un nuovo significato — mettere in pericolo le persone che ami.
~*~
Il suo fratellino era
cresciuto. In tutto il tempo in cui non si erano visti, Luffy era
diventato più forte — e apparentemente anche più
avventato.
Aveva sfidato
apertamente Barbanera. Non aveva vinto — i suoi alleati l'avevano
costretto ad interrompere lo scontro —, ma non si era tirato indietro
di fronte alla prospettiva di dover combattere contro l'oscurità
fatta persona.
Il suo fratellino era
cresciuto, aveva superato ed affrontato la paura del buio e il buio
stesso, mentre Ace cominciava solo in quel momento a capire che da solo
non sarebbe mai riuscito a sconfiggere né le tenebre né
il terrore che ne provava.
~*~
Ace fissava con occhi
spenti la distesa scura al di là dell'oblò della nave.
Era impossibile distinguere il mare dal cielo, impossibile dire dove
iniziasse uno e dove finisse l'altro. Entrambi erano completamente
neri, neri come la pece, neri come la tenebra più profonda.
Poi i primi, timidi
raggi di sole cominciarono a rischiarare l'orizzonte, e in breve il
cielo fu di nuovo azzurro, le nuvole bianche e il mare blu.
Ace voleva
disperatamente un'alba anche per se stesso. Prima dello scontro con
Barbanera, Ace era il sole di se stesso; dopo, il fuoco e la luce non
erano mai abbastanza, e le notti di solitudine mettevano paura. Ogni
volta che chiudeva gli occhi, la sua mente si divertiva a giocare con i
suoi timori, a distorcere i bei ricordi e a riportare a galla quelli
brutti.
Ace aveva bisogno di
una luce, di qualcosa — o qualcuno — che lo tirasse fuori dal baratro
dell'oscurità e lo aiutasse a non ricadervi.
Si mosse leggermente, distogliendo lo sguardo dall'oblò e mettendosi a fissare il soffitto.
«Credo... di avere paura del buio», disse dopo qualche minuto.
Ammetterlo non era
stato difficile — lo aveva già fatto, in fondo —, ma per qualche
motivo voleva che all'uomo disteso accanto a lui fosse chiaro che lui
non temeva Marshall D. Teach — e che non lo avrebbe mai temuto,
qualsiasi cosa avesse potuto fargli —, bensì il suo potere. E
non ne aveva paura perché quell'abilità lo aveva
sconfitto già una volta e avrebbe potuto farlo di nuovo, no. Ne
aveva timore perché le tenebre inghiottivano tutto,
perché lo risucchiavano in un vortice vuoto, privo di luce e
calore, di gioia e di umanità, ma al contempo pieno, colmo fino
all'orlo di buio e gelo e sofferenza e crudeltà e disperazione.
E quando il contenuto di quel mulinello nero raggiungeva il bordo, il
vortice traboccava, e tutto ciò che si trovava all'interno si
riversava all'esterno, causando ancora più dolore e terrore e,
in ultimo, morte.
Ace avvertì il
suo compagno rigirarsi nel letto e fissarlo intensamente, ma non si
mosse. Non fece nulla finché non sentì le braccia
dell'altro circondarlo e tirarlo contro quel corpo a cui era stato
stretto tutta la notte, allora si voltò anche lui e sorrise
leggermente.
Quella scena gli ricordava qualcosa, mancava solo...
«Ora mi dirai che anche i temporali ti spaventano», sbuffò Smoker, alzando gli occhi al cielo.
Il sorriso di Ace si allargò. «No, quello sarebbe stupido. I lampi e i fulmini illuminano il cielo, no?».
Smoker non rispose, limitandosi ad appoggiare il mento ispido sulla sua testa.
Ace si strinse a lui
con più forza, affondando il viso nel suo petto. Era
rassicurante passare la notte con qualcuno ed Ace sperò di poter
trascorrere più tempo con Smoker, e non solo nel tentativo di
alleviare la sua fobia.
«Ho
paura», ripeté. Non era un piagnucolio lamentoso, il suo,
al contrario. Si trattava più che altro di una mera
constatazione della realtà.
«Allora accendi la luce», disse Smoker, deciso.
Ace sorrise
lievemente. Sapeva che ciò che aveva detto il suo compagno non
andava inteso in senso letterale. Junsho voleva dire semplicemente accendi
il tuo fuoco, lascialo bruciare, lascia che ti riscaldi e che ti
conforti, e poi, quando sarai pronto, vai e affronta il buio.
Era esattamente ciò che avrebbe fatto e questa volta sarebbe uscito vincitore dallo scontro.
Si districò a
malincuore dall'abbraccio, si allontanò quel tanto che bastava e
prese il viso di Smoker tra le mani.
Lo baciò
dolcemente e profondamente, prendendosi tutto il tempo che gli serviva
per esplorare ogni anfratto di quella bocca umida e calda ed
incredibilmente accogliente.
Quando si separarono,
entrambi ansanti e stupiti dall'intensità del bacio, Ace
appoggiò la propria fronte contro quella di Smoker.
«Moccioso...».
Ace sorrise.
A/n:
Come credo abbiate capito, acluofobia è semplicemente il nome scientifico della paura del buio, ma in inglese fa più figo.
Dopo aver letto alcune
fanfiction a riguardo, mi sono convinta che Ace, se fosse sopravvissuto
(ç__ç), avrebbe comunque riportato dei danni psicologici
dovuti alla detenzione in Impel Down e alla guerra di Marineford,
nonostante tutte le sue capacità sovrumane, così mi
è sembrato logico
che potesse aver sviluppato anche una sorta di paura del buio — non del
buio in sé (e men che meno di Barbanera), ma di ciò che
esso significa per lui. E poi ci ho sbattuto dentro una salutare dose di SmoAce.
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