Scendeva la neve, ed era bianca, uno scintillio di mille
gocce condensate e soffici che avvolgeva tutto il mondo. Dopo quell’estate
torrida, gli abitanti del mondo di Krynn potevano solo esserne grati. Eppure
non tutti lo erano. No, un lutto grave aveva colpito i cuori, e la neve
continuava a posarsi su quei cuori sconvolti, sul pelo del medesimo colore di
una superba tigre dai cui occhi chiari ora sgorgava solo tristezza. Stava lì,
ritta al fianco della tomba, come se sfidasse chiunque ad avvicinarsi, ed era
sola, incredibilmente sola. Lady Crysania, il suo corpo, giaceva disteso e
composto, con espressione serena, la stessa che aveva caratterizzato quegli
occhi che potevano vedere solo il bianco. I capelli neri e azzurrini erano
sparsi intorno al suo pallido volto, la veste bianca rivelava appena quel
delizioso corpo che non era stato preso neppure da colui a cui era stato donato
con passione travolgente.
Gruppi di gente contrita, e persino qualche elfo e eserciti interi
di kender si erano fermati tutta la giornata a guardarla, magnifica anche nella
morte, pura, bianca come la neve che le si posava addosso.
E lei li osservava dall’alto, con la vista del cuore e la
nuova vista degli occhi, come una stella che nivea risplendeva nei cieli sopra
Krynn, e provava gratitudine, tanta gratitudine da suscitare che quella coltre
gentile allietasse e consolasse della sua dipartita.
Ma per lei il bianco era ben altro: il bianco della vista
che aveva dovuto sopportare come giusta punizione, certamente; il bianco delle
vesti di Paladine che aveva indossato con quella sua fede fervente,
incrollabile; e il Suo bianco.
Lui, che in vesti nere e con la sua ardente passione la
aveva rapita. Quanto aveva pregato affinché le sue vesti potessero diventare
bianche, quanto? Quanto aveva desiderato sentirsi avvolta da quel suo strano
calore, averlo per sé, per sempre? Quante lacrime dai suoi occhi ciechi erano
state versate, al ricordo? I suoi capelli erano bianchi come la neve.
Ancora il cuore di Lady Crysania sperava. Vedeva il bianco
attorno a sé, e sperava di incontrare quegli occhi d’oro, quelle mani sottili,
persino l’odiata veste nera.
Sapeva che non sarebbe venuto a prenderla, ma lo sperava, lo
sperava ancora, e il cuore le doleva e lacrime rigavano le guance diafane. Le
sembrava di scorgere luccichii dorati in ogni dove, ma come potevano
appartenere al suo unico e immenso amore, al suo amore maledetto e dannato,
bandito da ogni concezione umana, abietto, perverso. Dolce, triste, amore.
-Lady Crysania-
Era stato solo un sussurro. Il sussurro bruciante e caro,
conosciuto fin troppo bene. Si voltò, il cuore in tumulto, le guance ora
rosate.
Una macchia nera offendeva il bianco sconfinato, una macchia
nera e due occhi d’oro. Penetranti. Malvagi. Astuti. Soli.
-Raistlin- le sue labbra di rosa si mossero appena, ma lui
sentì la sua voce, la voce del cuore che lo invocava come quella volta, come
quando la sua anima era andata perduta per sua volontà; per averle negato
quella pietà.
La dama allungò un braccio candido in sua direzione.
-Raistlin… sei tu…-
Il calore attorno al mago sembrò vibrare, plasmare una
nuova, vibrante vita. Accolse quella voce sottile e spezzata, accolse lo
sguardo sperduto e invocante, senza paura, senza proibizione.
-Mia Crysania… dolce creatura…- si avvicinò alla fanciulla,
e prese la sua mano fredda come la morte nella propria rovente di quell’oscura
maledizione. Il nero coprì il campo visivo di Crysania, era un nero vellutato e
morbido, pulsante, adorabile.
Il calore sostituì il freddo intenso della morte, il calore
che faceva male, l’odore di rose che intossicava, l’amore che così a lungo era
stato soffocato e ora tornava a reclamare con forza il suo tributo.
Lasciò che il nero cancellasse il bianco freddo, lasciò che
le braccia sottili, fragili, calde, la cingessero, e vi si avvinghiò perché
sapeva che doveva finire, sapeva che non poteva amare Raistlin, e non sarebbe
mai successo, mai.
-Abbiamo tutto il tempo che desideri, mia amata- mia amata.
Quando mai il grande mago nero aveva pronunciato quelle parole? Ma adesso era
diverso. Le sue vesti erano nere, ma il tumulto della sua anima era sopito, il
dolore lacerante e malvagio era cessato, calmato dal bianco di quella neve
pacata.
Lui era infine libero, libero di scegliere, e aveva scelto
di restare con lei, e lei lo sapeva, lo avvertiva nel suo soffocante calore
rovente, nel bruciante profumo speziato che la attorniava.
Erano stretti l’una all’altra, e così sarebbe stato per
sempre, perché Raistlin Majere e Crysania di Palanthas erano nati per vivere
una vita opposta e divisa, per odiarsi ed amarsi, combattersi e desiderarsi, ma
adesso la morte amica era sopraggiunta. E la morte non ammette proibizione
alcuna. Liberi finalmente davvero, potevano amarsi, e non importava ad alcun
dio il colore delle loro vesti, contava solo l’amore ardente, bianco per
sempre, infinito.
Lì, nell’eternità della vita dopo la morte, sarebbero stati
insieme per sempre, niente poteva raggiungerli e dividerli, lei annegava nel
velluto nero, lui s’inebriava della candida purezza.
E così sarebbe stato. E neanche Gilean aveva potuto
prevederlo e scriverlo. Due anime ribelli fino alla fine, amanti contro ogni
logica, sole nell’accecante bianco dell’eternità.