“Ding
Dong”
I. Olio su tela – Hogwarts 1996 - 97.
o che
parlerà.
Dirà
qualcosa di terribilmente suo; inconfondibile nel timbro e nello stile.
Lo farà
scuotendo vigorosamente il capo, cosicché la lunga barba candida si agiterà sul
petto, a malapena trattenuta dalla cintura d’argento ritorto.
Aprirà la
bocca da un momento all’altro a motteggiarmi come ha sempre fatto.
Sarà lui e
insieme non lo sarà.
Questo mi
ferisce anticipatamente.
Succede ogni
volta.
Dannatissimo
ritratto animato!
Non avrei
mai dovuto accettarlo in eredità, né sciogliere lo spago che lo tratteneva
rinchiuso nella rugosa carta grezza color canna da zucchero.
Tantomeno
avrei dovuto appenderlo a troneggiare sull’unica parete del salotto libera da
scaffali e libri.
Ma fin dal
primo momento in cui l’ho tenuto tra le dita - appena depositato sulle mie
ginocchia da un grasso gufo reale planato a tradimento dalle imposte aperte
della cucina - ha cominciato il suo vivace consueto chiacchiericcio.
“Severus?
Sei tu vero? Oh, finalmente! Tirami fuori, inizio ad avere a noia tutto questo
buio… Certo che mi hai fatto aspettare… ”
Ho dovuto
posarlo sul tavolino dinnanzi a me e ricordarmi di respirare.
La sua
voce.
Il tono
dolce e autoritario, solennemente scanzonato.
Ho sfregato
una manica sugli occhi ad asciugare lacrime che non aspettavo davvero e che,
infatti, non sono giunte a soccorrermi.
Rabbioso le
ho invocate e ricacciate in gola allo stesso tempo.
Il mio
vecchio vizio di azzannarmi le labbra e l’interno delle guance è ricomparso al
seguito di quell’orribile sensazione di commozione asciutta.
Automatismi.
Servono a
sopravvivere; anche a se stessi.
Ne avevo
bisogno, per ricompormi.
Mi sono
alzato, ho scrollato le spalle; ho odiato ferocemente lui e me, finchè non ho
ritrovato il gelo necessario a scartare il pacco.
Lo sguardo è
caduto su una sciocca etichetta apposta in alto a destra, sfregiata dal timbro
di un notaio.
Figure che
appartengono tanto alla mitologia babbana quanto a quella dei maghi: mezzi umani
e mezzi vampiri li definiscono i malevoli di entrambe le razze.
Inventariato da…
Recitano gli
svolazzi aulici del cartellino, il nome perduto sotto l’inchiostro più scuro del
bollo.
Oggetto: Ritratto di Albus Percival Wulfric
Brian Silente.
Caratteristiche dell’opera: Dimensioni – 50
x 40; Olio su tela – artista sconosciuto (possibile
autoritratto).
Data stimata d’esecuzione: 1996 - 97
(Hogwarts).
Un lascito
ereditario.
Solo Albus
possedeva un concetto d’affetto così tagliente e folle.
Solo a lui
poteva attraversare il cervello l’idea di lasciarmi in dono un suo ritratto.
Vecchio
pazzo!
E io che non
ho mai nemmeno trovato la forza di inginocchiarmi dinnanzi al marmo bianco della
sua ultima dimora.
Ho socchiuso
gli occhi, un attimo prima di togliere anche l’ultimo schermo che ci separava:
me e l’effige della mia vittima più illustre.
Cornice
dorata, tutta riccioli incisi nel legno tenero di ciliegio, niente vetro, nessun
passepartout, vivide pennellate fin troppo realistiche.
Mi fissava,
con le bianche sopracciglia aggrottate e le mezzelune delle lenti un po’ storte
sul naso secco e imponente.
La veste
azzurra come gli occhi, colti perfettamente nella loro cristallina
profondità.
La sua veste
preferita, quella arabescata d’argento al margine di orlo e maniche. Effigiato
solo fino alla vita, ma non potrei confondere quella tunica con nessun’altra al
mondo.
Capelli e
barba sciolti, sorriso aperto.
Era lui.
Merlino e
Salazar, no, è solo un quadro animato.
“Quanto
tempo, Severus. E’ un piacere rivederti!”
Allora
perché torturarmi?
“Io la vedo
ogni notte nei miei sogni” m’è rimasto incastrato nella chiostra dei denti,
mentre provavo a capire come mai qualcosa dietro la gabbia delle costole aveva
ricominciato a battere.
Straniante.
Ero proprio
convinto di non avere più un cuore al di là di quella complessa pompa idraulica
che smista il mio sangue a intervalli regolari.
Non ho
risposto.
Un colpo
deciso di bacchetta è più che sufficiente per piantare un chiodo.
La parete
grigia ha ceduto all’acuminato metallo contemporaneamente alla mia anima.
L’ho sentita
forarsi da parte a parte e ho scrollato le spalle.
Era già
sciupata e lacera, uno strappo in più non fa differenza.
“Oh,
andiamo, Severus, vuoi tenermi il broncio in eterno?” ha domandato sfacciato,
galleggiando nell’aria al mio comando fino a trovare il suo posto sulla
parete.
Prepotente
la rabbia ha preso a bussare perché le spalancassi la porta.
S’è
crogiolata ancor più nel pensiero che possa davvero averlo dipinto Albus.
Non mi
stupirebbe scoprire che sapeva fare anche questo.
Tra il 1996
e il 97. Mentre tutto crollava, lui perdeva anche il tempo in quest’idiozia?
Lo smalto
dei denti ha scricchiolato pericolosamente.
Mi è sempre
piaciuta l’idea di poter incenerire qualcosa con lo sguardo: peccato che è una
magia che riesce solo ad alcune stupide creature decerebrate come quelle tanto
care a Hagrid, mentre è impossibile per un mago intelligente e raziocinante,
perfino se s’impegnasse per una vita.
Sfortunatamente,
non sono un drago.
Nessun puzzo
di tinta carbonizzata ha invaso la stanza.
Meglio
deglutire via l’ira.
Dopo quella
notte sulla Torre è facile; non ho più fiamme, mi sono rimaste solo ceneri e
brace.
Ho riso
delle sue parole e della mia reazione. Da lui in fondo me l’aspettavo una simile
battuta.
Maledettamente
realistico quell’insieme di pennellate e tela.
M’è rimasto
un retrogusto amaro, ma non ce l’ho fatta a ribellarmi.
Una sola
smorfia di disapprovazione, il minimo lampo di rimprovero in quelle iridi
chiare, mentre lo rinchiudevo nelle tenebre d’un cassetto, o lo voltavo a faccia
in giù a far compagnia alla polvere, sarebbe bastata a sbriciolarmi.
Il ghiaccio
ha il difetto di essere più fragile di quel che sembra.
Così se ne
sta lì, da più di un anno ormai.
Mi
parla.
E’ sempre
stato ciarliero, salvo che sulle cose realmente importanti.
Lui parla e
io solitamente gli rispondo, perché forse sono finalmente sulla buona strada per
impazzire, o perché è un ottimo esercizio di punizione.
Magari un
giorno riuscirò a scordare che è solo un ritratto.
Ora aspetto
perché da un momento all’altro dirà la sua.
Non ha fatto
che osservarmi di sottecchi mentre rispondevo alla posta, arricciando appena le
labbra e talvolta scuotendo il capo in un’aperta disapprovazione.
Quindi,
finalmente, eccolo: “Non ti sembra di esagerare con questa mania
dell’isolamento, Severus? Da quando è finito il processo e ti hanno assolto e
rimandato a casa non fai che startene qui a ciondolare. Non leggi i giornali,
non esci mai. Non è da te, sei sempre stato così operoso. Comprendo le tue
motivazioni, ma è passato tanto tempo… Secondo me, dovresti rispondere di sì
almeno ad uno dei due inviti”
Comprende le
mie motivazioni.
Certo che le
comprende.
Ma non ne
abbiamo mai parlato e non intendo cominciare adesso.
Probabilmente
potremo farlo; ho idea che abbia stregato lui stesso il ritratto.
E’
leggermente differente da qualunque altro quadro animato io abbia mai visto.
Sembra più consapevole, meno precostruito.
Pare sentire
davvero, pensare davvero.
Non è vivo,
non è realmente Albus, ma ci va così vicino che a volte ho voglia di urlare.
Prima o poi
gli domanderò se ho ragione.
Per questa
volta mi limito a replicare sarcastico.
“Quale dei
due inviti? Quello assolutamente sentito e sincero di Molly Weasley? Trasuda
affetto e buone intenzioni” lo pizzico eloquente fra pollice e indice,
sollevandolo come farei con un panno unto o un’erba urticante “Non ho mai
sognato di meglio che un Natale alla Tana, con tutti quei deliziosi ragazzi, i
dolcetti e i sorrisi d’imbarazzo e circostanza”
Ridacchia,
ma subito si ricompone, accarezzandosi distrattamente la barba.
“E’ evidente
che intendevo l’altro invito. Non che Molly non sia stata gentile ad inviarti il
suo… So che hai delle prevenzioni e… Beh, ad ogni modo ritengo che lei sia più
sincera di quanto tu non creda. Tutti hanno dovuto riconsiderare la tua persona;
immagino cerchino soltanto di farti capire che… ”
“Hanno la
coda di paglia e pur di non aver sensi di colpa sono disposti ad essere ipocriti
e farsi sciupare la cena della vigilia dalla mia sgradevole e comunque sgradita
presenza” annuisco.
Mi diverte
punzecchiarlo a volte.
Lui affonda
la lama qualunque cosa dice, anche solo perché ha quella voce.
Se lo
merita.
Non gli
renderò mai le cose più facili.
Incrocia le
braccia sul petto e annuisce grave.
“Però alla
Tana potrebbe esserci anche Minerva” bofonchia poi, ritrovando un incoraggiante
sorriso.
Bel
tentativo, Albus!
“Oh, certo”
fingo di assecondarlo “E Remus Lupin con la sua strampalata sposina, ma
soprattutto Harry Potter… Immagino la sua gioia nel vedermi arrivare…
Scordatelo! Ho dovuto sorbirmi Mr. Eroica Celebrità per amor tuo più di quanto
normalmente non avrei mai tollerato. Intendo se possibile disintossicarmi
pienamente da Potter”
Senza
contare che se c’era uno che sapeva perfettamente perché detestavo trovarmi il
“Prescelto” sotto il naso questo era proprio Albus; non vedo perché dovrei
pretendere meno comprensione al riguardo dal suo sciocco succedaneo di tela.
“Va bene” mi
accorda “Ma dell’invito dei Malfoy che mi dici? Draco è il tuo pupillo, perché
hai risposto di no anche a lui? E’ tanto di quel tempo che non ti vede, sentirà
la tua mancanza”
Draco e
Narcissa.
Hanno ottimi
motivi per estendermi un invito sincero e altrettanti per odiarmi.
Il traditore
di Lucius, Rodulphus e Bellatrix al loro stesso tavolo per Natale?
“No”
rispondo “Detesto il Natale, le cene, l’albero, i regali e tutto il resto. Non è
che una farsa”
A te
piacevano Albus, lo so. A Natale tornavi fanciullo in mezzo a tutti quegli
effetti scenici, alle luci, alle decorazioni.
Ti divertivi
sempre al gioco infantile di predisporre le magie delle feste, perché Hogwarts
risplendesse di candele, e festoni.
Tu e Hagrid
discutevate sulla preparazione dell’abete già settimane prima, come bimbi
infervorati che fingano di tramare grandi cose.
Non mi va di
ripensarci.
Lo scorso
Natale ne abbiamo già discusso a sufficienza io e la tua effige.
Canticchiava
irritante una vecchia carola famosa sia fra i Maghi sia fra i Babbani.
Non faceva
che sorridermi come si fa con un discolo e canterellare quelle strofette
tintinnanti:
To young and old, meek and the
bold
Ding, dong, ding, dong, that is their
song,
With joyful ring, all
caroling
One seems to hear words of good
cheer
From everywhere, filling the
air
Oh, how they pound, raising the
sound
O'er hill and dale, telling their tale
E ancora,
ogni volta che m’ostinavo a troncare il discorso, riprendeva col ritornello,
tanto da sfinirmi.
Gaily they ring, while people
sing
Songs of good cheer, Christmas is
here!
Merry, merry, merry, merry
Christmas!
Merry, merry, merry, merry
Christmas!
On, on they send, on without
end
Their joyful tone to every
home.
Ding Dong Ding Dong[i]
Insistente.
Piccato perchè rifiutavo di parlare del Natale e di far progetti per non so
quale avvenire.
E’ andato
avanti per una settimana intera, fino al 25 dicembre.
Ho quasi
creduto che finalmente avrei trovato la forza sufficiente per piangere o
strapparlo via dal muro e gettarlo nel fuoco.
Magari per
entrambe le cose.
Non ho mai
sentito un canto di Natale altrettanto straziante.
Gioiose
campane a festa. Salazar! Che voglia di farli rimangiare tutti quegli sciocchi
ding dong.
Se dovesse
ricominciare dubito che saprei trattenermi.
- 8
-
nvece,
pianta la lama molto più in profondità.
“Possibile,
Severus, che nulla e nessuno conti più per te? Non esiste qualcuno a cui tieni,
con cui vorresti condividere il Natale, per il quale valga la pena vivere?”
L’ira scorre
rapida lungo la mia spina dorsale.
Formicola,
saetta fino ai pugni richiudendoli intorno ai pomoli della poltrona, spinge le
unghie fin nel cuore dell’imbottitura.
Si porta via
il sangue delle vene, richiamandolo tutto al viso.
Merlino!
Albus, come puoi…
Respiro.
Il legno
geme ancora nella mia stretta, ma stiro le labbra a imitare un sorriso di
superiorità.
Taci,
Severus.
Lascia
entrare l’aria.
Buttala
fuori.
Morditi la
lingua; è solo una tela imbrattata di vernice.
Non è lui,
non ha senso gridare.
Ma non
riesco a trattenere l’atra sensazione che mi risale dalle viscere.
Mancanza?
Nostalgia? Rimorso?
Qual è più
potente tra le tre?
Non ce la
faccio a tacere; non ho mai saputo tenere la bocca chiusa.
“C’era una
persona per la quale valeva la pena di vivere, morire, perfino di uccidere. Ti
somigliava. Non sei Albus, sei solo una sua immagine senz’anima, ma questo lo
sai già. Non azzardarti mai più a dirmi come devo vivere! Non sei Albus e anche
se lo fossi non ne avresti più il diritto”
Mi osserva
chinando appena la testa da un lato, con aria critica.
Scuote il
capo e gli occhi prendono quell’espressione paternamente comprensiva che mi ha
sempre fatto sentire uno stupido.
Decide di
ignorare il concetto che gli ho appena ribadito: è solo un disegno.
“Non ti ho
dato la mia vita perché tu la sprecassi così” sentenzia severo e implacabile
“L’ho fatto perché ritenevo… ”
“Sta zitto!”
strillo, odiandomi per il modo patetico con cui sono scattato in piedi; occhi
socchiusi e pugni levati.
Sono sempre
il solito incapace che non sa tenere a bada le proprie emozioni quanto
vorrebbe.
Il tono
piagnucoloso con cui ho urlato mi disgusta.
“Ti odio”
mormoro in un filo di voce al tappeto verso cui ho puntato gli occhi, serrati a
imprigionare lacrime e rabbia.
Ma questo
l’ho sentito soltanto io.
I muscoli
tesi del viso tremano ribellandosi al tentativo di renderli maschera come un
tempo.
“Se volevi
restarmi accanto, se tenevi davvero a me avresti dovuto vivere Albus” mi sfugge
nell’ultimo singulto d’insopportabile umanità ferita, prima che io riesca a
spegnermi come desidero.
“Non me ne
faccio niente di una cornice e quattro tratti di pennello”
E’ di te che
avevo bisogno; di poter morire al tuo posto.
Placare il
tuo rimorso lasciandomi un’ombra di te non basta.
Forse è
sufficiente per lavare la tua colpa, le mie non si cancellano ricoprendole con
pochi strati di colore ed elargendo belle parole.
T’ho visto
cadere quella notte, ora è il tuo turno di guardarmi morire giorno per
giorno.
Spero che tu
ti senta orribile e impotente quanto me.
Goditi lo
spettacolo, Albus, ovunque tu sia.
La sferzata
del gelo è diversa da quella della collera, non mi lascia intorpidito; solo
vuoto.
Raddrizzo il
capo e gli mostro il buio delle mie iridi.
Sprezzante.
La mia
condanna la sconto come voglio.
Su chi abbia
gettato via la vita dell’altro forse ci sarebbe da discutere, anche se non
cambierebbe ciò che sono.
“Ad ogni
modo, Albus, no: non c’è nessuno con cui ci terrei a passare il Natale, o
qualunque altro giorno dell’anno. Natale è solo una sciocca convenzione. Ho
fatto la mia parte, finchè serviva, non devo più niente a nessuno. Ho saldato il
conto. E ora vorrei finire il mio libro”
Non parla
più.
Se mi
concentro sulle righe del volume che ho appena ripescato dalle pieghe del divano
posso perfino fingere che non sia lì.
Tace.
Niente
carole ipocrite.
Nessuna
campana a spandere il suo suono gioioso in questa casa.
Spinner’s
End non è una casa come le altre: e la mia Azkaban e il mio Dissennatore,
evidentemente, sa quando è il caso di serbare un dignitoso mutismo.
Puoi
ricominciare a torturarmi da domani, Albus, va bene?
Oggi non ce
la faccio.
Domani. Da
domani posso tornare al rimpianto, adesso credo che, malgrado tutto, fingerò di
non essere mai nato.
“Mi
dispiace, ragazzo” mi è sembrato che sussurrasse.
Ma non ci
credo. Non l’ha detto.
Non è
lui.
Albus è
morto e io sono solo, come sempre, com’è giusto, come voglio che sia.
“Mi
dispiace. Ma ho ancora fiducia in te, Severus. Un giorno… ”
E’ solamente
un quadro.
Non devo
ascoltarlo.
Prima o poi
imparerà a restarsene zitto.