9. be my companion
9. be my companion?
Passai l'intera nottata insonne, al telefono con chi capitava. Ray,
Mikey (che ovviamente non si risparmiò la sfuriata che si
meritava per non avermi avvisato di niente), Bob, mamma, papà..
tutti, ma non chi avrei voluto chiamare veramente. Proprio quella
mattina i ragazzi gli avevano già detto tutto, e, anche se non
so se li avrei mai ringraziati abbastanza per il favore, in quel
momento mi sentivo come di troppo: insomma, se io avessi appena
scoperto che la bambina che ho cresciuto non è mia figlia,
diciamo che non vorrei proprio passare dodici ore filate a
chiacchierare, ecco. E soprattutto, anche se in quel genere di cose
eravamo abbastanza diversi, se mi avesse voluto chiamare lo avrebbe
fatto sicuramente. Fu così che quindi mi trovai ad organizzare
un viaggio in treno in piena notte, perché grazie a Dio,
letteralmente, vivevo nel ventunesimo secolo ed esisteva una magica
cosa chiamata "internet".
Ero stanco come lo ero stato
davvero poche volte in vita mia, ma non solo relativamente alle poche
ore di sonno: mi cadevano le palpebre, sì, e sapevo che mi sarei
dovuto alzare alle otto del mattino per andare in stazione, anche, ma
più di tutto, ero stanco dopo tutti gli sforzi che avevo fatto
in quei mesi. Cioè, praticamente non avevo fatto davvero nulla,
ma quando mi svegliavo ogni giorno con quel peso all'altezza del petto
e i ratti nello stomaco ("ratti" perché in effetti le farfalle
fanno troppo My Little Pony per esprimere lo stato mentale in cui mi
trovavo), bhè, era difficile tirare avanti per tutta la
giornata, anche solo rimanendo a vegetare su un divano. Spensi, proprio
in quel momento, la terza sigaretta.
Era ridicolo che anche da felice,
mi trovassi ad essere così nervoso. Il problema era che,
pensandoci bene, tutti i miei guai non erano giunti al termine, ma
erano appena cominciati; che cosa avrei fatto? anzi, no, che cosa
avremmo fatto ora? Continuava comunque a non trattarsi solo di noi,
perché continuava ad andarci di mezzo una bambina, che
probabilmente da grande avrebbe avuto anche più problemi di
quello che pensava fosse suo padre. Perché, d'altra parte,
avevano tutti ragione: era giusto che la volesse vedere, almeno una
volta ogni tanto, ma era anche giusto, forse, che crescesse con il suo
vero padre e tanti auguri alla madre, che anche se non ci si trovava
bene, con quello che aveva fatto, doveva solo star zitta.
Insomma, niente era così
facile come sembrava, e quando all'improvviso vidi il cielo schiarirsi,
non mi sembrò possibile che fosse già mattina. Si erano
fatte le sei e mezza, e forse era ora che provassi a chiudere la
valigia e mi preparassi per andare via. Era strano pensare che forse
non avrei mai rimesso piede in quella casa, nonostante Emily mi avesse
chiesto di rimanere amici. Certo, suona come la solita frase da
circostanza che si dice giusto per non far rimanere totalmente di merda
qualcuno.. poi magari ci si vede per strada e ci si nasconde l'uno
dall'altro, ma io speravo davvero che in quel caso fosse diverso. Era
stata già abbastanza comprensiva con me da non sbattermi fuori a
calci quel giorno stesso e lasciarmi anche dormire a letto e non sul
divano quella sera, che mi sarei stupito se si fosse comportata
altrimenti. Non era gentile per avere qualcosa in cambio, lo era
perché lo era e basta, perché rendere gli altri
più felici, farli stare a proprio agio, forse, era davvero
quello che le bastava. Sorrisi, guardandola prima di sedermi
saltellando per la centesima volta sulla valigia nel disperato
tentativo di schiacciare tutto in un trolley. Quasi a riprova del detto
"parli del diavolo e spuntano le corna", poi, sentii all'improvviso la
sua voce e per poco non sobbalzai.. come se non lo stessi già
facendo volontariamente per applicare più pressione.
-Vuoi una mano?- Domandò,
voltandosi verso di me, stesa sul fianco. Annuii, piuttosto
imbarazzato. Certo, nonostante fossimo "rimasti amici", ci voleva un
po' di tempo perché riuscissimo veramente a stare di nuovo a
nostro agio in presenza dell'altro. Sorrise, alzandosi dal letto con un
forte sbadiglio. -Se io non mi fossi svegliata, mi avresti scaricata
con un bigliettino prima di partitre?- Ridacchiò, mettendosi
seduta a terra accanto a me e quella bomba a mano che mi piaceva
chiamare a valigia. Si setiva che stava scherzando, ma mi mise davvero
tanto a disagio, perché in effetti non mi era nemmeno passato
per l'anticamera del cervello il fatto che l'avrei dovuta salutare..
nonostante l'avrei fatto lo stesso, ovvio.
-No, è solo che non ti
volevo svegliare alle sei del mattino.. ti avrei svegliata prima di
scendere, tutto qui.- Mi strinsi nelle spalle, sorridendo più a
me stesso che a lei per il modo in cui me l'ero riuscita a cavare. Si
spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, cominciando ad
armeggiare con la zip, e nonostante io ci stessi provando da un'ora,
lei ci riuscì in cinque secondi.
-Frank, puzzi.- Scosse il capo,
sorridendomi. Mi sarei anche offeso, certo, ma non potevo darle tutti i
torti, dato che non mi ricordavo l'ultima volta che avevo
effettivamente fatto una doccia. -Se hai fame o qualsiasi cosa faccio
io, tranquillo, tu vatti a lavare però.- Mi diede una pacca
sulla spalla e la ringraziai, seguendo il suo consiglio e avviandomi
dunque verso il bagno. L'ultima doccia in quella casa.
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Il viaggio fu forse il più
lungo della mia vita, ma ehi, era colpa di quello che mi aspettava
all'arrivo. E l'idea che non sapesse nemmeno che stavo arrivando, mi
piaceva ancora di più. E quindi, nonostante il tempo che
sembrava non passare mai, alle sei ero davanti alla porta di casa di
Gerard. Avevo davvero paura che mi prendesse un infarto, a giudicare
dal modo in cui il cuore sembrava pretendere di uscirmi dalla cassa
toracica, ma bussai ugualmente, aspettando. Ci fu un momento in cui per
poco non pensai di andarmene, ma poi mi resi conto che c'erano tanti
motivi che gli avrebbero potuto impedire di aprirmi subito,
perciò rimasi lì, che infodno l'idea di tornare veramente
indietro non mi aveva mai nemmeno sfiorato. Sentii dei passi
avvicinarsi, poi l'inconfondibile rumore delle chiavi che giravano
nella serratura, e poi..
-Ciao.- Gli sorrisi, come se fosse
cosa da niente. Alzò gli occhi da terra, sorridendo e
spostandoli sui miei. Gerard sembrava abbastanza diverso da come lo
avevo visto l'ultima volta, ma in realtà sapevo bene che le
uniche differenze erano il colore dei capelli, le mancate ore di sonno
e gli occhi rossi e gonfi, i quali strofinò velocemente, quasi
momentaneamente incapace di proferire parola. Si morse l'unghia, come
faceva quando era nervoso, ma poi, quando posai per un secondo il
manico del trolley, mi si avventò addosso, abbracciandomi
così forte che per poco non smisi di respirare.
E in un certo senso, si può
dire che lo feci, sentendo veramente troppo la mancanza di tutto
quello. Siete mai stati tanto innamorati di qualcuno da sentirne le
conseguenze anche a livello fisico?
-Stronzo, bastardo, stronzo,
stronzo, stronzo.- E parlando ormai da anni la sua lingua, non era
altro che un modo di dirmi che gli ero mancato. Intervallò ogni
insulto con un bacio sulla guancia, abbracciandomi ancora più
forte. -Potevo dirmelo che saresti venuto, idiota.- Continuò,
staccando solo un braccio dal mio collo così da prendere la
valigia e sistemarla (quasi lanciarla, affidandosi alle inanimate
rotelle che la muovevano) in casa. -Entra, dai.- Mi disse dopo una
lunga pausa di silenzio in cui eravamo semplicemente rimasti lì,
praticamente incollati l'uno all'altro, interrompendo l'abbraccio e
lasciandomi entrare. Entrambi ci andammo a sedere, e parlammo per
più o meno un'ora di tutto. Veramente tutto. E si vedeva che,
nonostante volesse nasconderlo, ci stava male come un cane. Di tanto in
tanto, poi, gli cadeva lo sguardo sulla culla di quella che per lui era
ancora sua figlia, oppure sulla borsa con i suoi giochi, ciucci,
vestiti che fra qualche giorno la "madre" (se così si può
definire una che mette i suoi sogni da ragazzina prima del bene di sua
figlia) sarebbe venuta a prendere prima di trasferirsi. Gli strinsi la
mano, e nonostante tutto, continuò a sorridermi.
-E la vedrai?- Domandai
timidamente, quasi come se avessi paura che da un certo punto
scoppiasse a piangere lì, vicino a me, e non avrei saputo
davvero cosa dire. Non mi ero mai trovato in una situazione del genere
e per fortuna non mi ci sarei mai trovato in vita mia.. Si strinse
nelle spalle, abbassando un po' lo sguardo per pensare. -Cioè,
dico, almeno tu vorresti..?- Cercai di riprendere la domanda -che in
effetti mi interessava- dopo qualche minuto di silenzio, e finalmente
tornò a guardarmi.
-Sì, certo.. cioè, mi
sembra ovvio, lei.. non mi ha fatto niente, no? non è colpa sua
se ha una madre stupida.- Cercò di sorridermi, intricando ancora
di più la presa delle nostre dita. -Ma non parliamone
più.- Non sembrava incazzato, ma scocciato sì, lo era. E
non per colpa mia purtroppo, e questo significava che non potevo farci
molto. -Mi sei mancato tanto.- Poggiò la testa contro lo
schienale del divano, aggiustandosi e mettendosi seduto di fianco come
già stavo facendo io.
-Anche tu.. tanto.- Aggiunsi, con la voce che pian piano si spezzava.
-Sai che ti dico, Frank?- Sorrise,
e improvvisamente qualcosa nel suo sguardo cambiò.. in meglio.
Si alzò come se stesse per andare da qualche parte, ed io feci
la stessa cosa, pronto a seguirlo. Mi prese le mani, eppure si
fermò lì, come se non avesse intenzione di muoversi. -Io
e te stiamo insieme non so da quanto tempo. Cioè, non nel senso
che siamo insieme come fidanzati, ma ci conosciamo da dieci anni e.. e
io.. non mi sono mai stancato di te. Nemmeno un secondo. Nemmeno se
passiamo anche anni di seguito schiacciati nello stesso bus, insieme
ventiquattro ore su ventiquattro.- Fece una pausa, ed io per poco non
svenni. -Volendo usare anche una metafora figa, insomma, abbiamo
percorso ogni strada insieme. E anche se siamo inciampati, certe volte
ci siamo scontrati, altre volte abbiamo provato ad andare su vie
differenti.. alla fine ho capito che credo che ognuna di queste mi
porti sempre a te, e che se tu dovessi improvvisamente andartene, mi
bloccherei in mezzo al traffico.- Si avvicinò ancora di
più, parlandomi all'orecchio. -Ed io sono stanco di stare qui
bloccato, perciò..- Si allontanò di nuovo, guardandomi
negli occhi con un sorriso così grande stampato in faccia che
sembrava quasi che gli impedisse di parlare. -Vuoi essere il mio
compagno di viaggio?- Presi un respiro profondo, cercando di non
crepare lì, perché seriamente, sarei stato capace. -O mio
marito, sì, sarebbe figo anche quello..- Aggiunse, e se in un
primo momento non avevo capito bene che parlasse di quello,
bhè.. ora era fin troppo chiaro. Ebbi solo la forza di annuire,
cominciando a piangere. Mi lasciò le mani, cercando qualcosa in
tasca, ed io approfittai per spostarmi i capelli dagli occhi prima di
diventare cieco. Speravo davvero che non si fosse messo a comprare
anelli o cose del genere, e per fortuna era qualcosa di anche meglio.
-Frank, ti ricordi che quando mi
hai ridato questo, mi hai detto che era perché non ti fidavi
più di me, vero?- Annuii, fissando lo stesso, identico plettro
giallo che gli avevo restituito l'anno prima nel tentativo di staccarmi
(anche solo con quel piccolo cenno materiale) da lui. -Se ora mi credi
di nuovo, io..- Mi prese la mano, poggiandolo al centro di essa. Lo
misi in tasca, dove di solito stava prima che glielo restituissi,
baciandolo decentemente per la prima volta della giornata, convinto che
gli avrei restituito il mio in un secondo momento. Mi resi conto che
era passato così tanto tempo dall'ultima volta che avevo parlato
che era quasi imbarazzante, perciò..
-Ti amo.- Sussurrai al suo orecchio.
-Anche io ti amo.-
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Essere sposato con Gerard era
quanto di meglio ci fosse al mondo, e non lo dico solo tanto per dire:
non c'era niente che potesse comptere con la sensazione che si prova a
svegliarsi ogni mattina accanto alla persona che si ama, a viverci
insieme (e anche se lo avevamo fatto per anni, in un certo senso, non
era mai stato in quel senso), a sapere che ora c'è qualcosa di
più profondo di una semplice promessa a legarvi. Erano passati
sei mesi, e mi sembrava ancora come ieri.
Nonostante molti siano convinti che
la routine è la rovina di una coppia, blablabla, per noi era
quasi una cosa assurda poter dire di averne una, che non era poi
così scocciante, in effetti: in quel periodo stavamo
-finalmente- registrando, i ragazzi venivano praticamente ogni giorno
da noi, ci prendevano un po' per il culo perché eravamo sposati
(e infondo lo facevano con affetto), due risate, poi se ne andavano,
andavamo a letto, e insomma.. era strano. Era strano che ci fosse
finalmente un vero e proprio equilibrio nella mia vita, che era sempre
stata un po' lì, sospesa dove capitava.
Ma sopra ogni altra cosa, era bello avere un "compagno di viaggio". E sapevo che il mio, non poteva che essere lui.
-fine-
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Alla mia migliore amica.
A mia nonna.
A Clelia, a Serena, a Roberta e a Clara.
A Cecilia, anche se ora non ci parliamo nemmeno, perché mi ha sempre spinta a fare meglio.
A chiunque abbia letto, recensito, seguito.
E viva il narcisismo, anche a me stessa, per aver avuto il coraggio di far leggere qualcosa di mio a qualcuno.
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Salve ragazze. :D
Non nego che
mi è scesa una lacrimuccia nello scrivere la parola fine, e mi
scuso per il ritardo, ma per la centesima volta non ho una scusa
migliore dell'esame, che tra l'altro comincia il 12, quindi yeah.
Dato che non vorrei perdere nessuna di voi, davvero, perché non
sapete quante cose bbbelle avete fatto alla mia autostima (lol), se vi
interessasse parlare con una sfigta del genere, messaggiatemiiiih qui,
e poi non lo so, se non vi sto troppo sulle palle ci sentiamo su
facebook e blabababal, Chiara sei noiosa, taci.
E sì, diciamo che mi scuso veramente molto per il finale banale
e plagiatissimo (SKETCH PERDONAMI), ma lo pensavo più o meno da
quando ho cominciato la prima storia, e se non fosse stato per questo
me lo sarei anche risparmiato, quindi sì, ecco.
Grazie di nuovo, di ogni cosa.
-Chiara.
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